«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
«Non è possibile comprendere l’interiorità dell’uomo se se ne fa un oggetto di analisi indifferente e neutrale; non lo si può nemmeno se ci si fonde con lui, se si penetra in lui col sentimento. No, a lui ci si può accostare e lo si può scoprire – o, meglio, indurlo a rivelarsi – solo comunicando con lui, dialogicamente. […]
Raffigurare l’uomo interiore […] si può soltanto raffigurando il rapporto comunicativo di lui con l’altro. Soltanto nella relazione comunicativa reciproca, nella interazione dell’uomo con l’uomo si rivela “l’uomo nell’uomo” sia per gli altri, sia per se stesso. […]
È ben chiaro che al centro […] deve trovarsi il dialogo, e il dialogo non come mezzo, ma come fine autonomo.
Il dialogo non è la soglia dell’azione, ma l’azione stessa.
Esso non è neppure un mezzo per scoprire, per manifestare il carattere già pronto dell’uomo; no, l’uomo non solo si manifesta all’esterno, ma diviene per la prima volta ciò che è […] non solo per gli altri, ma anche per se stesso. […] Essere significa comunicare dialogicamente.
Quando il dialogo finisce, tutto finisce.
Perciò il dialogo in realtà non può e non deve finire […] il dialogo è il fine.
Una sola voce non porta a termine nulla e nulla decide. Due voci sono il minimum della vita, il minimum dell’essere».
Michail Bachtin
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«Bisogna difendere nei limiti delle proprie forze coloro che patiscono ingiustizia, e non lasciar correre: giacché un tale atteggiamento è giusto e coraggioso, l’atteggiamento contrario è ingiusto e vile» (Democrito, B261).
L’anima umana come fondamento della verità (2002) delinea, in maniera stilizzata, il sistema metafisico umanistico su cui sono poi strutturati molti suoi libri successivi. La tesi centrale di questo libro è appunto che l’anima umana, intesa come la natura razionale e morale dell’uomo, è il fondamento onto-assiologico della verità dell’essere. Questo sistema costituisce la base per una analisi critica della totalità sociale, e per una progettualità comunitaria finalizzata alla realizzazione di un modo di produzione sociale conforme alle esigenze razionali e morali della natura umana. [ indice – presentazione – sintesi]
Karl Marx nel sentiero della verità (2003) costituisce una interpretazione metafisico-umanistica del pensiero di Marx, che viene analizzato nei suoi nodi essenziali, spesso in aperta critica con la secolare tradizione marxista. Nato originariamente come elaborazione degli studi di economia politica dall’autore compiuti negli anni Novanta del Novecento, il testo assume carattere filosofico-politico. Marx è analizzato come il pensatore moderno che, rifacendosi implicitamente al pensiero greco, realizza la migliore critica al modo di produzione capitalistico, pur non elaborando – per carenza di fondazione filosofica – un adeguato discorso progettuale. [ indice – presentazione – sintesi]
Verità e dialettica. La dialettica di Hegel e la teoria di Marx (2003) costituisce una integrazione del precedente Karl Marx nel sentiero della verità. Il testo effettua una sintesi comparata, appunto, sia della dialettica di Hegel che della teoria di Marx. Pur riconoscendo l’influenza del pensiero di Hegel nelle opere del Marx maturo, l’autore propone la tesi che il pensiero di Marx, strutturatosi nei suoi punti cardinali prima del suo studio attento ed approfondito della Scienza della Logica, sia nella sua essenza non dialettico (in senso hegeliano). Una versione sintetica di questo libro è stata pubblicata sulla rivista Il Protagora nel 2007. [indice – presentazione]
La verità umana nel pensiero religioso di Sergio Quinzio (2004), con introduzione di Franco Toscani, è una sintesi monografica sul pensiero del grande teologo scomparso nel 1996. Il testo presenta al proprio interno una analisi del pensiero ebraico e cristiano, unita ad una rilettura umanistica del testo biblico. Il tema centrale è quello della morte, e della speranza nella resurrezione su cui Quinzio ripetutamente riflette, e che vede continuamente delusa. Al di là dei riferimenti religiosi, la riflessione del teologo si presta ad una profonda considerazione sulla fragilità della vita umana. [indice – presentazione]
Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino (2005), con introduzione di Alberto Giovanni Biuso, è una sintesi monografica sul pensiero del grande filosofo italiano. Il testo presenta al proprio interno una analisi critica del nucleo essenziale della ontologia di Severino e delle sue analisi storico-filosofiche e politiche. Esiste uno scambio di lettere fra Severino e Grecchi in cui il filosofo bresciano mostra la sua netta contrarietà alla interpretazione ricevuta. Il testo, tuttavia, è segnalato nella Enciclopedia filosofica Bompiani come uno dei libri di riferimento per la interpretazione del pensiero severiniano. [indice – presentazione]
Il necessario fondamento umanistico della metafisica (2005) è un breve saggio in cui, prendendo come riferimento la metafisica classica (ed in particolare le posizioni di Carmelo Vigna), l’autore critica la centralità dell’approccio logico-fenomenologico rispetto al tema della verità, ritenendo necessario anche l’approccio onto-assiologico. Per Grecchi infatti la verità consiste non solo nella descrizione corretta di come la realtà è, ma anche nella valutazione di come essa – la parte che può modificarsi – deve essere per conformarsi alla natura razionale e morale dell’uomo. Si tratta del primo confronto esplicito fra la proposta di Grecchi della metafisica umanistica e la metafisica classica di matrice aristotelico-tomista. [indice – presentazione]
Filosofia e biografia (2005) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Umberto Galimberti. Nel testo si ripercorre il pensiero galimbertiano nei suoi contenuti essenziali, ma si pone in essere anche una serrata analisi di molti temi filosofici, politici e sociali, in cui spesso emerge una sostanziale differenza di posizioni fra i due autori. Di particolare interesse le pagine dedicate al pensiero simbolico, all’analisi della società, ed alla interpretazione dell’opera di Emanuele Severino. Percorre il testo la tesi per cui la genesi di un pensiero filosofico deve necessariamente essere indagata, per giungere alla piena comprensione dell’opera di un autore. [indice – presentazione]
Il pensiero filosofico di Umberto Galimberti (2005), con introduzione di Carmelo Vigna, è un testo monografico completo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo. Si tratta di un testo in cui Grecchi, sintetizzando la complessa opera di questo autore, prende al contempo posizione non solo nei confronti della medesima, ma anche di filosofi quali Nietzsche, Heidegger, Jaspers, che nel pensiero di Galimberti costituiscono riferimenti imprescindibili. Vigna, nella sua introduzione, ha definito il libro “una ricostruzione seria ed attendibile del pensiero del filosofo” in esame. [indice – presentazione]
Conoscenza della felicità (2005), con introduzione di Mario Vegetti, è uno dei testi principali di Grecchi, in cui l’autore applica il proprio approccio classico umanistico alla attuale totalità sociale, mostrando come essa si ponga in radicale opposizione alle possibilità di felicità degli uomini. L’autore, seguendo la matrice onto-assiologica del pensiero greco, mostra che solo conoscendo che cosa è l’uomo risulta possibile conoscere cosa sia la felicità. Il testo è caratterizzato da una analisi delle strutture della personalità oggi più diffuse, per l’autore “prodotte” dai processi di funzionamento del modo di produzione capitalistico. Scrive Vegetti, nella introduzione, che Grecchi è “pensatore a suo modo classico”, per il suo “andar diritto verso il cuore dei problemi”. [indice – presentazione]
Marx e gli antichi Greci (2006) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Costanzo Preve. Nel testo viene effettuata una analisi non tanto filologica, quanto ermeneutica e teoretica dei rapporti del pensiero di Marx col pensiero greco. I due autori, concordando su molti punti, colmano così in parte una lacuna della pubblicistica su questo tema, che risulta essere stato nel tempo assai poco indagato. Di particolare interesse l’analisi effettuata dai due autori di quale potrebbe essere, sulla base insieme del pensiero dei Greci e di Marx, il miglior modo di produzione sociale alternativo rispetto a quello attuale. [indice – presentazione ]
Vivere o morire. Dialogo sul senso dell’esistenza fra Platone e
Nietzsche (2006), con introduzione di Enrico Berti, è un
saggio composto ponendo in ideale dialogo Platone e Nietzsche su importanti
temi filosofici, politico e morali: l’amore, la morte, la metafisica, la vita
ed altro ancora. Scrive Berti, nella sua introduzione, che, come accadeva nel
genere letterario antico dell’invenzione, Grecchi non nasconde lo scopo
“politico” della sua opera, la quale “risulta essere innanzitutto un documento
significativo di amore per la filosofia e di vitalità di quest’ultima, in un
momento in cui l’epoca della filosofia sembrava conclusa”.
Il filosofo e la politica. I consigli di Platone, e dei classici Greci,
per la vita politica (2006) è una ricostruzione del pensiero
filosofico-politico di Platone effettuata in un continuo confronto con le
vicende della attualità. In questo libro Grecchi pone esplicitamente Platone, sul
piano politico, come proprio pensatore di riferimento. Il filosofo ateniese infatti,
a suo avviso, pur scrivendo molti secoli or sono, rimane tuttora colui che ha
offerto le migliori analisi, e le migliori soluzioni, per pensare una migliore
totalità sociale, ossia un ambiente comunitario adatto alla buona vita
dell’uomo
La filosofia politica di Eschilo. Il pensiero “filosofico-politico” del
più grande tragediografo greco (2007)
costituisce una interpretazione, in chiave appunto filosofico-politica,
dell’opera di Eschilo. Lo scopo principale di questo libro è quello di “scorporare”
Eschilo dallo specialismo degli studi poetico-letterari, per inserirlo – come
si dovrebbe fare per tutti i tragici greci – nell’ambito del pensiero
filosofico-politico. Nel testo viene presa in carico l’analisi precedentemente
svolta da Emanuele Severino ne Il giogo (1988),
ritenendone validi molti aspetti ma giungendo, alla fine, a conclusioni opposte
circa il presunto “nichilismo” di Eschilo.
Il presente della filosofia italiana (2007) è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i più importanti filosofi italiani contemporanei pubblicati dopo il 2000. Gli autori analizzati vengono ripartiti in quattro categorie: 1) pensatori “ermeneutici-simbolici” (Sini, Vattimo, Cacciari, Natoli); 2) pensatori “scientifici-razionalisti” (Tarca, Antiseri, Giorello); 3) pensatori “marxisti-radicali” (Preve, Losurdo); 4) pensatori “metafisici-teologici” (Reale). Il testo è arricchito da due appendici e da una ampia postfazione di Costanzo Preve. In questi testi Grecchi oppone criticamente, ai vari approcci, il proprio discorso metafisico-umanistico. [indice – presentazione ]
Corrispondenze di metafisica umanistica (2007) è una raccolta di testi in cui sono contenuti scambi epistolari, nonché risposte di Grecchi ad introduzioni e recensioni di suoi libri. [indice – presentazionesintesi ]
L’umanesimo della antica filosofia greca (2007) è il primo libro in cui Grecchi effettua la propria interpretazione complessiva della Grecità. Partendo da Omero, e giungendo fino al pensiero ellenistico, l’autore mostra come non la natura, né il divino, né l’essere furono i temi centrali del pensiero greco, bensì l’uomo, soprattutto nella sua dimensione razionale e morale. [indice – presentazione ]
L’umanesimo di Platone (2007) è un testo monografico sul pensiero di Platone. Ponendo in essere una analisi delle principali interpretazioni finora effettuate del pensiero platonico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Platone la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la rilevanza della posizione anti-crematistica. [indice – presentazione ]
L’umanesimo di Aristotele (2008) è un testo monografico sul pensiero di Aristotele. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse tematiche del pensiero aristotelico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Aristotele – così come in Platone, ma in forma differente – la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la rilevanza della posizione anti-crematistica. [indice – presentazione ]
Chi fu il primo filosofo? E dunque: cos’è la filosofia? (2008), con introduzione di Giovanni Casertano, è un libro suddiviso in
due parti. Nella prima parte, prendendo come riferimento alcuni fra i
principali manuali di storia della filosofia italiani, Grecchi mostra come essi
spesso non definiscano l’oggetto del loro studio, ossia la filosofia,
dichiarandola talvolta addirittura indefinibile. L’autore, invece, offre in
questo libro la propria definizione di filosofia come caratterizzata da due
contenuti imprescindibili: a) l’essere ricerca, il più possibile fondata ed argomentata,
della verità dell’intero; b) l’assumere come riferimento, insieme descrittivo e
valutativo (la filosofia si occupa non solo della verità, ma anche del bene),
l’Uomo. Nella seconda parte l’autore esamina dieci possibilità alternative su
“chi fu il primo filosofo”, giungendo a concludere che, pur all’interno del
contesto comunitario della riflessione greca, il candidato più accreditato
risulta per vari motivi essere Socrate.
