Anna Beltrametti – Il punto più alto che Platone tocca nelle riflessioni sulla paura è proprio il reciproco implicarsi di potere personale e paura. Paura che l’uomo di potere riesce ad incutere ai suoi governati, ma anche paura provata dall’uomo di potere nei confronti di chi è migliore di lui, come pure della paura che ha di tutta la schiera di manutengoli che, dopo averlo lusingato, vogliono essere lusingati e pretendono lusinghe.

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Anna Beltrametti, Umberto Galimberti: “Paura” – LE PASSIONI DEGLI ANTICHI E DEI MODERNI

Lectio nell’ambito del 5° incontro del ciclo LE PASSIONI DEGLI ANTICHI E DEI MODERNI a cura di Mauro Bonazzi, Silvia Vegetti Finzi e Filippo Forcignanò

Pubblicato il 14 mar 2019

Pubblichiamo alcuni brevi passi della lectio
della Professoressa Anna Beltrametti
fruibile nella sua intierezza all’indirizzo della Casa della cultura di Milano,
cliccando qui.

 

Il punto più alto che Platone tocca nelle riflessioni sulla paura è proprio il reciproco implicarsi di potere personale e paura. Non genericamente del potere ma del potere personale, la tirannide. Tirannide è il potere personale assoluto, non temperato da altre istituzioni. Platone mette in luce in modo straordinario questa co-implicazione tra tirannide, potere personale assoluto e paura, φόβος. Non ci parla soltanto della paura che l’uomo di potere riesce ad incutere ai suoi governati, ma anche della paura provata dall’uomo di potere nei confronti di chi è migliore di lui, come pure della paura che ha di tutta la schiera di manutengoli che, dopo averlo lusingato, vogliono essere lusingati e pretendono lusinghe.
[…] L’argomento su cui vorrei soffermarmi di più, perché è un punto saliente della riflessione platonica che merita una attenzione particolare (fine del libro VIII e inizio del libro IX della Repubblica), è proprio la rappresentazione del tiranno, […] fino ad arrivare alla figura dell’uomo sommamente tirannico, non semplicemente tirannico.
Ma prima della Repubblica viene il Gorgia, forse il capolavoro della prima stagione di Platone. Il Gorgia, dialogo con ricadute politiche molto importanti, ha una figura centrale che è Archelao, di cui si narra. Archelao dovrebbe essere, per Callicle, l’uomo felice anche se ha molto trasgredito. Questa felicità non è condivisa da Platone. Per Platone Archelao, che è poi il capostipite della dinastia macedone (quella da cui si arriverà poi ad Alessandro il Grande), è il criminale per eccellenza. Nel Gorgia Platone incomincia a mettere a fuoco questo tema della paura che il tiranno prova nei confronti di chi è migliore di lui. Senza citarlo direttamente, rimette in circolo un aneddoto che Erodoto aveva raccontato meravigliosamente. Cito brevemente la pagina 510 del Gorgia in cui si dice: «Quando sia signore un tiranno [τύραννος], rozzo e incolto [ἄγριος καὶ ἀπαίδευτος], certamente avrebbe paura se ci fosse nella città uno migliore di lui e non potrebbe certo essergli amico. Ma se ci fosse uno anche troppo peggiore di lui, neppure a questi potrebbe essere amico e il tiranno non lo terrebbe in nessun conto. Al tiranno, come amico degno di considerazione, resta solo colui che avendo la stessa indole e in spregio e disprezzo le stesse cose, sia disposto a lasciarsi comandare e a soggiacere al volere del signore. Costui sarà molto potente nella città e nessuno potrà fargli ingiustizia impunemente». (cfr. Platone, Repubblica, 571 a – 577 b).
È un passo strepitoso, perché oltre a delineare la figura del τύραννος, Platone delinea le figure dei manutengoli del τύραννος, degli adulatori, adulati a loro volta.
Dietro questa riflessione platonica sul tiranno c’è sicuramente quell’aneddoto raccontato da Erodoto nel V libro delle Storie, in cui sono due i tiranni di cui si narra: Periandro e Trasibulo. Il primo, Periandro, è il tiranno per eccellenza di tutta la storia greca, e soprattutto dei racconti greci, Erodoto in primis. Periandro, giovane tiranno di Corinto, vuole chiedere all’amico Trasibulo, tiranno di Mileto, come si riesca a tenere a bada una situazione difficile nella città – ecco quindi la paura anche come strumento di coercizione, di contenimento e di controllo. Manda dunque un suo emissario a Mileto, da Trasibulo, per avere un consiglio. Trasibulo non proferisce parola, ma porta questo messo in un campo fuori dalla città, e mentre parla del più e del meno con il messaggero tronca tutte le spighe più alte del campo. Il messaggero non capisce, ma quando riferisce a Periandro la scena a cui ha assistito e il comportamento di Trasibulo, Periandro capisce immediatamente: per poter esercitare un potere assoluto bisogna liberarsi dalle teste pensanti, da quelle che emergono rispetto al livello medio della cittadinanza, che cittadinanza chiaramente non è più.
Queste non sono che le premesse che filtrano nel Gorgia attraverso questi racconti tradizionali, e dunque premesse della definizione del τύραννος nella Repubblica. […] Che cosa dice Platone del tiranno nella Repubblica?

