Auguste Rodin – L’Antico è la Vita stessa. Non v’è nulla di più vivo dell’Antico. L’Antico ha potuto raffigurare la Vita, perché gli antichi, grazie a questa maestria nell’osservazione della Natura, hanno saputo vedere quel che vi è in essa di essenziale. Il mondo sarà felice solo quando tutti gli uomini avranno anime d’artista, ossia quando tutti troveranno piacere nel loro lavoro.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Rainer Maria Rilke (1875-1926) – Le mani di Rodin hanno vissuto come cento, una vita in cui tutto è vivo e presente nello stesso istante e nulla è perduto. Cercava la grazia delle grandi cose e una pacatezza radicata dentro di lui gli mostrò il saggio cammino. Diceva: «Non bisogna avere fretta».

Rainer Maria Rilke-Rodin

Prima di essere celebre, Rodin era solo. E la celebrità, una volta sopraggiunta, lo ha reso forse ancora più solo. […] L’opera di cui mi accingo a parlare è andata crescendo attraverso gli anni e cresce ogni giorno. come una foresta, incessantemente. Ci si aggira tra i suoi mille oggetti sopraffatti dalla ricchezza dei reperti e delle invenzioni che la compongono, e istintivamente si cercano le mani che hanno dato forma a questo mondo. Ci si rammènta quanto piccole siano le mani dell’uomo, come si stanchino presto e quanto sia breve il tempo loro concesso per agire. E nasce il desiderio di vedere le due mani che hanno vissuto come cento, come un popolo di mani destatosi prima dell’alba per incamminarsi sulla lunga via che conduce a quest’opera. Ci si chiede chi sia il dominatore di quelle mani. Che uomo è mai? La sua vita è una vita che non si lascia narrare. Ha avuto un inizio e procede, procede addentrandosi sempre più profondamente in una grande vecchiaia, e per noi è come se fosse trascorsa da molte centinaia di anni. Non ne sappiamo nulla. Avrà avuto un’infanzia, comune, un’infanzia povera, oscura, indagatrice e incerta. E forse ha ancora quest’infanzia, perché -come dice sant’ Agostino -dove mai potrebbe essersi persa? Forse ha ancora tutte le ore trascorse, le ore del dubbio e le lunghe ore dell’indigenza, è una vita che non ha perduto né dimenticato nulla, una vita che si è raccolta attorno al proprio fluire. Forse non ne sappiamo nulla. Ma solo da una simile vita, pensiamo, sono potute scaturire l’opulenza e la sovrabbondanza di questo operare, solo una simile vita, in cui tutto è vivo e presente nello stesso istante e nulla si è perduto, può conservarsi giovane e forte ed ergersi ripetutamente in opere somme. Forse verrà un tempo in cui per questa vita si inventerà una storia, con i suoi intrecci, con i suoi episodi, con i suoi dettagli. E saranno frutto di invenzione. Si racconterà di un bambino che spesso trascurava il cibo ritenendo più importante intagliare oggetti in un povero legno con un coltello spuntato, e nei giorni del giovane si vorrà inserire un qualche incontro implicante la promessa di una futura grandezza, una di quelle profezie a posteriori tanto popolari e commoventi. Potrebbero prestarsi adeguatamente le parole che, quasi cinquecento anni fa, si dice un monaco abbia rivolto al giovane Miche! Colombe: «Travaille, petit, regarde tout ton saoul et le clocher à jour de Saint-PoI, et les belles oeuvres des compaignons, regarde, aime le bon Dieu, et tu auras la grace des grandes choses». «E avrai la grazia delle grandi cose». Forse un sentimento interiore ha parlato così al giovane Rodin, ma con un tono infinitamente più sommesso delle parole del monaco, ad uno dei primi bivi della sua vita. Perché egli cercava proprio questo: la grazia delle grandi cose. […]
Ecco dunque un compito, grande quanto il mondo. E colui che lo affrontò fissandolo con lo sguardo era uno sconosciuto dalle mani che cercavano pane, nell’oscurità. Era totalmente solo, e se fosse stato un vero sognatore avrebbe potuto sognare un sogno bello e profondo, un sogno che nessuno avrebbe compreso, uno di quei sogni interminabili sui quali una vita può scorrere con la rapidità di un giorno. Ma questo giovane uomo che si guadagnava da vivere nella manifattura di Sèvres era un sognatore il cui sogno saliva lungo le mani, e subito iniziò a dargli una forma. Sapeva da dove fosse necessario cominciare: una pacatezza radicata dentro di lui gli mostrò il saggio cammino. Già qui si rivela il profondo accordo di Rodin con la natura, e su questo il poeta Georges Rodenbach, che lo definisce apertamente una forza naturale, ha saputo dire parole così belle. E in realtà c’è in Rodin una misteriosa pazienza che lo rende pressoché anonimo, una silenziosa, superiore longanimità, come un riflesso della grande pazienza e bontà della natura che si origina dal quasi invisibile per procedere, assorta e severa, nel suo lungo cammino verso la profusione. Anche Rodin non si misurò subito con l’albero. Iniziò dal seme, per così dire sottoterra. E questo seme crebbe verso il basso, affondò le radici sempre più nel profondo, si insediò prima di iniziare la lenta salita verso l’alto. Ci volle tempo, un lungo tempo. «Non bisogna avere fretta», diceva Rodin ai pochi amici a lui vicini, quando lo incitavano.

