Marco Aurelio (121-180) – È necessario che l’uomo conosca ciò che compie, perché è dell’uomo civile il capire che egli opera per il bene comune. Il vitigno che ha prodotto un grappolo non domanda altro dopo aver dato finalmente il suo frutto.

Marco Aurelio 01

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L'essere ingrati è cosa da evitarsi di per sé,
perché niente come questo vizio
divide e distrugge la concordia tra gli uomml.
LUCIO ANNEO SENECA
Nessuno è sazio d'essere beneficato;
inoltre, il beneficare è azione secondo natura.
Non essere dunque mai sazio di beneficare.
MARCO AURELIO

 

 

«V’è gente che se rende qualche favore a qualcuno, s’affretta a segnalarglieio in conto; altra, che non lo richiede veramente, ma, nell’intimo del proprio cuore, considera il beneficato come un debitore, convinta di quanto ha fatto; infine ve n’ha di quella che ignora d’aver reso un beneficio, come il vitigno che ha prodotto un grappolo e non domanda altro, dopo aver dato finalmente il suo frutto [ . .. ] quest’uomo, che ha fatto del bene, non mena vanto del proprio operato, bensì continua a dispensare altri benefici. […] Dobbiamo, quindi, essere di quelli che, per così dire, fan del bene senza saperIo? Sì, senza dubbio. Ma è necessario che l’uomo conosca ciò che compie, perché è dell’uomo civile il capire che egli opera per il bene comune».

Marco Aurelio, l ricordi,
cura e traduzione di F. Cazzamini Mussi, Einaudi, Torino 1943, Libro VI, p. 61.

 

«Tutte le volte che tu fai del bene a qualcuno e costui ne ha avuto benefizio, perché mai, al pari degli stolti, cerchi una terza cosa, cioè che lo si venga a sapere o d’essere contraccambiato?».

Ibidem, Libro VII, p. 107

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Politeia – Abbiamo difeso la Costituzione da chi l’ha asservita al proprio interesse facendola divenire motivo di divisione invece che di unità.

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«Chi vuol fare una ricerca conveniente sulla Costituzione migliore,
deve precisare dapprima quale è il modo di vita più desiderabile.
Se questo rimane sconosciuto,
di necessità rimane sconosciuta anche la Costituzione migliore».

Aristotele, Politica, VII, 1,1323 a, 1-4

 

******

«Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa Costituzione!
Dietro a ogni articolo di questa Costituzione, o giovani,
voi dovete vedere giovani come voi,
caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati,
morti di fame nei campi di concentramento,
morti in Russia, morti in Africa,
morti per le strade di Milano,
per le strade di Firenze,
che hanno dato la vita
perché la libertà e la giustizia
potessero essere scritte su questa carta.

[...] La Costituzione non è una carta morta,
questo è un testamento».

Piero Calamandrei, 26 gennaio 1955

 