«Chi è davvero tiranno è davvero schiavo, costretto alle lusinghe e ai servilismi più estremi nel suo rendersi adulatore degli uomini peggiori e, lungi dal soddisfare i propri desideri, egli appare, a chi sappia osservarne l’anima nella sua interezza, bisognoso di tutto e povero davvero e pieno di paura in tutta la sua vita, pieno di turbamenti e di dolori, se somiglia alla condizione della città nella quale governa».

Qui tocchiamo il culmine nel disegnare il tiranno, spaventato a sua volta, e sono queste le pagine con cui Platone conclude la descrizione di quel capo che il popolo si alleva al proprio interno – il tiranno viene cresciuto dentro il popolo – e che dal popolo è fatto diventare grande e che si trasforma via via da capo del popolo, a τύραννος. Secondo quel mito arcadico del licantropo [τούτῳ λύκῳ γενέσθαι (Repubblica, VIII, 565 e)] si diventa tiranno se si riesce a cibarsi del sangue e delle interiora, anche solo ad assaggiarle, dei propri consanguinei, per arrivare successivamente a circondarsi di accozzaglia di varia provenienza, per arrivare a dar fondo ai tesori della città, e all’uccisione del proprio padre, il demos, cioè il popolo che lo ha allevato. Quindi, gustare via via il sangue dei propri congeneri per arrivare al parricidio nei confronti del demos-popolo che ha allevato il tiranno, nel compiere ancora o desiderare da sveglio – il tiranno – quello che ognuno può desiderare nel sogno, senza la repressione delle leggi, come per esempio accoppiarsi con la propria madre, o con chiunque altro tra uomini e dei, come commettere qualsiasi assassinio, come il non astenersi da alcun cibo, quindi non rispettare tabù di alcun genere, come il non trattenersi da alcuna follia o spudoratezza. I desideri della notte per il tiranno diventano desideri realizzabili di giorno. È questo che connota il tiranno.

Abbiamo qui pagine che meritano una riflessione particolare e soprattutto il punto alto di questo intreccio che Platone costruisce tra paura e potere. […]

Anna Beltrametti

 

Anna Beltrametti – C’è anche un pensiero delle donne? Le donne del teatro greco sono laboratori di utopia infiniti. Sono talmente forti in questa loro energia utopica di un mondo da rifondare, da rinnovare, di un mondo possibile, che è la filosofia stessa ad attingere al loro pensiero.
Anna Beltrametti – Scritti per onorare la memoria di Diego Lanza e Mario Vegetti

Max Frisch (1911-1991) – In amore non si vede un punto di arrivo, né un appagamento. L’amore autentico è solo un continuo proseguire.

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«In amore non si vede un punto di arrivo, né un appagamento.
L’amore autentico è solo un continuo proseguire».

Max Frisch, II silenzio. Un racconto dalla montagna (Antwort aus der Stille. Eine Erzählung aus den Bergen, 1937), trad. di Paola Del Zoppo, Roma, Del Vecchio Editore, 2013.

Max frisch, Antwort aus der Stille, copertina della prima edizione.

Quarta di coepertina

Balz Leuthold non ha mai voluto essere una persona ordinaria. Poco prima del suo trentesimo compleanno, però, si rende conto di non potersi neanche considerare davvero una persona straordinaria. Nella vita, fino a ora, non ha compiuto azioni degne di particolare nota, nessuna invenzione, nessuna creazione artistica o letteraria che lo elevino a persona speciale. Allora ha preso una decisione: scalerà quella montagna che da giovane guardava ergersi sulle sue passeggiate, che faceva ombra ai discorsi con il fratello “adulto”. Compirà un atto eroico, e con questa azione “virile” darà un senso compiuto alla sua esistenza. È deciso: azione o morte. Ma giunto in montagna alla locanda dove sostava anche in gioventù, incontra una giovane straniera, che lo guarda e lo vede come nessuno fino ad allora lo ha mai guardato e visto. Chi è lei, da che vita proviene? Perché sembra non aver paura di nulla? E dall’incontro tra i due scaturiscono gli interrogativi, e la narrazione si sviluppa e trascina via il lettore proprio come un torrente montano scorre rumoreggiando tra i crepacci, e il vortice di pensieri e accadimenti lascia senza fiato, travolge come il senso di assoluto degli ambienti montani, dove il sorgere del giorno e il calare della notte sono eventi che penetrano le fibre dell’individuo tanto quanto fame, sonno e sete. E la domanda echeggia: cosa fa di una vita una vita veramente compiuta? Ha a che fare, questo, con la felicità?

