Johann Joachim Winckelmann (1717-1768) – La generale e principale caratteristica dei capolavori greci è una nobile semplicità e una quieta grandezza.

Johann Joachim Winckelmann
I greci, secondo Winckelmann,
furono la civiltà che più di ogni altra
riuscì nel realizzare un’arte caratterizzata
da purezza formale, armonia, equilibrio e assenza di turbamento:
e questo, proprio in virtù della loro elevatissima libertà.
Ed è pertanto qui che si inserisce la definizione dei capolavori dell’arte greca
come capolavori caratterizzati da nobile semplicità e quieta grandezza.



 

winckelmann

testataE

«La generale e principale caratteristica dei capolavori greci è una nobile semplicità e una quieta grandezza, sia nella posizione che nell’espressione. Come la profondità del mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l’espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un’anima grande e posata».

 

Johann Joachim Winckelmann,
Pensieri sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura
, Dresda 1763.

 

 

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Anton Raphael Mengs, Johann Joachim Winckelmann (1755 circa);
olio su tela, 63,5×49,2 cm, Metropolitan Museum of Art, New York.

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Anonimo, Ritratto di Johann Joachim Winckelmann su paesaggio classico (dopo il 1760); olio su tela, 71×85 cm, castello Reale di Varsavia.

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Anton von Maron, Ritratto di Johann Joachim Winckelmann (1768);
olio su tela, 136×99 cm, castello di Weimar

Nel giugno del 1755 un oscuro bibliotecario di provincia, Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), pubblicò a Dresda a proprie spese, in una tiratura di appena 50 esemplari, un anonimo e minuscolo libretto dal titolo Pensieri sull'Imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura. Questo breve testo incontrò subito un'enorme fortuna, tanto da circolare addirittura in copie manoscritte, e divenne in breve famoso in tutta Europa. Darà impulso alle più potenti speculazioni dell'epoca: Mendelssohn, Lessing, Herder e Goethe lo idolatreranno come un classico; e persino gli acerrimi nemici del classicismo weimariano, come Heinse o Hirt, non poterono fare a meno di confrontarsi con Winckelmann. Né si sottrassero ad un doveroso omaggio i grandi del Romanticismo e dell'Idealismo filosofico, da Moritz a Schelling, da Schlegel a Hegel. Ma cosa rese - e rende tutt'ora - tanto ammaliante la minuscola "opera prima" di Winckelmann? Il fatto che nei Pensieri sull'Imitazione, e ancor più nel Commento che ad esso Winckelmann fece seguire a distanza di un anno, parla il "grecista" e il filosofo che impostava il modello di un'utopia estetica cui faranno riferimento intere generazioni successive; l'antiquario raffinato; lo storico dell'arte che ha saputo trapiantare in Germania la trattatistica italiana, francese e inglese, inventando la storia dell'arte in senso moderno; e infine il dilettante, amico del pittore Adam Friedrich Oeser, studioso attento alle tecniche degli artisti. Queste molteplici componenti, che fecero definire opera "bizzarra e barocca" (Goethe) i Pensieri di Winckelmann, contribuirono in realtà a creare l'humus teorico per la grande stagione del Classicismo tedesco e più in generale dell'epoca Neoclassica. Già presentati per la prima volta in italiano da Aesthetica Edizioni di Palermo (1992) insieme all'indispensabile Commento, e corredati da un esaustivo apparato esegetico, critico e bibliografico magistralmente curato da Michele Cometa, i Pensieri sull'Imitazione sono ora riproposti in una riedizione che migliora e aggiorna la prima.

Nell’immagine in evidenza: Bertel Thorvaldsen, Zeus e Ganimede, 1817, Copenaghen, Thorvaldsens Museum



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Herbert Marcuse (1898-1979) – La spontaneità soggettiva dell’uomo moderno viene trasferita sulla macchina, della quale è al servizio, così da subordinare la sua vita al “realismo” nei confronti di un mondo nel quale la macchina è il soggetto attivo e lui il suo oggetto.