Socrate. Discorso su Le Nuvole di Aristofane (2008) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore
Guida, di un discorso da Socrate ad Atene l’indomani della rappresentazione
della famosa commedia di Aristofane. Si tratta, come è nello stile della
collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e spiritosa, in cui
Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria interpretazione, insieme
umanistica ed anticrematistica, del pensiero socratico. Tale interpretazione
risulta convergente con quelle offerte, nella medesima collana, da Mario
Vegetti su Platone e da Enrico Berti su Aristotele.
Il filosofo e la vita. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la buona vita (2008), è una raccolta di brevi saggi in cui l’autore, prendendo spunto da alcuni passi del pensiero platonico, e più in generale del pensiero greco classico, affronta sinteticamente alcune tematiche centrali per la vita umana (l’amore, la famiglia, la filosofia, la storia, le leggi, la democrazia, l’educazione, l’università, la mafia, la libertà, ecc.), col consueto approccio attualizzante, ovvero facendo interagire – nel rispetto del contesto storico-sociale dell’epoca in cui tale pensiero nacque – il pensiero platonico col nostro tempo. Il libro è arricchito da un lungo saggio finale di Costanzo Preve, intitolato “Luca Grecchi interprete dei filosofi classici Greci” (con risposta), in c ui il filosofo torinese sintetizza le posizioni dell’autore. [indice – presentazione ]
Occidente: radici, essenza, futuro (2009),
con introduzione di Diego Fusaro, è un testo in cui l’autore analizza il
concetto di Occidente e le sue tradizioni culturali costitutive, sempre in base
al proprio sistema metafisico-umanistico. Analizzando le radici greche,
ebraiche, cristiane, romane e moderne, ma soprattutto l’attuale contesto
storico-sociale, Grecchi coglie nella prevaricazione derivante dalla smodata
ricerca crematistica l’essenza dell’Occidente, ed individua per lo stesso un
futuro cupo. Il testo è arricchito dal dialogo con Fusaro, alla cui
introduzione Grecchi risponde in una appendice finale.
L’umanesimo della antica filosofia cinese (2009) costituisce il primo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale (l’unica nel nostro paese effettuata da un solo autore). Il libro parte dalla constatazione che la cultura orientale risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. In base tuttavia alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero cinese risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia cinese, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero cinese. [indice – presentazione ]
L’umanesimo della antica filosofia indiana (2009) costituisce il secondo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che la cultura orientale risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. In base tuttavia alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero indiano risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia indiana, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero indiano. [indice – presentazione ]
L’umanesimo della antica filosofia islamica (2009) costituisce il terzo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che la filosofia orientale risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. In base tuttavia alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero islamico risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia islamica, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero islamico. [indice – presentazione ]
A partire dai filosofi antichi (2009),
con introduzione di Carmelo Vigna, è un libro-dialogo composto con uno dei
maggiori filosofi italiani, Enrico Berti. In questo testo viene ripercorsa
l’intera storia della filosofia, apportando interpretazioni originali non
soltanto dei principali filosofi antichi, ma anche di quelli moderni e
contemporanei. Non mancano inoltre considerazioni su temi di attualità, nonché
su temi di interesse generale, quali l’educazione, la scuola e la politica.
Scrive Vigna, nella introduzione, che “questo testo è tra le cose più
interessanti che si possano leggere oggi nel panorama della filosofia
italiana”.
L’umanesimo di Plotino (2010) è un libro in cui l’autore cerca di colmare la distanza storico-culturale fra il periodo classico ed il periodo ellenistico e postellenistico. Il testo si divide in due parti. Nella prima, considerando che ogni pensiero filosofico deve essere inserito all’interno del proprio contesto storico-sociale (anche in quanto è all’interno del medesimo che esso “produce” le proprie categorie), l’autore realizza una analisi del modo di produzione sociale greco e di quello ellenistico, per tracciare alcune differenze importanti fra l’epoca classica e l’epoca ellenistica/postellenistica. Nella seconda parte, che è la più ampia, è invece analizzato, in base alle dieci tematiche ritenute centrali, il pensiero di Plotino. [indice – presentazione ]
La filosofia della storia nella Grecia classica (2010) è il testo ermeneutico forse più originale di Grecchi. Alla cultura greca si attribuisce infatti, solitamente, la nascita di pressoché tutte le discipline filosofiche, ad eccezione della filosofia della storia, tuttora ritenuta di genesi moderna. Analizzando l’opera di storici, letterati e filosofi dell’epoca preclassica e classica, l’autore mostra invece le radici antiche anche di questo campo di studi, contribuendo ad un chiarimento teoretico della disciplina stessa. [indice – presentazione ]
Perché non possiamo non dirci Greci (2010) è un libro in cui l’autore sintetizza, in termini divulgativi, le proprie posizioni generali sui Greci. Il testo prende spunto dalla rilettura, in controluce, del classico di Benedetto Croce intitolato Perché non possiamo non dirci cristiani, per mostrare non solo come le radici greche siano almeno altrettanto importanti di quelle cristiane per la cultura europea, ma soprattutto che una loro ripresa sarebbe fortemente auspicabile. Il testo è completato da una ampia appendice inedita che costituisce una analisi critica del pensiero ellenistico (in rapporto a quello classico) incentrata sulle opere di Epicuro e di Luciano di Samosata. [indice – presentazione ]
Sulla verità e sul bene (2011), con introduzione di Enrico Berti e postfazione di Costanzo Preve, è un libro-dialogo con uno dei maggiori filosofi italiani, Carmelo Vigna. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, insieme agli importanti temi teoretici ed etici che danno il titolo al volume. Scrive Berti, nella introduzione, che si tratta di “una serie di discussioni oltremodo interessanti tra due filosofi che sono divisi da due diverse, anzi opposte, concezioni della metafisica, ma sono accomunati dalla considerazione per la filosofia classica e soprattutto da un grande amore per la filosofia in sé stessa”. [indice – presentazione ]
Gli stranieri nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore, prendendo distanza dalle interpretazioni tradizionali, mostra come, sin dall’epoca omerica, gli antichi Greci furono aperti all’ospitalità verso gli stranieri. Preceduto da una analisi anti-ideologica delle categorie di “razza”, “etnia”, “multiculturalismo” ed altre, Grecchi rimarca come sia stato centrale, nel pensiero greco classico, il concetto di “natura umana”. Esso possiede basi teoretiche salde ed una costante presenza nella riflessione greca, che l’autore appunto caratterizza come “umanistica”. [indice – presentazione]
Diritto e proprietà nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore prende in carico i temi poco indagati del diritto e della proprietà nella antica Grecia. Si tratta di temi molto importanti per comprendere il contesto storico-sociale in cui nacque la cultura greca, e che pertanto non possono essere ignorati da chi studia la filosofia di questo periodo. Il testo sviluppa inoltre un confronto con il diritto romano – che si rivela assai meno comunitario di quello greco – e con il nostro tempo, per mostrare come la cultura greca possieda, anche sul piano giuridico, contenuti che sarebbero tuttora importanti da applicare. [indice – presentazione ]
Confucio. Sulla buona vita, sul buon governo e su me stesso (2011) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore
Guida, di alcuni discorsi tenuti dall’antico pensatore cinese. Si tratta, come
è nello stile della collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e
spiritosa, in cui Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria
interpretazione, insieme umanistica ed anticrematistica, del pensiero di
Confucio, già delineata ne L’umanesimo
della antica filosofia cinese.
L’umanesimo di Omero (2012) è un libro in cui l’autore effettua una analisi teoretica ed etica del pensiero omerico, inserendo l’antico poeta nel novero del pensiero filosofico, rompendo il tradizionale isolamento nel campo letterario che da secoli caratterizza la sua opera. Grecchi insiste in particolare sul carattere di educazione filosofica dei poemi omerici, mostrando come essi abbozzino temi ontologici e soprattutto assiologici poi elaborati dalla intera riflessione classica. Il testo si caratterizza anche per il continuo aggancio dei miti omerici alla contemporaneità. [indice – presentazione]
L’umanesimo politico dei “Presocratici” (2012) è un libro in cui l’autore, centralizzando il carattere politico-sociale del loro pensiero, prende distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano questi pensatori esclusivamente come “naturalisti”, che li separano in maniera eccessiva sia dalla poesia epica precedente, sia dalla filosofia classica successiva. Risultano centrali, in questa trattazione, le figure anticipatrici di Solone e Clistene, oltre a quelle più consuete di Eraclito, Parmenide e Pitagora. [indice – presentazione]
Il presente della filosofia nel mondo (2012), con postfazione di Giacomo Pezzano, è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i maggiori filosofi contemporanei non italiani (fra gli altri Bauman, Habermas, Hobsbawm, Latouche, Nussbaum, Onfray, Zizek). Nella introduzione si rileva, come caratteristica principale della filosofia del nostro tempo, la presenza in solidarietà antitetico-polare di una corrente scientifico-razionalistica e di una corrente aurorale-simbolica. Esse occupano il centro della scena escludendo dal “campo di gioco” la filosofia onto-assiologica di matrice classica, elaborata oramai, in maniera teoreticamente originale, solo da un numero limitato di studiosi. [indice – presentazione]
Il pensiero filosofico di Enrico Berti (2013), con presentazione di Carmelo Vigna e postfazione di Enrico Berti, è un testo monografico introduttivo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo, uno dei maggiori studiosi mondiali del pensiero di Aristotele. Rapportandosi a tematiche quali l’interpretazione degli antichi, la storia della filosofia, l’educazione, l’etica, la politica, la metafisica, la religione, Grecchi descrive il pensiero dell’autore quasi sempre concordando con lui, tranne che nella opposizione – su cui si sofferma anche Berti nella postfazione – fra metafisica classica e metafisica umanistica. [indice – presentazione]
Il necessario fondamento umanistico del “comunismo” (2013) è un libro scritto a quattro mani con Carmine Fiorillo, in cui gli autori mostrano come la diffusa critica (marxista e non) al modo di produzione capitalistico, priva di una fondata progettualità, risulti largamente insufficiente. Assumendo come base di riferimento il pensiero greco classico (ma anche le componenti umanistiche di altri orizzonti culturali), gli autori mostrano che solo mediante una solida fondazione filosofica è possibile favorire la progettualità di un ideale modo di produzione sociale in cui vivere, che gli autori ancora definiscono – per mancanza di validi termini alternativi, ma differenziandosi fortemente dalla tradizione marxista – “comunismo”. [indice – presentazione]
Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia (2013) è un pamphlet in cui si mostra che le attuali modalità accademiche di insegnamento della filosofia, incentrate sullo specialismo, non ripropongono più il modello greco classico della filosofia come ricerca fondata ed argomentata della verità onto-assiologica dell’intero. L’autore mostra come la causa principale di questa situazione sia attribuibile ai processi socio-culturali del modo di produzione capitalistico. [indice – presentazione]
La musa metafisica. Lettere su filosofia e università (2013), con Giovanni Stelli, costituisce uno scambio epistolare nato dal commento di Stelli al pamphlet Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia. A partire da questo tema lo scambio ha assunto una rilevanza ed una ampiezza tale, estendendosi a contenuti storici, culturali e politici, da renderne di qualche utilità la pubblicazione. [indice – presentazione]
Discorsi di filosofia antica (2014) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sull’uomo nella cultura greca, da Omero all’ellenismo, tenuto dall’autore alla Università degli studi di Milano Bicocca nel 2013. Esso accoglie inoltre i testi di alcune conferenze sul pensiero antico svolte dall’autore nel 2013 e 2014, ed in particolare, in appendice, un saggio inedito sulla alienazione nella antica Grecia. [indice – presentazione]
Omero tra padre e figlia (2014) è un libro-dialogo con Benedetta Grecchi, figlia di 6 anni dell’autore, sulle vicende di Odisseo narrate appunto nella Odissea di Omero. Il testo costituisce – come recita il sottotitolo – una “piccola introduzione alla filosofia”, passando attraverso i contenuti educativi dell’opera omerica già delineati dall’autore nel libro L’umanesimo di Omero. Questo dialogo tra padre e figlia mostra come la filosofia possa passare anche ai bambini evitando, da un lato, di essere ridotta a “gioco logico”, e dal lato opposto di essere presentata come “chiacchiera inconcludente”. [indice – presentazione]
Discorsi sul bene (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sul bene tenuto dall’autore alla Università degli studi di Milano Bicocca nel 2014. In appendice sono aggiunte una intervista filosofica e due relazioni su temi etico-politici. Il testo si rivela importante in quanto, all’interno di un approccio aristotelico – in cui in sostanza il bene è il fine verso cui ogni ente, per natura, tende –, Grecchi indica nel rispetto e nella cura dell’uomo (e del cosmo: gli elementi portanti del suo Umanesimo) i contenuti fondamentali del bene. [indice – presentazione]
Discorsi sulla morte (2016) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni tenuto dall’autore alla Università degli studi di Milano Bicocca nel 2015. L’autore, delineando le principali concezioni della morte presenti nella storia della filosofia, con particolare riferimento agli antichi Greci ed a Giacomo Leopardi, mostra come la rimozione di questo tema costituisca una delle principali concause di alcune psicopatologie del nostro tempo. [indice – presentazione]
L’umanesimo della cultura medievale (2016) è un libro che raccoglie i contenuti umanistici del pensiero medievale. Rispetto alle interpretazioni tradizionali, ancora caratterizzate da una descrizione del Medioevo come età oscura, questo testo mostra il carattere umanistico in particolare della Scolastica aristotelica. Rispetto ai consueti autori di riferimento della tradizione cristiana, ossia Agostino e Tommaso, particolare importanza è attribuita in questo volume a due autori del XIII secolo solitamente poco considerati, Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia, nonché alle ripetute condanne ecclesiastico-accademiche dell’Aristotelismo che ebbero il loro momento culminante nel 1277.
