Luca Grecchi – L’assoluto di Platone? Sostituito dal mercato e dalle sue leggi.

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Il programma del corso di Storia della filosofia da me in parte tenuto all’Università degli studi di Milano Bicocca, come ogni buon programma, contiene diversi testi di Platone e di Aristotele. Come sa chi conosce l’opera di questi due filosofi, Aristotele appare solitamente più difficile agli studenti, mentre Platone appare più facile, in quanto la sua opera ospita dialoghi in cui sono spesso presenti miti, utilizzati dall’antico filosofo per rendere fruibili contenuti complessi. Gli studenti tendono a preferire Platone rispetto ad Aristotele, in quanto il mito, narrato sotto forma di “favola, racconto” (il significato originario della parola mythos, presente già in Omero, rimandava però alla verità, intesa come corrispondenza fra pensiero e realtà), consente loro, almeno apparentemente, una più agevole esposizione.

L’impressione, tuttavia, è che la diffusa preferenza di Platone rispetto ad Aristotele si basi anche su un equivoco: quello per cui, di fronte ad un Aristotele logico e sistematico argomentatore della verità («la filosofia è scienza della verità, perché il fine della scienza teoretica è la verità»), vi sarebbe un Platone narrativo ed ermeneutico espositore di opinioni. E’ questa, del resto, una delle interpretazioni di Platone più famose del Novecento, ossia quella di Hans Georg Gadamer, che tanta influenza ha avuto. Essa tuttavia, per quanto provenga da una fonte autorevole, non è corretta, sicché può essere utile chiarire questo equivoco.

Occorre innanzitutto precisare che i Greci per primi hanno pensato la verità come stabilità e definitività. Essi hanno ritenuto cioè che fosse possibile all’uomo conoscere l’essenziale circa il senso ed il valore della realtà (pur sapendo che è impossibile all’uomo conoscere tutte le possibili verità riguardanti tutti gli enti). Gadamer e Heidegger hanno scritto spesso che la verità, per i Greci ed in particolare per Platone, è aletheia, ossia disvelamento. Non hanno però notato che Platone usava più frequentemente, per indicare la verità, la parola episteme, che esprime la stabilità del sapere, il quale si impone sempre su ciò che è falso. Il disvelamento della verità dunque, per Platone, era innanzitutto disvelamento di ciò che sta, ossia del sapere stabile. Molti suoi dialoghi – che anche quando aporetici, ossia problematici, non considerano mai insolubile un problema, bensì invitano sempre ad una ulteriore ricerca – conducono in questa direzione, che può essere interessante ripercorrere.

Nel Simposio, Platone scrisse che “nella filosofia” l’uomo “perviene a scorgere una episteme unica”, fonte della “virtù vera”, mediante un sentiero impervio ma non impossibile. Nel suo testo più importante, ossia la Repubblica, egli giunse addirittura ad unificare dialetticamente la verità ed il bene, l’essere ed il dover essere, mostrando che la filosofia non deve limitarsi a comprendere, ma deve anche valutare la realtà, se necessario per modificarla. Sempre in questo dialogo, basilare per comprendere l’approccio onto-assiologico (inerente, cioè, il senso ed il valore della realtà) di Platone, il filosofo critica proprio coloro che sono privi di una conoscenza stabile, poiché costoro non conoscono i canoni corretti delle cose belle, giuste, buone. Il metodo dialettico, ossia il confronto serrato delle argomentazioni, era per Platone il metodo veritativo per eccellenza, in quanto, eliminando il carattere ipotetico delle ipotesi, conduceva progressivamente ai Primi principi, fondamento del vero sapere. Platone fece sempre riferimento, in tutti i suoi dialoghi, ad una verità umanamente raggiungibile, per quanto da ricercare con fatica. Nel Filebo, come noto, egli ribadì la naturale capacità dell’anima di raggiungere la verità, o di basarsi sulla opinione vera quando la verità non risulti ancora chiara, ossia quando non siano ancora conosciute le cause delle cose.

In sostanza, riassuntiva della posizione di Platone può ritenersi la tesi, espressa nel suo ultimo dialogo, per cui «la verità sta al vertice di tutti i beni». Una verità che – rispetto a quanto sarà sostenuto dalla successiva tradizione filosofica – si caratterizza per essere non soltanto la corretta descrizione logico-fenomenologica del come le cose sono, ma anche la adeguata comprensione onto-assiologica del come le cose devono essere (per conformarsi alla verità-bene).

Il fatto che le interpretazioni di Gadamer e Heidegger, per quanto errate – ossia smentite dai testi e dall’approccio generale di Platone –, siano oggi le più diffuse, può essere spiegato. Il nostro tempo infatti, ossia il nostro contesto storico-sociale, pure sovente descritto come l’epoca della fine degli Assoluti, ha un implicito ma imprescindibile Assoluto di riferimento, costituito dal mercato e dalle sue leggi. Determinato da queste modalità, esso tende a rifiutare ogni altro Assoluto, ossia ogni norma onto-assiologica alternativa, ogni verità stabile che mostri che non stiamo vivendo in maniera conforme al bene. La concezione onto-assiologica platonica mostra però proprio questo, indicando che solo entro modalità sociali comunitarie (non privatistiche né mercificate) gli uomini possono condurre una buona vita. Non stupisce dunque, nell’attuale contesto, che il messaggio filosofico-politico di Platone sia stato deformato, e che Platone sia oramai apprezzato principalmente come un relativistico narratore di miti. La scuola tuttavia, ed in particolare l’università, ha il compito di proporre la storia della filosofia – specialmente con riferimento ad un’opera quale quella di Platone – nella maniera il più possibile corretta: anche in questo consiste, almeno in parte, una buona educazione.

 

Luca Grecchi

Già pubblicato su “Sicilia Journal” del 03-12-2015.

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Luca Grecchi

Luca Grecchi (1972), direttore della rivista di filosofia Koinè e della collana di studi filosofici Il giogo presso la casa editrice Petite Plaisance di Pistoia, insegna Storia della Filosofia presso la Università degli Studi di Milano Bicocca. Da alcuni anni sta strutturando un sistema onto-assiologico definito “metafisica umanistica”, che vorrebbe costituire una sintesi della struttura sistematica della verità dell’essere. Esso rappresenta, nella sua opera, la base teoretica di riferimento sia per la fondazione di una progettualità sociale anticrematistica, sia per la interpretazione dei principali pensieri filosofici. Grecchi è soprattutto autore di una ampia interpretazione umanistica dell’antico pensiero greco, nonché di alcuni studi monografici su filosofi moderni e contemporanei, e di libri tematici su importanti argomenti (la metafisica, la felicità, il bene, la morte, l’Occidente). Collabora con la rivista on line Diogene Magazine e con il quotidiano on line Sicilia Journal. Ha pubblicato libri-dialogo con alcuni fra i maggiori filosofi italiani, quali Enrico Berti, Umberto Galimberti, Costanzo Preve, Carmelo Vigna.

Libri di Luca Grecchi

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L’anima umana come fondamento della verità (2002) è il primo libro di Grecchi, che pone, in maniera stilizzata, il sistema metafisico umanistico su cui sono poi strutturati i suoi libri successivi. La tesi centrale di questo libro è appunto che l’anima umana, intesa come la natura razionale e morale dell’uomo, è il fondamento onto-assiologico della verità dell’essere. Questo sistema metafisico costituisce la base per una analisi critica della attuale totalità sociale, e per una progettualità comunitaria finalizzata alla realizzazione di un modo di produzione sociale conforme alle esigenze della natura umana.

Karl Marx nel sentiero della verità (2003) costituisce una interpretazione metafisico-umanistica del pensiero di Marx, che viene analizzato nei suoi nodi essenziali, spesso in aperta critica con la secolare tradizione marxista. Nato originariamente come elaborazione degli studi di economia politica dell’autore compiuti negli anni novanta del Novecento, il testo assume carattere filosofico-politico. Marx è analizzato come il pensatore moderno che, rifacendosi implicitamente al pensiero greco, realizza la migliore critica al modo di produzione capitalistico, pur non elaborando – per carenza di fondazione filosofica – un adeguato discorso progettuale.

Verità e dialettica. La dialettica di Hegel e la teoria di Marx costituisce in un certo senso una integrazione del precedente Karl Marx nel sentiero della verità. Il testo effettua una sintesi originale, appunto, sia della dialettica di Hegel che della teoria di Marx. Pur riconoscendo l’influenza del pensiero di Hegel nelle opere del Marx maturo, Grecchi propone la tesi che il pensiero di Marx, strutturatosi nei suoi punti cardinali prima del suo studio attento ed approfondito della Scienza della Logica, sia nella sua essenza non dialettico. Una versione sintetica di questo libro è stata pubblicata sulla rivista Il Protagora nel 2007.