***

La Politeia, è una scuola politico-culturale, ed è impegnata nello studio e nella trasmissione della memoria del passato, intesa, storicamente, come strumento di analisi del presente e riflessione e progettazione di un mondo futuro libero e giusto: essa si è schierata sin dal’inizio della campagna referendaria a tutela della Costituzione, non contro o a favore di un determinato partito politico, non per spirito di mera conservazione nostalgica, ma perché ritenevamo che i “valori” e i “diritti” protetti dalla Costituzione fossero posti sotto attacco.
Alla luce dei risultati referendari e dei dati concernenti l’affluenza e necessario considerare i due lati della medaglia: da un lato i cittadini, per diverse ragioni, sono tornati in massa a popolare le urne, con un desiderio rinnovato e contagioso di esprimere la loro volontà; dall’altro si apre uno scenario più simile ad un campo di battaglia, ormai abbandonato a guerra terminata, con una divisione dilagante e dilaniante di ciascun corpo sociale, e ciò che stupisce di più è che non si tratta più soltanto della rappresentazione dei tradizionali contrasti tra i corpi intermedi e di classe contrapposti (Confindustria e sindacati dei lavoratori), ma la divisione invade gli stessi gruppi sociali : l’esempio lampante è dato dagli imprenditori che si sono schierati per il 52% verso il SI e per il 48% per il NO, e gli operai che hanno votato per il 36% SI e per il 64% NO.
Lo spettro che ha lasciato dietro di sé il periodo referendario è destinato a non dissolversi con il termine dello stesso, lasciando i corpi sociali di certo non incolumi e inalterati, ma continuerà a persistere dimostrandosi negli scontri quotidiani tra amici, conoscenti, nei bar, nei luoghi di lavoro.
La causa di tale fenomeno è dovuta allo snaturamento compiuto da parte della forza politica maggioritaria del significato e della funzione della Costituzione: l’appellativo che dimostra ciò, abusato da Renzi per definire la compagine del comitato del NO, è riassumibile nella definizione in termini di ‘’accozzaglia’’ rivolto a comuni cittadini, professori, politici, lavoratori e lavoratrici che, con idee e convinzioni anche nettamente opposte hanno difeso insieme la costituzione repubblicana e respinto la sua contro riforma.
La storia dimostra invece che la diversità dei punti di vista non è un elemento estraneo e negativo nella discussione sulla Costituzione anzi, la sua stessa origine è dovuta a un compromesso culturalmente alto, politicamente onesto e rispettoso dei diversi partiti, interessi e visioni del mondo e per questo arricchenti e rappresentative del pluralismo politico, sociale e culturale.
Il messaggio importante che dobbiamo trarre da tale Referendum è che le modifiche della Costituzione che possiamo accettare sono solo quelle migliorative e cioè quelle che preservano e garantiscono i “diritti” e le “libertà” già conquistate, permettendo solo un loro ampliamento, in virtù però di un vero, onesto e rispettoso confronto tra le forze politiche rappresentative e i corpi intermedi della società civile.

La Costituzione è di tutti e per tutti
e quindi non può rispondere ad interessi particolari.

L’idea che le persone hanno della politica non è più intesa come quell’attività volta per prendersi cura della cosa comune, per il bene della collettività ma, come quell’attività, indirizzata solo al perseguimento di interessi specifici e per questo lontani dal loro sentire.
Ci chiediamo allora: è possibile oggi essere realmente “politici”, ossia avere reale cura della Polis (Città), dell’Italia, degli uomini che la abitano? Noi pensiamo che questo sia possibile, perché solo in questo modo l’economia, la politica, la società, la cultura, la vita, potranno tornare ad essere comprese, e abitate nella loro giusta dimensione. In testa a noi giovani dunque, pende una responsabilità composita, quella di istruirci perché il mondo ha bisogno della nostra educazione, della nostra coscienza critica oggi per scelte che riguarderanno il domani, delle nostre capacità e del nostro entusiasmo che convogliate perpetrino con forza e dirompenza giuste cause, o oppongano resistenza a chi vuole rompere gli argini delle nostre garanzie. Ecco perche i giovani hanno votato in massa NO a questa riforma, arrivando addirittura al 61% di voti, a dispetto di quanto Renzi e chi per lui all’inizio affermasse che il comitato del NO era composto e sorretto solo da anziani, anacronistici e ormai “vecchi”. Per questo abbiamo difeso la Costituzione da chi l’ha asservita al proprio interesse facendola divenire motivo di divisione invece che di unità.

Politeia

Arezzo, dicembre 2016

 

Nell’immagine in evidenza: Frammento papiraceo de La Repubblica di Platone.


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Domenico Segna – Provvidenza e capitalismo

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Domenico Segna

Provvidenza e capitalismo

Abstract

Il presente saggio, muovendo dalla nota opera di Max Weber L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, dimostra le differenze che intercorrono tra il pensiero dei Riformatori del XVI secolo, in particolar modo di Calvino, con i loro successori del Seicento, i puritani, e con i calvinisti del  Settecento. Costoro, infatti, furono portatori di un’etica borghese e individualistica che, nella sua secolarizzazione, si distinse nettamente dall’etica della gratitudine emersa in ambito calviniano, dando un notevole impulso alla nascita ed allo sviluppo del capitalismo.

