David Le Breton – La carezza è il tentativo di abolire la distanza avvicinandosi all’altro in una reciprocità che si vuole immediata. La carezza non è un semplice sfiorare: ma un foggiare.

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Il sapore del mondo

Il sapore del mondo

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«L'altro in quanto altro non è qui oggetto che diventa nostro
 o che finisce per identificarsi con noi;
esso, al contrario, si ritira nel suo mistero.
 
EMMANUEL LÉVINAS, Il tempo e l'altro

«La carezza non significa prendere possesso dell’altro, bensì coincidere con lui o con lei in un avvicinamento senza fine. Il tatto è il senso principale dell’incontro e della sensualità, è il tentativo di abolire la distanza avvicinandosi all’altro in una reciprocità che si vuole immediata. In questo intreccio, nessuno tocca che non sia a sua volta toccato; nell’erotismo, la carezza è la mutua incarnazione degli amanti. Ciascuno si rivela a se stesso modellandosi sul corpo dell’altro. La reciprocità della mano e dell’oggetto trova qui la sua compiuta misura: la mano tocca nel momento stesso in cui è toccata. Essa incarnatutta la potenza creativa che le è propria. Scrive Sartre: “La carezza non è un semplice sfiorare: ma un foggiare. Carezzando l’altro, io faccio nascere la mia carne con la mia carezza, sotto le mie dita. La carezza fa parte delle cerimonie che incarnano l’altro; […] il desiderio si esprime con la carezza, come il pensiero con il linguaggio. E la carezza rivela la carne dell’altro proprio come carne a me e all’altro” (J.-P. Sartre, L’essere e il nulla, Il Saggiatore, 1984, pp. 476-477).  La carezza è virtuosa soltanto se è accettata da colui o colei che la riceva: se non è desiderata, è una forma di violenza. Il medesimo movimento, a seconda del modo in cui è ricevuto, può essere uno stupro o un’offerta. Imposto con la forza o l’intimidazione, è intollerabile. La dolcezza infinita di una carezza concerne in primo luogo la significazione». (pp- 226-227).

«La pelle è rivestita di significati. Il tatto non è solamente fisico: è al tempo stesso semantico. Il vocabolario del tatto predilige metaforizzare la percezione e la qualità del contatto con l’altro, oltrepassando il mero riferimento tattile per esprimere il significato dell’interazione. […] La pelle funge da metafora del soggetto quand’egli ci tiene ancora, alla sua pelle. Comprendere rinvia a prendere insieme con l’altro mirando a un’impresa comune. Si tende la mano a chi è in difficoltà, oppure lo si lascia cadere. La corrente passa o non passa. Il fatto di sentire rinvia immediatamente alla percezione
tattile e all’ambito dei sentimenti. Avere tatto consiste nel limitarsi a sfiorare l’altro in merito a questioni delicate, usando la giusta discrezione che preserva chi agisce senza tenerlo all’oscuro di un’informazione essenziale. Tanta delicatezza testimonia il senso della distanza che – lo si intuisce – è necessario conservare nei confronti di qualcuno il cui temperamento è importante tenere nel massimo riguardo. Una formula tocca nel segno o tocca la corda sensibile. Si ha il senso del contatto, si percepiscono bene determinate cose grazie a una sensibilità a fior di pelle. E, allora, si va sul velluto, il percorso è liscio come l’olio.
Concedere la mano indica la parte per il tutto. Ma essere nelle mani di un altro significa perdere la propria autonomia, specie ove si tratti di persona capace di tenerci in pugno quando, magari, non vuole addirittura passare alle mani. […] Vi è chi si sente toccato, ma talvolta anche manipolato da una testimonianza commovente. Si lusinga qualcuno lisciandogli il pelo, oppure ci si sforza di trattarlo con i guanti per non urtarlo; altri, invece, vanno presi con le pinze […]. Se dobbiamo avanzare un’offerta sul cui buon esito nutriamo qualche dubbio, cominciamo con il tastare il terreno. E siamo punti sul vivo o ce ne abbiamo a male in presenza di un discorso indisponente o di un contatto che ci fa rizzare i capelli in testa o ci dà sui nervi; ancora, ci rendiamo conto di essere troppo sensibili ogni volta che abbiamo reazioni epidermiche. Una battuta acida ferisce, urta, fa sudare quando addirittura non scortica vivi. Una parola è capace di far venire i brividi alla schiena, la pelle d’oca o l’orticaria, oppure scalda il cuore. Allevia o irrita. L’imbarazzo copre di rossore. Una scena colpisce, prende alla gola. Il seduttore cerca di fare colpo. Una relazione è ardente, tenera, dolce, tiepida, piccante. Una persona è untuosa, pungente, appiccicosa; altri sono duri, persino carogne, oppure dei mollaccioni; altri ancora, calorosi o glaciali. Quando siamo in pericolo, rischiamo la pelle.
Tutti questi termini ricorrono al vocabolario del tatto per esprimere le diverse modalità degli incontri. Alcuni verbi, che coinvolgono la mano, servono a descrivere i nostri atti nei confronti dell’altro: prendiamo parte al suo dolore o prendiamo le sue parti, ci appoggiamo su di lui oppure siamo noi obbligati a dargli una mano o a sostenerlo poiché non ha fiducia in se stesso; afferriamo ciò che ha da dirci o lo comprendiamo, ma talvolta si rende necessario strappargli una confessione o toccare la corda dei sentimenti per onenerne un favore. La persona amata la portiamo nel cuore e l’accogliamo a braccia aperte: quella che detestiamo, invece, ci fa venire la pelle d’oca o rizzare il pelo o, ancora, suscita in noi repulsione. Alcuni vorrebbero fare la pelle ai nemici o conciarli per le feste. La qualità del rapporto con il mondo è anzitutto una questione di pelle» (pp.223-225).

David Le Breton,
Il sapore del mondo. Un’antropologia dei sensi,
Raffaello Cortina Editore, 2007.


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