Silvana Borutti – Una comunità che si costituisce sull’assunzione della responsabilità dell’altro deve connettere l’ethos non alla polis costituita, ma piuttosto alla polis in costituzione, deve legiferare perché siano tutelate le condizioni della comunità che viene.

Silvana Borutti 01

Il tema dell’ethos come appartenenza va a mio parere chiarito. Non credo che questo tema possa dirci molto a proposito dell’orizzonte etico se l’appartenenza è pensata come rapporto di reciprocità, come un contratto a due, come una specie di narcisismo della relazione duale in cui mi specchio nell’altro come un altro me stesso. Il rapporto con l’altro è in questo caso un rapporto di empatia o di carità: un rapporto in cui l’altro è uguale a me. Ma una comunità di altri me stessi non è una comunità, perché manca in essa l’asimmetria originaria, la legge dell’altro come terzo su cui si costituisce ogni comunità.
L’appartenenza a una comunità significa piuttosto che io mi costituisco nel rapporto con l’altro in quanto l’altro non è me […]. In questa prospettiva, possiamo parlare di una fondazione comunitaria dell’ethos: in quanto esseri comunitari, non possiamo non assumerci la responsabilità dell’altro.
[…] A mio parere, una comunità che si costituisce sull’assunzione della responsabilità dell’altro deve connettere l’ethos non alla polis costituita, ma piuttosto alla polis in costituzione: deve legiferare, perché a partire da ciò una comunità possa costituirsi, per noi e per le generazioni future; in altre parole, deve legiferare perché siano tutelate le condizioni della comunità che viene.

Silvana Borutti, Per un etica del discorso antropologico, Guerini e Associati, Milano, 1993, pp. 21-22.


Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di Silvana Borutti …

Silvana Borutti, Luca Vanzago, Dubitare, riflettere, argomentare. Percorsi di filosofia teoretica.

Nella “Logica” Kant scrive: «A filosofare s’impara soltanto con l’esercizio e usando autonomamente la ragione», dando così all’esercizio un significato altamente formativo. Questo libro è nato da un’esperienza didattica viva, dalla lettura diretta di opere filosofiche della tradizione: ha origine dunque da un “esercizio” inteso in senso kantiano. Come palestra teoretica, si sono scelti testi che “filosofassero” nella forma aurorale dell’interrogazione e del dubbio, e insieme nella forma matura della procedura riflessiva e argomentativa. Si è così individuato come percorso elettivamente teoretico l’atteggiamento autoriflessivo: cioè la disposizione che porta le filosofie a interrogarsi sulla propria natura, sui propri compiti e sul proprio metodo di indagine. A partire dalle rappresentazioni antiche dell’inizio della filosofia, declinate da una parte come risveglio e meraviglia, dall’altra come domanda scettica sulla possibilità della conoscenza, i capitoli del volume affrontano ciascuno la lettura diretta di classici del pensiero considerati come paradigmi del formarsi di stili filosofici e dell’argomentare per concetti, da Agostino a Cartesio, da Hume a Husserl, da Hegel a Wittgenstein.


 

Leggere il Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein.

Il Tractatus logico-philosophicus, un piccolo volume di 80 pagine pubblicato in tedesco nel 1921 e con traduzione inglese a fronte nel 1922, grazie all’interessamento del celebre logico e filosofo Bertrand Russell, è un libro scritto in uno stile inconsueto e inimitabile, fatto di un’architettura di proposizioni numerate con decimali. Wittgenstein vi sviluppa una concezione del significato delle proposizioni del linguaggio che avrà un ruolo decisivo nella formazione delle teorie epistemologiche e semantiche del neopositivismo e della filosofia analitica. Il libro si apre parlando del mondo come ci è dato nella raffigurazione linguistica, e si chiude con la proposizione: “Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”. Nella sua Introduzione, Russell espone i temi del Tractatus in tono ammirato, ma esprime perplessità nei confronti delle proposizioni finali sulla necessità del silenzio. Eppure, nella concezione di Wittgenstein, il silenzio non è un orpello esoterico né una concessione al misticismo, ma ha a che fare con le condizioni del significare, che non possono essere dette, ma solo mostrate.


 

«Mi è gradita l’occasione». Autobiografia del parlare in pubblico

Rivolgersi al pubblico in situazioni ufficiali con pertinenza, empatia, leggerezza, rispetto, e sempre con la necessaria brevità: Silvana Borutti racconta la propria esperienza di docente e di politico in quei particolari momenti in cui un indirizzo di saluto interviene ad accogliere il pubblico. Il saluto è una convenzione rituale, è un discorso che dura poco ed è subito dimenticato da chi lo ascolta: ma proprio perché accoglie e inaugura, ha la responsabilità di facilitare la vita delle istituzioni – di fare in modo che “l’occasione sia gradita” non solo all’oratore, ma anche al suo pubblico.