Massimo Bontempelli (1946-2011) – L’unico luogo in cui è possibile custodire la memoria del passato è la progettazione del futuro, così come l’unico modo per progettare un futuro ricco di essere è quello di costruirne il progetto con le memorie del passato.

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indicepresentazioneautoresintesi

 

Tempo soggettivo della persona e tempo “oggettivo” della scienza, tempo della memoria e tempo del progetto, ricordo del passato ed anticipazione del futuro: si tratta di dimensioni che la filosofia, la scienza e la letteratura indagano da sempre, e che questo piccolo libro cerca di definire alla luce della riflessione filosofica. Il discorso, ad un tempo denso e lineare, viene svolto in sette brevi distinti capitoli.
Nel primo (Gli enigmi del tempo) la realtà umana è indagata sotto gli aspetti della speranza, della perdita e della conservazione, con riferimento soprattutto ad Agostino e ad Aristotele. Nel secondo (Gli equivoci della scienza) è analizzato il complesso dualismo fra il tempo della fisica ed il tempo della filosofia, da Newton a Einstein e da Penrose a Prigogine. Nel terzo (Le riflessioni di Heidegger) la custodia del passato e il progetto del futuro vengono indagati alla luce del nesso heideggeriano fra futuro e morte. Nel quarto (I segreti di Platone) il pensiero del grande filosofo greco è indagato sotto l’aspetto del tempo come mobile riflesso dell’eternità. Nel quinto (Gli abissi di Hegel) il pensiero del filosofo tedesco è segnalato come il punto più alto della riflessione moderna sul tempo. Nel sesto e nel settimo (I volti del passato e Il futuro come memoria) sono tratte infine le conclusioni filosofiche del discorso storico fatto in precedenza.
Il libro si segnala per la chiarezza con cui viene svolto un tema tradizionalmente complesso e difficile, ma anche per l’originalità teoretica delle sue proposte filosofiche. Esso ha dunque una doppia natura, puramente saggistica e pienamente didattica.

***

Indice del volume

Introduzione

GLI ENIGMI DEL TEMPO
I TEMPI DELLA SCIENZA
LE RIFLESSIONI DI HEIDEGGER
I SEGRETI DI PLATONE
GLI ABISSI DI HEGEL
I VOLTI DEL PASSATO
IL FUTURO COME MEMORIA

 

«L’unico luogo in cui è possibile custodire la memoria del passato è la progettazione del futuro, così come l’unico modo per progettare un futuro ricco di essere è quello di costruirne il progetto con le memorie del passato” (Tempo e memoria, CRT-Petite plaisance, Pistoia, 1999, pag. 103).


Massimo Bontempelli – IL PREGIUDIZIO ANTIMETAFISICO DELLA SCIENZA CONTEMPORANEA
Massimo Bontempelli (1946-2011) – Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana?
Massimo Bontempelli – La convergenza del centrosinistra e del centrodestra nella distruzione della scuola italiana.
Massimo Bontempelli – In cammino verso la realtà. La realtà non è la semplice esistenza, ma è l’esistenza che si inscrive nelle condizioni dell’azione reciproca tra gli esseri umani, diventando così sostanza possibile del loro mutuo riconoscimento.
Massimo Bontempelli – Il pensiero nichilista contemporaneo. Lettura critica del libro di Umberto Galimberti « Psiche e tecne».
Massimo Bontempelli (1946-2011) – L’EPILOGO DELLA RAZIONALIZZAZIONE IRRAZIONALE: demente rinuncia alla razionalità degli orizzonti di senso, e perdita della conoscenza del bene e del male. L’universalizzazione delle relazioni tecniche ha plasmato la razionalizzazione irrazionale, razionalità che non ha scopi, che è cioè irrazionale.


Friedrich Schlegel (1772-1829) – Il vero amore dovrebbe, per la sua origine, essere interamente arbitrario, e interamente casuale, e nello stesso tempo essere necessario e libero, per il suo carattere dovrebbe essere insieme determinazione e virtù, ed essere un intero e un miracolo.

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«Il vero amore dovrebbe, per la sua origine, essere interamente arbitrario, e interamente casuale, e nello stesso tempo essere necessario e libero, per il suo carattere dovrebbe essere insieme determinazione e virtù, ed essere un intero e un miracolo».

Friedrich Schlegel , fr. 50 Athenaeum. In: Athenaeum 1798-1800. Tutti i fascicoli della rivista di August Wilhelm Schlegel e Friedrich Schlegel, Bompiani, 2009




Franco Rella – Progettare significa costruire il luogo della differenza, perché ciò che è solo possibile diventi reale. I progetti sono infatti “frammenti dell’avvenire”. Il progetto è il germe soggettivo di un oggetto in divenire.