La verità umana nel pensiero religioso di Sergio Quinzio (2004) con introduzione di Franco Toscani, è una sintesi monografica sul pensiero del grande teologo scomparso nel 1996. Il testo presenta al proprio interno una analisi del pensiero ebraico e cristiano, unita ad una rilettura poetica ed umanistica del testo biblico. Il tema centrale è quello della morte, e della speranza nella resurrezione su cui Quinzio ripetutamente riflette, e che vede continuamente delusa. Al di là dei riferimenti religiosi, la riflessione del teologo si presta ad una profonda considerazione sulla fragilità della vita umana.

Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino (2005) con introduzione di Alberto Giovanni Biuso, è una sintesi monografica sul pensiero del grande filosofo italiano. Il testo presenta al proprio interno una analisi critica del nucleo essenziale della ontologia di Severino e delle sue analisi storico-filosofiche e politiche. Esiste uno scambio di lettere fra Severino e Grecchi in cui il filosofo bresciano mostra la sua netta contrarietà alla interpretazione ricevuta. Il testo, tuttavia, è segnalato nella Enciclopedia filosofica Bompiani come uno dei libri di riferimento per la interpretazione del pensiero severiniano.

Il necessario fondamento umanistico della metafisica (2005) è un breve saggio in cui, prendendo come riferimento la metafisica classica (ed in particolare le posizioni di Carmelo Vigna), l’autore critica la centralità dell’approccio logico-fenomenologico rispetto al tema della verità, ritenendo necessario anche l’approccio onto-assiologico. Per Grecchi infatti la verità consiste non solo nella descrizione corretta di come la realtà è, ma anche di come essa – la parte che può modificarsi – deve essere per conformarsi alla natura umana. Si tratta del primo confronto esplicito fra la proposta di Grecchi della metafisica umanistica e la metafisica classica di matrice aristotelico-tomista.

Filosofia e biografia (2005) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Umberto Galimberti. Nel testo si ripercorre il pensiero galimbertiano nei suoi contenuti essenziali, ma si pone in essere anche una serrata analisi di molti temi filosofici, politici e sociali, in cui spesso emerge una sostanziale differenza di posizioni fra i due autori. Di particolare interesse le pagine dedicate al pensiero simbolico, all’analisi della società, ed alla interpretazione dell’opera di Emanuele Severino. Percorre il testo la tesi per cui la genesi di un pensiero filosofico deve necessariamente essere indagata, per giungere alla piena comprensione dell’opera di un autore.

Il pensiero filosofico di Umberto Galimberti (2005), con introduzione di Carmelo Vigna, è un testo monografico completo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo. Si tratta di un testo in cui Grecchi, sintetizzando la complessa opera di questo autore, prende al contempo posizione non solo nei confronti della medesima, ma anche di filosofi quali Nietzsche, Heidegger, Jaspers, che nel pensiero di Galimberti costituiscono riferimento imprescindibili. Vigna, nella sua introduzione, ha definito il libro «una ricostruzione seria ed attendibile del pensiero del filosofo» in esame.

Conoscenza della felicità (2005), con introduzione di Mario Vegetti, è uno dei testi principali di Grecchi, in cui l’autore applica il proprio approccio classico umanistico alla società attuale, mostrando come essa si ponga in radicale opposizione alle possibilità di felicità. L’autore, seguendo la matrice onto-assiologica del pensiero greco, mostra che solo conoscendo che cosa è l’uomo risulta possibile conoscere cosa è la felicità. Scrive Vegetti, nel testo, che Grecchi è «pensatore a suo modo classico», per il suo «andar diritto verso il cuore dei problemi». Il libro è assunto come riferimento bibliografico, per il tema in oggetto, dalla Enciclopedia filosofica Bompiani. .

Marx e gli antichi Greci (2006) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Costanzo Preve. Nel testo viene effettuata una analisi non tanto filologica, quanto ermeneutica e teoretica dei rapporti del pensiero di Marx col pensiero greco. I due autori, concordando su molti punti, colmano così in parte una lacuna della pubblicistica su questo tema, che risulta essere stato nel tempo assai poco indagato. Di particolare interesse l’analisi effettuata dai due autori di quale potrebbe essere, sulla base insieme del pensiero dei Greci e di Marx, il miglior modo di produzione sociale alternativo rispetto a quello attuale.

Vivere o morire. Dialogo sul senso dell’esistenza fra Platone e Nietzsche (2006), con introduzione di Enrico Berti, è un saggio composto ponendo in ideale dialogo Platone e Nietzsche su importanti temi filosofici, politico e morali: l’amore, la morte, la metafisica, la vita ed altro ancora. Scrive Berti, nella sua introduzione, che, come accadeva nel genere letterario antico dell’invenzione, Grecchi non nasconde lo scopo “politico” della sua opera, la quale «risulta essere innanzitutto un documento significativo di amore per la filosofia e di vitalità di quest’ultima, in un momento in cui l’epoca della filosofia sembrava conclusa».  

Il filosofo e la politica. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la vita politica (2006) è una ricostruzione del pensiero filosofico-politico di Platone effettuata in un continuo confronto con le vicende della attualità. In questo libro Grecchi pone esplicitamente Platone, in maniera insieme divulgativa ed originale, come proprio pensatore di riferimento. Il filosofo ateniese infatti, a suo avviso, pur scrivendo molti secoli or sono, rimane tuttora colui che ha offerto le migliori analisi, e le migliori soluzioni, per pensare una migliore totalità sociale, ossia un ambiente comunitario adatto alla buona vita dell’uomo.

La filosofia politica di Eschilo. Il pensiero “filosofico-politico” del più grande tragediografo greco (2007) costituisce una interpretazione, in chiave appunto filosofico-politica, dell’opera di Eschilo. Lo scopo principale di questo libro è quello di “togliere” Eschilo dallo specialismo degli studi poetico-letterari, per inserirlo – come si dovrebbe fare per tutti i tragici greci – nell’ambito del pensiero filosofico-politico. Nel testo viene presa in carico l’analisi precedentemente svolta da Emanuele Severino ne Il giogo (1988), ritenendone validi molti aspetti ma giungendo, alla fine, a conclusioni opposte circa il presunto “nichilismo” di Eschilo.

Il presente della filosofia italiana (2007) è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i più importanti filosofi italiani contemporanei pubblicati dopo il 2000. Gli autori analizzati vengono ripartiti in quattro categorie: 1) pensatori “ermeneutici-simbolici” (Sini, Vattimo, Cacciari, Natoli); 2) pensatori “scientifici-razionalisti” (Tarca, Antiseri, Giorello); 3) pensatori “marxisti-radicali” (Preve, Losurdo); 4) pensatori “metafisici-teologici” (Reale). Il testo è arricchito da due appendici e da una ampia postfazione di Costanzo Preve. In questi testi Grecchi oppone criticamente, ai vari approcci, il proprio discorso metafisico-umanistico.

Corrispondenze di metafisica umanistica (2007) è una raccolta di testi in cui sono contenuti scambi epistolari, nonché risposte di Grecchi ad introduzioni e recensioni di suoi libri. Il testo rispecchia la tendenza dell’autore a prendere sempre seriamente in carico le altrui posizioni; secondo Grecchi, infatti, di fronte a critiche intelligenti, sono solo due gli atteggiamenti filosofici possibili: o fornire argomentate risposte, o prendere atto della correttezza delle critiche e rivedere le proprie posizioni. Il tema caratterizzante il testo è dunque la “lotta amichevole” per la emersione della verità.

L’umanesimo della antica filosofia greca (2007) è un libro in cui Grecchi effettua, in sintesi, la propria interpretazione complessiva della Grecità. Partendo da Omero, e giungendo fino al pensiero ellenistico, l’autore mostra come non la natura, né il divino, né l’essere furono i temi principali del pensiero greco, bensì l’uomo, soprattutto nella sua dimensione politico-sociale. L’uomo infatti assume centralità, in vario modo, in tutti i vari filoni culturali della Grecità, dal pensiero omerico a quello presocratico, dal teatro fino all’ellenismo.

L’umanesimo di Platone (2007) è un testo monografico sul pensiero di Platone, da Grecchi in quegli anni ritenuto come il più rappresentativo della Grecità. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse interpretazioni finora effettuate del pensiero platonico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Platone la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la centralità della posizione anti-crematistica, all’interno di una considerazione progettuale e della totalità sociale.

L’umanesimo di Aristotele (2008) è un testo monografico sul pensiero di Aristotele, che sarà poi da Grecchi ripreso negli anni successivi come struttura teoretica di riferimento. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse tematiche del pensiero aristotelico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Aristotele – così come in Platone, ma in forma differente – la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la centralità della posizione anti-crematistica, all’interno di una considerazione progettuale della totalità sociale.