    

This essay, moving from the well known work of Max Weber The Protestant Ethic and the Spirit of Capitalism, demonstrates the differences between XVI century Reformers’ thought, in particular Calvin, and their successors of 1600, Puritans, as well as 1700’s Calvinists. In fact the two latter ones have been bearers of a bourgeois and individualistic ethic that, in its secularization, clearly differed from the gratitude ethic emerged within the 1500s Calvin’s entourage, giving a great impulse to the birth and development of capitalism.

Sommario

1. Una forma di razionalità
2. L’«altro cristianesimo»: Lutero
3. Il “fondatore” di una nuova civiltà: Giovanni Calvino
4. Una nuova società, una nuova razionalizzazione

***

«Si tratta di un capitalismo orientato alla produzione, che funziona in base ad aziende, e opera sul mercato. Possiede le caratteristiche seguenti: 1. Capitale fisso, investito nella produzione dei beni da cui dipende la soddisfazione dei bisogni quotidiani delle masse. 2. Mezzi di produzione organizzativi e materiali saldamente appropriati dai possessori di capitale. 3. Conto razionale del capitale orientato a una redditività di lungo periodo, sempre rinnovata. 4. Orientamento alle opportunità (Chancen) che si aprono sul mercato. 5. Organizzazione razionale del lavoro e disciplina della produzione. 6. Tecnologia razionale».1 Cosi lo studioso tedesco Johannes Winckelamann riassume la concezione che il suo conterraneo, Max Weber, ha del modello di produzione capitalistica moderno e che costituisce il proprium del celebre saggio weberiano L’Etica protestante e lo spirito del capitalismo. È noto, infatti, come Weber, il Marx della borghesia, abbia ricondotto la genesi del capitalismo alle origini stesse del mondo moderno. Facendo questa operazione egli colloca quella genesi in una dimensione storica decisamente fluida laddove ha avuto il suo peso specifico una radicale sovversione della coscienza che l’uomo aveva di sé, della sua esistenza e della sua azione sulla terra.
Il capitalismo, così come si è attuato in Occidente, trova la sua fucina in quel mondo alla cui creazione concorsero più eventi, ad iniziare dalla cultura del Rinascimento, dalla formazione degli stati moderni, per giungere, passando per le esplorazioni geografiche, al metodo sperimentale. Senza, però, dimenticare i colpi di martello che, secondo la tradizione, un monaco agostiniano, certo Martin Lutero, fece risuonare  nella piazza di Wittenberg il 31 ottobre del 1517, allorquando affisse sul portale della cattedrale le 95 Tesi che stigmatizzavano, e stigmatizzano tutt’ora, la falsa coscienza provocata dalle indulgenze. È, dunque, in questo nuovo porsi dell’uomo nel mondo, in questa entrata in scena del soggetto che va cercato ciò che ha più influito in ordine alla comparsa del capitalismo: uno spirito, infatti, lo fa rendere qualcosa di unico che solo in Occidente ha potuto spiegare le ali della sua razionalità. Uno spirito che trova, così vuole la vulgata, la sua ragion d’essere in quell’altro cristianesimo, quello che ebbe come suo epicentro la Ginevra di Giovanni Calvino, la cui Istituzione della Religione Cristiana fu il testo base al quale, a modo loro, si ispirarono, nel ‘600, quei santi che determinarono la prima grande rivoluzione sociale e politica del mondo moderno: la rivoluzione inglese dei puritani.
Indubbiamente tra tutte le forme di capitalismo – è ancora Weber ad affermarlo – quello moderno ha promosso sino alla massima estensione la razionalità formale imponendo, storicamente, a ciascuna unità che lo costituisce di fondare «la propria attività economizzante sul calcolo più possibile accurato dei presupposti e delle conseguenze di tale attività». [… Leggi tutto il saggio di 17 pagine nel PDF allegato]

Domenico Segna

 

Freccia rossa
Domenico Segna, Provvidenza e capitalismo

 

Il saggio è già stato pubblicato nella rivista Divus Thomas 2016/2

divus_thomas_pagina

 


255 ISBN

Domenico Segna

Un caso di coscienza. Giuseppe Gangale e “La Rivoluzione protestante”

indicepresentazioneautoresintesi

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Alberto Spinelli – Un interessante saggio riporta all’attenzione Giuseppe Gangale, il filosofo autore de «La rivoluzione protestante».