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«Progettare significa costruire il luogo della differenza, perché ciò che è solo possibile diventi reale. In questo senso, tutta la speculazione del primo Schlegel intorno alle figure della combinazione della pluralità, e in primo luogo intorno all’arabesco, sono la definizione di questo progetto e, in questo, atopiche, vale a dire in grado di trasformare le leggi della “ragione solo ragionante”. Nel frammento 22 dell’Athenäum Schlegel affronta direttamente il problema del progetto. “Il progetto è il germe soggettivo di un oggetto in divenire”, che si caratterizza, per la sua totale soggettività e per la sua necessaria oggettività fisica e morale, in rapporto al tempo. I progetti sono infatti “frammenti dell’avvenire”. Rispetto ad essi “essenziale è la capacità di idealizzare immediatamente degli oggetti e, insieme, di realizzarli, di integrarli, e parzialmente eseguirli in sé. E siccome trascendentale è ciò che ha relazione con la connessione o separazione dell’ideale con il reale, potremmo ben dire che il senso dei frammenti e progetti è la parte trascendentale dello spirito storico”. Lo spirito storico, dunque, organizza i frammenti del passato e dell’avvenire, come il luogo decisivo della tensione fra il soggetto e l’oggetto in rapporto al tempo».

Franco Rella, Limina. Il pensiero e le cose, Feltrinelli, Milano 1987, p. 18.


Karl Wilhelm Friedrich von Schlegel.
Friedrich Schlegel, Frammenti critici e poetici


Hans Jean Arp (1887-1966) – L’uomo ha voltato le spalle al silenzio. Inventa nuove macchine e marchingegni che accrescono il rumore e distraggono l’umanità dall’essenza della Vita, dalla contemplazione e dalla meditazione.

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René Char, Lettera amorosa, Illustrazioni di Georges Braque e di Jean Arp, Archinto, 2008.


L’arte è un frutto che cresce nell’uomo, come un frutto su una pianta, o un bambino nel ventre di sua madre.

Jean Arp

Presto il silenzio diventerà una leggenda. L’uomo ha voltato le spalle al silenzio. Giorno dopo giorno inventa nuove macchine e marchingegni che accrescono il rumore e distraggono l’umanità dall’essenza della Vita, dalla contemplazione e dalla meditazione. Suonare il clacson, urlare, strillare, rimbombare, frantumare, fischiettare, rettificare e trillare rafforza il nostro ego.

Jean Arp


Jean Arp with Navel Monocle, 1926. Arp Stiftung, Berlino.

Jean Arp, Déméter.

Triade dei Misteri Eleusini, Persefone, Trittolemo e Demetra. Bassorilievo marmoreo (440-430 a.C.), trovato a Eleusi (oggi situato ad Atene, presso il Museo Archeologico Nazionale).

Stefan Zweig (1881-1942) – Una idea, se sorretta da una tenace passione, è più forte di tutti gli elementi naturali

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«Magellano ha dimostrato per l’eternità che un’idea, se ispirata dal genio, se sorretta da una tenace passione, è più forte di tutti gli elementi naturali, che l’individuo singolo con la sua piccola vita fugace è pur sempre in grado di trasformare in realtà e in verità imperitura quello che a centinaia di generazioni è apparso puro sogno illusorio».

Stefan Zweig, Magellano, Rizzoli, Milano 2006.

Il monumento alle Scoperte, o Padrão dos Descobrimentos in portoghese, situato a Belem sulla riva del fiume Tago.


Simone Weil (1909-1943) – Il radicamento è forse il bisogno più importante e più misconosciuto dell’anima umana.

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Simone Weil, L’enracinement. Prélude à une déclaration des devoirs envers l’être humain, prima ed. originale Gallimard 1949 (prima tr. it. di Franco Fortini, La prima radice, Edizioni di Comunità, 1954)

Il testo è presente anche in rete:

Simone Weil, LA PRIMA RADICE. Preludio ad una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano. SE, Milano 1990.

 

«La colonizzazione ha la stessa legittimità dell’analoga pretesa di Hitler sull’Europa centrale […] la natura dell’hitlerismo consiste proprio nell’applicazione, da parte della Germania, dei metodi della conquista e della dominazione coloniali al continente europeo, e più in generale ai paesi di razza bianca. […] il male che la Germania avrebbe potuto far subire all’Europa […] è lo stesso male compiuto dalla colonizzazione, lo sradicamento [déracinement]».