Chi fu il primo filosofo? E dunque: cos’è la filosofia? (2008), con introduzione di Giovanni Casertano, è un libro suddiviso in due parti. Nella prima parte, prendendo come riferimento alcuni fra i principali manuali di storia della filosofia italiani, Grecchi mostra come essi spesso non definiscano l’oggetto del loro studio, ossia la filosofia, dichiarandola talvolta addirittura indefinibile. L’autore, invece, offre in questo libro la propria definizione di filosofia come caratterizzata da due contenuti imprescindibili: a) la centralità dell’uomo; b) la ricerca, il più possibile fondata ed argomentata, della verità dell’intero. Nella seconda parte l’autore esamina dieci possibilità alternative su “chi fu il primo filosofo”, giungendo a concludere che, pur all’interno del contesto comunitario della riflessione greca, il candidato più accreditato risulta essere Socrate.

Socrate. Discorso su Le Nuvole di Aristofane (2008) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore Guida, di un discorso che avrebbe potuto essere tenuto da Socrate ad Atene l’indomani della rappresentazione della famosa commedia di Aristofane. Si tratta, come è nello stile della collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e spiritosa, in cui Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria interpretazione, insieme umanistica ed anticrematistica, del pensiero socratico. Tale interpretazione risulta convergente con quelle offerte, nella medesima collana, da Mario Vegetti su Platone e da Enrico Berti su Aristotele.

Occidente: radici, essenza, futuro (2009), con introduzione di Diego Fusaro, è un testo in cui l’autore analizza il concetto di Occidente e le sue tradizioni culturali costitutive, sempre in base al proprio sistema metafisico-umanistico. Analizzando le radici greche, ebraiche, cristiane, romane e moderne, ma soprattutto l’attuale contesto storico-sociale, Grecchi coglie nella prevaricazione derivante dalla smodata ricerca crematistica l’essenza dell’Occidente, ed individua per lo stesso un futuro cupo. Il testo è arricchito dal dialogo con Fusaro, alla cui introduzione Grecchi risponde in una appendice finale.

Il filosofo e la vita. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la buona vita (2009), è una raccolta di brevi saggi in cui l’autore, prendendo spunto da alcuni passi del pensiero platonico, e più in generale del pensiero greco classico, affronta sinteticamente alcune tematiche centrali per la vita umana (l’amore, la famiglia, la filosofia, la storia, le leggi, la democrazia, l’educazione, l’università, la mafia, la libertà, ecc.), col consueto approccio attualizzante, ovvero facendo interagire – nel rispetto del contesto storico-sociale dell’epoca in cui tale pensiero nacque – il pensiero platonico col nostro tempo. Il libro è arricchito da un lungo saggio finale di Costanzo Preve, intitolato “Luca Grecchi interprete dei filosofi classici Greci” (con risposta), in cui il filosofo torinese sintetizza le posizioni dell’autore.

L’umanesimo della antica filosofia cinese (2009) costituisce il primo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale (l’unica nel nostro paese effettuata da un solo autore). Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero cinese risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia cinese, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero cinese.

L’umanesimo della antica filosofia indiana (2009) costituisce il secondo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero indiano risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia indiana, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero indiano.

L’umanesimo della antica filosofia islamica (2009) costituisce il terzo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero islamico risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia islamica, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero islamico.

A partire dai filosofi antichi (2010), con introduzione di Carmelo Vigna, è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Enrico Berti. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, apportando interpretazioni originali non soltanto – anche se soprattutto – dei principali filosofi antichi, ma anche di quelli moderni e contemporanei. Non mancano inoltre considerazioni su temi di attualità, nonché su temi di interesse generale, quali l’educazione, la scuola e la politica. Scrive Vigna, nella introduzione, che «questo testo è tra le cose più interessanti che si possano leggere oggi nel panorama della filosofia italiana».

L’umanesimo di Plotino (2010) è un libro in cui l’autore colma una distanza temporale fra il periodo classico ed il periodo ellenistico della Roma imperiale. Il testo si divide in due parti. Nella prima, in ossequio alla tesi per cui ogni pensiero filosofico deve essere inserito all’interno del proprio contesto storico-sociale (anche in quanto è all’interno del medesimo che esso spesso “deduce” le proprie categorie), l’autore realizza una analisi del modo di produzione sociale greco e di quello romano, per tracciare alcune differenze importanti fra l’epoca classica e l’epoca ellenistica. Nella seconda parte, che è la più ampia, è invece analizzato, in base alle dieci tematiche ritenute centrali, il pensiero di Plotino.

Perché non possiamo non dirci Greci (2010) è un libro in cui l’autore sintetizza, in termini divulgativi, le proprie posizioni generali sui Greci. Il testo prende spunto dalla rilettura, in controluce, del classico di Benedetto Croce intitolato Perché non possiamo non dirci cristiani, per mostrare non solo come le radici greche siano almeno altrettanto importanti di quelle cristiane per la cultura europea, ma soprattutto che una loro ripresa sarebbe fortemente auspicabile. Il testo è completato da una ampia appendice inedita che costituisce una analisi critica del pensiero ellenistico (in rapporto a quello classico) incentrata sulle opere di Epicuro e di Luciano di Samosata.

La filosofia della storia nella Grecia classica (2010) è il testo ermeneutico forse più originale di Grecchi. Alla cultura greca si attribuisce infatti, solitamente, la nascita dei tronchi di pressoché tutte le discipline filosofiche e scientifiche tuttora studiate nella modernità (con varie ramificazioni). Tradizionalmente, tuttavia, la filosofia della storia è ritenuta essere disciplina moderna, senza precedenti antichi. Analizzando l’opera di storici, letterati e filosofi dell’epoca preclassica e classica, l’autore mostra invece le radici antiche anche di questo campo di studi, contribuendo ad un chiarimento teoretico della disciplina stessa.

Sulla verità e sul bene (2011), con introduzione di Enrico Berti e postfazione di Costanzo Preve, è un libro-dialogo con uno dei maggiori filosofi italiani, Carmelo Vigna. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, insieme agli importanti temi teoretici ed etici che danno il titolo al volume. Scrive Berti, nella introduzione, che si tratta di «una serie di discussioni oltremodo interessanti tra due filosofi che sono divisi da due diverse, anzi opposte, concezioni della metafisica, ma sono accomunati dalla considerazione per la filosofia classica e soprattutto da un grande amore per la filosofia in sé stessa».

Gli stranieri nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore, prendendo distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano gli antichi Greci come vicini alla xenofobia, mostra che, sin dall’epoca omerica, essi furono invece aperti all’ospitalità verso gli stranieri. Preceduto da una analisi anti-ideologica delle categorie di “razza”, “etnia”, “multiculturalismo” ed altre, Grecchi rimarca come sia stato centrale, nel pensiero greco classico, il concetto di “natura umana”, il quale possiede basi teoretiche salde ed una costante presenza nella riflessione greca, che l’autore appunto caratterizza come “umanistica”.

Diritto e proprietà nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore prende in carico i temi poco indagati del diritto e della proprietà nella antica Grecia. Si tratta di temi molto importanti per comprendere il contesto storico-sociale in cui nacque la cultura greca, e che pertanto non possono essere ignorati da chi studia la filosofia di questo periodo. Il testo sviluppa inoltre un confronto con il diritto romano – che si rivela assai meno comunitario di quello greco – e con il nostro tempo, per mostrare come la cultura greca possieda, anche sul piano giuridico, contenuti che sarebbero tuttora importanti da applicare.

L’umanesimo di Omero (2012) è un libro in cui l’autore effettua una analisi teoretica ed etica del pensiero omerico, inserendo l’antico poeta nel novero del pensiero filosofico, rompendo il tradizionale isolamento nel campo letterario che da secoli caratterizza questo autore. Grecchi insiste in particolare sul carattere di educazione filosofica dei poemi omerici, mostrando come essi abbozzino temi ontologici e soprattutto assiologici poi elaborati dalla intera riflessione classica. Il testo si distingue per il continuo aggancio dei miti omerici alla contemporaneità.

L’umanesimo politico dei “Presocratici” (2012) è un libro in cui l’autore, centralizzando il carattere politico-sociale del loro pensiero, prende distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano questi pensatori come “naturalisti”, e che li separano sia dalla poesia e dal teatro precedenti, sia dalla filosofia e dalla scienza successive. L’autore, facendo riferimento agli studi di Mondolfo, Capizzi, Bontempelli e soprattutto Preve, mostra il nesso di continuità del pensiero presocratico con l’intero pensiero greco classico. Risultano centrali, in questa trattazione, le figure di Solone e Clistene, oltre a quelle più consuete di Eraclito, Parmenide e Pitagora.