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Il nazionalsocialismo è l’esempio evidente delle modalità con le quali un’economia altamente razionalizzata e meccanizzata, dotata della massima efficienza produttiva, può operare nell’interesse dell’oppressione totalitaria e conservare la penuria. Il Terzo Reich è realmente una forma di “tecnocrazia”: le considerazioni tecniche dell’ efficienza e della razionalità imperialistiche superano i criteri tradizionali della profittabilità e del benessere generale. Nella Germania nazista il regno del terrore si regge non solo sulla forza bruta, estranea alla tecnologia, ma anche sull’ingegnosa manipolazione del potere insito nella tecnologia stessa: l’intensificazione del lavoro, la propaganda, l’addestramento dei giovani e degli operai, l’organizzazione della burocrazia governativa, industriale e di partito – tutti strumenti del terrore quotidiano – si attengono alle direttive della massima efficienza tecnologica. Tale tecnocrazia terroristica non si può ricondurre alle esigenze eccezionali dell”’economia di guerra”: questa rappresenta piuttosto lo stato normale di quell’ordinamento nazionalsocialista del processo sociale ed economico, di cui la tecnologia è uno degli stimoli principali.
Nel corso del processo tecnologico si sono affermati nella società una nuova razionalità e nuovi criteri di individualità, differenti e opposti a quelli che avviarono la marcia della tecnologia.
Queste trasformazioni non sono l’effetto (diretto o derivato) della macchina su coloro che la usano, o della produzione di massa sui consumatori; sono piuttosto esse stesse fattori determinanti nello sviluppo della macchina e della produzione di massa. […].
L’individuo umano, di cui la rivoluzione borghese ha fatto l’unità fondamentale e il fine della società, sosteneva valori che contraddicono apertamente quelli dominanti nella società odierna. Se cerchiamo di riunire in un unico concetto guida le varie tendenze religiose, politiche e economiche che davano forma all’idea di individuo nel XVI e nel XVII secolo, possiamo definire l’individuo il soggetto di determinati criteri e valori fondamentali che – si riteneva – nessuna autorità esterna poteva usurpare. Tali criteri e valori erano propri delle forme di vita, sociale come personale, più adeguate allo sviluppo delle facoltà e delle capacità dell’uomo. Per la stessa ragione, essi rappresentavano la “verità” della sua esistenza individuale e sociale. Si riteneva che l’individuo, in quanto essere razionale, fosse capace di scoprire queste forme col proprio pensiero, e, una volta acquisita la libertà di pensiero, di perseguire una linea di condotta volta a realizzarle. […] Il principio dell’individualismo, il perseguimento dell’interesse personale, era condizionato dall’assunto che tale interesse personale fosse razionale, che fosse cioè il prodotto del pensiero autonomo e ne fosse guidato e controllato. […] Gli uomini dovevano aprirsi un varco attraverso l’intero sistema di idee e valori loro imposti, e scoprire e fare propri le idee e i valori conformi alloro interesse razionale. Dovevano vivere in uno stato di costante attenzione, apprensione e critica, per respingere tutto ciò che non fosse vero e giustificato dalla ragione libera. Ciò costituiva, in una società non ancora razionale, il principio di una permanente tensione e opposizione, dal momento che la vita degli uomini era governata ancora da falsi criteri: libero individuo era colui che li sottoponeva a critica, ricercando quelli veri e promuovendone la realizzazione. […]
L’adempimento della razionalità presupponeva un adeguato assetto economico e sociale, tale da fare appello a individui la cui prestazione sociale coincidesse, almeno il larga parte, con il proprio lavoro. […] Nel corso del tempo, tuttavia, il processo della produzione di merci minò la base economica sulla quale la società individualistica si era costruita. […] Il principio dell’efficienza competitiva favorisce le imprese col più alto livello di meccanizzazione e razionalizzazione delle attrezzature industriali […]: la razionalità individualistica si è trasformata in una razionalità tecnologica, la quale non è circoscritta ai soggetti e agli oggetti delle imprese su larga scala, ma caratterizza il modo pervasivo del pensiero e persino le molteplici forme di protesta e ribellione. Questa razionalità stabilisce i criteri di giudizio e promuove atteggiamenti che rendono gli uomini pronti ad accogliere e persino a introiettare i dettami dell’apparato.
Lewis Munford ha caratterizzato l’uomo nell’età della macchina come una “personalità oggettiva”, come colui che ha imparato a trasferire tutta la sua spontaneità soggettiva sulla macchina, della quale è al servizio, a subordinare la sua vita al “realismo” nei confronti di un mondo nel quale la macchina è il soggetto attivo e lui il suo oggetto.
