Roberto Calasso – Se c’era a Venezia un luogo da cui traspariva una felicità tutta nuova era la bottega di Aldo Manuzio che chiedeva soltanto di poter «pubblicare buoni libri»: “festina lente”.

Calasso Roberto - Aldo Manuzio -bonis libris

edendis bonis libris

festina lente


«No disturbeme che per cosse utili»: questa scritta si leggeva nella bottega di Aldo Manuzio a Venezia, sestiere di San Polo, verso campo Sant’Agostin, vicino al panettiere. Secondo Martin Lowry, che indagò anche quanto sopravvive dei conti di Manuzio, quella bottega era «una mescolanza, oggi quasi incredibile, di brutale officina, pensione e istituto di ricerca». Vi circolava una trentina di persone, fra lavoranti, servitù, familiari e ospiti.


Un giorno dei 1508 Erasmo da Rotterdam stava seduto in un angolo della stamperia e scriveva gli Adagia, ricorrendo soltanto alla sua memoria, e foglio per foglio li passava al proto perché li componesse. In un altro angolo Aldo leggeva e rileggeva bozze che erano già state lette e rilette da altri.
Se qualcuno glielo faceva osservare, rispondeva: «Sto studiando». Questa era la vita di ogni giorno.


«Da quando ho intrapreso l’estenuante mestiere dello stampatore, ormai sei anni or sono, posso giurarvi che non ho avuto un’ora di ininterrotto riposo» scrisse Aldo una volta. Ma non solo per lui la vita era dura. Secondo Erasmo, i lavoranti della tipografia disponevano di una mezz’ora al giorno per rifocillarsi. Non meraviglia che vi fossero turbolenze e Aldo deplorò che per quattro volte i suoi lavoranti avessero «complottato contro di me a casa mia, aizzati dalla madre di tutti i mali, l’Avidità: ma con l’aiuto di Dio li ho distrutti a un punto tale che ora si rammaricano a fondo per il loro tradimento». Eppure, se c’è un luogo da cui traspariva una felicità tutta nuova era quella bottega.


Incisione di Theodor de Bry (1528-1598), da Bibliotheca chalcographica di Jean-Jacques Boissard – 1669

Aldo fu colui che trasformò per primo lo stampatore in editore, aggiungendo un’incognita minuscola o enorme all’equazione di un mestiere che era stato inventato quattro decenni prima. E questo avvenne grazie a una sorta di devozione alle cose utili. Aldo divenne editore a quarant’anni. Sino allora era stato precettore in case nobili e potenti. E avrebbe potuto facilmente diventare uno dei vari cattedratici dell’epoca, con un suo codazzo di allievi e di vanità. Ma evidentemente gli balenò qualcos’altro, ben più rischioso, ben più urgente e ben più attraente: dare forma a certi libri, soprattutto greci, a partire dalle grammatiche. Di questo si sentiva un bisogno quasi fisico, a Venezia, dove affluivano continuamente esuli e manoscritti, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453. E Venezia, allora, era un compendio del mondo. O altrimenti, per Aldo, «un’altra Atene». Nel frattempo Aldo chiedeva soltanto di essere lasciato tranquillo per poter «pubblicare buoni libri », edendis bonis libris.

Roberto Calasso, Come ordinare una biblioteca, Adelphi, Milano 2020, pp. 49-51.


Aldo Manuzio (1449-1515) – Abbiamo deciso di dedicare tutta la vita all’utile dell’umanità. Questo vogliamo giorno dopo giorno sempre di più, finché vivremo.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.


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Aldo Manuzio (1449-1515) – Abbiamo deciso di dedicare tutta la vita all’utile dell’umanità. Questo vogliamo giorno dopo giorno sempre di più, finché vivremo.

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Lettere prefatorie a edizioni greche

Lettere prefatorie a edizioni greche

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Abbiamo deciso di dedicare tutta la vita

all’utile dell’umanità.

Questo vogliamo giorno dopo giorno

sempre di più,

finché vivremo».

Aldo Manunzio, Lettere prefatorie a edizioni greche, a cura di Claudio Bevegni, Adelphi, 2017.