Rainer Maria Rilke, Rodin, trad. di C. Groff, SE, Milano 2004, pp. 13-19.



Rainer M. Rilke (1875-1926) – Non dimenticare mai di formulare un desiderio: i desideri durano a lungo, tutta la vita, tanto che non potremmo aspettarne l’adempimento.
Rainer Maria Rilke (1875 – 1926) – La pazienza è tutto
Rainer Maria Rilke (1875-1926) – E queste cose, che passano ma ci credono capaci di salvarle, noi che passiamo più di tutto, vogliono essere trasmutate, entro il nostro invisibile cuore in – oh Infinito – in noi! Quale che sia quel che siamo alla fine.
Rainer Maria Rilke (1875-1926) – Occorre raccogliere senso e dolcezza per tutta una vita. Anche i ricordi di per se stessi ancora “non sono”. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso.
Rainer M. Rilke (1875-1926) – Sicurezza significa non sospettare di nulla, non tenere nulla a distanza, non considerare nulla come un Altro irriducibile, significa spingersi oltre ogni concetto di proprietà e vivere di acquisizioni spirituali e mai di possessi reali.
Rainer M. Rilke (1875-1926) – On voudrait avoir les yeux toujours ouverts, pour avoir vu, avant le terme, tout ce que l’on perd.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Eugène Carrière (1849-1906) – In questo tempo così limitato abbiamo le nostre gioie, i nostri dolori che ci appartengono. Vedo gli altri uomini in me stesso e mi ritrovo in loro.

Eugène Carrière01

Dans ce temps si limité, nous avons nos joies, nos douleurs; que du moins elles nous appartiennent, que nos manifestations en soient les témoignages et ne ressemblent qu’à nous – mêmes. C’est dans ce désir que je présente mes oeuvres à ceux dont la pensée est proche de la mienne. Je leur dois compte de mes efforts et je les leur soumets.
Je vois les autres hommes en moi et je me retrouve en eux, ce qui me passionne leur est cher.

Eugène Carrière, Écrits Et Lettres Choisies [Mercure de France, Paris (1907)], 2019.

In questo tempo così limitato, abbiamo le nostre gioie, i nostri dolori; che almeno ci appartengono, che le nostre manifestazioni ne sono testimonianza e assomigliano solo a noi stessi. È in questo desiderio che presento le mie opere a coloro il cui pensiero è vicino al mio. Devo loro il resoconto dei miei sforzi e a loro li sottopongo. Vedo gli altri uomini in me stesso e mi ritrovo in loro, ciò che mi affascina è loro caro.

Eugène Carrière, “Méditation”, circa 1900, Strasburgo, musée d’Art moderne e contemporain
Eugène Carrière, “Autoportrait”, New York, Metropolitan Museum of Art
Eugène Carrière, Nelly Carrière, 1895,
Eugène Carrière, Ritrato di Auguste Rodin
Eugène Carrière, Tenerezza
Eugène Carrière, Maternità.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Alain Caillé – È donando che ci si dichiara concretamente pronti a giocare il gioco dell’associazione e dell’alleanza. La sola via che si apre dinanzi a noi è quella che consiste nell’effettuare nell’ordine politico una mutazione simbolica, morale e spirituale di portata universalistica.

Amicizia e dono

La cattedrale di Rodin
che ho posto in evdenza con le parole di Caillé
è il  grazie per gli  agli amici che oggi mi hanno inviato i loro pensieri.
Quelle mani sono il “tempio” nel quale ognuno di noi dovrebbe cercare quotidianamente
l’incontro, il confronto, l’amicizia, l’amore in tutte le sue sfaccettature.
Quelle mani che si sfiorano (e sono due mani destre)
provano a unirsi
come a stringere in dono questo patto, questa promessa di solidarietà.

C. Fiorillo

 

Il terzo paradigma

A. Caillé, Il terzo paradigma

 

«Nella vita ordinaria noi raramente ci rendiamo conto
che riceviamo molto di più di ciò che diamo,
e che è solo con la gratitudine che la vita si arricchisce».