L’umanesimo della cultura rinascimentale (2016) è un libro che pone in essere una critica costruttiva della tradizionale interpretazione umanistica del pensiero rinascimentale del XIV e XV secolo. Rispetto, infatti, alla vulgata comune, che ritiene centrale in questo periodo la riscoperta filologica ed ermeneutica dei testi di Platone e di altri autori antichi, Grecchi reputa centrale in esso la filocrematistica, e dunque la rottura – operata da modalità sociali sempre più privatistiche e mercificate, cui la cultura dell’epoca si adeguò – del legame sociale comunitario proprio dell’epoca medievale. Il Rinascimento costituì dunque la prima apertura culturale verso la modernità capitalistica.
Compendio di metafisica umanistica (2017) è un libro che espone in sintesi la struttura onto-assiologica della verità dell’essere per come in vari luoghi delineata dall’autore col nome di “metafisica umanistica”. Il testo fornisce alcuni capisaldi del futuro Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere (cui l’autore sta lavorando dal 2003), distinguendo le nozioni di Cominciamento, Principio e Fondamento, nonché elaborando la tematica dell’essere e della sua sistematicità. Il volume si sofferma anche sulla tematica del trascendente, e sul nesso descrittivo-normativo necessario alla progettualità sociale. [indice – presentazione]
Natura (2018) è un libro che si colloca nella collana Questioni di filosofia antica della casa
editrice Unicopli. Il testo analizza in maniera specialistica oltre dieci
secoli di riflessioni del pensiero antico sulla natura, da Omero a Plotino.
Trattandosi di un tema vastissimo, i riferimenti sono di tipo sia filosofico,
sia scientifico, sia letterario. Il tema riveste particolare importanza in
quanto gli antichi, per primi, compresero che ogni mancanza di rispetto e di
cura nei confronti della natura – attività che solo l’uomo, fra gli enti
naturali, è in grado di porre in essere – costituisce una mancanza di rispetto
e di cura nei confronti della vita tutta
Scritti brevi su politica, scuola e società (2019) costituisce una raccolta di articoli pubblicati dall’autore negli anni 2015 e 2016 su vari quotidiani, settimanali e riviste su tematiche di particolare attualità. Il filo conduttore di questi scritti è costituito da una critica progettuale al nostro tempo alla luce del pensiero greco classico, soprattutto di Aristotele. Per l’importanza delle tematiche trattate, e per l’approccio classico utilizzato, si tratta di riflessioni che forniscono un orientamento in grado di trascendere l’orizzonte del momento storico in cui sono state effettuate. [indice – presentazione]
Uomo (2019) è un libro che si colloca nella collana Questioni di filosofia antica della casa editrice Unicopli. Il testo analizza in maniera specialistica oltre dieci secoli di riflessioni del pensiero antico sull’uomo, da Omero a Plotino. Trattandosi di un tema vastissimo, i riferimenti sono di tipo sia filosofico, sia scientifico, sia letterario. Il tema riveste particolare importanza in quanto gli antichi, per primi, compresero la centralità dell’uomo nella natura, ovvero il suo essere il solo ente in grado di fornire un senso ed un valore alla realtà, nonché di avere rispetto e cura della realtà stessa .
L’umanesimo greco classico di Spinoza (2019) costituisce una analisi della filosofia di Spinoza alla luce del pensiero greco classico. Nonostante il filosofo olandese citi pochissimo Platone ed Aristotele, Grecchi mostra come forti siano i legami coi due più grandi pensatori antichi. Le tematiche esaminate sono alcune fra le principali del pensiero filosofico, quali la verità, il bene, la conoscenza, la sistematicità, la religione, la libertà, la crematistica, la politica. Frequenti sono anche i riferimenti ed i paralleli con il nostro tempo.
Curatele
È veramente noiosa la storia della filosofia antica? (2008, con Diego Fusaro), con scritti di E. Berti, G. Casertano, D. Fusaro, G. Girgenti, L. Grecchi, C. Preve e M. Vegetti .
Sistema e sistematicità in Aristotele (2016), con scritti di C. Baracchi, E. Berti, B. Botter, M. Cosci, S. Fazzo, A. Fermani, G.R. Giardina, L. Grecchi, C. Vigna, M. Zanatta. [indice – presentazione – sintesi].
Immanenza e trascendenza in Aristotele (2017), con scritti di G. Abbate, C. Baracchi, E. Berti, B. Botter, M. Cosci, A. D’Atri, A. Falcon, A. Fermani, L. Grecchi, A. Jori, D. Quarantotto, M. Ugaglia, C. Vigna, M. Zanatta. [indice – presentazione – sintesi ]
Teoria e prassi in Aristotele (2018), con scritti di C. Baracchi, E. Berti, A. Fermani, S. Gastaldi, L. Grecchi, S. Gullino, A. Jori, G. Lucchetta, L. Palpacelli, L. Ruggiu, M. Vegetti, C. Vigna, M. Zanatta. [indice – presentazione – sintesi ]
Il monstrum del sistema capitale che invita al voto senza contenuto umano “Per tutti i gusti”: ecco la definizione che si può attribuire alle elezioni europee. In assenza di cittadini capaci di esprimere un voto consapevole, di cittadini che abbiano maturato una progettualità politica di lungo termine, ci troviamo dinanzi al monstrum del sistema capitale che invita al voto, lo declama, ne fa segno del riconoscimento immediato della democrazia europea in una pluralità di “prospettive politiche”. In realtà il voto è già inficiato in partenza dall’essere in generale espresso non dal cittadino consapevole ma dal suddito consumatore: si vota nella stessa maniera con cui si scelgono le merci. Le merci rispondono ad un bisogno immediato, possono essere scelte e consumate per essere sostituite senza scrupoli morali, senza progettualità, senza consapevolezza. Si vive nell’empirico, si sceglie, si desidera, si oblia per poi ricominciare l’eterno ritorno del medesimo. Si vota in modo simile, si sceglie il candidato su un unico asse: l’asse dei propri particolari interessi personali. Non ci si scandalizza delle contraddizioni, dell’incoerenza: Salvini che osanna i cieli e gli altari; Di Maio che insegue, solo al comando, un’improbabile partecipazione dal basso, falsificata da una piattaforma (povero Rousseau!, casaleggiato) che non ammette dialettica, ma che pure si chiama Rousseau, nome che ammicca palesemente alla democrazia diretta. Nessuno scandalo, in realtà, perché da decenni ormai si ripete che l’unico fondamento dell’esistenza di ciascun europeo sono i propri interessi privati, per cui le parole non sono ascoltate, valutate, misurate. Ci si sofferma solo sugli interessi economici che rispecchiano i propri gusti-interessi, il resto è una parodia neanche percepita. La sacralità atea ed informe del nichilismo dell’ultimo uomo è tra di noi, ha la forma brutale del capitalismo acquisitivo che martella nella mente, che ordina novello e terribile imperativo categorico a perseguire solo i propri privati interessi economici.
Percezione selettiva delle parole da parte del suddito consumatore votante Il martello dell’interesse privato è sempre in atto nella testa del suddito consumatore votante, guida ad una selezione fenomenologica delle parole, si dispone ad ascoltare soltanto le parole della quantificazione, parole orientare a sollecitare la pancia, ad irrobustire il proprio peso sociale, depotenziando la spesa sociale. Decenni di berlusconismo, di “sinistre” arrendevoli e complici, di immagini senza misura orientate all’acquisto smisurato, di forchettoni sempre in agguato, hanno avuto l’effetto sperato: non più dunque cittadino, ma consumatore integrale, quindi consumatore anche nella cabina elettorale. Ci si accosta alla politica con lo stesso approccio che si ha dinanzi ad un’immensa offerta di merci, si acquista l’utile immediato, si fa il pieno dei propri interessi. Pertanto le parole circolanti dei candidati sono sfrondate, qualora ci siano ancora dei significati non economici, si va all’essenziale, alla verità dell’epoca del capitalismo speculare. Si vota come ci si specchia, valutando i propri limitati interessi privati.
Il votante migrante I commenti del giorno dopo confermano l’integralismo del capitalismo speculare. Da destra a sinistra si espongono voti, si fanno calcoli, addendi e sottraendi sono sulla bocca di giornalisti che abbondano in numeri, ma non in concetti. Tutto è ridotto a spostamenti, allo sciamare dei migranti consumatori dei voti. In assenza di ideologia, i votanti consumano e migrano. Il successo di oggi di una compagine politica è il facile insuccesso di domani. Tutto è fluido, migrante in assenza di universale. Non resta che l’esperienza di brucanti che si spostano da destra a sinistra nel gioco della falsa cittadinanza. In verità destra e sinistra sono interscambiabili, per cui la commedia umana può proseguire all’infinito, perché nessun potere è minacciato, nessuna struttura e sovrastruttura è messa in discussione, non resta che la commedia. Si invita al voto senza timore, si minaccia il voto, coscienti che nulla cambierà, anzi il voto ha l’effetto duma, è uno sfogatoio per gli scontenti, si dà l’illusione di contare, si producono speranze nelle sacche marginalizzate delle periferie e non solo, ma gli scontenti utilizzano lo stesso linguaggio, l’economia, l’interesse privato li rende doppiamente vittime in quanto usano il linguaggio del vincitore.
Educazione alla cittadinanza politica In assenza di momenti di relazioni comunitarie di base che sul territorio aggreghino al progetto ed alla condivisione, in assenza di una scuola che educhi alla comunità e alla difficile arte del continuo porsi domande, il cittadino è lasciato solo a se stesso, è all’interno di una tempesta di stimoli che non sa governare, semplicemente si adatta al contesto, ragiona solo per calcolare sulle entrate e sulle uscite. Ogni cittadino, ormai sussunto al capitale non è che un atomo del sistema, atomo consumante-migrante. I luoghi di aggregazione sono consumanti, si sciama per vivere l’esperienza edonistica del momento. Nei luoghi di partecipazione si formavano le idee, si imparava con lo scontro a superare il naturale egocentrismo umano. Oggi tutto invita al narcisismo di massa, a perseguire interessi privati a discapito della collettività, per cui il voto in quanto gesto etico-universale è destituito di fondamento. Il voto è un gesto politico, in esso dev’essere contemplata la polis tutta, non si vota solo per sé, ma il voto esprime la partecipazione, la realizzazione con un semplice gesto della natura comunitaria dell’essere umano. La perversa rivoluzione antropologica a cui assistiamo invita solo a favorire l’immediato, animalizza minimizzando le spinte comunitarie, deprezzandole con un’attività mediatica che non conosce pari in altre epoche. L’informazione è sostituita dal messaggio nella forma di giornaliste e giornalisti che seducenti attraggono con l’immagine per occultare il vuoto.