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255 ISBN

Domenico Segna

Un caso di coscienza. Giuseppe Gangale e “La Rivoluzione protestante”

indicepresentazioneautoresintesi

Un libro sulla mancata Riforma in Italia. Il nostro Domenico Segna, ha dedicato un suo saggio alla figura di Giuseppe Gangale: un protestante che nell’Italia degli anni Venti si soffermò in maniera del tutto originale su tale tematica. Ne parliamo con l’autore.

Leggi tutta l’intervista, pubblicata sul n. 4, anno 40, luglio-agosto 201della rivista
i martedì. Proporre Riflettere Commentare“, pp. 40-43:

 

Leggi l'estratto

Alberto Spinelli

Un interessante saggio riporta all’attenzione Giuseppe Gangale,
il filosofo autore de «La rivoluzione protestante».pdf

 

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Giancarlo Paciello – Oggi 29 novembre! Oggi, ancora, solidarietà per il popolo palestinese.

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69 anni ci separano dal

29 novembre 1947

Il 29 novembre 1947: l’Assemblea generale delle Nazioni unite adottò la Risoluzione 181, che divise la Palestina. Già il 30 ci furono i primi scontri che opposero ebrei ai palestinesi che rifiutavano la partizione. Era cominciata …

La conquista della Palestina

***

 

Manifestiamo la nostra solidarietà al popolo palestinese
con alcuni scritti di Giancarlo Paciello:


Ecco i titoli:

 

La trasformazione demografica della Palestina

Cronologia

Ma chi sono i rifugiati palestinesi?

Il popolo palestinese visto dalla comunità internazionale

Hamas, un ostacolo per la pace?
L’unico vero ostacolo: occupazione militare e colonie


I vari scritti si possono leggere nelle 55 pagine del PDF qui sotto allegato:

Giancarlo Paciello,
Per il popolo palestinese


 

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Giancarlo Paciello

La conquista della Palestina.
Le origini della tragedia palestinese
.
Con testi di Henry Laurens, Francis Jennings,
Zeev Sternhell, Norman Finkelstein, Gherson Shafir

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Giancarlo Paciello – Ci risiamo: ancora l’infame riproposizione “Processo di pace” e “Due popoli, due Stati!”

Giancarlo Paciello – La Costituzione tradita. Intervista a cura di Luigi Tedeschi

Giancarlo Paciello – Ministoria della Rivoluzione cubana

Giancarlo Paciello – Diciamocelo: un po’ di storia non guasta. Dalle “battaglie dell’estate” del 1943 in Europa, all’avvento dell’Italia democristiana nel 1949

 


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Renato Curcio – «L’intermediazione digitale». Corso di socioanalisi narrativa, 2017. Esplorazione delle trasformazioni e delle implicazioni indotte in ciascuno di noi e nella nostra vita di relazione dalla sempre più espansa e pervasiva intermediazione digitale.

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Socioanalisi narrativa

L’intermediazione digitale

Corso di socioanalisi narrativa 2017

 

Il corso di socioanalisi narrativa per l’anno 2017 verrà dedicato all’esplorazione delle trasformazioni e delle implicazioni indotte in ciascuno di noi e nella nostra vita di relazione dalla sempre più espansa e pervasiva intermediazione digitale.
Gli incontri – ciascuno di 4 ore – prevedono una comunicazione d’indirizzo metodologico e un momento laboratoriale comune. Essi verranno svolti di domenica, uno ogni mese, sia a Milano che a Roma, tra gennaio 2017 e aprile.
Al centro dell’attenzione verranno poste quattro grandi tendenze:

Il corpo come campo di battaglia: corpi e strumenti (excursus essenziale); differenza tra strumenti e dispositivi d’intermediazione digitale; il punto di svolta; i corpi come estensione degli apparati digitali; dispositivi digitali, strategie mentali, reti neurali e nuove mappe concettuali; lo stato di connessione permanente; le nano-tecnologie e la conquista dei corpi “dall’interno”.