Il presente della filosofia nel mondo (2012), con postfazione di Giacomo Pezzano, è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i maggiori filosofi contemporanei non italiani (fra gli altri Bauman, Habermas, Hobsbawm, Latouche, Nussbaum, Onfray, Zizek). Nella introduzione si rileva, come caratteristica principale della filosofia del nostro tempo, la presenza in solidarietà antitetico-polare di una corrente scientifico-razionalistica ed, al contempo, di una corrente aurorale-simbolica. Esse occupano il centro della scena escludendo dal “campo di gioco” la filosofia onto-assiologica di matrice classica, presente oramai solo in un numero limitato di studiosi.

Il pensiero filosofico di Enrico Berti (2013), con presentazione di Carmelo Vigna e postfazione di Enrico Berti, è un testo monografico introduttivo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo, uno dei maggiori studiosi mondiali del pensiero di Aristotele. Rapportandosi a tematiche quali l’interpretazione degli antichi, la storia della filosofia, l’educazione, l’etica, la politica, la metafisica, la religione, Grecchi non si limita a descrivere il pensiero dell’autore considerato ma, come è nel suo approccio, valuta; in maniera solitamente concorde, eppure talvolta anche critica, in particolare nella opposizione fra metafisica classica e metafisica umanistica.

Il necessario fondamento umanistico del “comunismo” (2013) è un libro scritto a quattro mani con Carmine Fiorillo, in cui gli autori mostrano come la diffusa critica (marxista e non) al modo di produzione capitalistico, priva di una fondata progettualità, risulti sterile ed inefficace. Assumendo come base principalmente il pensiero greco classico (ma anche le componenti umanistiche di altri orizzonti culturali), gli autori mostrano che solo mediante una solida fondazione filosofica è possibile favorire la progettualità di un ideale modo di produzione sociale in cui vivere, che gli autori appunto definiscono – ma differenziandosi fortemente dalla tradizione marxista – “comunismo”.

Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia (2013) è un pamphlet in cui si mostra che le attuali modalità accademiche di insegnamento della filosofia, incentrate sullo specialismo, non ripropongono più il modello greco classico della filosofia come ricerca fondata ed argomentata della verità onto-assiologica dell’intero, che Grecchi assume invece ancora come centrale. L’autore mostra come la causa principale di questa situazione sia attribuibile ai processi socio-culturali del modo di produzione capitalistico.

La musa metafisica. Lettere su filosofia e università (2013), con Giovanni Stelli, costituisce uno scambio epistolare nato dal commento di Stelli al pamphlet Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia. A partire da questo tema lo scambio ha assunto una rilevanza ed una ampiezza tale, estendendosi a contenuti storici, culturali e politici, da renderne di qualche utilità la pubblicazione. In esso Grecchi anticipa alcuni temi portanti del suo testo che sarà intitolato Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere, cui sta lavorando dal 2003.

Discorsi di filosofia antica (2014) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sull’uomo nella cultura greca, da Omero all’ellenismo, tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2013. Esso accoglie inoltre i testi di alcune conferenze sul pensiero antico svolte dall’autore nel 2013 e 2014, ed in particolare, in appendice, un saggio inedito sulla alienazione nella antica Grecia. Quest’ultimo è un tema poco indagato in quanto mancano, alla mentalità filologica – poco teoretica – tipica del mondo accademico di oggi, i necessari riferimenti testuali (i Greci non avevano nemmeno la parola “alienazione”); questo saggio tuttavia può aprire un filone di ricerca su una tematica tuttora inesplorata.

Omero tra padre e figlia (2014) è un libro-dialogo con Benedetta Grecchi, figlia di 6 anni dell’autore, sulle vicende di Odisseo narrate appunto nella Odissea di Omero. Il testo costituisce – come recita il sottotitolo – una “piccola introduzione alla filosofia”, passando attraverso i contenuti educativi dell’opera omerica già delineati dall’autore nel libro L’umanesimo di Omero. Questo dialogo tra padre e figlia mostra come la filosofia possa passare anche ai bambini evitando, da un lato, di essere ridotta a “gioco logico”, e dal lato opposto di essere presentata come “chiacchiera inconcludente”.

Discorsi sul bene (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sul Bene tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2014. In appendice sono aggiunte una intervista filosofica e due relazioni su temi etico-politici. Il testo si rivela importante in quanto, all’interno di un approccio aristotelico – in cui in sostanza il Bene è il fine verso cui ogni ente, per natura, tende –, Grecchi indica nel rispetto e nella cura dell’uomo (e del cosmo: gli elementi portanti del suo Umanesimo) i contenuti fondamentali del Bene.

Discorsi sulla morte (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2015. L’autore, delineando le principali concezioni della morte presenti nella storia della filosofia, con particolare riferimento agli antichi Greci ed a Giacomo Leopardi, mostra come la rimozione di questo tema costituisca una delle principali concause di alcune psicopatologie del nostro tempo.

L’umanesimo della cultura medievale (2016) è un libro che raccoglie i contenuti umanistici del pensiero medievale. Rispetto alle interpretazioni tradizionali, ancora caratterizzate da una descrizione del Medioevo come età oscura, questo testo mostra il carattere umanistico in particolare della Scolastica aristotelica. Rispetto ai consueti autori di riferimento, ossia Agostino e Tommaso, particolare importanza è attribuita in questo volume a due autori del XIII secolo, Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia (solitamente poco considerati), nonché alle ripetute condanne ecclesiastico-accademiche dell’aristotelismo che ebbero il loro punto culminante nel 1277.

L’umanesimo della cultura rinascimentale (2016) è un libro che critica la tradizionale interpretazione umanistica del pensiero rinascimentale del XIV e XV secolo. Rispetto, infatti, alla vulgata comune, che ritiene centrale in questo periodo la riscoperta filologica ed ermeneutica dei testi di Platone e di altri autori antichi, Grecchi reputa centrale la filocrematistica, e dunque la rottura – operata da modalità sociali sempre più privatistiche e mercificate, cui la cultura dell’epoca si adeguò – del legame sociale comunitario proprio dell’epoca medievale. Il Rinascimento costituì dunque, a suo avviso, la prima apertura culturale verso la modernità capitalistica.

In preparazione:

Umanesimo ed antiumanesimo nella filosofia moderna (e contemporanea);

L’umanesimo greco-classico di Spinoza;

Il sistema filosofico di Aristotele;

Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere.

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Henri Poincaré (1854-1912) – La matematica e la logica.

 

Poincare,Jules-Henri

Qualche anno fa ho avuto occasione di esporre alcune idee sulla logica dell’infinito, sull’impiego dell’infinito in Matematica, sull’uso che se ne fa da Cantor in poi; ho spiegato perché non ritenevo legittime certe modalità di ragionamento di cui avevano creduto potersi servire alcuni matematici eminenti. Mi tirai ovviamente addosso delle repliche violente; questi matematici erano convinti di non essersi sbagliati, credevano di avere avuto il diritto di fare quello che avevano fatto. La discussione andava per le lunghe, non che si vedessero continuamente comparire argomenti nuovi, ma per il fatto che si girava sempre nello stesso cerchio, ciascuno ripetendo quello che aveva appena detto senza far mostra di aver inteso quello che l’avversario aveva detto. Mi veniva in ogni momento spedita una nuova dimostrazione del principio contestato, per mettersi, così si diceva, al riparo da ogni obiezione; ma questa dimostrazione era sempre la stessa, con il trucco appena rifatto. Non si è quindi giunti a nessuna conclusione; se dicessi di esserne rimasto sorpreso darei un’idea triste della mia capacità di penetrazione psicologica.
In queste condizioni conviene ripetere una volta di più gli stessi argomenti, ai quali potrei forse dare una forma nuova, ma della sostanza dei quali non potrei cambiare niente, dal momento che mi pare non si sia neanche cercato di confutarli. Mi sembra preferibile cercare quale possa essere l’origine di una differenza di mentalità tale da generare queste divergenze nei punti di vista. Ho appena detto che queste divergenze irriducibili non mi avevano sorpreso, che le avevo previste fin dal primo momento, ma questo non ci dispensa dal cercarne una spiegazione; possiamo prevedere un fatto in seguito ad esperienze ripetute e trovarci tuttavia in forte imbarazzo a spiegarlo.
Cerchiamo dunque di studiare la psicologia delle due scuole rivali, da un punto di vista puramente oggettivo, come se noi stessi fossimo collocati al di fuori di queste scuole, come se descrivessimo una guerra tra due formicai; constateremo in prima battuta l’esistenza tra i matematici di due tendenze opposte nella maniera di considerare l’infinito. Per gli uni, l’infinito deriva dal finito, c’è un infinito in quanto c’è un’infinità di cose finite possibili; per gli altri l’infinito preesiste al finito, il finito si ottiene staccando un pezzettino nell’infinito.
Un teorema deve poter essere verificato ma, visto che noi stessi siamo finiti, non possiamo operare che su oggetti finiti; anche ammettendo quindi che la nozione di infinito abbia un ruolo nell’enunciato del teorema, occorre che nella verifica non se ne faccia più menzione; altrimenti la verifica sarebbe impossibile.
Porterò come esempi teoremi di questo genere: la successione dei numeri interi è illimitata, la serie