Il senso del voto: il voto è un gesto che umanizza. Verso un voto che non sia utile, ma etico e partecipato Al voto andrebbe restituita la sua dignità. Il voto è un gesto che umanizza, che consente al singolo di passare dalla condizione di atomo oggetto di forze e dunque passivizzato, a soggetto, a cittadino che in modo attivo si pone verso la comunità, va oltre gli angusti confini degli interessi privati, per ascoltare il mondo, per elaborare percorsi collettivi, per uscire dalla caverna dell’immediato, dalla violenza del privato. Per operare tale rivoluzione è necessario il contributo di tutti gli uomini e di tutte le donne di buona volontà ovunque operino a discutere dello stato presente, a smascherare le false verità, ad insinuare il dubbio. Se il mondo dei media è colonizzato dalla manipolazione, la verità comunque non la si può annegare del tutto; essa vive nel quotidiano, per cui la parola può rimettere in moto la storia, può far sopravvivere una diversa idea di politica pronta a sbocciare nel caso la terribile congiuntura attuale declini. Non si deve dubitare che la verità possa toccare le vite di tutti, e l’onirico potrà essere spazzato via con i suoi limiti; al suo posto il principio di realtà dovrà spingere verso un voto che non sia utile, ma etico e partecipato. L’esperienza del voto misura il livello di democrazia di una nazione; oggi sappiamo che siamo molto distanti dalla democrazia, ma siamo in pieno flusso migrante. La voce dei non votanti non rientra nella quantificazione senza concetto del circo mediatico. Forse ai non votanti bisogna volgere lo sguardo, a quel bacino di scontenti in cui fortemente vive “la nausea” della condizione presente. La verità libera, si deve iniziare da questa verità, la si deve diffondere, perché circoli. Possiamo rifarci al mito di Prometeo nella lettura di Platone il quale insegna che senza politica non vi è sopravvivenza della civiltà umana; non vi è polis che nella partecipazione autentica. Altrimenti non vi è che la sofistica: il potere per il potere:
«Così provvisti, all’inizio gli uomini abitavano in insediamenti sparsi, e non esistevano città. Perciò morivano uccisi dalle fiere, poiché erano sotto ogni rispetto più deboli di esse, e l’arte artigiana che essi possedevano bastava loro a procurarsi cibo, ma non era sufficiente alla guerra contro le fiere. Infatti, non possedevano ancora l’arte politica, di cui l’arte della guerra è parte. Cercavano quindi di unirsi e di salvarsi fondando città. Ma, una volta che si erano uniti, si facevano torti l’un l’altro, perché non possedevano l’arte politica, sicché, tornando a disperdersi, morivano. Zeus, allora, temendo che la nostra specie si estinguesse, manda Ermes a portare agli uomini rispetto e giustizia, perché fossero regole ordinatrici di città e legami che uniscono in amicizia. Ermes chiede a Zeus in quale modo dovesse dare agli uomini giustizia e rispetto: “Devo distribuirli seguendo lo stesso criterio con cui si sono distribuite le arti? Perché quelle vennero distribuite in questo modo: uno solo che possieda l’arte medica basta per molti che di quell’arte sono profani, e così per gli altri specialisti. Ebbene, giustizia e rispetto devo distribuirli fra gli uomini con questo criterio, o devo distribuirne a tutti?” “A tutti”, disse Zeus, “che tutti ne diventino partecipi. Perché non potrebbero nascere città, se solo pochi di loro ne avessero parte, come accade per le altre arti. Istituisci, anzi, una legge per conto mio: chi è incapace di partecipare di rispetto e giustizia sia messo a morte come flagello della città”. Così stanno le cose, Socrate, e queste sono le ragioni per cui gli Ateniesi, e gli altri, quando si tratta della competenza nell’arte di costruire o di qualunque altra competenza artigiana, credono che solo a pochi spetti il diritto di partecipare alle decisioni, e se uno, che sia al di fuori di quei pochi, si mette a dare consigli, non lo tollerano, come tu dici: e con ragione, dico io. Quando invece si riuniscono in assemblea su questioni che hanno a che fare con la virtù politica, questioni che vanno trattate interamente con giustizia e temperanza, allora, giustamente, lasciano che chiunque dia il proprio parere, nella convinzione, appunto, che a tutti spetti di partecipare di questa virtù, o non esisterebbero città . Questa, Socrate, ne è la ragione. Ma perché tu non creda di essere ingannato circa la mia affermazione che tutti ritengono che ogni uomo partecipi della giustizia e di ogni altra virtù politica, eccotene la prova. In tutte le altre competenze, come dici, se qualcuno afferma di essere, ad esempio, un abile suonatore di flauto, o di essere abile in qualsiasi altra arte in cui invece non lo sia, o ridono di lui o gli si adirano contro, ed i suoi di casa vanno da lui e cercano di farlo tornare in sé dandogli del pazzo. Quando si tratta invece di giustizia o di qualsiasi altra virtù politica, anche se tutti sanno che uno è ingiusto, quando costui dica contro il proprio interesse la verità di fronte a molta gente, la stessa cosa che nel caso precedente veniva considerata saggezza, cioè il dire la verità , in questo caso viene considerata segno di pazzia; e sostengono che tutti devono dichiarare di essere giusti, che lo siano o no, e che è pazzo chi non finge di esserlo. E questo accade perché sono convinti che ognuno debba necessariamente, in un modo o nell’altro, partecipare di questa virtù, o che, nel caso contrario, non debba vivere fra gli uomini. Il concetto che ti ho ora espresso dunque, è che gli Ateniesi accettano con ragione che ogni uomo dia consigli quando si tratta di virtù politica, per il fatto che sono convinti che ognuno partecipa di essa. E il prossimo concetto che tenterò di dimostrarti è che questa virtù non è un dono di natura né del caso, ma che è insegnabile e che chi la possiede la raggiunge grazie all’impegno. Nel caso di quei mali, infatti, che gli uomini credono, gli uni degli altri, di avere per natura o per caso, nessuno si sdegna, né ammonisce o ammaestra o rimprovera quelli che li hanno, perché smettano di essere tali, ma ne provano pietà. Chi potrebbe, ad esempio, essere così insensato da mettersi a fare una cosa del genere coi brutti, coi piccoli o coi deboli? Tutti sanno infatti, ne sono convinto, che queste cose vengono agli uomini perché portate dalla natura o dal caso, ossia le belle qualità e i difetti corrispondenti».[1]
Nell’epoca cartesiana dell’hic et nunc, del trionfo del “moderno” e dei suoi “valori”, ha ancora un senso parlare dell’influenza del pensiero greco nella storia cristiana? C’è ancora spazio per questo grande patrimonio di sapere, di razionalità, di umanesimo? E, più in generale, l’umanesimo classico ha ancora un valore per la storia dell’Occidente? Il cristianesimo oggi pare inseguire e giustificare l’attualità, non più interessato a un giudizio su di essa; ma senza la mentalità filosofica greca delle domande, del dialogo, del desiderio di conoscenza, esso è prigioniero degli interessi e dei poteri dominanti. C’è una sola voce che è uscita fuori dal coro, il punto di vista lucido del Papa Benedetto XVI, sul quale è caduta la cappa del silenzio. Questo studio ripropone le ragioni di Ratzinger e del legame originario tra cristianesimo e pensiero filosofico greco, come germe di razionalità per la società multietnica contemporanea, vittima della banalità omologante che avvolge il mondo contemporaneo.
Sommario
Presentazione di Luca Grecchi Prefazione di Arianna Fermani
Introduzione Abbiamo ancora bisogno dei Greci L’humanitas antica nell’epoca dei vorticosi cambiamenti La grecizzazione del cristianesimo antico Paolo ad Atene Logos greco e Dio cristiano La discussione sulla deellenizzazione Conclusione
«Insegnare lingua inglese, storia e, a un certo momento, perfino etica, era stato insegnare conoscenze tecniche che aveva fatto proprie come accessorie alla formazione del proprio carattere. Se avesse studiato ponendosi come unico obiettivo quelle conoscenze, non avrebbe dovuto fare altro che aprire un libro in classe. Se si fosse accontentato di campare aprendo un libro, non sarebbe stato affatto diverso, in linea teorica, dal funambolo che campa camminando sulla fune, o dal giocoliere che campa facendo roteare i piatti sulla cima di un bastone.
Ma lo studio è cosa diversa dal funambolismo e dai giochi di destrezza.
Apprendere le conoscenze tecniche è marginale: lo scopo è la costruzione dell’uomo.
Lo scopo è fornirlo di una solidità che gli permetta di distinguere le cose grandi dalle inezie, di conoscere la differenza tra ciò che conta e ciò che non significa niente, di avere ben chiaro cosa ama e cosa no, di riconoscere senza esitare il confine tra il bene e il male, di non sbagliare nel giudicare intelligenza e stupidità, vero e falso, giusto e ingiusto.
Doya la pensava così. Per questo non disprezzava l’idea di sbarcare il lunario vendendo le proprie conoscenze ma, allo stesso tempo, considerava un abominio l’idea di allontanarsi dai fondamenti su cui si ergeva la sua formazione culturale. Il rifiuto di cui era oggetto ovunque andasse era effetto del suo basarsi sull’essenza stessa dei suoi studi, per cui, dato che lui stesso, analizzando il proprio intimo, non trovava alcunché di cui vergognarsi, non riteneva di essere uno smidollato. Gli insulti di chi vedeva in lui uno sciocco caparbio erano così assurdi, che non li avrebbe compresi nemmeno se avesse potuto posarli sul palmo della propria mano, per analizzarli con la lente d’ingrandimento, sotto una gronda esposta a sud, in un giorno d’estate!
Tre volte era diventato professore e tre volte era stato cacciato dal suo posto ma, nella sua mente, ogni espulsione valeva più di un dottorato di ricerca. Un dottorato sarà anche un titolo importante, ma in fondo si acquisisce tramite le conoscenze tecniche. Non è molto diverso da quando un ricco ottiene il quinto grado di nobiltà con una donazione per la costruzione della flotta.
Natsume Sōseki, Raffiche d’autunno, Lindau, Torino 2017, pp. 13-15.
Dai muri della città dove abito, i manifesti pubblicitari di una delle maggiori catene della grande distribuzione (che si richiama, peraltro, a valori solidaristici) ammoniscono i passanti che «Siamo quello che scegliamo». A chiarimento della scelta in questione, campeggiano i primi piani di persone di diversa età che covano con sguardo fra l’affettuoso e l’orgoglioso chi un vasetto di marmellata (naturalmente biologica), chi uno spazzolino da denti, chi una confezione di caffé macinato. Così, la straordinaria stratificazione architettonica, paesaggistica, storica e culturale di questa piccola e bellissima città si appiattisce improvvisamente nel piano liscio dove a scorrere sono solo le merci, prodigiosamente inesauribili, tutte diverse nella loro sollecitazione alla scelta, tutte interscambiabili nell’indistinto della bulimia dei consumi. Questo piano liscio nutre una nuova antropologia, in cui l’uomo è dato dalla sua relazione con le merci e la libertà – quella libertà senza la quale l’esistenza perde senso e valore – diventa libertà di scegliere il prodotto più confacente alle proprie esigenze.
Salvatore A. Bravo
L’albero filosofico del Ténéré.
Esodo dal nichilismo ed emancipazione in Costanzo Preve
Dalla metafora del deserto (Nietzsche-Arendt) al fondamento veritativo in Costanzo Preve
L’uomo – questo essere su cui la natura e la storia hanno inciso segni tanto profondi quanto quelli che da lui hanno ricevuto – si risolve in un consumatore, responsabile e soddisfatto della nuova leggerezza acquisita: il necessario fardello del suo rapporto con se stesso e con il mondo ha ridotto le sue dimensioni a quelle di un carrello del supermercato.
La centralità della merce è religione che non ammette devoti tiepidi: avendo da tempo travalicato gli argini della sfera economica, ha finito per modellare comportamenti sociali e condotte individuali, per riorientare la percezione che si ha di sè e del mondo, per plasmare menti e corpi, pensieri e sentimenti.
La campagna pubblicitaria sopracitata è un caso da manuale di quelle «identità costruite dal e per il marketing», destinate a naufragare «nei desideri del mercato», che si aggirano nel deserto su cui si appunta lo sguardo lucido di Salvatore A. Bravo nel suo ultimo libro, pubblicato da Petite Plaisance, L’albero filosofico del Ténéré. Esodo dal nichilismo ed emancipazione in Costanzo Preve. Dalla metafora del deserto (in Nietzche-Arendt) al fondamento veritativo in Costanzo Preve. La traversata del deserto è impresa ambiziosa, urgente e rischiosa e richiede il coraggio intellettuale di un riorientamento radicale, capace di guardare negli occhi il nichilismo penetrato nella profondità del corpo sociale e di tagliare il nodo gordiano di appartenenze ideologiche che, incapaci di prendere atto delle nuove realtà storiche e di mettere in discussione schemi interpretativi e filosofici accettati fideisticamente, finiscono per legittimare e rafforzare il nichilismo dominante, con il quale condividono l’economicismo di fondo.
Per potere tentare la traversata, occorre innanzitutto sapere riconoscere l’aridità e la piattezza del deserto sotto le linee frastagliate e seducenti del paesaggio nel quale siamo immersi, occorre lacerare il velo delle illusioni – la promessa della felicità nella soddisfazione illimitata dei desideri e nella disponibilità di beni sempre nuovi – che coprono le sabbie mobili del ciclo produzione-consumo, assurto ad orizzonte esclusivo dell’esistenza. Occorre strappare l’esistenza dal hicet nunc di un presente senza storia, da cui l’universo delle merci trae motivo di legittimità, proclamando la propria naturalità e la propria intrascendibilità. Si disegna, così, una situazione paradossale che vede da un lato l’individuo sollecitato dall’ampio ventaglio della scelta e dall’altro, ridotto ad uno stato di impotenza sociale e di asservimento non dichiarato, in quanto la cornice entro la quale si muove vanta la pretesa totalizzante di essere la sola possibile.