Le distinzioni individuali di attitudini, intuito e conoscenza si trasformano in differenti determinazioni quantitative di specializzazione e addestramento, da coordinare in ogni momento all’interno del quadro comune delle prestazioni standardizzate.
L’individualità, tuttavia, non è scomparsa. Il libero soggetto dell’economia si è piuttosto sviluppato nell’oggetto di una organizzazione e coordinazione su larga scala, e la realizzazione individuale si è trasformata in efficienza standardizzata. Questa è caratterizzata dal fatto che la prestazione dell’individuo è motivata, guidata e misurata secondo criteri che gli sono esterni, e che si riferiscono a compiti e funzioni predeterminati. L’individuo efficiente è quello la cui prestazione costituisce un’azione solo in quanto è la reazione adeguata alle esigenze oggettive dell’apparato, e la cui libertà si limita alla scelta dei mezzi più adeguati per il raggiungimento di un obiettivo non stabilito da lui.
Mentre la realizzazione individuale è indipendente dal riconoscimento e si compie nel lavoro stesso, l’efficienza costituisce una prestazione remunerata e portata a compimento solo per il valore che ha per l’apparato. Insieme con la maggior parte della popolazione, la precedente libertà del soggetto economico affogò gradualmente nell’efficienza con la quale questi assolveva le mansioni assegnategli. Il mondo risultò razionalizzato a tal punto, e la sua razionalità era divenuta un potere sociale tale, che l’individuo non poteva fare di meglio che addattarvisi senza riserve. […] Il procedimento meccanico richiede una conoscenza orientata “alla pronta comprensione di fatti poco chiari, in termini quantitativi sufficientemente esatti. Questo tipo di conoscenza presuppone da parte dell’operaio un determinato atteggiamento intellettuale o psichico, quale la volontà di apprendere prontamente e apprezzare i dati di fatto, di guardarsi dall’arricchire tale conoscenza con supposte sottigliezze animistiche o antropomorfiche, con interpretazioni semipersonali dei fenomeni osservati e dei loro rapporti reciproci”.
[…] Il nuovo atteggiamento si differenzia per l’acquiescenza altamente razionale che lo contraddistingue. I fatti che dirigono il pensiero e l’azione dell’uomo non sono quelli della natura che si devono accogliere perché li si possa dominare, né quelli della società, che sono da mutare perché non corrispondono ai bisogni e alle potenzialità dell’uomo. Sono piuttosto quelli del procedimento meccanico, che si presenta come l’incarnazione della razionalità e della funzionalità.
[…] Non vi è una possibilità individuale di fuga dall’apparato che ha meccanizzato e standardizzato il mondo. […] Manovrando la macchina, l’uomo impara che l’obbedienza alle direttive è il solo modo di ottenere i risultati desiderati. Tirare avanti equivale ad adeguarsi all’apparato. Non vi è spazio per l’autonomia. La razionalità individualistica si è sviluppata in efficiente acquiescenza col continuum preesistente di mezzi e fini. Quest’ultimo assorbe gli sforzi liberatori del pensiero e le varie funzioni della ragione convergono nell’incondizionata conservazione dell’apparato.
[…] Tutto coopera a incanalare istinti, desideri e pensieri umani in modo da alimentare l’apparato[…] I rapporti tra gli uomini sono sempre più mediati dal processo meccanico. Ma i congegni meccanici che facilitano le relazioni tra gli individui ne intercettano anche e ne assorbono la libido, deviandola da tutte le aree troppo pericolose nelle quali l’individuo è libero dalla società. Difficilmente l’uomo medio si prende cura di un essere vivente con la stessa intensità e costanza che mostra per la sua automobile. La macchina che egli adora non è più materia morta, ma diventa qualcosa di simile a un essere umano. Ed essa restituisce all’uomo ciò che possiede: la vita dell’apparato sociale di cui è parte. Il comportamento umano è dotato della razionalità del processo meccanico […]. La funzionalità nei termini della ragione tecnologica è, al tempo stesso, funzionalità nei termini dell’efficienza orientata al profitto […]. Quanto più l’individuo si comporta razionalmente e attende amorevolmente al suo lavoro, tanto più soccombe di fronte agli aspetti frustranti di tale razionalità. Egli sta perdendo la capacità di astrarre dalla forma particolare nella quale la razionalizzazione si realizza, e la fede nelle sue potenzialità non realizzate. Il realismo, la sfiducia nei confronti di tutti i valori che trascendano i dati dell’osservazione, il risentimento verso tutte le interpretazioni semi personali e metafisiche, il sospetto per ogni criterio che rapporti l’ordine osservabile delle cose, la razionalità dell’apparato alla razionalità della libertà: questo atteggiamento complessivo giova fin troppo a coloro che sono interessati alla perpetuazione della forma prevalente delle realtà di fatto. Il processo meccanico richiede un “costante addestramento all’apprendimento meccanico delle cose”, e questo a sua volta promuove “la conformità a una vita programmata” […]. La “meccanica del conformismo” si estende dall’ordine tecnologico a quello sociale; governa le prestazioni non solo nelle fabbriche e nei negozi, ma anche negli uffici, nelle scuole, nelle assemblee e, da ultimo, anche nel regno dello svago e dell’intrattenimento.