«Non è possibile soddisfare l’esigenza di verità di un popolo se a tal fine non si riesce a trovare uomini che amino la verità. Il radicamento è forse il bisogno più importante e più misconosciuto dell’anima umana. È tra i più difficili da definire. Mediante la sua partecipazione reale, attiva e naturale all’esistenza di una collettività che conservi vivi certi tesori del passato e certi presentimenti del futuro, l’essere umano ha una radice. […] Ad ogni essere umano occorrono radici multiple. […] Si ha sradicamento ogniqualvolta si abbia conquista militare […]. Persino senza conquista militare, il potere del danaro e la dominazione economica possono imporre una influenza straniera al punto da provocare la malattia dello sradicamento. Infine le relazioni sociali all’interno di uno stesso paese possono essere pericolosissimi fattori di sradicamento. Nei nostri paesi, ai giorni nostri, oltre alla conquista, ci sono due veleni che propagano questa malattia. Uno è il danaro. Il danaro distrugge le radici ovunque penetra, sostituendo ad ogni altro movente il desiderio di guadagno. Vince facilmente tutti gli altri moventi perché richiede uno sforzo di attenzione molto meno grande. Nessun’altra cosa è chiara e semplice come una cifra. […] Un secondo fattore di sradicamento è l’istruzione quale è concepita al giorno d’oggi. […] La Grecia è stata dimenticata. Col risultato di una cultura che si è sviluppata in un ambiente molto ristretto, separato dal mondo, in un’atmosfera limitata; una cultura orientata notevolmente verso la tecnica e influenzata da essa, assai tinta di pragmatismo, resa frammentaria dalla specializzazione […].
E poi il desiderio di imparare, il desiderio di verità, è divenuto rarissimo. Il prestigio della cultura si è fatto quasi esclusivamente sociale, tanto per il contadino che sogna di avere un figlio maestro o per il maestro che sogna di avere un figlio universitario, quanto per la gente degli ambienti moderni che adula gli scienziati e gli scrittori di fama».

Simone Weil, L’enracinement. Prélude à une déclaration des devoirs envers l’être humain, prima ed. originale Gallimard 1949 (prima tr. it. di Franco Fortini, La prima radice, Edizioni di Comunità, 1954).

 

Simone Weil (1909-1943) – Silenzi che educano l’intelligenza
Simone Weil, «Oppressione e libertà», Orthotes Editrice, 2015
Simone Weill (1909-1943) – Trovare uomini che amino la verità
Simone Weil (1909-1943) – Il desiderio di luce produce luce: un tesoro che nulla al mondo ci può sottrarre.
Simone Weil (1909-1943) – Un regime inumano, lungi dal forgiare esseri capaci di edificare una società umana, modella a sua immagine tutti coloro che gli sono sottomessi.
Simone Weil (1909-1943) – Dove il pensiero non ha posto, non ne hanno né la giustizia né la prudenza. Le nostre idee di limite, di misura, di equilibrio, che dovrebbero determinare la condotta di vita, ormai hanno solo un impiego servile nella tecnica. Noi siamo geometri soltanto davanti alla materia. I Greci furono geometri innanzitutto nell’apprendimento della virtù.
Simone Weil (1909-1943) – L’amicizia non ammette di essere disgiunta dalla realtà, non più che il bello. È puro quel che è sottratto alla forza.
Simone Weil (1909-1943) – La nozione di valore è al centro della filosofia.
Simone Weil (1909-1943) – Il bello consiste in una disposizione provvidenziale grazie alla quale la verità e la giustizia, non ancora riconosciute, richiamano in silenzio la nostra attenzione. La bellezza del mondo non è distinta dalla realtà del mondo.
Simone Weil, La prima radice. Una recensione di Elisa Radaelli

Daniel Pennac – Amare vuol dire far dono delle nostre preferenze a coloro che preferiamo: la peculiarità del sentimento, come del desiderio di leggere, è il fatto di preferire. Chi legge non ha paura. Ogni lettura è un atto di resistenza.

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Ogni lettura è un atto di resistenza.
Di resistenza a cosa?
A tutte le contingenze.

Daniel Pennac, Come un romanzo, 1992.

«Quel che abbiamo letto di più bello lo dobbiamo quasi sempre a una persona cara. Ed è a una persona cara che subito ne parleremo. Forse proprio perché la peculiarità del sentimento, come del desiderio di leggere, è il fatto di preferire. Amare vuol dire, in ultima analisi, far dono delle nostre preferenze a coloro che preferiamo. E queste preferenze condivise popolano l’invisibile cittadella della nostra libertà. Noi siamo abitati da libri e da amici».

Daniel Pennac

«È dal più remoto ieri che i libri ci mettono in guardia contro le conseguenze delle nostre azioni. […] a volte credo che il grande sogno dell’Occidente finirà in un incubo. Ma sono stati i libri a salvarmi dalla tristezza cronica, perché la loro grandezza sta nellassolvere a una doppia funzione. Da un lato i libri ti parlano del tuo tempo, ma dall’altro lato è indubbio che leggendo perdiamo la nostra età, il nostro vivere qui ed ora: chi è immerso nella lettura – come il sognatore o l’amante – non è più un consumatore o un cittadino, vive in un universo più grande, quello della letteratura, per definizione atemporale».