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Risvolto di copertina

Avviare un’impresa editoriale implica, da sempre, una buona dose di coraggio. Ma nel caso di Aldo Manuzio, che nel 1495 si propone di stampare libri greci guardando oltre i ristretti confini dell’Italia, sarebbe senz’altro meglio parlare di temerarietà. Il suo rivoluzionario disegno comportava infatti difficoltà tali da scoraggiare chiunque, giacché esigeva, oltre che un fiuto fuori del comune, collaboratori di prim’ordine e con competenze linguistiche per quell’epoca rare – persino a Venezia, dove pure viveva una florida colonia greca; e manoscritti, non meno rari, su cui fondare le edizioni; e incisori di eccezionale abilità tecnica, capaci di creare tipi che gareggiassero con la grafia dei più eleganti copisti. Senza contare la difficoltà forse maggiore: il numero, inevitabilmente ristretto, dei possibili acquirenti. Ma di fronte a questi scogli Manuzio non arretra di un millimetro: e vara il suo programma editoriale con la grammatica greca di Costantino Lascaris, procuratagli da uno scout d’eccezione, Pietro Bembo. Altre meraviglie seguiranno negli anni: dalla prima, monumentale edizione di Aristotele a Sofocle ‒ proposto nel 1502 nel nuovo formato (i cosiddetti libelli portatiles) con cui ormai da un anno aveva genialmente ampliato il suo pubblico ‒, da Tucidide ed Erodoto a Euripide, Omero e Platone. La sua attività non durerà a lungo: dieci brevi, decisivi anni nel corso dei quali Manuzio riuscirà, caparbiamente e spavaldamente, a imporre non soltanto un modello di editoria guardato con ammirazione in tutta Europa, ma un modo nuovo di accedere ai testi, svolgendo così un ruolo che era stato sino ad allora prerogativa dei grandi maestri della letteratura.

L'Aristotele di Aldo Manuzio

L’Aristotele di Aldo Manuzio

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L’Editore Adelphi ha pubblicato un florilegio di Lettere prefatorie, scritte da Aldo Manuzio (1449-1515), con prefazione di Roberto Calasso, dalla quale si ricava una specie di sua immedesimazione con l’uomo più colto del nostro Rinascimento, colui che trasformò lo stampatore in editore, la cui “Bottega” vantava ben 30 persone, fra lavoranti, familiari, ospiti e servitù, diventata, in breve tempo, un luogo di ricerca, se non una vera e propria Officina, così come lo erano quelle dei pittori, degli incisori, degli scultori. Si lavorava molto, tanto che, secondo Erasmo, non solo gli impiegati disponevano di mezz’ora al giorno per rifocillarsi, ma anche lo stesso Manuzio si sottoponeva alla medesima fatica, vivendo il tormento dell’editore come quello di un artista in cerca di continui confronti con quelli del passato e del presente.
Era fermamente convinto  che la grammatica e la lingua greca fossero indispensabili per gli studiosi del suo tempo. Citando il “Catone” di Cicerone, cercava la conferma della sua tesi, essendo la dottrina di costui dovuta allo “studio delle lettere greche”, studio ripreso dai nostri umanisti che richiedevano continuamente libri di autori greci.
In 20 anni di attività, Manuzio ha pubblicato ben 130 edizioni di opere greche, latine e volgari, famosa la sua edizione della “Commedia” dantesca. Le lettere prefatorie sono la testimonianza di una vera e propria bramosia di sapere, specie dopo il successo editoriale dell’”Organon”  del “divino” Aristotele, che riteneva strumento indispensabile per lo studio di tutte le scienze, così come lo erano, per lo studio della lingua, le Commedie di Aristofane e le Tragedie di Sofocle, con note di commento, che rendevano sempre più laboriose le operazioni. La “Bottega” di Manuzio sosteneva un costo molto elevato, per questo motivo egli dovette ricorrere all’aiuto di mecenati come Alberto Pio, principe di Carpi, e Leone X, al quale dedica l’Opera omnia di Platone. Nella supplica al Sommo Pontefice, nello stile dell’Ariosto e del Tasso, Manuzio scrive qualcosa di profetico: “una lunga esperienza insegna che, quali sono i governanti, tale sarà la cittadinanza”. La foga è talmente alta che, a un certo punto,dà del tu al Pontefice ricordandogli che la scelta di pubblicare le Opere platoniche fosse anche il frutto di una continuità con l’operato di Marsilio Ficino che aveva tradotto in latino i “Dialoghi” platonici, grazie al mecenatismo del padre, Lorenzo dei Medici. Manuzio desiderava far diventare Firenze la nuova Atene, grazie anche alla creazione di una Accademia, concepita come luogo di incontri e scambi di artisti europei.

Andrea Bisicchia

 

 

 

Cartello infisso da Manuzio all'ingresso della tipografia

Cartello infisso da Manuzio all’ingresso della tipografia


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