Onnipotenza astratta e concreta impotenza, secondo la felice espressione di Lukàcs, sono le pareti della gabbia d’acciaio che delimita il perimetro entro il quale il soggetto può muoversi. Ecco allora imporsi la legge del nulla, all’insegna di una omologazione dove la speranza – tensione verso il possibile – piange disfatta e l’angoscia regna, come nel celebre sonetto di Baudelaire.[1] Il processo di naturalizzazione è andato così avanti, che è presumibile che la speranza non riconosca nemmeno la propria sconfitta, in quanto è scomparsa dall’orizzonte e, nel migliore dei casi, ride sguaiatamente, compiacendosi con spavalderia fintamente trasgressiva nel e del nulla.
L’immagine del deserto come metafora del nichilismo è stata coltivata da filosofi di grande notorietà – e con seguito accademico – come Nietzche e la Arendt che hanno lucidamente individuato una serie di dispositivi – termine che rinvia ad una presunta neutralità della tecnica – che hanno schiavizzato gli uomini, annullato l’individuo come lusso inutile, a vantaggio della massificazione burocratica ed economica, finendo per aprire la strada ad una nuova umanità privata della corrente calda della vita. Essi hanno denunciato efficacemente la desertificazione del pensiero, minacciato da macchinismo e totalitarismo e invocato la necessità dell’oasi. La Arendt la cerca in quegli ambiti della vita che esistono, in parte o in tutto, indipendentemente dalle condizioni politiche: l’isolamento dell’artista, la solitudine del filosofo, le relazioni affettive. La loro analisi, pur capace di cogliere aspetti importanti dell’alienazione che minaccia la condizione umana, resta interna al nichilismo, perché – osserva Salvatore Bravo – rinuncia al «fondamento veritativo della Filosofia».[2]
Né è superfluo ricordare, a tal proposito, che Nietzche teorizza l’esperienza elitaria del nichilismo attivo. L’oasi della Arendt assume nel testo di Salvatore A. Bravo la forma dell’Albero del Ténéré, un’acacia che, unica pianta per centinaia di chilometri tutt’intorno, in questa regione desertica del Sahara, a nordovest del Niger, costituiva per le carovane di cammelli il punto di riferimento obbligato. Guida per orientarsi e simbolo di vita – quasi miracolosa nella sua unicità – nella gran distesa uniforme di sabbia, l’Albero del Ténéré consentiva quella pausa necessaria per riprendere respiro e raccogliersi prima di continuare il cammino. Il sollievo momentaneo dell’oasi, infatti, non basta a Salvatore Bravo: è alla traversata, all’esodo dal deserto che egli ci invita. Impresa pericolosa, si diceva, tale da richiedere bussola e sguardo lungo e consapevolezza della fatica che attende il viaggiatore.
La bussola è offerta dal discorso filosofico di Costanzo Preve, uno dei pochi filosofi contemporanei che abbia avuto il coraggio di rilegittimare il valore veritativo della Filosofia e di rifiutarne la riduzione a semplice dossografia, elenco di opinioni e dottrine. Ha pagato questa scelta controcorrente con l’esclusione dai salotti buoni della filosofia, per i quali la ricerca del fondamento veritativo o è eluso, o si ritrova addirittura ad essere derubricato alla voce “totalitarismo”. E invece, l’approccio filosofico di Preve risponde proprio alla necessità di indagare la natura dei totalitarismi che l’opera di Arendt e Nietzche occultano più che rendere palese, afferrandone le manifestazioni epidermiche più che l’intima natura. La rimozione degli aspetti totalitari presenti massicciamente nel modo di produzione capitalistico rende innocua la loro critica che, non poggiando su un rigoroso fondamento, non può nemmeno offrire gli strumenti per osare la traversata. Costanzo Preve – e Salvatore Bravo che, con la sua riflessione filosofica, intende continuare il percorso da lui aperto – fa dell’intrinseco rapporto fra capitalismo e nichilismo la chiave di lettura del fenomeno. La quantificazione della vita, la quale ha subíto una decisa accelerazione nella globalizzazione liberista che ha sancito l’affermarsi del capitalismo assoluto – sciolto da qualsiasi limite –, ha ridotto i vissuti a cose e spezzato i vincoli comunitari, fino a fare di ogni individuo un atomo Robinson ritirato dal mondo e ripiegato su se stesso e dell’alienazione la normalità. Se il deserto è rinuncia al pensiero, riduzione dell’umanità al dato biologico e alla corsa verso l’accumulazione di beni, spetta alla Filosofia il compito di restituire il soggetto alla storia e alla propria umanità. Un compito arduo che la Filosofia può assolvere, solamente ponendosi come «scienza del fondamento, portatrice di verità condivise attraverso il dialogo».[3]
Solo il fondamento può ricondurre il molteplice all’unità, superare le scissioni per ritrovare la totalità, ristabilire gerarchie di valore e suscitare un giudizio responsabile: si crea così il presupposto per potere comprendere il nostro presente. Nel disordine e nell’omologazione si installano nichilismo e relativismo, il deserto si estende, le piste che conducono verso l’uscita vengono cancellate dai mulinelli di sabbia e le carovane sono sviate da rutilanti miraggi che mostrano un’oasi dove c’è solo un’altra duna, uguale alle precedenti. I punti di riferimento da rielaborare per definire tale fondamento, ovvero la verità oggettiva dell’essere umano mediata dall’esperienza storica, sono rappresentati per Preve dal mondo greco, da Marx, Hegel e Sorel. Nel dialogo creativo con questi autori, prende forma la connotazione della natura umana come razionale-comunitaria e generica. È razionale e valutativa, perché capace di determinare le giuste proporzioni per salvaguardare se stessa e la comunità; è generica, perché aperta sulla possibilità di determinare storicamente la propria natura. Può, dunque, perdersi nell’alienazione, qualora non riesca ad opporsi alle pressioni ed ai condizionamenti del potere, così come può affermare le proprie potenzialità. Perché ciò avvenga, è necessario un intreccio con la comunità, con la parola comunitaria. In questa individuazione della natura umana intervengono tre concetti fondamentali, strettamente legati: logos, limite, misura. Costanzo Preve recupera il significato originario della parola logos come calcolo del limite, di ciò che è necessario, contro la dispersione e l’estraniazione causate dall’eccesso, dalla crematistica (dal greco chrèmata, ricchezze) che indeboliscono il soggetto. La coscienza deve, con il logos, calcolare il limite, calcolo reso necessario dalla natura limitata dell’essere umano, destinato a morire e bisognoso di una comunità per sopravvivere. La parola métron (misura) non ha in Preve la connotazione datale poi dalla rivoluzione scientifica, ma, piuttosto, una declinazione sociale, è equilibrio dell’assetto sociale , calcolato dal logos. Non sfugga la portata di un approccio teoretico impostato sulla centralità della natura umana per la costruzione di una fondata e coerente prassi anticapitalistica. I nuovi riduzionismi, che nelle neuroscienze trovano un modello trionfante, apportatore di utili suggerimenti utilizzabili anche dal marketing, rappresentano l’uomo come un essere plasticamente determinabile, riconducibile ad un meccanismo stimolo-risposta, alimentando l’idea che la natura umana sia infinitamente manipolabile.
La possibilità, categoria di primaria importanza nella caratterizzazione data da Preve, si trova ad essere esclusa e, con essa, qualsiasi alterità rispetto al sistema dei rapporti sociali dominanti. Né è da trascurare, a giudizio dello scrivente, l’impatto devastante che prossimamente potrebbe avere un’ideologia come il transumanesimo che fa del superamento degli stessi limiti biologici dell’essere umano, “potenziato” dalle macchine con cui entra in simbiosi fisica, la propria cifra, ultimo approdo di una hybris i cui tratti distintivi di negazione del limite e di infinita flesibilità e adattabilità dell’essere umano, nell’ottica dell’efficienza e della performatività, rispondono appieno al cattivo infinito sotteso alla logica del capitale, per il quale l’uomo deve essere tabula rasa su cui scrivere in assoluta libertà, realtà sensoriale da soddisfare, innanzitutto attraverso il baratto. Il capitalismo ha vinto – per ora – la partita, puntando tutto sulla quantità infinitamente in espansione, sull’illimitato di desideri potenzialmente inesauribili da soddisfare, ma ha eluso e mortificato la domanda di senso che è costitutiva dell’uomo. La ricerca di Costanzo Preve ha avuto il grande merito di porre al centro della riflessione filosofica questa domanda e di fornire gli strumenti teoretici per risposte non semplici e non subordinate al paradigma dominante, all’altezza della sfida posta dalla condizione umana nell’epoca del capitalismo assoluto. L’esodo dal deserto ha bisogno di durevole passione filosofica, di caparbia intelligenza critica, capaci di squarciare il velo delle illusioni e di pensare un «cambio di prospettiva». Un cambio di prospettiva che si intreccia strettamente con il concetto di “comunità”, articolazione fondamentale nel pensiero di Preve e al quale l’autore del saggio dedica pagine illuminanti. Da Aristotele, come già si è detto, Preve mutua il concetto di “essere umano” come “zoon logon echon”, animale razionale. Il logos (di cui logon è l’accusativo) è nodo di straordinaria densità concettuale: rinvia sia al «linguaggio come strumento di convincimento razionale comunitario», sia alla «ragione universalmente diffusa in tutti gli uomini», sia «al calcolo geometrico applicato alla giusta distribuzione del potere e delle ricchezze»,[4] unico argine al dilagare della prepotenza del singolo e del caos. La democrazia comunitaria, in cui il dialogo (dia-logos) garantisce la comunicazione e vigila sul mantenimento del limite, consente agli esseri umani di ritrovare la loro natura e di porla a sostanza della comunità stessa.[5]
È a partire da questo ideale regolativo che Preve ripensa il comunismo: la comunità vive nel trascendimento delle divisioni sociali, ma anche per evitare il tragico fallimento del comunismo novecentesco realizzato (cui il filosofo riconosce, comunque, numerosi meriti nella lotta all’imperialismo e nell’impulso dato ai diritti sociali) deve mantenere la tensione tra individuo e comunità, e sottrarsi alla tentazione della fusione i cui esiti non possono che essere distopici. Salvatore Bravo sottolinea come il comunitarismo previano recuperi la radicalità della libertà nel pensiero di Marx, in cui la Storia diventa l’incontro tra le scelte degli uomini e le circostanze storiche. Lo sguardo lucido e privo di compiacimento che Preve getta sulle esperienze rivoluzionarie del Novecento, viziate dall’economicismo e sfociate in dominio burocratico che ha costretto gli uomini nella stessa passività e solitudine del capitalismo,[6] non inficia la grandezza e la necessità – oggi più che mai – di una lotta per una comunità senza oppressione, condizione sine qua non perché fioriscano le potenzialità di ciascuno. Dunque, il pensiero di Preve orienta verso l’esodo dal deserto, rimettendo in azione il motore della storia di cui molti avevano decretato il funerale, a tutto vantaggio di un intrascendibile presente, e lo fa radicandosi in una lunga tradizione filosofica che egli rilegge liberamente, all’insegna della pratica comunitaria della filosofia inaugurata da Socrate. La Filosofia è, infatti, dialogo, è logos che diventa comunitario. Il saggio di Salvatore Bravo evidenzia come l’esperienza culturale, nonché la vita di Preve, siano la dimostrazione che l’incontro tra l’io e il noi costituisce la condizione imprescindibile per l’esistenza stessa della Filosofia, e di una filosofia che, attraverso la catena dei perché, divenga atto emancipativo dalla falsa coscienza, dall’ideologia che piega le coscienze all’ obbedienza e all’adattamento. Essa fonda l’universalismo umanistico, dimostrando il fondamento ontologico comune dell’umanità e, a partire da esso, fonda la resistenza ai processi di alienazione e la possibilità di una prassi coerente con il contesto storico. Il testo di Bravo è una sorta di commento “esemplare” – costruito con passione dialogante e rigore argomentativo – della concezione dello studioso di filosofia antica Pierre Hadot, secondo la quale si tratta di dimostrare «che il discorso filosofico fa parte del modo di vivere» e «che la scelta di vita del filosofo ne determina il discorso».[7]
È, questo, un libro non per “esperti” della disciplina filosofica, (che, comunque, vi troverebbero non pochi fondamentali elementi di riflessione e confronto) ma, innanzitutto, per chiunque avverta la necessità di aprirsi una strada fra le brume del presente e voglia farlo con onestà e coraggio intellettuali e morali. È di un pensiero forte che necessitiamo, laddove tutte le posizioni sembrano occupate dai poteri forti dell’economia e dalle costellazioni ideologiche che intorno ad essi ruotano.