La numerificazione della vita sociale: dati, big data e algoritmi brevettati; il dominio della quantità; le fabbriche dei dati; la qualità specifica dell’accumulazione nel capitalismo digitale; la “dipendenza da consumo obbligato”; gli albori di una nuova composizione di classe; una nuova figura: il “suddito digitale”; l’accattivante ascesa del totalitarismo digitale.

L’intelligenza artificiale proprietaria: implicazioni dell’esternalizzazione dell’intelligenza e della memoria; alcune inquietanti applicazioni delle piattaforme digitali e dell’intelligenza artificiale per il controllo privato della scolarizzazione, del lavoro, della salute, dei trasporti, dei servizi, della partecipazione politica, delle comunicazioni; dei comportamenti.

La biforcazione tra innovazione tecnologica e progresso sociale: le vie divergenti della innovazione tecnologica” e del “progresso sociale”; marketing e retoriche della “innovazione tecnologica”; la cyber-mitologia del trans-umanismo; il “progresso sociale” come immaginario istituente.

Nei quattro incontri verranno utilizzati e illustrati quattro dispositivi basilari d’intervento socioanalitico: la narrazione breve d’esperienza; il metodo regressivo-progressivo; l’esplorazione delle implicazioni; l’immaginario istituente.

Ai partecipanti verrà rilasciato un attestato di partecipazione e di competenza socio-analitica.

La richiesta di informazioni per l’iscrizione al corso, che verrà tenuto da Renato Curcio, va indirizzata a: sensibiliallefoglie@tiscali.it

***

Informazioni aggiuntive

A Milano

Il corso si terrà presso la sede CUB di Viale Monza 160 (Metro Gorla – linea rossa)
Le date: 15 gennaio – 12 febbraio – 12 marzo – 16 aprile
Gli orari: dalle 12 alle 16
Il costo per i 4 incontri è di 200 euro saldabili come meglio si preferisce (anche volta per volta)

A Roma

Il Corso si terra presso il punto vendita di Sensibili alle foglie in Via Giolitti 163 (Metro – Termini)
Le date: 26 gennaio – 26 febbraio – 26 marzo – 30 aprile
Gli orari: dalle 12 alle 16
Il costo per i 4 incontri è di 200 euro saldabili come meglio si preferisce (anche volta per volta)


L'impero virtuale

RENATO CURCIO

L’IMPERO VIRTUALE

COLONIZZAZIONE DELL’IMMAGINARIO E CONTROLLO SOCIALE

Alcune aziende che quindici anni fa non esistevano, come Google e Facebook, oggi costituiscono la nuova e potente oligarchia planetaria del capitalismo digitale. Internet ne rappresenta l’intelaiatura, e i suoi utenti, vale a dire circa tre miliardi di persone, la forza lavoro utilizzata. Le nuove tecnologie digitali fanno ormai parte della nostra vita quotidiana, le portiamo addosso e controllano tutti gli ambienti della vita sociale, dai luoghi di lavoro ai templi del consumo. Questo libro propone una riflessione sui dispositivi attraverso i quali questa oligarchia e queste tecnologie catturano e colonizzano il nostro immaginario a fini di profitto economico e di controllo sociale. E mette in luce il risvolto di tutto ciò, ovvero l’emergere di una nuova e impercepita sudditanza di quel popolo virtuale che, riversando ingenuamente messaggi, fotografie, selfie, ansie e desideri su piattaforme e social-network, contribuisce con le sue stesse pratiche a rafforzare il dominio del nuovo impero. Non conosciamo ancora le conseguenze sui tempi lunghi di questo ulteriore passaggio del modo di produzione capitalistico. Chiara invece appare la necessità di immaginare pratiche di decolonizzazione personale e collettiva per istituire nei luoghi ordinari della vita varchi di liberazione.


