Rayen Kvyeh – La voz de un indómito pueblo: MAPUCHE. A Siena il 12 ottobre e a Livorno il 13 ottobre.

Rayen Kvyeh

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Rayen Kvyeh

La voz de un indómito pueblo

MAPUCHE

A Siena il 12 ottobre e a Livorno il 13 ottobre

 

 

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L’incontro del 12 ottobre a Siena

Locandina del 12 ottobre a Siena

Introduce Lucia Lorenzini

A seguire la voce e la chitarra di Lucia

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L’incontro del 13 ottobre a Livorno

Locandina del 13 ottobre a Livorno

Lucia Lorenzini canta Violeta Parra.

Intervengono: Virginia Tonfoni e Rodja Bernardoni

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Rayen Kvyeh è nata in Cile. Costretta all’esilio dalla feroce dittatura di Pinochet, va a vivere in Germania, dove collabora attivamente alle attività politiche e culturali degli esiliati. A metà degli anni Ottanta, realizza un progetto di ricerca in Nicaragua sulla cultura niskita. Negli anni Novanta crea e dirige la “Mapu Ñuke Kimce Wejiñ” (Casa d’Arte, Scienza e Pensiero Mapuche) a Temuko. Dal 1991 al 2003 dirige anche la rivista di cultura mapuche Mapu Ñuke. In questi stessi anni cresce la sua fama internazionale e tiene dei recitals di poesia in tutta Europa. Nel 1995 riceve a Cuba il premio José Maria Eredia. Nel 1998, sempre a Cuba, è nominata Presidente Onorario del Centro Internazionale delle culture Indigene. Nel 2006 esce il suo primo libro tradotto in italiano: Luna dei primi giorni, edizioni Goreé

I Mapuche, “uomini della terra” (in lingua Mapudungun, Mapu Che = appartengono alla terra) sono un popolo antico che ha sempre vissuto tra il Cile e l’Argentina, il loro forte legame con la terra e l’indisponenza ad assecondare i processi di colonizzazione prima e di “modernizzazione” e “progresso” dopo, ha fatto si che siano vittime di una feroce repressione da parte di governi e multinazionali senza scrupoli. La loro colpa è resistere: resistere a governi e multinazionali che li vogliono cacciare dai loro territori per costruire dighe gigantesche, autostrade, fabbriche inquinanti o come la nostra Benetton che pretende di spostare una loro comunità per far posto ai suoi pascoli.

 

Luna dei primi germogli

Luna dei primi germogli

 

Valdivia egu Lawxaru

Poesia di Rayen Kvyeh
Da Luna dei primi germogli (We coyvn ñi kvyeh)
Edizioni Gorée, Iesa (SI), 2006
Cura e traduzione di Antonio Melis e Luciano Giannelli

Con un prologo di Antonio Melis

VALDIVIA E LAUTARO

Uno di fronte all’altro

Europa – Indoamerica
Impero – popolo
Dominio – libertà
Oro – radice
Palazzo – tronco sacro
Morte – vita

Don Pedro de Valdivia
Capitano dell’esercito imperiale di Carlo V
Splendido
Nella sua armatura
Di argento e d’oro.

Lautaro
Figlio di questa terra.

Valdivia, grande condottiero
Vincitore nelle Fiandre
E in America
La sua spada affilata conosce
Il trionfo del suo impero.

Lautaro…
Ha la grande forza
La forza del sapere,
Valdivia guarda con odio
Senza capire
Il servo, il “paggio”
Educato
Evangelizzato
Istruito come amico
Per difendere
La corona di Spagna
Lo sfida
In una battaglia corpo a corpo.

È in pericolo
La sua vita
È in pericolo
Il suo regno
È in pericolo
Il suo impero.

Valdivia
Si accorge
Che il suo discorso
Di dominazione

Non è riuscito
A rendere schiavi
I mapuche.
Con tutte le sue forze prepara
La sua battaglia
E la difesa della fede
E del potere.

In questo tramonto
Indimenticabile,
Le stelle
Si uniscono
Per baciare
La nostra terra.

Lautaro e Valdivia
Combattono
Ripetutamente
Fino alla morte.

Come una bella canzone sorge
Un arcobaleno
Accarezza la terra
Stendono le ali
I werken e cantano
Un dolce canto
Di libertà.