Fernanda Mazzoli
*** * ***
Note
[1] Charles Baudelaire, Les fleurs du mal, Spleen.
«Quand le ciel bas et lourd pèse comme un couvercle Sur l'esprit gémissant en proie aux longs ennuis, Et que de l'horizon embrassant tout le cercle Il nous verse un jour noir plus triste que les nuits; Quand la terre est changée en un cachot humide, Où l'Espérance, comme une chauve-souris, S'en va battant les murs de son aile timide Et se cognant la tête à des plafonds pourris; Quand la pluie étalant ses immenses traînées D'une vaste prison imite les barreaux, Et qu'un peuple muet d'infâmes araignées Vient tendre ses filets au fond de nos cerveaux, Des cloches tout à coup sautent avec furie Et lancent vers le ciel un affreux hurlement, Ainsi que des esprits errants et sans patrie Qui se mettent à geindre opiniâtrément.
- Et de longs corbillards, sans tambours ni musique, Défilent lentement dans mon âme; l'Espoir, Vaincu, pleure, et l'Angoisse atroce, despotique, Sur mon crâne incliné plante son drapeau noir».
«Quando, come un coperchio, il cielo basso e greve schiaccia l'anima che geme nel suo tedio infinito, e in un unico cerchio stringendo l'orizzonte fa del giorno una tristezza più nera della notte;
quando la terra si muta in umida cella segreta dove, timido pipistrello, la Speranza sbatte le ali contro i muri e batte con la testa nel soffitto marcito;
quando le strisce immense della pioggia sembrano le inferriate d'una vasta prigione e muto, ripugnante un popolo di ragni dentro i nostri cervelli dispone le sue reti,
furiose a un tratto esplodono campane e un urlo tremendo lanciano verso il cielo, così simile al gemere ostinato di anime senza pace, né dimora.
- Senza tamburi, senza musica, sfilano funerali a lungo, lentamente, nel mio cuore: la Speranza, Vinta, piange, e l'Angoscia atroce, dispotica, pianta, nel mio cranio riverso, il suo vessillo nero».
[5] Si pone in antitesi, pertanto, alla democrazia formale, le cui procedure sono finalizzate alla riproduzione del potere. Il rito di una democrazia non autentica si consuma stancamente, si rivela essere un’ «atomistica delle solitudini», espressione, fra le altre, di disgregazione nichilistica.
[6] Preve rifiuta categoricamente la lettura liberale del comunismo novecentesco come semplice totalitarismo.
[7] Per la citazione completa di P. Hadot, cfr. Ivi, p. 106.
Il saggio si propone di riflettere sul modello classico del bios teleios, cioè della felicità della vita nella sua totalità, cercando di mostrare come il dialogo con gli antichi fornisca ancora “utili” schemi concettuali. Più in particolare si cerca di mostrare come il confronto con le rifªlessioni etiche di Platone e Aristotele permetta di dipanare i numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana (come i dolori, i piaceri, l’ampia gamma di beni e di risorse che la costituiscono), e di individuare alcuni rilevanti nodi concettuali (tra cui, ad esempio, quello di “misura”) che costituiscono la semantica della nozione di eudaimonia. Il modello antico di eudaimonia come “eu prattein”, inoltre, cioè come capacità strategica di “giocar bene”, sembra risultare particolarmente fecondo, invitando ad interrogarsi sulle modalità di attuazione della vita felice e sulla gestione di tutto ciò che ad ogni esistenza si offre per una “prassi di felicità”.
Ognuno è responsabile della propria vita o, per meglio dire, della sua riuscita, come un artista è responsabile della propria opera («come testimonia anche il fatto che la qualità di un individuo si giudica dalle opere», si legge Etica Eudemia).[1] Perché, se da un lato, attraverso uno sguardo dall’interno mirante a descriverne il funzionamento, la vita felice si configura come energeia, come operare incessante e inesauribile della vita su se stessa, d’altro canto, osservata nella sua manifestazione esteriore, la felicità si esplica come ergon, come opera. E la nostra opera siamo noi; noi, autori di noi stessi, produttori e prodotto, energeia ed ergon. Scrive Aristotele
«e infatti esistiamo per il fatto di vivere e di agire in atto, però l’opera è in qualche modo identica alproduttore; quindi egli ama la sua opera perché ama la sua stessa esistenza. Ma questo è naturale. Infatti l’opera esprime, in atto, ciò che noi siamo in potenza».[2]
Fare di se stessi la propria opera, allora, significa, letteralmente, realizzarsi, compiere se stessi, attuarsi, ovvero dar forma a ciò che si è solo in potenza. Ed è proprio attraverso l’energeia, e nell’energeia, ovvero in quell’operare proprio dell’uomo in cui l’uomo stesso ha la possibilità di esprimere la propria umanità, che l’essere umano stesso si realizza come ergon, che l’individuo si fa opera. I due livelli interagiscono continuamente, rappresentando i due profili, le due facce (una interna e una esterna) di una stessa figura. Ecco perché si può dire, come fa Aristotele, che
«l’opera è un’attività (to gar ergon … energeia)».[3]
Chi ama, infatti, come si legge sempre nel testo dell’Eudemia, nutrendosi di quell’energeia incessante che è l’amore, alimentandosi quest’anelito ininterrotto come il battito del cuore, dà forma a quella complessa alchimia di fattori mentali, psicologici, emozionali, e con essi scrive la sua storia d’amore, realizza il suo ergon, la sua opera; un’opera, scrive Aristotele, che «non è all’esterno, ma in colui stesso che ama».[4] È solo amando che un amore può essere realizzato, esattamente come è solo vivendo bene che la vita buona prende forma, che il capolavoro della vita felice viene compiuto. Opera e operare, ergon ed energeia: due piani costantemente chiamati ad intrecciarsi, a sovrapporsi, ad incrociarsi, delineando così una complessa intelaiatura dell’esistenza, nonché il terreno di realizzazione e di edificazione della vita felice.
Arianna Fermani, VITA FELICE UMANA. In dialogo con Platone e Aristotele, eum edizioni Università di Macerata, 2006, pp. 336-337.
Note
[1] Aristotele, Etica Eudemia, II, 1, 1219 b 10-11.
[2] Aristotele, Etica Nicomachea, IX, 6,1168 a 5-9 (corsivo mio).
[3] Aristotele, Etica Eudemia, VII, 2, 1237 a 34-35.
[4] Aristotele, Etica Eudemia, VII, 2, 1237 a 34-35.
Sommario
Introduzione
Prima parte Semantica della felicità
Capitolo primo La felicità come domanda originaria * Domande “di” felicità * Domande “sulla” felicità ° Felicità: una questione terminologica ° Felicità e forma di vita
Capitolo secondo Felicità e dolore * L’esperienza del dolore ° Il dolore come accadimento ° Le forme del dolore ° Il dolore alla massima potenza: la morte ° Le figure della morte. Riflessioni conclusive * Cicatrizzazione del dolore e cura di sè ° Approcci al dolore ° Cura del dolore e cura di sè ° L’assunzione del dolore * Concludendo
Capitolo terzo Felicità e piacere * L’esperienza del piacere * Fenomenologia del piacere ° Il piacere nell’orizzonte della corporeità ° Dinamiche piacevoli e dolorose ° Il corpo e i desideri: la veemenza di un fiume in piena ° Anima e corpo di fronte al piacere ° Verità / Falsità dei piaceri ° Unità e molteplicità della nozione di desiderio. ° Alcune note a margine dei testi platonici e aristotelici ° Piaceri e criteri di scelta * Il ruolo del piacere nella vita felice
Capitolo quarto Felicità e realizzazione di sé * Profili della virtù: tentativi di un recupero ° Virtù come eccellenza ° Virtù come forza ° Virtù come disposizione ° Virtù come giusto mezzo * La virtù come architettonica della felicità ° Vita felice e accordata: la virtù come musica ° Vita felice e ordinata: la virtù come misura ° La virtù come arte del viver beneCapitolo quinto
Capitolo quinto Felicità e beni esteriori * Primi approcci al problema * Felicità e fortuna ° Lampi di felicità, colpi di fortuna ° Fortuna e virtù ° Felicità e fortuna: osservazioni conclusive * Felicità e amministrazione dei beni ° Il possesso e l’utilizzo di due beni supremi: la sophia e la phronesis
Seconda parte Prassi di felicità
Capitolo primo Felicità e valorizzazione delle proprie risorse * Vita felice e buon utilizzo dei propri talenti ° Per una eudaimonia nell’orizzonte della physis ° Felicità al singolare, felicità al plurale ° Alcune riflessioni sulle nozioni di corpo e anima in Platone e Aristotele ° Anime e progetti di vita: osservazioni conclusive * Eudaimonia ritrovamento e buona allocazione del proprio daimon ° Felicità come consapevolezza ° Percorsi esistenziali e traiettorie di felicità * Saggezza e sapienza di fronte alla felicità
Capitolo secondo Felicità come conquista di pienezza * Felicità: tra esperienze di pienezza e pienezza di vita ° Tentativi di articolazione della nozione di pienezza * Per una pienezza nell’orizzonte dell’ energeia * La difficoltà di far spuntar le ali: la felicità come conquista ° Felicità pienamente consapevole e pienamente umana * Riflessioni conclusive
Conclusioni Per concludere Vita felice umana: appunti di viaggio
Bibliografia Dizionari e lessici/Testi antichi/Testi moderni e contemporanei/ Letteratura critica e studi generali
L’elemento originario essenziale: la pratica del sogno più antico, come vastissima esplosione della storia eretica, come estasi del camminare eretti e della volontà di paradiso, volontà impaziente, ribelle e ferma. Inclinazioni, sogni, sentimenti profondi e sinceri, entusiasmi rivolti ad una meta vengono alimentati da un bisogno diverso da quello più afferrabile, e tuttavia un bisogno che non è mai vuota ideologia; essi non tramontano, colorano realmente di sé un lungo tratto, scaturiscono nell’anima da un punto originale che genera valore e determina valore, continuano ad ardere anche dopo tutte le catastrofi empiriche.
Ernst Bloch
L’inquietudine e l’indifferenza Heidegger, in Essere e Tempo, ha analizzato la paura, quale sentimento che connota l’essere umano. Certo, il periodo storico in cui ha scritto Essere e Tempo può aver condizionato la sua visione. Eppure l’analisi di Heidegger è condivisa da Bauman: la società liquida, inquietante nel suo capillare strutturarsi e posizionarsi, è oggi, forse, già trascesa. La paura convive con l’indifferenza, con la pratica di un lassismo etico, la cui passività come destino, rende ciascuno distante rispetto al proprio prossimo. Il tempo accelerato delle metamorfosi che ci portano verso il transumanesimo, i messaggi che attraversano spazi quasi infiniti in tempi minimali – spazi in cui chiunque sembra raggiungibile – convivono con la distanza, la quale non è di ordine spaziale, ma emotivo: vicini e distanti. Si delinea in tal modo un nuovo sentimento che circostanze economiche e tecnologiche sollecitano: l’inquietudine è vissuta come un destino, come quotidiana condizione da cui non è possibile sfuggire, anzi si ritiene che essa governi il mondo. L’indifferenza sostanzia l’inquietudine: l’altro è nemico, la sua parola è solo calcolo, l’altro è un algoritmo distante. Si vive pertanto nascosti, mentre ci si mostra in immagine, in un’estetica che non conosce che l’astratta forma di sé. L’inquietudine non arde per la paura, non costruisce ponti per l’uscita da sé, ma è fredda ed avvolgente. La paura, nelle sue manifestazioni fino al panico, ritorna su se stessa, si sottrae alla chiacchiera per sostituirla con la posa: ci si mostra, ma senza il desiderio della parola viva. Pallida copia della parola, l’apparire –l’affermarsi di una presenza senza l’esserci – è l’unica fonte che rassicura. Mostrarsi e sottrarsi, perché in realtà l’indifferente narcisista cerca solo una gratificazione immediata, senza implicazione, un clic per vivere, un’immagine per dire a se stesso che c’è, che gli sembra di esserci: l’altro scompare nella coltre di immagini che possono essere prodotte in una quantità innumerevole in tempi brevissimi. Il cerchio si chiude, l’immagine restituisce se stesso in modo mitico, nell’immaginario dell’indifferente narcisista l’esposizione ha concluso nella distanza – ma in un tempo immediato – il bisogno di gratificazione: ci si sente normali e nel contempo gratificati, normali perché “così fan tutti”, gratificati poiché per un attimo l’immagine è passata nell’iride di qualcuno.