L'egemonia digitale

RENATO CURCIO

(a cura di)

L’EGEMONIA DIGITALE

L’IMPATTO DELLE NUOVE TECNOLOGIE NEL MONDO DEL LAVORO

Questo libro restituisce il percorso di un cantiere socianalitico che, partendo dalle narrazioni d’esperienza dei suoi partecipanti, si è interessato ai modi in cui l’impero virtuale cerca di costruire la sua capacità egemonica sul mondo del lavoro. Ripercorrendo la micro-fisica dei processi innescati dai dispositivi digitali che mediano l’attività lavorativa – smartphone, piattaforme, sistemi gestionali, registri elettronici – in queste pagine si esplorano alcune metamorfosi radicali che, mentre rovesciano il rapporto millenario tra gli umani e i loro strumenti, sconvolgono ciò che fino a ieri abbiamo familiarmente chiamato “lavoro”. Alcuni territori chiave – la digitalizzazione della scuola, della professione medica, dei servizi, dei trasporti condivisi, dei grandi studi legali e delle banche – assunti come analizzatori, ci raccontano l’impatto trasformativo delle nuove tecnologie e il disorientamento dei lavoratori. Ma, nello stesso tempo, fanno emergere le linee liberticide su cui questo processo procede: la cattura degli atti, la dittatura dei dati, il trionfo della quantità e le narrazioni sostitutive con cui esso si racconta. Proprio riflettendo su queste tendenze che velocemente ci attraversano fino al punto di chiamarci in causa singolarmente il libro, infine, indica quattro pericolose tendenze generali – l’autismo digitale, l’obesità tecnologica, l’ethos della quantità, lo smarrimento dei limiti – e si chiede se non sia forse giunto il momento, dopo le ambigue interpretazioni del Novecento, di cominciare a distinguere il progresso sociale dal progresso tecnologico.

Hanno partecipato al cantiere: Giulia Angelino, Federico Araldi, Bernardo, Giulia Bonanno, Oreste Borra, Antonio Carroccia, Franco Cattai, Rita Chiavoni, Alberto Contu, Elisa Corrà, Daniela Degan, Piermario Demurtas, Michele Di Bona, Viviana Forte, Stefano Francoli, GDF, Silvio Garbarino, Emanuela Grasso, Maria Grazia Greco, Chiara Lasala, Pierfranco Mazzolari, Marco Melloni, Sara Pollice, Enrico Riboni, Antonio Saviano, Dino Severgnini, Titta, Francesca Vavassori, Ilona Witten.

Renato Curcio, su questi temi ha pubblicato: L’azienda totale, 2002; Il dominio flessibile, 2003; Il consumatore lavorato, 2005; La trappola etica, 2006; I dannati del lavoro, 2007; con N. Valentino e M. Prette, La socioanalisi narrativa, 2012; Mal di lavoro, 2013; Il pane e la morte, 2014; La rivolta del riso, 2014; L’impero virtuale (2015).

 



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Ernesto Che Guevara (1928-1967) – Non si può arrivare al comunismo con la facilità con cui si beve un bicchiere d’acqua. Ma noi dobbiamo tenere lo sguardo fisso a quella meta. L’uomo è l’attore cosciente della storia. Senza questa coscienza, che abbraccia anche quella del proprio essere sociale, non può esserci comunismo.

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«L’atteggiamento comunista di fronte alla vita
 è quello di mostrare
 con l’esempio
 la strada che bisogna seguire».

Ernesto Che Guevara, 1964

***

«Il salario è un male antico, che nasce con l’affermarsi del capitalismo, quando la borghesia prende il potere distruggendo la società feudale, e non muore neppure nella fase socialista. Ultima sopravvivenza, morirà, si esaurirà, per dir così, quando il denaro cesserà di circolare, quando si raggiungerà la società ideale: il comunismo» (15 aprile 1962, in un discorso al I Convegno nazionale dei sindacati; dal febbraio 1961 era stato nominato Ministro dell’Industria e dell’Economia della Repubblica di Cuba, carica che ricoprirà fino al 1965)

***

«Non si può arrivare al comunismo con la facilità con cui si parla, come facciamo noi qui, o come si beve un bicchiere d’acqua. Ma noi naturalmente dobbiamo tenere lo sguardo fisso a quella meta. Non dobbiamo farci illusioni, pensare che queste cose sono semplici parole, che si possa credere che entrare nel comunismo sia come fare il biglietto per andare al cinema, dobbiamo pensare che è un processo molto lungo. Ma dobbiamo vedere qual è lo scopo finale, e tenerlo presente quandanche passino molti anni, e tutta la nostra generazione si consumi…» (Conferenza televisiva del 25 febbraio 1964 sui temi del pieno impiego).

