Carmine Fiorillo – Virgilio negli Stati Uniti. L’antica “vocazione imperiale” degli USA! E Joseph Biden a cosa si sente “vocato”? Muterà forse il fine del dollaro “umanizzando” il suo corso e rendendolo meno “imperiale”?

Virgilio in America - Dollaro imperiale

Da quando il denaro […] ha iniziato a venire in onore, il reale valore delle cose è caduto in discredito, e noi [siamo] diventati ora mercanti ora merce in vendita.

Seneca


 

«Fare soldi è un arte, lavorare è un arte.

Un buon affare è il massimo di tutte le arti»

                                                                      Andy Warhol

Great Seal of the United States, Diritto dello stemma

Great Seal of the United States, Diritto dello stemma.

 

Great Seal of the United States, rovescio dello stemma

Great Seal of the United States, Rovescio dello stemma.

 

Sul Great Seal (Grande Sigillo) degli Stati Uniti e sul dollaro furono scritte dai “Padri Fondatori” degli Stati Uniti tre frasi in Latino invece che in Inglese. Due di esse furono tratte liberamente da Virgilio. Si sentivano gli eredi di Augusto, e comunque si autocebravano con questa ascendenza che li legittimava alla loro “missione storica”.

Annuit coepitis è la versione affermativa (“Dio è favorevole all’impresa”) della preghiera troiana a Giove “Audacibus annue coepitis” (Eneide, IX, 625); e “Novus ordo s[a]ec[u]lorum” viene dalla Egloga IV di Virgilio, significativamente quella in cui si troverebbe una anticipazione del cristianesimo. E guarda un po’: l’Eneide esprime un programma  ideologico che corrisponde al programma politico di Ottaviano detto Augusto, l’iniziatore dell’Impero romano.

Quando si parla della “vocazione imperiale” degli USA!

E Joseph Robinette Biden Jr., al di là delle evidenti macroscopiche difformità con lo «stupido e infantile Trump» (come lo definisce Michael Wolff), a cosa si sente “vocato”?
Muterà forse il fine del dollaro “umanizzando” il suo corso e rendendolo meno “imperiale”?

Carmine Fiorillo

 

 

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Dipinto di Andy Warhol.
«Fare soldi è un’arte, lavorare è un’arte.
Un buon affare è il massimo di tutte le arti».
Andy Warhol
La firma di Andy Warhol sul dollaro USA.

«Da quando il denaro, che tanti magistrati e tanti giudici tiene avvinti, che addirittura crea magistrati e giudici, ha iniziato a venire in onore, il reale valore delle cose è caduto in discredito, e noi, diventati ora mercanti ora merce in vendita, non esaminiamo più la qualità, ma il prezzo.
Per interesse siamo onesti, per interesse siamo disonesti, e inseguiamo la virtù fin tanto che c’è la speranza di guadagnarci, pronti a cambiare rotta se il vizio promette di più.
I nostri genitori ci hanno inculcato l’ammirazione per l’oro e l’argento, e la cupidigia, instillata in noi fin da piccoli, ha messo radici profonde ed è cresciuta con noi. Cosi il popolo intero, in tutte le altre cose discorde, su questo soltanto conviene: questo ammirano, questo si augurano per i loro cari, questo consacrano agli dèi, come espressione massima delle cose umane […]. I costumi si sono ridotti a un livello tale che la povertà è considerata maledetta e infamante, disprezzata dai ricchi, invisa ai poveri».

Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, 115, 10-11; trad. di C. Nonni.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Agus Morales – Non sono soltanto migranti e rifugiati. Sono donne e uomini come noi. tutti siamo in procinto di un esodo. Comunicazione e orientamento sono i nuovi bisogni urgenti per tutti. Questa è crisi dei diritti umani e della dignità.

Agus Morales 01

«Che stirpe d’uomini è questa? O quale mai tanto barbara patria permette questi usi? Ci nega accoglienza alla riva, viene a aggredirci, e ci scaccia dal margine estremo del lido. Se disprezzate il genere umano e le armi mortali, temete almeno gli dèi, memori di giustizia e iniquità».