L’epoca delle emozioni tristi Non più passioni tristi, ma emozioni tristi. La passione vive in una temporalità che consente ad essa di rendersi fenomeno, ora invece non vi è che la tendenza a vivere emozioni brevi e come tali incomprensibili. L’essere si è consumato – e con esso la verità – parallelamente al tramonto delle passioni, per lasciare spazio e tempo alle emozioni fuggevoli, alla solitudine interiore, all’impossibilità di empatizzare, di tenere dentro di sé l’altro, di ascoltarlo. Soltanto i corpi, mere anatomie apparentemente liberate, corrono lungo le varianti dell’emozione. Nell’emozione tutto sembra possibile, tranne la prassi: la vita di questi corpi è interna al mercato, luogo del disperdersi in mille rivoli di piacere momentaneo.
Tramonto dell’Occidente Pensare ad un’alterità possibile, ad un mondo altro è in questi decenni impresa ardua, perché per la prima volta un’umanità sedotta deve confrontarsi con la propria indifferenza, con un’accidia divenuta ipostasi. Forse dovremmo cominciare a pensare l’indifferenzaprometeica: poter tutto, volontà di potenza del desiderio del mercato che sta mutando antropologicamente l’essere umano, ne sta consumando la densità emotiva, l’invisibile che, da sempre, è il fuoco che vivacizza l’intelligenza, stimola l’immaginazione per pensare-immaginare un altro mondo possibile, e specialmente educa a guardarsi dal di fuori ed a scorgere le proprie miserie, le proprie deficienze ed alienazioni. Un cambiamento politico-comunitario deve confrontarsi con tali situazione emotiva che dissangua l’Occidente. Il tramonto dell’Occidente andrebbe analizzato con lo scandaglio. L’economia che arranca, il collasso demografico, l’assenza di spazio per il pensiero, per la creatività profonda, hanno la loro ragione profonda nell’aver introiettato il nichilismo fino a farne carne ed anima. O meglio, l’Occidente si è lasciato portar via corpo ed anima, ed ora non resta che il simulacro. Ogni grande trasformazione-prassi necessita di impegno, passione, dedizione, resistenza. In assenza di tali moventi della prassi non vi è che il ricadere piano su se stessi, il lasciarsi vivere, il lasser aller/lasser faire che sta cristallizzando il corpo vivo dell’Occidente.
Passione e rivoluzione Ernst Bloch ci ricorda – profetico, in tal senso – che le rivoluzioni hanno la loro genesi profonda nello scandalo dinanzi all’ingiustizia, nell’immaginazione che eleva la razionalità e riporta in vita verità umane sedimentare nell’interiorità di ognuno. Tutto questo favorisce il definirsi della speranza in una vita comunitaria migliore, nel rappresentarsi il possibile, quale paradigma per valutare lo spazio ed il tempo presente. Si rompe l’angustia dello spazio-tempo per vivere oltre, per una prassi che dal presente crede nel futuro. La passione politica diventa speranza, gioia della partecipazione che dispone al coraggio. L’analisi della rivoluzione dei contadini e di Thomas Müntzer svolta da Bloch consente di individuare la costante del sentire rivoluzionario, il quale ha bisogno di progetti economici e di calcoli, ma questi non producono rivoluzioni; per i cambiamenti anche minimi sono necessarie le passioni in odore di verità:
«Lo stesso Marx ammette l’importanza dell’entusiasmo (Schwärmerei) almeno all’inizio di ogni grande rivoluzione: almeno finché i nuovi signori si sentirono romani e di nuovo pagani, finché i contadini tedeschi e più tardi anche i puritani attinsero dall’Antico Testamento (per la loro rivoluzione borghese) lingua, passioni e allusioni, o finché la stessa rivoluzione francese si drappeggiò con nomi, parole di battaglia, costumi del consolato e dell’impero romano. Marx stesso dà dunque alle “necromanzie della storia del mondo” perlomeno la realtà dell’impulso, anche se poi in modo diverso, in senso positivista, restrinse il comunismo da teologia a nazional-economia e a nient’altro che questa. Togliendogli così tutta la dimensione del suo concetto chiliasta, sia connaturato nella sua realtà cosale, sia storicamente tramandato. Tuttavia, per quanto riguarda il caso particolare della guerra dei contadini, dell’iconoclastia, dello spiritualismo, deve essere ancora considerato in sé, accanto agli elementi economici esistenti di natura disgregante e di contenuto conflittuale, l’elemento originario essenziale: come pratica del sogno più antico, come vastissima esplosione della storia eretica, come estasi del camminare eretti e della volontà di paradiso, volontà impaziente, ribelle e ferma. Inclinazioni, sogni, sentimenti profondi e sinceri, entusiasmi rivolti ad una meta vengono alimentati da un bisogno diverso da quello più afferrabile, e tuttavia un bisogno che non è mai vuota ideologia; essi non tramontano, colorano realmente di sé un lungo tratto, scaturiscono nell’anima da un punto originale che genera valore e determina valore, continuano ad ardere anche dopo tutte le catastrofi empiriche non riscattati, continuano a proiettare in avanti, in una perdurante contemporaneità la profonda traccia del XVI secolo, il chiliasmo della guerra dei contadini e dell’anabattismo».[1]
Diritto alle passioni È necessario, oggi, difendere il diritto alle passioni. La pratica dell’indifferenza a cui la scuola, i social, le istituzioni formano e deformano sono la vera urgenza. In assenza di educazione emotiva, il capitalismo assoluto o qualsiasi totalitarismo, non può che proliferare per tempi indeterminati. La stessa filosofia può scoraggiare l’entusiasmo per la verità, per la sua ricerca: la filosofia accademica e la filosofia mediatica che – in nome del relativismo – sostengono il ciclo dell’indifferenza, della gabbia d’acciaio da cui nessuno può sfuggire, su cui regna il mercato come destino. Dobbiamo cominciare a pensare che il diritto alle passioni, alla propria indole, sia un diritto, una verità su cui si gioca il destino antropologico dell’umanità. La parola vivente contro il silenzio indifferente del calcolo, la resistenza delle passioni è oggi il logos vivente contro l’indifferenza dei giorni spazializzati, ma senza tempo vissuto.
Salvatore A. Bravo
[1] Ernst Bloch, Thomas Müntzer teologo della rivoluzione, Milano 2010, pp. 66-67.
Si tratti di fatti religiosi (miti, riti, rappresentazioni figurate) o si tratti di filosofia, di scienza, d’arte, d’istituzioni sociali, di fatti tecnici o economici, sempre li consideriamo in quanto opere create da uomini, in quanto espressione di un’attività mentale organizzata. […] C’è infine un’altra ragione che indirizza verso l’antichità classica lo storico dell’uomo interiore. Nel corso di alcuni secoli la Grecia ha conosciuto, nella sua vita sociale e nella sua vita spirituale, delle trasformazioni decisive: nascita della città e del diritto; sorgere presso i primi filosofi di un pensiero di tipo razionale e progressiva organizzazione del sapere in un insieme di discipline positive differenziate (ontologia, matematica, logica, scienza della natura, medicina, morale, politica); creazione di forme d’arte nuove, di nuovi modi di espressione rispondenti al bisogno di oggettivare aspetti fino allora ignorati dall’esperienza umana (poesia lirica e teatro tragico nelle arti della parola, scultura e pittura concepite come artifici imitativi nelle arti plastiche)».
Jean Pierre Vernant, Mito e pensiero presso i Greci, Torino 1970, pp. 3, 4.
VITA FELICE UMANA. In dialogo con Platone e Aristotele
Frida Kahlo, Autoritratto con vestito di velluto, 1926.
Nel coraggio, nella capacità di vincere o di contenere il proprio dolore, l’uomo riacquisisce tutta la propria potenza, la propria forza, la propria dignità di uomo. Un “dire sì alla vita” alla maniera nietzschiana, che sembra corrispondere all’enkrateia nel senso letterale del termine: padronanza di sé, capacità di darsi un contegno. È davvero padrone di sé chi è in grado di disporre delle proprie passioni e di non lasciarsi travolgere da esse. Dolore incluso. Anche se il dolore, come anche Aristotele riconobbe, è la più forte di tutte le passioni; infatti è molto più facile resistere al piacere che sopportare il dolore [Etica Nicomachea, III, 12, 1117 a 34-35]. Come dire: di fronte al dolore, forse ancor di più che di fronte a tutte le altre passioni, l’uomo si mostra in tutta la sua fragilità, in tutte le sue molteplici limitazioni, nella sua naturale debolezza.
L’uomo, è vero, è debole, ma ha delle risorse enormi, anche se talvolta ignorate o sottovalutate. Una canna, ma pensante. E l’uomo, a differenza di ogni altro essere vivente, ha la possibilità di crearsi una vita, di darle uno o molteplici sensi e persino di rimetterne insieme i pezzi e di ritesserne faticosamente la trama, dopo che il dolore l’ha lacerata. Certo, occorre forza d’animo (quel coraggio “assennato” di cui Platone parla nel Lachete, non certo l’accanimento disumano, l’eroica pretesa di sconfiggere ogni male), ma senza coraggio l’uomo non può salvarsi, non può garantirsi un’autentica salus».
Arianna Fermani, Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele, Eum edizioni, Università di Macerata, Macerata 2006, pp. 104-105.
?A. Rodin,La Cattedrale, 1908.
«Le ferite non
scompaiono mai del tutto, soprattutto se profonde […] tuttavia, anche se
non scompaiono, possono cicatrizzare. In questa cicatrice, che è,
contemporaneamente, segno del patimento e sintomo di guarigione, si
gioca la possibilità, per l’uomo che ha incontrato la morte e il dolore e
che di fronte ad essi ha sofferto, di “ricominciare” a vivere» (A.
Fermani, Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele, Eum,
Macerata 2006, p. 91).
Il saggio si propone di riflettere sul modello classico del bios
teleios, cioè della felicità della vita nella sua totalità, cercando di
mostrare come il dialogo con gli antichi fornisca ancora “utili” schemi
concettuali. Più in particolare si cerca di mostrare come il confronto
con le rifªlessioni etiche di Platone e Aristotele permetta di dipanare i
numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana (come i
dolori, i piaceri, l’ampia gamma di beni e di risorse che la
costituiscono), e di individuare alcuni rilevanti nodi concettuali (tra
cui, ad esempio, quello di “misura”) che costituiscono la semantica
della nozione di eudaimonia. Il modello antico di eudaimonia come “eu
prattein”, inoltre, cioè come capacità strategica di “giocar bene”,
sembra risultare particolarmente fecondo, invitando ad interrogarsi
sulle modalità di attuazione della vita felice e sulla gestione di tutto
ciò che ad ogni esistenza si offre per una “prassi di felicità”.
Sommario
Introduzione
Prima parte
Semantica della felicità
Capitolo primo La felicità come domanda originaria * Domande “di” felicità * Domande “sulla” felicità ° Felicità: una questione terminologica ° Felicità e forma di vita
Capitolo secondo Felicità e dolore * L’esperienza del dolore ° Il dolore come accadimento ° Le forme del dolore ° Il dolore alla massima potenza: la morte ° Le figure della morte. Riflessioni conclusive * Cicatrizzazione del dolore e cura di sè ° Approcci al dolore ° Cura del dolore e cura di sè ° L’assunzione del dolore * Concludendo
Capitolo terzo Felicità e piacere * L’esperienza del piacere * Fenomenologia del piacere ° Il piacere nell’orizzonte della corporeità ° Dinamiche piacevoli e dolorose ° Il corpo e i desideri: la veemenza di un fiume in piena ° Anima e corpo di fronte al piacere ° Verità / Falsità dei piaceri ° Unità e molteplicità della nozione di desiderio. ° Alcune note a margine dei testi platonici e aristotelici ° Piaceri e criteri di scelta * Il ruolo del piacere nella vita felice
Capitolo quarto Felicità e realizzazione di sé * Profili della virtù: tentativi di un recupero ° Virtù come eccellenza ° Virtù come forza ° Virtù come disposizione ° Virtù come giusto mezzo * La virtù come architettonica della felicità ° Vita felice e accordata: la virtù come musica ° Vita felice e ordinata: la virtù come misura ° La virtù come arte del viver beneCapitolo quinto
Capitolo quinto Felicità e beni esteriori * Primi approcci al problema * Felicità e fortuna ° Lampi di felicità, colpi di fortuna ° Fortuna e virtù ° Felicità e fortuna: osservazioni conclusive * Felicità e amministrazione dei beni ° Il possesso e l’utilizzo di due beni supremi: la sophia e la phronesis
Seconda parte Prassi di felicità
Capitolo primo Felicità e valorizzazione delle proprie risorse * Vita felice e buon utilizzo dei propri talenti ° Per una eudaimonia nell’orizzonte della physis ° Felicità al singolare, felicità al plurale ° Alcune riflessioni sulle nozioni di corpo e anima in Platone e Aristotele ° Anime e progetti di vita: osservazioni conclusive * Eudaimonia ritrovamento e buona allocazione del proprio daimon ° Felicità come consapevolezza ° Percorsi esistenziali e traiettorie di felicità * Saggezza e sapienza di fronte alla felicità
Capitolo secondo Felicità come conquista di pienezza * Felicità: tra esperienze di pienezza e pienezza di vita ° Tentativi di articolazione della nozione di pienezza * Per una pienezza nell’orizzonte dell’ energeia * La difficoltà di far spuntar le ali: la felicità come conquista ° Felicità pienamente consapevole e pienamente umana * Riflessioni conclusive
Conclusioni
Per concludere
Vita felice umana: appunti di viaggio
Bibliografia Dizionari e lessici/Testi antichi/Testi moderni e contemporanei/ Letteratura critica e studi generali
Tra le molte pubblicazioni di Arianna Fermani
Arianna Fermani
L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano. Riflessioni sulla Paideia in Aristote
«Non è una differenza da poco il fatto che subito fin
dalla nascita veniamo abituati in un modo piuttosto che in un altro ma,
al contrario, è importantissimo o, meglio, è tutto» (Etica Nicomachea, II, 1, 1103 b 23-25).