Dietrich Bonhoeffer

 

 

«Una società regolata unicamente […] dall’obbligo, cadrà nella sterilità, nel formalismo […]. Né si può farla poggiare sulla meccanica simmetrica dei soli interessi individuali che, in mancanza di regole comuni in grado di coordinarli, cadranno nel caos generale. Non è sottomettendosi al dispotismo della Legge o rifugiandosi nel ciascuno per sé e nell’inganno che gli uomini possono riuscire […] a trovare un po’ di pace, di sicurezza e di felicità. E, invece, imparando ad allearsi e ad associarsi, a dare (darsi) gli uni agli altri fidandosi e per fidarsi gli uni degli altri. […] Abbiamo bisogno, per superare i punti di vista ugualmente limitati dell’individualismo e dell’olismo di un paradigma del dono. Esso non pretende di pensare la generazione del legame sociale né dal basso – a partire dagli individui sempre separati –, né dall’alto – a partire da una totalità sociale sovrastante e sempre preesistente –; ma in qualche modo a partire dal suo ambiente, orizzontalmente, a partire dall’insieme delle interrelazioni che legano gli individui e li trasformano in attori propriamente sociali. La scommessa sulla quale si basa il paradigma del dono è che il dono costituisca il performatore per eccellenza delle alleanze. Ciò che le suggella, le simboleggia, le garantisce e le rende vive. Si tratti di un dono iniziale o di un dono ripetuto
talmente tante volte da non apparire più neanche tale, è donando che ci si dichiara concretamente pronti a giocare il gioco dell’associazione e dell’alleanza e che si sollecita la partecipazione degli altri allo stesso gioco» (p. 12).

 

«Finora l’ordine della società funzionale-utilitaria ha funzionato bene perché attingeva a riserve di senso, extra o antiutilitaristico, ereditate dai secoli passati. Appare ormai con sufficiente chiarezza che queste riserve di senso si esauriscono […].  Le nostre democrazie si sono pensate essenzialmente nel quadro del pensiero contrattualistico. Questo fondamento immaginario si esaurisce […] si mostra ormai impotente a opporsi alla generalizzazione di una corruzione che deve tanto più esplodere in quanto la scala delle società si dilata e in quanto la mondializzazione si generalizza. […] La sola via che si apre dinanzi a noi è  quella che consiste nell’effettuare nell’ordine politico una mutazione simbolica, morale e spirituale della stessa ampiezza di quella che è stata compiuta a suo tempo dalle grandi religioni universalistiche. Queste avevano proceduto a una riorganizzazione da cima a fondo del sistema arcaico del dono proprio delle piccole società basate sulla conoscenza reciproca. Tale riorganizzazione […] è consistita in una universalizzazione, una radicalizzazione e una interiorizzazione dell’imperativo del dono. Universalizzazione: bisognava donare non soltanto ai vicini ma anche agli estranei. Radicalizzazione: donare in modo sempre più incondizionale […]. Interiorizzazione: all’ostentazione un po’ istrionica del dono selvaggio, preferire la discrezione di colui che sa che dona veramente e non per farne mostra» (p. 134).

Alain Caillé, Il terzo paradigma. Antropologia filosofica del dono, Bollati Boringhieri, 1998.

Risvolto di copertina
Il libro di Alain Caillé tocca temi come l'obbligo di donare, dono e sacrificio; dono, interesse e disinteresse. dono e simbolismo; dono e associazione ecc. Si inserisce, su un piano più filosofico, ma sempre con grande concretezza di riferimenti all'esperienza, in una linea di pensiero ben rappresentata da "Lo spirito del dono", di Jacques T. Godbout, cui ha collaborato lo stesso Caillé, e da tutti i libri di Serge Latouche. Dopo aver proposto, con "Critica della ragione utilitaristica", un vero e proprio "manifesto dell'antiutilitarismo", con "Il terzo paradigma" Alain Caillé fornisce il quadro completo di una riflessione molto raffinata nel campo della filosofia delle scienze sociali. L'idea centrale è quella che consiste nel contrapporre il paradosso del dono (per cui il disinteresse proclamato nell'atto del donare, confermando o istituendo il legame sociale, risulta in fin dei conti il miglior modo di garantire gli interessi individuali e collettivi) ai due approcci che si contendono il terreno nelle scienze sociali: individualismo metodologico e olismo. Mentre per l'individualismo metodologico il rapporto sociale sarebbe la risultante dei calcoli effettuati da individui interessati, e mentre per l'olismo nelle sue varie forme sarebbe sempre in definitiva il tutto a determinare i comportamenti individuali, per l'antiutilitarismo è proprio il rapporto di obbligazione reciproca, ovvero di dono, più o meno liberamente consentito tra individui e gruppi che istituisce la società, in altri termini che ne costituisce la base.

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Immagine in evidenza:

La cattedrale, Auguste Rodin, 1908, pietra, Musée Rodin, Paris.

 


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