***

«I paesi socialisti hanno il dovere morale di farla finita con la loro tacita complicità con i paesi occidentali sfruttatori. […] Per noi, la sola definizione valida di socialismo è l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Finché ciò non avviene, si è nel periodo della costruzione della società socialista; e se questo fenomeno non si verifica, se la lotta per la soppressione dello sfruttamento ristagna o, addirittura, fa passi indietro, non è legittimo neppure parlare di costruzione del socialismo» (24 febbraio 1965, ritornato in Algeria, pronuncia il suo ultimo discorso politico al II seminario economico di solidarietà afro-asiatica).

***

«Il peso del Capitale di Marx, di questo monumento dell’intelligenza umana è tale che ci ha fatto dimenticare assai spesso il carattere umanista (nel senso più nobile della parola) delle inquietudini marxiane. La meccanica dei rapporti di produzione e la sua conseguenza, la lotta di classe, nasconde in una certa misura il fatto oggettivo che sono gli uomini a muoversi nell’ambiente della storia. Adesso c’interessa l’uomo, e perciò scegliamo questa citazione che non perde certo valore, come espressione del pensiero del filosofo, per il fatto che appartiene al suo periodo giovanile» [Febbraio 1964; segue la citazione del notissimo brano in cui Marx definisce il comunismo come reale appropriazione dell’essenza umana da parte dell’uomo e per l’uomo, attraverso la soppressione della proprietà privata quale autoalienazione dell’uomo]. «Marx pensava alla liberazione dell’uomo e vedeva il comunismo come la soluzione delle contraddizioni che hanno prodotto la sua alienazione, intendendola, tuttavia, come un atto cosciente. Il comunismo, cioè, non può essere visto unicamente come e il risultato delle contraddizioni di classe in una società altamente sviluppata, che dovrebbero essere risolte in una tappa di transizione per raggiungere la vetta: l’uomo è l’attore cosciente della storia. Senza questa coscienza, che abbraccia anche quella del proprio essere sociale, non può esserci comunismo».

***

«La merce è la cellula economica della società capitalista, finché essa esiste i suoi effetti si faranno sentire nell’organizzazione della produzione, e quindi nella coscienza […]. C’è il rischio che gli alberi impediscano di vedere il bosco. Inseguendo la chimera di realizzare il socialismo con l’aiuto delle armi screditate che ci ha lasciato il capitalismo (la merce come cellula economica, la redditività, l’interesse materiale individuale come leva, ecc.), si può finire in un vicolo senza uscita. E vi si giunge dopo aver percorso molta strada, nella quale i cammini si incrociano molte volte, e in cui è difficile rendersi conto di quando si è sbagliato direzione. Nel frattempo la base economica adattata a quei modelli ha minato sotterraneamente lo sviluppo della coscienza. Per costruire il comunismo, contemporaneamente alla base materiale bisogna fare l’uomo nuovo […]. Da molto tempo l’uomo cerca di liberarsi dall’alienazione per mezzo della cultura e dell’arte. Egli muore ogni giorno durante le otto o più ore in cui agisce come merce, per poi risuscitare nella sua creazione spirituale. Però questo rimedio reca in sé i germi della stessa malattia: è un essere solitario colui che cerca la comunione con la natura. Difende la sua individualità oppressa dall’ambiente, e reagisce di fronte alle idee estetiche come un essere unico la cui aspirazione è rimanere immacolato» (lettera inviata nel marzo del 1965 al giornalista uruguayano Carlos Quijano, nota con il titolo Il socialismo e l’uomo a Cuba).