Questo contributo mira a mettere a fuoco
il tema dell’educazione di Aristotele, mostrando come tale riflessione
risulti essere originale ed attuale. L’indagine prende avvio dall’esame
delle occorrenze di alcuni lemmi all’interno del corpus del filosofo particolarmente significativi rispetto al tema della educazione, come ad esempio
Si intende mostrare come la riflessione aristotelica sulla paideia,
oltre ad un utilizzare una specifica metodologia di indagine, si muova
all’interno di due fondamentali scenari educativi: nel primo (che a sua
volta si articola in una serie di sotto-questioni, come ad esempio il
tema dell’insegnabilità della virtù o quello dell’emotional training e dell’educazione delle passioni) l’educazione precede l’etica, mentre nel secondo l’educazione consiste nell’etica, secondo il fondamentale modello teorico dell’energeia.
Arianna Fermani
è Professoressa Associata in Storia della Filosofia Antica
all’Università di Macerata. Le sue ricerche vertono principalmente
sull’etica antica e, più in particolare, aristotelica, e su alcuni snodi
del pensiero politico e antropologico di Platone e di Aristotele. È
Membro dell’Associazione Internazionale “Collegium Politicum” e dell’
“International Plato Society”. È membro del Consiglio Direttivo
Nazionale della SISFA (Società Italiana di Storia della Filosofia
Antica), e Direttrice della Scuola Invernale di Filosofia Roccella
Scholé: Scuola di Alta Formazione in Filosofia “Mario Alcaro”. È
Presidente della Sezione di Macerata della Società Filosofica Italiana. Ecco, cliccando qui, l’elenco delle sue pubblicazioni.
Arianna Fermani, Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele,Editore: eum, 2006
Il saggio si propone di riflettere sul modello classico del bios teleios,
cioè della felicità della vita nella sua totalità, cercando di mostrare
come il dialogo con gli antichi fornisca ancora “utili” schemi
concettuali. Più in particolare si cerca di mostrare come il confronto
con le riflessioni etiche di Platone e Aristotele permetta di dipanare i
numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana (come i
dolori, i piaceri, l’ampia gamma di beni e di risorse che la
costituiscono), e di individuare alcuni rilevanti nodi concettuali (tra
cui, ad esempio, quello di “misura”) che costituiscono la semantica
della nozione di eudaimonia. Il modello antico di eudaimonia come eu prattein,
inoltre, cioè come capacità strategica di “giocar bene”, sembra
risultare particolarmente fecondo, invitando ad interrogarsi sulle
modalità di attuazione della vita felice e sulla gestione di tutto ciò
che ad ogni esistenza si offre per una “prassi di felicità”.
***
Arianna Fermani, L’etica di Aristotele: il mondo della vita umana, Editore: Morcelliana, 2012
Utilizzando tutte e tre le Etiche
aristoteliche, Arianna Fermani, con questo volume, offre un’ulteriore
prova dell’attualità e utilità dell’etica dello Stagirita e di un
pensiero che, esplicitamente e costitutivamente, mostra che ogni realtà
“si dice in molti modi”. Gli schemi che l’intelligenza umana elabora
devono essere molteplici e vanno tenuti, per quanto possibile, “aperti”.
Questo determina la presenza di “figure” concettuali estremamente
mobili e intrinsecamente polimorfe, figure che il Filosofo attraversa
lasciando che i loro profili, pur nella loro diversità e, talvolta,
persino nella loro incompatibilità, convivano.
La verifica di questa metodologia passa attraverso l’approfondimento di
alcune nozioni-chiave, dando vita ad un percorso che, con proposte
innovative e valorizzazioni di elementi finora sottovalutati dagli
studiosi, si snoda lungo tre linee direttrici fondamentali: quelle di
vizio e virtù, quella di passione e, infine, quella di vita buona.
Sommario
Ringraziamenti
Premessa
I “Pensiero occidentale” vs “pensiero orientale”: alcune precisazioni
II “Essere” e “dirsi in molti modi”
Introduzione
I. Per un “approccio unitario” ad Aristotele
II. Autenticità delle tre Etiche
III. Obiettivi e struttura del lavoro
PRIMA PARTE Percorsi di attraversamento delle figure di vizio e virtù
Capitolo primo: Giustizia e giustizie
Capitolo secondo: La fierezza
Capitolo terzo: Sui molti modi di dire “amicizia
Capitolo quarto: Lungo i sentieri della continenza e dell’incontinenza
Capitolo quinto: La philautia: tra “egoismo” e “amor proprio” Capitolo sesto: Modulazioni della nozione di vizio
SECONDA PARTE: Percorsi di attraversamento della nozione di passione Capitolo primo: La passione come nozione “in molti modi polivoca”
Capitolo secondo: Le metamorfosi del piacere
Capitolo terzo: Articolazioni della nozione di pudore
TERZA PARTE: Percorsi di attraversamento della nozione di vita buona Capitolo primo: Dio, il divino e l’essere umano: sui molti modi di essere virtuosi e felici
Capitolo secondo: La questione dell’autosufficienza Capitolo terzo: Natura/nature, virtù, felicità
Capitolo quarto: Verso la felicitàlungo le molteplici rotte della phronesis
Capitolo quinto: La felicità si dice in molti modi Conclusioni
Bibliografia
Indice dei nomi
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Aristotele, Le tre etiche. Testo greco a fronte, Editore: Bompiani, 2008.
In un unico volume e con testo greco a
fronte le tre grandi opere morali di Aristotele: l’”Etica niconomachea”,
l”Etica eudemia” e la “Grande etica”. Questi tre scritti rappresentano
tutta la riflessione etica dell’Occidente, e il punto di partenza di
ogni discorso filosofico sul fine della vita umana e sui mezzi per
raggiungerlo, sul bene e sul male, sulla libertà e sulla scelta morale,
sul significato di virtù e di vizio. La raccolta costituisce un unicum,
poichè contiene la prima traduzione in italiano moderno del trattato
“Sulle virtù e sui vizi”. Un ampio indice ragionato dei concetti
permette di individuare le articolazioni fondamentali delle nozioni e
degli snodi più significativi della riflessione etica artistotelica.
Tramite la presentazione, contenuta nel seggio introduttivo, dei
principali problemi storico-ermeneutici legati alla composizione e alla
trasmissione delle quattro opere, e di un quadro sinottico dei contenuti
delle opere stesse, è possibile visualizzare la struttura complessiva
degli scritti e le loro reciproche connessioni.
Il confronto tra Platone ed Aristotele è
stato interpretato, per lo più, come una opposizione tra modelli
conoscitivi: da un lato la dialettica, intesa come il culmine del
sapere, dall’altro la logica, intesa come l’insieme delle tecniche per
ben argomentare, al di là delle pretese platoniche di una supremazia
della dialettica. Ma ha ancora un fondamento filologico e storico questa
contrapposizione? Un interrogativo che – nei saggi qui raccolti di
alcuni dei più autorevoli interpreti del pensiero antico – mette capo a
una pluralità di scavi, storiografici e teoretici. Scavi che invitano a
una lettura dei testi platonici ed aristotelici nella loro complessità:
emergono inaspettati intrecci e molteplici significati dei termini
stessi di dialettica e logica in entrambi i pensatori. Non solo la
dialettica platonica ha un suo rigore, ma la stessa logica aristotelica
ha affinità, pur nelle differenze, con le procedure argomentative della
dialettica. Una prospettiva ermeneutica che interessa non solo lo
storico della filosofia antica, ma chiunque abbia a cuore le radici
greche delle nostra immagine di ragione.
***
Maurizio Migliori, Linda M. Napolitano Valditara, Arianna Fermani, Interiorità e anima: la psychè in Platone
Vita e Pensiero, 2007
Il concetto di anima, una delle più grandi “invenzioni” del mondo
greco, figura teorica che ha attraversato e segnato la storia
dell’intero Occidente, trova in Platone il primo fondamentale
inquadramento filosofico. Non si tratta solo di una tematica dal
significato metafisico e religioso: nell’approfondire i molteplici temi
che questo concetto attiva emergono naturalmente, già nel filosofo
ateniese, tutte le questioni connesse alla spiritualità e allo
psichismo umano, con le loro conseguenze etiche. In questo senso
l’”anima” apre la strada a un infinito processo di approfondimento e di
scoperta dell’interiorità del soggetto. Non a caso questo tema compare
in molti testi platonici, in particolare nei dialoghi. Da questa prima
elaborazione scaturirono luci e ombre, soluzioni di antichi problemi e
nuove domande, di non meno difficile soluzione, anzi tanto complesse da
essere ancora oggi messe a tema. Sui molteplici aspetti di queste
tematiche filosofiche alcuni tra i maggiori studiosi di Platone si
confrontano nel presente volume, avanzando proposte spesso assolutamente
innovative, anche per quanto riguarda l’utilizzo di testi
sottovalutati, o addirittura quasi ignorati dagli studi precedenti, con
una dialettica che dà modo al lettore sia di verificare la capacità
ermeneutica delle diverse impostazioni, sia di riscoprire la ricchezza
del contributo platonico rispetto a problemi con cui lo stesso pensiero
contemporaneo torna positivamente a misurarsi.
***
Humanitas (2016). Vol. 1: L’inquietante verità nel pensiero antico.
Editoriale: I. BertolettI, “Humanitas”
1946-2016. Identità e trasformazioni di un’idea l’inquietante verità. La
riflessione anticaa cura di Arianna Fermani e Maurizio Migliori M.
Migliori, Presentazione F. Eustacchi, Vero-falso in Protagora e Gorgia.
Una posizione aporetica ma non relativista M. Migliori, Platone e la
dimensione umana del verol. Palpacelli, Vero e falso si apprendono
insieme. Il vero e il falso filosofo nell’Eutidemo di Platonea. Fermani,
Aristotele e le verità dell’etica G.A. Lucchetta, Dire il falso per
conoscere il vero. Aristotele, Fisica ii 1, 193a7) F. Mié, Truth, Facts,
and Demonstration in Aristotle. Revisiting Dialectical Art and Methoda.
longo, I paradossi nell’Ippia minore di Platone. La critica di
Aristotele, Alessandro di Afrodisia e Asclepioe. Spinelli, Sesto
Empirico contro alcuni strumenti dogmatici del vero. Note e rassegne F.
De Giorgi, Il dialogo nel pontificato di Paolo VI G. Cittadini, Filippo
Neri. Una spiritualità per il nostro tempo.
***
J. Rowe, Arianna Fermani, Il ‘simposio’ di Platon
Academia Verlag, 1998
Cinque lezioni sul dialogo con un
ulteriore contributo sul ‘Fedone’ e una breve discussione con Maurizio
Migliori e Arianna Fermani; 27-29 marzo 1996, Università di Macerata,
Dipartimento di filosofia e scienze umane, in collaborazione con
l’Istituto Italiano per gli studi filosofici.
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Arianna Fermani, “Brividi di bellezza” e desiderio di verità
“Brividi di bellezza” e desiderio di verità in Bellezza e Verità; Brescia, Morcelliana, 2017; pp. 195 – 203
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ARISTOTELE E I PROFILI DEL PUDORE
Arianna Fermani
Vita e Pensiero, Rivista di Filosofia Neo-Scolastica
Rivista di Filosofia Neo-Scolastica
Vol. 100, No. 2/3 (Aprile-Settembre 2008), pp. 183-202
In questo volume vengono raccolti cinque
saggi sul pensiero filosofico greco nell’età romana. Le linee di
ricerca qui proposte toccano nello specifico questioni attinenti alla
filosofia stoica, a quella epicurea, a quella cinico-sofistica e
all’aristotelismo di epoca imperiale.
N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.
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