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è convergente, ecc.; ciascuno di essi può tradursi in uguaglianze o disuguaglianze in cui non figurino che numeri finiti. Questi teoremi partecipano dell’infinito, non in quanto una delle verifiche possibili ne partecipi essa stessa, ma in quanto le verifiche possibili sono in numero infinito.
Enunciando il teorema affermo che tutte queste verifiche avranno successo; ben inteso, non le si fanno tutte; ce ne sono di quelle che chiamo possibili perché non esigerebbero che un tempo finito, ma che sarebbero impossibili in pratica perché richiederebbero anni di lavoro. Mi basta che si possa concepire qualcuno abbastanza ricco ed abbastanza pazzo da tentare l’impresa pagando un numero sufficiente di aiutanti. La dimostrazione del teorema ha come scopo esattamente quello di rendere inutile questa follia.
Ha senso un teorema che non comporti alcuna conclusione verificabile? o, più in generale, un teorema qualsiasi ha senso al di fuori delle verifiche che comporta? È su questo punto che i matematici si dividono. Quelli della prima scuola, quelli che chiamerò Pragmatisti (dato che bisogna pur dare loro un nome) rispondono di no, e quando viene presentato loro un teorema senza fornire un mezzo per verificarlo non ci vedono che acqua fresca. Costoro non vogliono prendere in considerazione che oggetti che possano essere definiti in un numero finito di parole; quando nel corso di un ragionamento parliamo loro di un oggetto A che soddisfa a certe condizioni, essi sottintendono un oggetto che soddisfa a queste condizioni quali che siano le parole di cui ci si servirà per definirlo, purché queste parole siano in numero finito.
Quelli dell’altra scuola, che chiamerò per brevità Cantoriani, non sono disposti ad ammettere tutto ciò; un uomo, per quanto sia chiacchierone, non pronuncerà mai nella sua vita più di un miliardo di parole; vogliamo dunque escludere dalla Scienza gli oggetti la cui definizione richieda un miliardo di parole più una? e se non li escludiamo, perché dovremmo escludere quelli che non possono essere definiti che con un’infinità di parole, dal momento che la costruzione degli uni come quella degli altri è al di fuori della portata dell’umanità?
Quest’argomento lascia ovviamente freddi i Pragmatisti; per quanto chiacchierone sia un uomo, l’umanità sarà ancora più chiacchierona e, visto che non sappiamo quanto tempo durerà, non possiamo limitare in anticipo il dominio delle sue investigazioni; sappiamo soltanto che questo dominio resterà sempre limitato; ed anche se potessimo fissare la data della sua scomparsa ci sarebbero altri che potrebbero riprendere l’opera lasciata incompiuta sulla Terra; i Pragmatisti non avrebbero d’altronde alcuna remora ad immaginare un’umanità molto più chiacchierona della nostra, ma che conservi ancora qualcosa di umano; essi si rifiutano di ragionare sull’ipotesi di non so quale divinità infinitamente chiacchierona e capace di pensare un’infinità di parole in un tempo finito. E gli altri pensano al contrario che gli oggetti esistano, in una sorta di grande negozio, indipendentemente da qualsiasi umanità o divinità che potesse parlarne o pensarci; che in questo negozio possiamo fare la nostra scelta, che molto probabilmente non abbiamo abbastanza appetito o abbastanza denaro per comprare tutto; ma che l’inventario del negozio sia indipendente dalle risorse degli acquirenti. E da questo malinteso iniziale discende ogni genere di divergenza sulle questioni di dettaglio.
Prendiamo ad esempio il teorema di Zermelo, secondo il quale lo spazio può essere trasformato in un insieme ben ordinato; i Cantoriani saranno sedotti dal rigore, reale o apparente, della dimostrazione; i Pragmatisti gli risponderanno: Dite di essere in grado di trasformare lo spazio in un insieme ben ordinato; ebbene! trasformatelo. – Sarebbe troppo lungo. – Allora mostrateci almeno che qualcuno che avesse abbastanza tempo e pazienza potrebbe compiere la trasformazione. – No, non lo possiamo perché il numero di operazioni da fare è infinito, è addirittura più grande di Aleph-con-zero. – Potete mostrare come si potrebbe esprimere in un numero finito di parole la legge che permetterebbe di ordinare lo spazio? – No. – Ed i Pragmatisti concludono che il teorema è privo di senso, o falso, o per lo meno non dimostrato.
I Pragmatisti si pongono dal punto di vista dell’estensione ed i Cantoriani dal punto di vista della comprensione. Quando si tratta di una collezione finita, questa distinzione non può interessare che i teorici della logica formale; ma essa ci appare molto più profonda nel caso delle collezioni infinite. Se ci si pone dal punto di vista dell’estensione una collezione si costituisce per aggiunta successiva di nuovi membri; possiamo, combinando i vecchi oggetti, costruire oggetti nuovi, con questi ultimi oggetti ancora più nuovi, e se la collezione è infinita è perché non c’è ragione di fermarsi.
Dal punto di vista della comprensione, al contrario, partiamo dalla collezione in cui si trovano oggetti preesistenti, che ci appaiono in un primo momento come indistinti, ma finiamo per riconoscere qualcuno di essi perché attacchiamo loro delle etichette e li sistemiamo in cassetti; ma gli oggetti sono anteriori alle etichette, e la collezione esisterebbe anche se non esistesse nessun catalogatore che la classificasse.
Per i Cantoriani la nozione di numero cardinale non comporta alcun mistero. Due collezioni hanno lo stesso numero cardinale quando le si può sistemare negli stessi cassetti; niente di più facile dal momento che le due collezioni preesistono, e che possiamo allo stesso modo considerare come preesistente una collezione di cassetti indipendente dai catalogatori incaricati di sistemarvi gli oggetti. Per i Pragmatisti le cose non vanno in questo modo; la collezione non è preesistente, ma s’arricchisce ogni giorno: si aggiungono continuamente nuovi oggetti, che non avremmo potuto definire senza appoggiarci alla nozione degli oggetti già classificati in precedenza ed alla maniera in cui sono stati classificati. Ad ogni nuova acquisizione il catalogatore può essere costretto a rivoluzionare i cassetti per trovare il modo di incasellarla: non sapremo mai se due collezioni possano sistemarsi negli stessi cassetti, dal momento che possiamo sempre temere che sia necessario rimetterli in ordine. Per esempio, i Pragmatisti non ammettono che oggetti che possano essere definiti in un numero finito di parole; le definizioni possibili, essendo esprimibili per mezzo di frasi, possono sempre essere numerate con numeri ordinari da uno fino all’infinito. In questo rispetto non ci sarebbe che un solo numero cardinale infinito possibile, il numero Aleph-con-zero; perché diciamo allora che la potenza del continuo non è quella dei numeri interi? Sì, dati tutti i punti dello spazio che sappiamo definire con un numero finito di parole, sappiamo immaginare una legge, esprimibile essa stessa con un numero finito di parole, che li faccia corrispondere alla successione dei numeri interi; ma consideriamo ora delle frasi in cui figuri la nozione di questa legge di corrispondenza; fino ad un attimo fa esse non avevano alcun senso, in quanto questa legge non era stata ancora inventata, e non potevano servire a definire punti dello spazio; ora hanno acquistato un senso, e ci permetteranno di definire nuovi punti dello spazio; ma questi nuovi punti non troveranno più posto nella classificazione adottata, il che ci costringerà a rivoluzionarla. Ed è questo quello che vogliamo dire quando diciamo, seguendo i Pragmatisti, che la potenza del continuo non è quella dei numeri interi. Vogliamo dire che è impossibile stabilire tra questi due insiemi una legge di corrispondenza che sia al riparo da questo genere di rivoluzione; mentre lo si può fare per esempio quando si tratta di una retta o di un piano. Quindi i Pragmatisti non sono certi che un insieme qualunque abbia, parlando in termini propri, un numero cardinale; oppure che dati due insiemi si possa sempre sapere se hanno la stessa potenza, o se uno ha una potenza più grande dell’altro. Arrivano così a dubitare dell’esistenza di Aleph-con-uno.
Un’altra fonte di divergenza viene dal modo di concepire la definizione. Ci sono più generi di definizione; le definizione diretta che può farsi sia per genus proximum et differentiam specificam sia per costruzione. Osserviamo di sfuggita che si danno definizioni incomplete, nel senso che definiscono non un individuo, ma un intero genere; esse sono legittime e sono anche quelle di cui si fa uso con maggiore frequenza; ma secondo i Pragmatisti occorre sottintendere l’insieme degli individui che soddisfano alla definizione e che potremmo definire completamente in un numero finito di parole; per i Cantoriani questa restrizione è artificiale e priva di significato.
Se non ci fossero che definizioni dirette l’impotenza della logica pura non potrebbe essere contestata; potremmo allora rimpiazzare ciascun termine di una qualunque proposizione con la sua definizione; portata a termine questa sostituzione la proposizione o non si ridurrebbe ad un’identità e non sarebbe quindi suscettibile di una dimostrazione puramente logica; oppure si ridurrebbe ad un’identità ed allora non sarebbe che una tautologia più o meno abilmente camuffata.
Ma abbiamo ancora un altro genere di definizioni, le definizioni per mezzo di postulati; in generale sapremo che l’oggetto da definire appartiene ad un genere, ma quando si tratterà di enunciare le differenze specifiche queste non verranno enunciate direttamente, ma con l’aiuto di un “postulato” cui l’oggetto definito dovrà soddisfare. È così che i matematici possono definire una quantità x per mezzo di un’equazione esplicita y = f(x) oppure per mezzo di un’equazione implicita F(x, y) = 0.
La definizione per mezzo di un postulato non ha valore se non quando si sia dimostrata l’esistenza dell’oggetto definito; in linguaggio matematico ciò vuoI dire che il postulato non implica contraddizione; non si ha il diritto di trascurare questa condizione; occorre o ammettere l’assenza di contraddizione come una verità intuitiva, come un assioma, per una sorta di atto di fede; ma allora occorre rendersi conto di quello che si fa e sapere che abbiamo allungato l’elenco degli assiomi indimostrabili; oppure occorre costruire una dimostrazione in piena regola, sia per mezzo dell’esempio, sia con l’impiego del ragionamento per ricorrenza. Non è che questa dimostrazione sia meno necessaria quando si tratta di una definizione diretta, ma è in generale più facile.
Certi Pragmatisti saranno più esigenti: per considerare legittima una definizione non basterà loro che non conduca a contraddizioni nei termini, pretenderanno anche che abbia un senso, secondo il loro punto di vista particolare che ho cercato di definire prima.
Sia come sia, la logica resterà sterile, dopo l’introduzione delle definizioni per mezzo di postulati? Non possiamo più, data una proposizione, rimpiazzare in essa un termine con la sua definizione; tutto quello che possiamo fare è eliminare questo termine tra la proposizione ed il postulato che gli serve di definizione. Se questa operazione, fatta secondo quelle che potremmo chiamare le regole dell’eliminazione logica, non ci conduce ad un’identità, la proposizione non è dimostrabile per mezzo della logica pura; se conduce ad un’identità, la proposizione non è che una tautologia. Non dovremo cambiare niente nelle nostre conclusioni di poco fa.
Ma esiste un terzo genere di definizioni, il che dà origine ad un nuovo malinteso tra Pragmatisti e Cantoriani. Sono ancora definizioni per mezzo di un postulato, ma il postulato è qui una relazione tra l’oggetto da definire e tutti gli individui di un genere cui lo stesso oggetto da definire è supposto fare parte (oppure di cui sono supposti fare parte enti che non possono essi stessi essere definiti che per mezzo dell’ oggetto da definire).