Gli individui sono spogliati della loro individualità, non per una costrizione esterna, ma dalla razionalità della loro vita[…] L’uomo però non fa esperienza della perdita della libertà come dell’opera di una forza estranea e ostile; affida invece la sua libertà al comando della ragione stessa. […] Il sistema di vita creato dall’industria moderna è della massima funzionalità , convenienza e efficienza. Definita in questi termini, la ragione equivale a un’attività che perpetua questo mondo. La condotta razionale si identifica con un realismo che insegna una ragionevole remissività, e garantisce così che si proceda d’accordo con l’ordine prevalente.
[…] La razionalità viene trasformandosi da forza critica in principio di adeguamento e acquiescenza. L’autonomia della ragione perde il suo significato nella stessa misura in cui i pensieri, i sentimenti e le azioni degli uomini sono modellati dalle esigenze tecniche dell’apparato che essi hanno creato.
[…] Estendendosi all’intera società, le leggi e i meccanismi della razionalità tecnologica sviluppano una serie di propri valori di verità, che vanno bene per il funzionamento dell’apparato – e solo per questo. Le proposizioni relative a un comportamento competitivo o complice, a metodi degli affari, ai principi di un’efficace organizzazione e controllo, alla correttezza e all’uso della scienza e della tecnica, sono vere o false nei termini di questo sistema di valori, cioè nei termini propri di strumenti che dettano i loro stessi fini. Questi valori di verità sono messi alla prova e perpetuati dall’esperienza e devono guidare i pensieri e le azioni di quanti vogliono sopravvivere. La razionalità esige qui acquiescenza e coordinazione senza condizioni, sicché i valori di verità connessi ad essa implicano la subordinazione del pensiero a criteri esterni preesistenti. A questa serie di valori di verità possiamo dare il nome di verità tecnologica […]. La standardizzazione del pensiero sotto il dominio della razionalità tecnologica coinvolge anche i valori di verità critici. […]. I valori di verità critici sorti da un movimento sociale di opposizione mutano di significato nel momento in cui tale movimento si incorpora nell’apparato. […] La tendenza ad assimilarsi ai modelli organizzativi e psicologici propri dell’apparato ha determinato un mutamento nella struttura dell’opposizione sociale in Europa. La razionalità critica delle sue finalità è stata subordinata alla razionalità tecnologica […]. I gruppi di opposizione sono venuti trasformandosi in partiti di massa, e i loro dirigenti in burocrazie di massa.
[…] È possibile ridurre il tempo e l’energia spesi nella produzione delle necessità della vita, e una graduale riduzione della penuria e l’abolizione delle occupazioni competitive consentirebbe di sviluppare il sé a partire dalle sue radici naturali.
Quanto meno tempo ed energia l’uomo deve investire per conservare la vita propria e della società, tanto maggiore è la possibilità che egli possa “individualizzare” la sfera della propria realizzazione in quanto uomo. Al di là del regno della necessità potrebbero dispiegarsi le differenze essenziali tra gli uomini: ognuno potrebbe pensare e agire da sé, parlare il proprio linguaggio,
avvertire le proprie emozioni e seguire le proprie passioni. Non più incatenato all’efficienza competitiva, il sé potrebbe crescere in un regno di soddisfazione. L’uomo potrebbe riconoscersi nelle proprie passioni. Gli oggetti dei suoi desideri risulterebbero tanto meno sostituibili, una volta che fossero conquistati e modellati dal suo libero sé. Essi gli “apparterrebbero” come mai gli sono appartenuti prima, e una simile “proprietà” non sarebbe offensiva, poiché non richiederebbe di essere difesa contro una società ostile.
Un’utopia siffatta non costituirebbe uno stato di perenne felicità. L’individualità “naturale” dell’uomo è anche la fonte del suo dolore naturale. Divenuti compiutamente umani, liberi da ogni criterio estraneo, i rapporti tra gli uomini saranno permeati dalla malinconia del loro contenuto singolare. Essi sono transeunti e insostituibili, e il loro carattere transeunte risulterà accentuato, nel momento in cui la preoccupazione per l’essere umano non sarà più mescolata con la paura per la sua esistenza materiale e offuscata dalla minaccia della miseria, della fame e dell’ostracismo sociale.