Daniel Pennac, Chi legge non ha paura, “Robinson” – La Repubblica, 3-8-2019, pp. 2, 5.

Salvatore Bravo legge Slavoj Žižek – L’interpassività e il Regno animale dello Spirito. Di fronte allo scollamento tra «Reale» e «realtà» occorre un pensiero che divenga esodo dal pensiero unico.

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Il godimento come fattore politico
TREDICI VOLTE LENIN. PER SOVVERTIRE IL FALLIMENTO DEL PRESENTE

Salvatore Bravo

All’interpassività che rafforza la gettatezza nel mondo
bisogna agire nel silenzio del pensiero che diviene esodo dal pensiero unico e moltiplicatore delle resistenze.

L’interazione passiva
La prassi[1] in Aristotele è l’interazione sociale in cui il soggetto, gradualmente, vive l’esperienza della verità nella comunità, parte imprescindibile di sé. Essa si coniuga con il deliberare, con la saggezza:[2] prassi e phrònesis sono vita activa, poiché il fine di entrambe è comunitario oltre che individuale. La buona prassi, come il giusto deliberare, sono inscindibili dal vivere comunitario. La vita attiva è l’interazione tra saggezza e prassi. Il mezzo con cui – per riprodurre se stesso – l’attuale modo di produzione inibisce la prassi ed il giusto deliberare è l’interpassività. I soggetti sono in perenne attività, ma quest’ultima, in realtà, spinge verso la ripetizione di gesti automatici, la religione del vitello d’oro resta velata, occulta nei gesti meccanici la riflessione consapevole delle conseguenze dei propri atti, ogni accadimento è un evento che “sic ed simpliciter” avviene. Tutto accade, e nel contempo il modo di produzione, riproduce se stesso, il vitello d’oro, la merce ed il plusvalore attraverso i fedeli sudditi, sempre agiti, perennemente situati, i quali si percepiscono come “razza padrona”, ma in realtà sono interni ad un paradigma che impedisce il discernimento. L’essere è solo “esse=capi”, è attività del depredare; l’ontologia del saccheggio è l’unico paradigma del capitalismo assoluto. Gli enti che non sono ghermibili sono tagliati dall’orizzonte esperienziale: ogni ente non catalogabile come potenziale mezzo per il plusvalore è escluso, espulso dalla rappresentazione, la quale si autorappresenta solo ciò che è calcolabile. Non vi è spazio nell’osservazione che per l’ente da arpionare per eventuale investimento. L’homo oeconomicus non ha immaginazione empatica, pertanto il suo mondo è solo un borsino immobiliare. L’azione di conquista e consumo è l’unica attività che eternamente ritorna su se stessa per riprodursi infinitamente.
Con l’interpassività si ha l’impressione di agire, di modificare il mondo, ma in realtà si conferma il sistema capitale. Il vitello d’oro, dopo il superamento della convertibilità delle monete in oro, si è liquefatto, ha perso con la forma ogni limite, è ovunque, pervade e feconda ogni spazio e tempo con le sue leggi inevitabili e fatali. Dietro l’attività conclamata vi è la passività, l’alienazione (Entfremdung), cifra vivente della religione del vitello d’oro e della mortificazione:

«Oggi è prassi comune sottolineare come, con i nuovi media elettronici, la fruizione passiva di un testo o di un’opera d’arte sia finita: io non sto più semplicemente davanti allo schermo, interagisco sempre maggiormente con esso, entrando in un rapporto dialogico con esso (scegliendo i programmi, partecipando a dibattiti in una comunità virtuale, determinando direttamente il finale di una trama nei cosiddetti “racconti interattivi”). Tutti coloro che lodano il potenziale democratico dei nuovi media, si soffermano generalmente proprio su queste caratteristiche: su come il cyberspazio apra la possibilità ad una larga maggioranza di persone di uscire dal ruolo passivo dell’osservatore che segue lo spettacolo messo in scena da altri, e di partecipare attivamente non solo allo spettacolo, ma sempre più alla definizione delle regole stesse dello spettacolo […]. Ma l’altro lato di questa interattività non è forse l’interpassività? Il necessario opposto del mio interagire con l’oggetto non consiste nel seguire passivamente lo spettacolo, ma in una situazione in cui l’oggetto si impossessa, privandomene, della mia propria reazione passiva di soddisfazione (tristezza o risata), cosicché l’oggetto stesso “si gode lo spettacolo” al posto mio, sollevandomi dal dovere superegoico di divertirmi […]».[3]

Il sistema capitale fonda un mondo virtuale in cui gli attori non sono che parte di un copione scritto dalle lobby finanziarie: si vive, si parla con parole stabilite dal circo mediatico della finanza. Si divora fino ad autodivorarsi come nel mito di Erisittone, perché il capitalismo assoluto incontra se stesso nell’autodivorarsi, ma non si riconosce, è sussunto alle sue stesse leggi che lo obbligano all’aumento esponenziale del plusvalore fino a divorare le condizioni ambientali che lo mantengono in vita. Non conosce il concetto, ma solo la legge dell’accrescimento illimitato, la sua verità è di ordine regressivo e dunque irrazionale.