È quello che accade se poniamo i due postulati seguenti:

X (oggetto da definire) ha una certa relazione con tutti gli individui del genere G;
X fa parte del genere G;

oppure i tre postulati seguenti:

X ha una certa relazione con tutti gli individui del genere G;
Y ha una certa relazione con X;
Y fa parte di G.

Per i Pragmatisti, una definizione siffatta implica un circolo vizioso. Non si può definire X senza conoscere tutti gli individui del genere G, e di conseguenza senza conoscere X che è uno di questi individui. I Cantoriani non ammettono tutto ciò: il genere G ci è dato, di conseguenza ne conosciamo tutti gli individui, la definizione ha come scopo solo quello di discriminare tra questi individui quello che ha con tutti i suoi compagni la relazione enunciata. No, rispondono i loro avversari, la conoscenza del genere non vi fa conoscere tutti i suoi individui, vi dà solo la possibilità di costruirli tutti, o piuttosto di costruirne quanti ne vorrete. Non esisteranno che dopo che siano stati costruiti, cioè dopo che siano stati definiti; X non esiste che per mezzo della sua definizione, che non ha senso se non conosciamo in anticipo tutti gli individui di G ed in particolare X. Non servirebbe a niente dire, essi aggiungono, che definire X per mezzo della sua relazione con X non è un circolo vizioso, che questa relazione è in fin dei conti un postulato che può servire a definire X; perché occorrerebbe stabilire preliminarmente che questo postulato non implica contraddizione, ma non è questo che viene fatto di solito in questo genere di definizioni. Si dimostra in primo luogo che, quale che sia il genere G, di cui tutti gli individui sono supposti conosciuti, esiste un ente X che ha con questo genere la relazione in questione; cioè che l’esistenza di questo ente non implica contraddizione; resterebbe da far vedere che non c’è contraddizione tra l’esistenza di questo ente e l’ipotesi che questo stesso ente faccia parte del genere.
Il dibattito potrebbe andare per le lunghe; ma il punto che vorrei mettere in evidenza è che, se ammettessimo questo genere di definizioni, la logica non sarebbe più sterile, e prova ne è che è stata messa in piedi una pletora di ragionamenti destinati a dimostrare proposizioni che non erano assolutamente tautologie, dato che ci sono persone che si chiedono se non siano false. Non possiamo allora che ammirare il potere che può avere una parola. Ecco un oggetto da cui non si sarebbe potuto ricavare nulla, quando non era ancora stato battezzato; è stato sufficiente dargli un nome perché facesse meraviglie. Come è stato possibile tutto ciò? Il fatto è che dandogli un nome abbiamo affermato implicitamente che l’oggetto esisteva (era cioè scevro da ogni contraddizione) e che era completamente determinato. Ora, secondo i Pragmatisti di ciò non sappiamo niente. Qual è dunque il meccanismo che rende feconda la dimostrazione? Ma è proprio semplice, si nega la proposizione da dimostrare e si mostra che ci si trova in contraddizione con l’esistenza dell’oggetto X; e ciò è legittimo solo a condizione di essere certi di questa esistenza, e, d’altra parte, se sappiamo che l’oggetto è interamente determinato. Ed in effetti se X è dedotto dal genere G per mezzo della definizione, e se in seguito completiamo il genere G aggiungendogli l’oggetto X e gli altri individui dello stesso genere che possono derivarne; e chiamiamo G’ il genere così completato e X’ ciò che verrebbe dedotto da G’ per mezzo della definizione allo stesso modo in cui X è stato dedotto da G, occorre essere sicuri che X’ sia identico ad X. Se non fosse questo il caso e se, negando la proposizione da dimostrare, si fosse condotti a due enunciati contraddittori

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come potremmo sapere che è proprio lo stesso X che figura nell’uno e nell’altro? Se X figurasse nell’uno ed X’ nell’altro le due proposizioni si scriverebbero

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ed in generale non sarebbero più contraddittorie.