Luna di cenere

Luna di cenere

 

Antonio Melis scrive:

Luna de cenizas (Luna di cenere) è una raccolta poetica che Rayen Kvyeh ha voluto scrivere in spagnolo, quasi per non contaminare il suo mapudungun, la lingua dei mapuche, con le parole legate all’esperienza del carcere. La prima parte del libro, dalla quale sono tratte le prime due poesie, ci restituisce insieme la violenza della reclusione e la capacità di resistenza che fa parte del patrimonio genetico del popolo mapuche. È una forza che viene dalla mapu ñuke, da quella terra madre che dà il titolo a una delle sue poesie più conosciute. Si manifesta attraverso la natura, ma anche attraverso gli affetti familiari e lo spirito comunitario. Le ragioni della vita si oppongono ai messaggi di morte che provengono da un potere arbitrario. L’immagine dell’”embrione ribelle” suggella in maniera indimenticabile questa professione di lotta e di dignità. Nella seconda poesia, oltre al rapporto con la luna che richiama il nome della poetessa (kvyeh in mapudungun significa ‘luna’), troviamo soprattutto la metafora dei libri come strumento di liberazione. La montagna che essi costruiscono si spinge fino alla finestra della cella, per conversare con la luna e rompere le catene.

La seconda parte del libro, intitolata “Menzogne moderne”, contiene brevi poesie di denuncia, che assumono toni quasi epigrammatici.  Al centro sta un altro tema cruciale per Rayen e per il suo popolo. La difesa della natura è parte integrante della difesa della propria identità, contro l’assalto dell’”uomo progressista”, animato da uno spirito di onnipotenza. Lo stravolgimento dell’ordine naturale viene rappresentato da un albero sterile, dove il verde non è quello delle piante, ma del denaro che prepara strumenti di morte. In “Uomo Moderno” questo delirio si concretizza nel riferimento puntuale alle dighe costruite per imprigionare l’acqua, uno dei simboli più universali di libertà. C’è un’allusione esplicita alla battaglia del popolo mapuche contro le multinazionali che costruiscono i grandi invasi, provocando l’inondazione delle terre che da millenni appartengono agli indigeni. Nell’ultima poesia tradotta da questa sezione, prevale il sarcasmo verso la carità pelosa dei grandi della terra, che si degnano di lasciare le briciole alle loro vittime, per salvarsi l’anima.

Con questa raccolta Rayen dimostra di saper usare alla perfezione la lingua del winka, del dominatore di origine europea, facenda esplodere dall’interno e trasformandola in uno strumento di lotta.


 

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Jorge Luis Borges (1899-1986) – Non c’è libro meno bisognoso di prologo di questo, dalla genesi indolente, formato da una sedimentazione di prologhi …

Borges 01

J. L. Borges, L'idioma degli argentini

Logo Adelphi

Jorge Luis Borges, L’idioma degli argentini, Adelphi, 2016

A cura di Antonio Melis.
Traduzione di Lucia Lorenzini.

Risvolto di copertina

Che ci racconti del truco, grazie al quale i giocatori, dimesso l’io abituale, diventano criollos che «vogliono spaventare la vita a grida»; o di coltelli che cercano i sentieri della morte e del Chileno, signore dell’insolenza, che si dissangua a terra; o dell’origine del tango, la cui patria sono gli angoli delle case rosate dei sobborghi, la protervia domenicale del guappo e il chiasso delle popolane sui portoni; o di una notte serena capace di rivelare miracolosamente il «senso reticente o assente dell’inconcepibile parola eternità»; o della felicità, che «non è meno sfuggente nei libri che nella vita»; o del metodo insospettabile e segreto con il quale Cervantes suscita nel lettore «una reazione di compassione e perfino di collera di fronte alle infinite iniquità che affliggono l’eroe»; o, infine, delle differenze fra lo spagnolo degli spagnoli e quello della conversazione argentina, il Borges di questo libro giovanile, ripudiato e ora finalmente ritrovato, è già, inconfondibilmente, il grande Borges. E solo apparente è l’«aria enciclopedica e guerrigliera», giacché tre direzioni cardinali lo governano: «La prima è un sospetto, il linguaggio; la seconda è un mistero e una speranza, l’eternità; la terza è questo godimento, Buenos Aires».

Scrive Maria Grazia Profeti (Alias, il manifesto, 18-12-2016): «Forse uno dei più evidenti motivi di interesse dell’Idioma degli argentini risiede proprio nel tentativo dell’autore di fare i conti con il legato spagnolo, come veniva percepito in Amertica Latina, riflettendo insomma sulla formazione di quell'”idioma”. Lo sottolinea adeguatamente Antonio Melis, nel saggio conclusivo, nel quale ripercorre la storia editoriale del libro, e dove nota come Borges “non perda l’occasione per scrivere un altro capitolo della polemica contro la letteratura spagnola”».

Maria Grazia Profeti,
Eroici furori giovanili di fronte al legato spagnolo

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