 

Herbert Marcuse, Alcune implicazioni sociali della tecnologia moderna, articolo pubblicato per la prima volta in “Studies in Philosophy and Soci al Science», IX, 3, 1941, pp. 414-439. Esiste una traduzione italiana nel volume Tecnologia e potere nelle società post-liberali, a c. di G. Marramao, Liguori, Napoli 1981, pp. 137-169. Qui nella traduzione di Luca Scafoglio, in Herbert Marcuse, La società tecnologica avanzata, volume III, a cura di Raffaele Laudani, manifestolibri, 2008, pp. 25-53.


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Herbert Marcuse (1898-1979) – L’uomo ad una dimensione riconosce se stesso nelle proprie merci; l’apparato produttivo assume il ruolo di un’agente morale
Herbert Marcuse (1898-1979) – È possibile distinguere tra bisogni veri e bisogni falsi
Herbert Marcuse (1898-1979) – Se vogliamo costruire una casa di abitazione nel posto in cui sorge una prigione, dobbiamo prima demolire la prigione, altrimenti non possiamo neppure iniziare i lavori.
Herbert Marcuse (1898-1979) – Il presupposto fondamentale della rivoluzione, la necessità di un cambiamento radicale, trae origine dalla soggettività degli individui stessi, dalla loro intelligenza e dalle loro passioni, dai loro sensi e obiettivi. La soggettività liberatrice si costituisce nella storia interiore degli individui. Solo come straniamento l’arte svolge una funzione cognitiva. Essa comunica verità non comunicabili in nessun altro linguaggio: essa contraddice.
Herbert Marcuse (1898-1979) – Ciò che si definisce “utopico” non è più qualcosa che “non accade” e non può accadere nell’universo storico, bensì qualcosa il cui prodursi è impedito dalla forza delle società stabilite.


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