Perché dunque i Pragmatisti sollevano quest’obiezione? Perché il genere G non appare loro che come una collezione suscettibile di accrescimento indefinito, man mano che saranno costruiti nuovi individui che possiedono i caratteri giusti; è così che G non può mai essere posto ne varietur, come fanno i Cantoriani, e che non si è sicuri che, per mezzo di nuove annessioni, non diventerà G’.
Mi sono sforzato di spiegare quanto più chiaramente ed imparzialmente possibile in cosa consistano le divergenze tra le due scuole di matematici; e mi sembra che se ne possa già scorgere la causa effettiva; gli studiosi delle due scuole hanno delle attitudini mentali opposte; quelli che ho chiamato Pragmatisti sono idealisti, i Cantoriani sono realisti.
C’è una cosa che ci confermerà in questo modo di vedere. Vediamo che i Cantoriani (che mi si passi questo vocabolo comodo, sebbene non voglia parlare qui dei matematici che seguono la via aperta da Cantor, e forse neanche dei filosofi che a lui si rifanno, ma di quelli che hanno le stesse attitudini in una maniera indipendente), che i Cantoriani, dicevo, parlano costantemente di epistemologia, cioè della scienza delle scienze; ed è ben inteso che tale epistemologia è del tutto indipendente dalla psicologia; essa ci deve cioè insegnare che cosa sarebbero le scienze se non ci fossero scienziati; che dobbiamo studiare le scienze, probabilmente non supponendo che non ci siano scienziati, ma per lo meno senza supporre che ce ne siano. Così, non solo la natura è una realtà indipendente dal fisico che potrebbe essere tentato di studiarla, ma la fisica stessa è inoltre una realtà che sussisterebbe se non ci fossero fisici. Si tratta proprio di realismo.
E perché i Pragmatisti si rifiutano di ammettere oggetti che non potrebbero essere definiti in un numero finito di parole? Perché essi considerano che un oggetto esiste solo quando viene pensato, e che non sapremmo concepire un oggetto pensato indipendentemente da un soggetto pensante. Si tratta proprio di idealismo. E dato che un soggetto pensante è un uomo o qualcosa che assomiglia ad un uomo, e di conseguenza un essere finito, l’infinito non può avere altro senso che la possibilità di creare tanti oggetti finiti quanti vogliamo.
Possiamo allora fare un’osservazione piuttosto curiosa. I realisti si collocano di solito da un punto di vista fisico; sono gli oggetti matematici, o le anime individuali, o ciò che essi chiamano le sostanze, ciò di cui affermano l’esistenza indipendente. Il mondo esisteva per loro prima della creazione dell’uomo, prima ancora di quella degli esseri viventi; ed esisterebbe anche se non ci fosse alcun Dio né alcun soggetto pensante. Questo è il punto di vista del senso comune, ed è solo con la riflessione che si potrà essere indotti ad abbandonarlo. I partigiani del realismo fisico sono in generale finitisti; riguardo al problema delle antinomie kantiane stanno dalla parte della tesi; credono che il mondo sia limitato. Questa è ad esempio la posizione di Evellin. Al contrario gli idealisti non hanno le stesse remore e sono pronti a sottoscrivere le antitesi.
Ma i Cantoriani sono realisti anche per quanto riguarda le entità matematiche; queste entità sembrano loro avere un’esistenza indipendente; il geometra non le crea, le scopre. Questi oggetti esistono quindi, per così dire, senza esistere, dato che si riducono a pure essenze; ma dato che, per natura, questi oggetti sono in numero infinito, i partigiani del realismo matematico sono molto più infinitisti degli idealisti; il loro infinito non è più un divenire, poiché preesiste alla mente che lo scopre; che lo ammettano o che lo neghino, sono dunque costretti a credere nell’infinito attuale.
Riconosciamo la teoria delle idee di Platone; e può sembrare strano vedere Platone classificato tra i realisti; niente è però più antitetico all’idealismo contemporaneo del platonismo, sebbene questa dottrina sia parimenti molto lontana dal realismo fisico. Non ho mai conosciuto un matematico più realista, in senso platonico, di Hermite, e tuttavia devo confessare di non avere mai incontrato nessuno più refrattario al Cantorismo. Si tratta di una contraddizione apparente, tanto più che egli ripeteva volentieri: Sono anticantoriano perché sono realista. Egli rimproverava a Cantor di creare oggetti invece di accontentarsi di scoprirli. Probabilmente a causa delle sue convinzioni religiose considerava come una sorta di empietà voler penetrare direttamente in un dominio che Dio solo poteva abbracciare, senza aspettare che Egli ci rivelasse i misteri uno ad uno. Paragonava le scienze matematiche alle scienze naturali. Un naturalista che avesse tentato di indovinare il segreto di Dio invece di consultare l’esperienza gli sarebbe parso non solo presuntuoso ma anche senza rispetto per la maestà divina; i Cantoriani gli parevano voler agire nella stessa maniera in matematica. Ed è per questo che, realista in teoria, era idealista in pratica. C’è una realtà da conoscere ed essa è esterna a noi ed indipendente da noi; ma tutto quello che ne possiamo conoscere dipende da noi, e non è altro che un divenire, una sorta di stratificazione di conquiste successive. Il resto è reale ma eternamente inconoscibile.
Il caso di Hermite è del resto isolato e non mi dilungherò ancora su di esso. In ogni epoca ci sono state in filosofia tendenze opposte, e non pare che queste tendenze siano sul punto di conciliarsi. Ciò è dovuto probabilmente al fatto che esistono animi differenti e che non si può cambiare niente in questi animi. Non c’è quindi alcuna speranza di vedersi stabilire l’accordo tra Pragmatisti e Cantoriani. Gli uomini non si capiscono perché non parlano la stessa lingua e perché ci sono lingue che non si imparano.
E tuttavia in matematica sono soliti capirsi; ma è proprio grazie a quello che ho chiamato le verifiche; esse costituiscono l’ultimo grado di giudizio, e davanti ad esse tutti si inchinano. Ma laddove queste verifiche vengano meno i matematici non si trovano in posizione migliore dei semplici filosofi. Quando si tratta di sapere se un teorema possa avere un senso senza essere verificabile, chi potrà giudicare, dato che per definizione ci si impedisce di verificare? Non ci sarebbe altra risorsa che ridurre il proprio avversario ad una contraddizione. Ma l’esperimento è stato fatto e non ha dato risultati.
Sono state segnalate molte antinomie, ed il disaccordo è perdurato, nessuno ne è uscito convinto; da una contraddizione ci si può sempre togliere d’impaccio con un espediente, voglio dire con un distinguo.

Jules-Henri Poincaré

Questo saggio di Marcello Cini è già stato pubblicato su Koinè, Periodico culturale, Anno X, nn. 1-2, Gennaio-Giugno 2002,  pp. 245-253; direttore responsabile Carmine Fiorillo; il volume collettaneo reca il titolo  Scienza cultura, filosofia.Titolo originale: Les mathématiques et la logique, capitolo V di Dernières Pensées. Parigi, Flammarion 1913. Traduzione di FABIO ACERBI.

Koiné

Scienza, Cultura, Filosofia

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Problemi tra scienza e cultura
Sintetizzare e interpretare/Darsi dei limiti/Sulla diffidenza per la filosofia/Una confutazione dello scientismo/I problemi della divulgazione/Specializzazione parcellizzante/Una catastrofe culturale?/Uno sguardo sulla cultura/Linee di resistenza/E se fosse colpa del capitalismo?/Conclusioni. Una modesta utopia.

Lucio Russo
Cosa sta accadendo alla scienza?
Premessa/Cos’è la scienza? La scienza esatta/Scienza esatta e tecnologia /Scienze biologiche (e altre scienze empiriche)/Il problema della verità/Divulgazione scientifica e imposture intellettuali/La crisi attuale/Il nuovo ruolo della biologia: le biotecnologie/Complessità /Quale futuro?

Marcello Cini
C’è ancora bisogno della filosofia per capire il mondo?
Introduzione/La svolta nella scienza dal XX al XXI secolo/L’epistemologia delle scienze della materia inerte/Una epistemologia delle scienze del mondo vivente/Il problema corpo/mente/Scienza e valori/Conclusioni.

Alberto Artosi
Lettera a uno scienziato sulla ragione, la razionalità e il razionalismo
Caro Scienziato/Bisogna guardarsi da un’immagine ingenuamente razionalistica della scienza/Anche gli scienziati più aperti sono dei razionalisti (e degli elitisti) ingenui/Bisogna sottrarsi al culto delle argomentazioni “razionali” /Il caso dell’archeoastronomia/ Il razionalismo ingenuo è intollerante/Sulla “cultura di massa”/Commiato.

Massimo Bontempelli
Il pregiudizio antimetafisico della scienza contemporanea
Popper: la teoria come congettura/Hegel e la filosofia della scienza/La teoria della verità come idealità matematica/Gödel: la logica matematica non può giustificare il proprio principio di coerenza/Matematica senza fondamento/Barrow: la base teorica universale della matematica/Hegel: la quantità come “qualità tolta”/Il gran libro della Natura è scritto in caratteri matematici?/Il risultato culturale della rivoluzione scientifica/La semplificazione galileiana del mondo reale/La quantità matematizzabile come dominabilità del mondo/I limiti del meccanicismo/La fisica delle particelle come pura astrazione teorica/Le teorie del tutto/Il determinismo dell’elettrodinamica quantistica/Feynman: la Natura è assurda/La povertà conoscitiva del determinismo matematico della fisica/Il crollo del determinismo fisico di fronte alle forme biologiche/La concezione biologistica della verità/La povertà della moderna coscienza antimetafisica /Il pregiudizio antimetafisico della mentalità odierna/Realtà e verità nella filosofia ontologic/La sapienza di Platone.

Fabio Bentivoglio
Scienza, Natura e destino dell’uomo. Riflettiamo con Aristotele
Che cosa è, oggi, la sapienza?/La Natura/Le onde e la scogliera/Un’etica per la civiltà tecnologica/Dogmi di ieri e dogmi di oggi/L’elogio del senso comune.

Jean Bricmont
Contro la filosofia della meccanica quantistica
Riassunto/Introduzione/Realismo e positivismo/Il problema della meccanica quantistica/La non località/Soluzioni possibili al problema della misura/Conclusioni/Appendice I: Il problema della misura/Appendice II: Il teorema di Bell/Appendice III: La teoria di Bohm/Appendice IV: Bibliografia/Ringraziamenti/Riferimenti.