Agazia Scolastico (nell’Antologia Palatina XI, 379), scrittore bizantino, descrive la fame di Erisittone, ma sembra descrivere la solitudine della società liquida nella quale ciascuno può essere preda dell’altro:

«Nessuno sopporta la vista dei tuoi denti molari, tanto
da avvicinarsi a casa sua; ché, se hai sempre la fame
vorace d’Erisittone stesso, sì, finirai per mangiare
anche l’amico che inviti. Ma la tua dimora non m’accoglierà:
o non entrerò per farmi ospitare dal tuo ventre.
E se mai verrò a casa tua, non tanta prodezza compì
il Laerziade affrontando le gole di Scilla,
ma più di lui sarò “l’eroe paziente”, se m’appresserò a te,
del Ciclope agghiacciante per nulla più mite».

 

L’interpassività ed il Regno animale dello Spirito
L’agire è ammesso solo all’interno di una cornice prestabilita. Non è possibile passare da un confine ideologico ad un altro, il mondo è racchiuso all’interno di confini invalicabili. L’ideologia è unica e non ammette competitori, anzi proclama la morte delle ideologie per celare che essa stessa è un’ideologia. Si può agire, ma solo all’interno del mondo capitalistico, si può operare sui sintomi, ma non sulla malattia. La flessibilità diviene la capacità di adattare ogni azione alla sopravvivenza del modo di produzione capitalistico. Le associazioni che si battono ed intervengono nelle aree di tensione, dove la verità si rivela, possono curare le vittime, ma non devono guardare in pieno volto il carnefice, non devono elaborare alternative. La loro opera meritoria è curvata al servizio del capitalismo assoluto, che onnipotente – in quanto sciolto da ogni limite – ammette l’agire, ma solo per allievare gli effetti delle contraddizioni nei punti ottici in cui la verità si palesa nella sua tragica realtà:

«Oggi, ogni volta che si risponde direttamente a un appello all’azione, quest’atto non verrà compiuto in uno spazio vuoto, e sarà sempre collocato all’interno di coordinate ideologiche egemoni: coloro che “davvero vogliono fare qualcosa per aiutare la gente”, e sono coinvolti in operazioni (peraltro meritorie) come Médecins sans Frontière o Grenpeace, piuttosto che in campagne femministe o antirazziste, tutte non solo tollerate ma direttamente supportate dai media (per quanto all’apparenza entrino nella sfera economica per esempio denunciando o boicottando determinate compagnie che non rispettano condizioni ecologiche o sfruttano il lavoro minorile), verranno sempre accettati o appoggiati nella misura in cui non si avvicinano troppo ad un certo limite. Questo tipo di attivismo costituisce un perfetto esempio di interpassività: fare cose non per raggiungere un obiettivo ma per evitare che qualcosa davvero succeda, che qualcosa cambi sul serio. Il frenetico attivismo umanitario. Politicamente corretto, riproduce la formula “cerchiamo di modificare alcune cose, in modo che, globalmente, tutto resti sempre uguale”».[4]

L’interpassività ha tanti volti, ma è riconducibile sempre ad un unico messaggio che puntualmente si ripete ossessivo e che diviene la sostanza del sistema capitale: non c’è alternativa. Il sistema è assiologicamente neutro, purché nulla si fermi, non vi dev’essere etica, comunità, ma solo il regno animale dello Spirito, dove l’individualismo si nutre dell’io minimo, ridotto a linguaggio per i commerci: il lessico è minimo e di ordine acquisitivo concreto. La metariflessione dev’essere inibita, poiché il sistema capitale non ammette peccatori, ovvero pensatori; ogni trasgressione è ammessa, purché risponda alle logiche acquisitive. Tutto deve trasformarsi in violenza acquisitiva. Se gli iceberg a causa del riscaldamento globale si sciolgono e si staccano velocemente dalla calotta polare, questa è un’occasione per il plusvalore: si asportano pezzi enormi di ghiaccio, poiché è acqua pura da bere o da utilizzare nell’industria dei cosmetici e dell’alcool. I cacciatori dell’oro bianco trasformano la tragedia del pianeta, della vita, in affari. I blocchi di ghiaccio asportati passano dallo stato solido al liquido, l’acqua è imbottigliata o venduta alle aziende.
Si educa allo sfruttamento perenne – in assenza di fini vincolati al bene comune tutto è possibile –, per cui non si combatte il riscaldamento globale, perché è una ghiotta occasione per gli affari. L’interpassività conferma il sistema rendendolo intrasformabile, anzi il processo di alienazione è così avanzato da guadagnare sugli effetti tragici che il sistema causa. L’essere umano diventa semplice presenza (Vorhandenheit), ente utilizzabile infinitamente per l’autofecondazione del capitale.