Ernesto Che Guevara

Firma di Che Guevara


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Karl Marx (1818-1883) – Quando il ragionamento si discosta dai binari consueti, si va sempre incontro a un iniziale “boicottaggio”

Marx e i routinari

 

Lettere Marx-Engels

«Quando il ragionamento
si discosta dai binari consueti,
si va sempre incontro a un iniziale “boicottaggio”;

è l’unica arma di difesa che i routinari
sanno maneggiare
nel loro primo sconcerto».

 

Karl Marx a Ferdinand Nieuwenhuis, 22 febbraio 1881, in Marx-Engels, Lettere 1880-1883 (marzo), Lotta comunista, Milano 2008, p. 50.



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In ricordo di Antonio Melis. Testimonianze di: Martha Canfield, Flavio Fiorani, Manuel Plana .

Melis Antonio_03

 

Centro Studi e Iniziative America Latina

Centro studi Jorge Elelson

Circolo Vie Vuove

Centro Studi e Iniziative America LatinaCentro studi Jorge EielsonCircolo “Vie Nuove”

 

melis antonio

In ricordo di Antonio Melis

 

 

 

Testimonianze di

Martha Canfield

Università di Firenze

Flavio Fiorani

Università di Modena

Manuel Plana

Università di Firenze

 

 

Martedì 8 novembre 2016, dalle ore 21,00

Centro Studi America Latina
Circolo “Vie Nuove”

Viale Donato Giannotti, 13 Firenze
Tel. 055.683388

Tre sudiosi dell’America Latina faranno rivivere la dimensione umana e l’opera del grande letterato drammaticamente scomparso, con l’affetto e la riconoscenza di chi non solo ne apprezzava l’eccezionale valore scientifico, ma anche l’impegno civile che l’ha da sempre caratterizzato.

In ricordo di Antonio Melis_Locandina

 



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N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


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Friedrich Engels (1820-1895) – Tutti gli eventi che accadono per necessità naturale recano in sé la propria consolazione, per quanto possano essere terribili (in morte di K. Marx).

La morte di Kal Marx

 

Lettere Marx-Engels

«Tutti gli eventi che accadono per necessità naturale recano in sé la propria consolazione, per quanto possano essere terribili. […] Forse, l’abilità dei medici gli avrebbe potuto assicurare ancora qualche anno di esistenza vegetativa; la vita di un essere impotente, il quale, per il trionfo della medicina, non muore d’un sol colpo, ma soccombe a poco a poco. Tuttavia, il nostro Marx non lo avrebbe mai sopportato. Vivere con tutti quei lavori incompiuti davanti a sé, anelando, come Tantalo, a portarli a termine senza poterlo fare, sarebbe stato per lui mille volte più amaro della dolce morte che lo ha sorpreso. “La morte non è una disgrazia per colui che muore, ma per chi rimane”, egli soleva dire con Epicuro. E vedere quest’uomo geniale vegetare come un rudere a maggior gloria della medicina e per lo scherno dei filistei che lui, quando era nel pieno delle sue forze, aveva tanto spesso stroncato … no, mille volte meglio le cose così come sono andate. Mille volte meglio che dopodomani lo porteremo nella tomba dove riposa sua moglie. […]
Sia come sia. L’umanità ora possiede una mente in meno, quella più importante che poteva vantare oggi. Il movimento proletario prosegue il proprio cammino, ma è venuto a mancare il suo punto centrale, quello verso il quale francesi, russi, americani e tedeschi si volgevano automaticamente nei momenti decisivi, per ricevere quel chiaro e inconfutabile consiglio che solo il genio e la completa cognizione di causa potevano offrire loro. I parrucconi locali, i piccoli luminari e forse anche gli impostori si troveranno ad avere mano libera. […] Bene, dovremo cavarcela. Altrimenti che cosa ci stiamo a fare? E, comunque, siamo ben lontani dal perdere il nostro coraggio».

Friedrich Engels a Friedrich Sorge, 15 marzo 1883, in Marx-Engels, Lettere 1880-1883 (marzo), Lotta comunista, Milano 2008, pp. 360-361.



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