Virgilio, Eneide, I, 539-43 .

«Perché mai hanno bisogno di aiuto? – si chiedono alcuni.
– Hanno i soldi, pagano i trafficanti, non sono indifesi.
Perché non vendono i loro cellulari, le loro proprietà? Ci sono persone più bisognose.

Come se in quel viaggio contasse di più restare un giorno a digiuno piuttosto che orientarsi e comunicare con altri che si trovano più a nord – quelli che sanno quali frontiere stanno chiudendo, quelli che possono avvisare dei pericoli –, come se la bussola non fosse ciò di cui si ha più bisogno nel deserto. […] Non si tratta di una crisi nutrizionale in Africa o di una guerra in Medio Oriente, bensì di una crisi dei diritti umani e della dignità. I bisogni erano altri: la comunicazione e l’orientamento erano per tutti i piu urgenti. Se domani bombardassero Barcellona [la città di Morales], l’ultima cosa che lascerei a casa sarebbe il cellulare».

Agus Morales, Non siamo rifugiati. Viaggio in un mondo di esodi, traduz. di Sara Cavarero, Einaudi, Torino 2018, pp. 74, 195.

«Ora, poiché sei giunto nella nostra città e nella nostra terra
non ti saranno negate né vesti né nulla di quanto
si conviene offrire a un misero supplice.
Ti indicherò la città e ti dirò il nome dei suoi abitanti».

Omero, Odissea, VI, 191 ss.
Così si rivolge Nausicaa a Odisseo sfinito sulla spiaggia di Scheria, l’isola dei Feaci.

In calce rassegna di Altre letture

Agus Morales segue le orme degli esiliati della terra, dà voce a coloro che sono stati obbligati a fuggire.
«La forza di Morales, che fa sua la lezione del miglior Kapuscinski, è di raccontare da vicino la vastità, e la varietà, della galassia di chi si muove per ragioni umanitarie o economiche, un popolo in marcia nei confini dei propri stati o da questi a quelli più vicini, dall’Africa verso l’Europa e dall’America del sud verso quella del nord.»Angelo Mastrandrea
Viviamo nel momento della storia che presenta il maggior numero di persone sradicate dal proprio Paese. Non è una crisi dell’Europa. È una crisi del mondo. Un mondo di esodi.
Viaggia alle origini del conflitto in Siria, Afghanistan, Pakistan, Repubblica Centrafricana e Sudan del Sud. Cammina con i centroamericani che attraversano il Messico e con i congolesi che fuggono dai gruppi armati. Si addentra sulle strade piú pericolose, segue i salvataggi nel Mediterraneo, conosce le umiliazioni che soffrono i rifugiati in Europa. E sbarca presso l’ultima frontiera, la piú dura e la piú difficile da attraversare: l’Occidente. Si è ormai arrivati alla costruzione dell’immagine del rifugiato come il nemico contemporaneo. L’immagine del rifugiato è il volto piú immediato di questo cambiamento storico: il terreno simbolico su cui si discute il nostro futuro in comune. Oggi ci sono decine di milioni di persone che non sono rifugiati perché non diamo loro asilo. Chissà se tutti – anche noi – tra una decina d’anni, non saremo rifugiati.

Agus Morales (Barcellona, 1983) ha dedicato una decina d’anni a raccontare le vittime di guerra e i rifugiati. È stato corrispondente dell’Agenzia EFE nel sud-est asiatico, dove ha trascorso piú di cinque anni tra India e Pakistan. Ha lavorato tre anni con Medici Senza Frontiere seguendo i movimenti delle popolazioni in Africa e in Medio Oriente. Attualmente è reporter freelance e collabora, tra l’altro, con l’edizione spagnola del «New York Times». Ha seguito la morte di Osama Bin Laden, l’epidemia di ebola in Africa occidentale e l’odissea dei migranti nel Mediterraneo. È direttore della rivista di cronaca internazionale «5W» e dottore in Teoria della letteratura e letteratura comparata presso la UAB con una tesi dedicata a Rabindranath Tagore, la sua passione segreta. Per Einaudi ha pubblicato Non siamo rifugiati (2018).

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