Fabio Acerbi
Concetto ed uso dei modelli nella scienza greca antica
Il concetto di modello/La controversia storiografica: strumentalismo versus realismo/Cenni al dibattito epistemologico in età ellenistica/L’approccio per modelli nella scienza antica: alcuni esempi: a. Astronomia; b. Meccanica; c. Ottica; e. Teoria musicale; f. Medicina/Conclusioni.

Jules-Henri Poincaré
La matematica e la logica

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Paul Éluard (1895-1952) – Sono nato per conoscerti, per darti un nome: Libertà

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Libertà

Sui miei quaderni di scolaro
Sul banco e sugli alberi
Sulla sabbia sulla neve
Scrivo il tuo nome
Su tutte le pagine lette
Su tutte le pagine bianche
Pietra sangue carta o cenere
Scrivo il tuo nome
E per il potere di una parola
Ricomicio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per darti un nome
Libertà.

 

Paul Éluard, Libertà, in Poésie et Verité.

 

 

 

Le farfalle volano

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Giovanni Di Falco, «La campagna del Caos». Storia della casa natale di Luigi Pirandello. Con una nota di Andrea Bisicchia.

La casa del Caos

Giovanni Di Falco
La campagna del Caos
Storia della casa natale di Luigi Pirandello

Con una nota introduttiva di Andrea Bisicchia

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Chi, come me, da molti anni indaga l’opera pirandelliana, ne conosce la vasta bibliografia ed i contributi di ogni tipo che riguardano la biografia dello scrittore.
Leggendo La campagna del Caos di Giovanni Di Falco, costruita su documenti demaniali e catastali assolutamente inediti, mi sono appassionato, non tanto e non solo ai natali di Pirandello che ben conosciamo, quanto alla storia di don Stefano e Caterina Ricci Gramitto che l’autore ci fa letteralmente vivere, raccontandoci tutti gli aspetti drammatici che la caratterizzano.
Così, attraverso la loro storia si possono seguire, come in un triller, gli avvenimenti di prima e di dopo che costituiscono un vero e proprio canovaccio circa la proprietà del CAOS.
Giovanni Di Falco avverte subito il lettore, dicendogli che quella casa, con la campagna circostante, non apparteneva, né agli avi materni, né a quelli paterni di Pirandello, e ricostruisce, attraverso fonti d’archivio, le vicissitudini che stavano dietro ogni diritto di enfiteusi, grazie al quale, in circostanze diverse, gli avi pirandelliani acquistavano, perdevano per debiti, e quindi riacquistavano il feudo, sempre per enfiteusi, come avviene con i fratelli don Vincenzo, canonico, e don Innocenzo, chierico, che trattano personalmente col barone Salvatore Ricci.
La storia del feudo, di cui il CAOS faceva parte, risale addirittura all’anno milleseicento. La bibliografia su questo argomento, appartiene ai libri di storia patria, come La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia di De Spucches, o come Della Sicilia nobile del marchese di Villabianca. Grazie a questi incunaboli, veniamo a conoscenza degli atti di concessione, dei patti che gli enfiteuti dovevano osservare, degli atti notarili, degli atti di dismissione, dei passaggi di proprietà.
Come si può intuire, si tratta di una materia, forse, troppo specialistica, se non la trovassimo diluita nelle novelle, nei romanzi e nei testi teatrali.
Scopriremo che il CAOS non solo si trovava nel Feudo del Sonnaro, ma era anche nel casamento di Mangial’uomini, come si può ricavare dalla novella Male di luna, ambientata «in quel pezzo di terra lontano» dove il protagonista Batà, sposo non amato da Sidora, «non si sapeva come vivesse; stava sempre solo, come una bestia in compagnia delle sue bestie, due mule, un’asina e il cane di guardia; e certo aveva un’aria truce e a volte da insensato». Batà soffriva il male di luna, e quando ne veniva colpito, latrava, ululava come un lupo.
Pirandello ambienta molte sue novelle nella campagna circostante di Girgenti; il CAOS era una specie di sole, attorno al quale, giravano i pianeti delle altre contrade. Pirandello vi nacque dopo il matrimonio di Stefano e Caterina, avvenuto il 28 novembre 1863; Giovanni Di Falco pubblica il contratto nuziale quasi interamente e grazie al quale veniamo a conoscenza della dote di 3825 lire, data dallo zio canonico a Caterina, figlia orfana di Giovanni Battista, ed appartenente ad una famiglia di tradizione cattolica.
Le fonti di Di Falco non vogliono essere certo, né di carattere letterario, né drammaturgico, ma proprio perché diverse, gli permettono di accedere, in maniera originale e trasversale al mondo pirandelliano per ricostruire una specie di DNA anche attraverso alberi genealogici non facilmente inquadrabili. È come se il lettore venisse proiettato in un passato che diventerà futuro nelle opere di Pirandello dove, spesso, le cronache archivistiche si frammezzavano con un presente rivisitato dalla fantasia inesauribile dello scrittore.
Possiamo così spiegarci, vista l’educazione religiosa della madre ed il suo accentuato cattolicesimo, il rapporto che Pirandello ebbe con la fede e che ritroviamo, in maniera tormentata, in novelle come, Il Tabernacolo (1903), Dono della Vergine Maria (1899), La fede (1922) o, ancora nella Sagra del Signore della Nave (1925) e nella Storia dell’Angelo Centuno dei Giganti della montagna (1936); per non parlare del tema del sacerdozio, presente in Lazzaro.
Giovanni Di Falco, spulciando sempre negli archivi della cattedrale di Girgenti, ci dà dei ritratti compositi, sia di don Vincenzo Gramitto, morto a 36 anni in odore di santità, che di don Innocenzo a cui rimase in possesso la tenuta del CAOS nel 1849, entrambi fratelli di Giovanni Battista, avvocato, che partecipò ai moti del 1860, dei quali Pirandello si ricorderà ne I vecchi e i giovani, il romanzo che, pur concentrando l’azione tra il 1892-93, attraversa gran parte della storia della famiglia pirandelliana che, da parte di madre, risulta abbastanza numerosa. Gli echi del loro garibaldinismo entrano anche a far parte della novellistica, così come lo sarà l’epidemia di colera che si abbatterà su tutta la Sicilia nel 1867, proprio durante l’anno di nascita di Pirandello, un anno drammatico, non solo per la malattia, ma anche per le traversie che non risparmieranno il padre, sempre in giro con i suoi commerci, e che lo videro colpito di colera, di cui, per fortuna, riuscì a guarire.
Di Falco tralascia le cose note, per attardarsi su quelle meno conosciute; così ci racconta anche dell’eclisse totale di sole, avvenuta nel 1870 e della quale si ritrova testimonianza nelle Memorie storiche agrigentine, di Giuseppe Picone. Ad osservare l’eclissi, erano venuti ad Agrigento (allora Girgenti) il Principe di Lampedusa e l’ex gesuita padre Perrone.
Metà del volume, però, è dedicata al CAOS durante gli anni di infanzia di Luigi, secondo di cinque figli, anni alquanto controversi, anche per la tenuta, dato che il canone enfiteutico non veniva pagato da oltre cinque anni, mettendo a rischio il possesso della casa. Nel 1870, l’Usciere Gatto si recò nella tenuta del CAOS per redigere gli atti e restituirla agli antichi proprietari. Di Falco ricostruisce anche gli atti del verbale, abbastanza lungo e, come si può intuire, molto burocratico, essendo minuzioso nei particolari. Il nuovo canone di 443,57 lire doveva essere pagato entro il 31 agosto 1870, se si intendeva mantenere il possesso del piccolo feudo.
I genitori di Luigi attraversavano, in quegli anni, momenti di grande difficoltà; il terreno di Comitini, gabellato ad uso di zolfara a Libertino Salvo, non rendeva un granché, esso costituiva, per metà, la dote di Caterina; mentre gli affari del padre Stefano subirono un crollo finanziario dopo il fallimento della ditta Genuardi. Furono sequestrati i beni, mentre Stefano dovette patire una spiacevole condanna che causò i turbamenti di Caterina, tanto che il matrimonio visse momenti di crisi, con scenate ricorrenti che turbavano il giovane Luigi.
La campagna del CAOS divenne pertanto il teatro di questa crisi. Pirandello ne risentì anche durante gli studi avvenuti tra Palermo, Roma e Bonn. I dissesti del padre e le vicende giudiziarie si protrarranno persino dopo le nozze con Antonietta Portolano, ma ormai Pirandello era divenuto una celebrità; il CAOS rimarrà nel suo cuore, tanto che vi ritornerà per esservi sepolto.
Di Falco ci accompagna, con una scrittura semplice e gradevole, lungo il viaggio, trattando la biografia con i suoi mezzi, che, come abbiamo detto, attingono a documenti poco noti o addirittura inediti, restituendoci il CAOS non solo come spazio fisico, ma come spazio della mente del grande narratore e drammaturgo.

Andrea Bisicchia

Casa natale di Luigi Pirandello

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