Reale e realtà
Si ha lo scollamento tra Reale e realtà (Lacan). Il Reale è il modo di produzione capitalistico anonimo che si autofeconda – a prescindere dalle conseguenze del suo agire – per autoriprodursi. La realtà è il reale storico, la vita delle persone travolte dal Reale, dai meccanismi fatali ed astratti che si susseguono e tutto distruggono:

«Incontriamo qui la differenza lacaniana tra realtà e Reale: “realtà” è la realtà sociale delle persone effettivamente coinvolte nell’interazione e nei processi produttivi, mentre il Reale è la logica inesorabile, “astratta”, spettrale del capitale, che determina ciò che accade nella realtà sociale».[5]

Con il prevalere del Reale sulla realtà, la vita della gente comune scompare, la concretezza ed il dolore di coloro che sono impigliati nel modo di produzione capitalistico è sostituita dal Reale: le vite dei vip – con i loro eccessi – sono i nuovi esempi da seguire nel culto feticistico delle merci. Tutti devono guardare i nuovi santi del consumo, imitarli non solo nel comportamento, ma specialmente nei sogni, nelle speranze fino ad indebitarsi per rendere il proprio corpo simile al corpo dei nuovi eroi del nichilismo. Un’unica plebe, un unico consumo, è la prescrizione del nuovo totalitarismo. I popoli si trasformano in plebe, in una folla di imitatori senza personalità con lo sguardo perennemente rivolto verso l’alto per obnubilare le miserie della vita di ciascuno, per renderle fatali, incomprensibili e specialmente colpevoli.

Che fare?
Risuona ancora il Che fare? di Lenin.
Non ci sono esseri umani innocenti come affermavano Seneca e poi Sartre. Ciò malgrado l’interpassività può essere abbandonata per la cura del mondo, Ciascuno può dare il suo contribuito, affinché la realtà dimostri la verità del Reale. In un momento storico in cui urge la prassi, non abbiamo bisogno di eroi, ma di esseri umani che pongano le condizioni, perché la talpa della storia acceleri il suo percorso verso un nuovo mondo. Sono i piccoli del mondo che possono contribuire al sollevamento di forze costruttive, poiché vivono quotidianamente la tragedia della menzogna e dell’alienazione:

«Quando Marx descrive la folle circolazione del capitale che accresce se stessa, in un cammino solipsistico di autofecondazione che raggiunge l’apice nelle metariflessive speculazioni contemporanee sul futuro, è troppo semplicistico sostenere che lo spettro di questo mostro autogenerantesi, che procede indifferente ad ogni rapporto umano o ambientale, sia un’astrazione ideologica, e che non si dovrebbe dimenticare che, dietro questa astrazione, ci sono persone reali e oggetti naturali, sulle cui capacità e risorse produttive si basa la circolazione del capitale, che di esse si nutre come di un gigantesco parassita».[6]

Ridare voce ai soggetti che nella realtà sono implicati. Volgere lo sguardo verso la totalità-verità del modo capitalistico: non si può fare altrimenti. L’essere umano è per sua natura un ente naturale generico (Gattungswesen), è eccedente la storia, benché in essa si esplichino le sue forme e le sue potenzialità. Non a caso Marx definisce la natura umana “essenza”, poiché si forma nella storia. L’essenza umana sopravvive alla colonizzazione capitale (Gestell), alla riduzione del pensiero a chiacchiera (Gerede). La fiducia nella lotta deve nutrirsi della speranza che la natura umana non sia trasformabile come cera tra le mani del sistema capitale, ma faccia resistenza attiva con il pensiero che diviene agere. Senza tale fondamento ogni agire non può che essere monco e preda di passioni debilitanti. Bisogna lasciare l’ateologia dello Stato mercato per la verità. Siamo di nuovo ad un bivio: dalla scelta di ciascuno di noi dipende il destino della vita tutta. All’interpassività che rafforza la gettatezza nel mondo (Geworfenheit), bisogna non reagire, ma agire nel silenzio del pensiero che diviene esodo dal pensiero unico e moltiplicatore delle resistenze.

Salvatore Bravo

[1] Dal greco πρᾶξις («azione, modo di agire»; der. di πράσσω, fare).

[2] Phrònesis, dal greco φρόνησις, che corrisponde al termine italiano saggezza.

[3] Slavoj Žižek, Il godimento come fattore politico, Raffaello Cortina Editore, Milano 2001, pp. 37-38.

[4] Slavoj Žižek, Tredici volte Lenin, Feltrinelli, Milano 2003, p. 18.

[5] Slavoj Žižek, Il godimento come fattore politico, op. cit., p. 111.

[6] Ibidem, pp. 110-111.

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