La filosofia dei sensi. Estetica del pensiero tra filosofia, arte e letteratura

L’autrice si interroga sulla continuità tra sensibilità e intelligenza, tra sensi e pensiero e suggerisce che tale continuità sia consegnata all’immaginazione, considerata come attività che è a un tempo ricettiva e produttiva. Nella seconda parte del volume l’analisi verte sulla natura sensibile e immaginativa di differenti esperienze artistiche, in cui le immagini mostrano la propria forza conoscitiva, e si propone un’interpretazione filosofica di forme artistiche e letterarie, tra Bacon, Caravaggio, Klee, Calvino, Manganelli e altri.


 

La Babele in cui viviamo. Traduzioni, riscritture, culture

Secondo l’interpretazione canonica del mito di Babele, all’edenica lingua delle origini, nella quale parole e cose si appartengono reciprocamente, fa seguito una moltitudine caotica di idiomi divenuti opachi l’uno all’altro. Ma il regno del disordine che leggendariamente subentra all’unità perduta può anche assumere una valenza opposta a quella espiativa tramandata dalla Bibbia. Per la filosofa Silvana Borutti e la comparatista Ute Heidmann è proprio il plurilinguismo che salvaguarda la straordinaria varietà delle forme di vita umane, creando un baluardo contro l’indifferenziato e rendendo necessaria quell’opera incessante di traduzione che potenzia la forza significante di ogni lingua nel momento stesso in cui la apre all’alterità. Nel saggio più aggiornato sugli aspetti teorici, la portata antropologica e gli orizzonti testuali del tradurre, Borutti e Heidmann riflettono sulla mediazione – tra lingue, sistemi simbolici complessi, intere culture – come paradigma di conoscenza. Se esiste un compito elettivo della traduzione, è permettere alle differenze di rompere il loro isolamento, percorrere la distanza che le divide, esporsi alla metamorfosi; Altrimenti il mondo non sarebbe vivibile.


 

Filosofia delle scienze umane. Le categorie dell’antropologia e della sociologia


Giovanni Campus. Tempo in processo. Rapporti, misure, connessioni. Ediz. bilingue


 

Teoria e interpretazione. Per una epistemologia delle scienze umane


 

Nodi della verità


 


Le parole del’etica


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Aristotele (384-322 a.C.) – La poesia è qualche cosa di più filosofico e di più elevato della storia. La poesia tende piuttosto a rappresentare l’universale, la storia il particolare

Aristotele -filosofia poesia e storia

«Ufficio del poeta non è descriver cose realmente accadute, bensì quali possono (in date condizioni) accadere: cioè cose le quali siano possibili secondo le leggi della verisimiglianza o della necessità. […] La vera differenza è questa, che lo storico descrive fatti realmente accaduti, il poeta fatti che possono accadere. Perciò la poesia è qualche cosa di più filosofico e di più elevato della storia; la poesia tende piuttosto a rappresentare l’universale, la storia il particolare».

Aristotele, Poetica, 9, 1451 a 36-b 6.

Aristotele – Questa è la vita secondo intelletto: vivere secondo la parte più nobile che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – La «crematistica»: la polis e la logica del profitto. Il commercio è un’arte più scaltrita per realizzare un profitto maggiore. Il denaro è l’oggetto del commercio e della crematistica. Ma il denaro è una mera convenzione, priva di valore naturale.
Aristotele (384-322 a.C.) – La mano di Aristotele: più intelligente dev’essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; la mano costituisce non uno ma più strumenti, è uno strumento preposto ad altri strumenti.
Aristotele (384-322 a.C.) – Da ciascun seme non si forma a caso una creatura qualunque. La nascita viene dal seme.
Aristotele (384-322 a.C.) – In tutte le cose naturali si trova qualcosa di meraviglioso.
Aristotele (384-322 a.C.) – Se l’intelletto costituisce qualcosa di divino rispetto all’essere umano, anche la vita secondo l’intelletto sarà divina rispetto alla vita umana. Per quanto è possibile, ci si deve immortalare e fare di tutto per vivere secondo la parte migliore che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – Se uno possiede la teoria senza l’esperienza e conosce l’universale ma non conosce il particolare che vi è contenuto, più volte sbaglierà la cura, perché ciò cui è diretta la cura è, appunto, l’individuo particolare.
Aristotele (384-322 a.C.) – Diventiamo giusti facendo ciò che è giusto. Nessuno che vuol diventare buono lo diventerà senza fare cose buone. Il fine deve essere ipotizzato come un inizio perché il fine è l’inizio del pensiero, e il completamento del pensiero è l’inizio di azione. ⇒ Una Trilogia su Aristotele: «Sistema e sistematicità in Aristotele». «Immanenza e trascendenza in Aristotele». «Teoria e prassi in Aristotele».
Aristotele (384-322 a.C.) – Le radici della ‘paideia’ sono amare, ma i frutti sono dolci. Il modello più razionale di ‘paideia’ abbisogna di tre condizioni: natura, apprendimento, esercizio.
Aristotele (384-322 a.C.) – La virtù è uno stato abituale che orienta la scelta, individua il giusto mezzo e lo sceglie. Il male ha la caratteristica dell’illimitato, mentre il bene ha la caratteristica di ciò che è limitato.
Aristotele (384-322 a.C.) – Tutti gli uomini per natura tendono al sapere. L’intelletto è quanto di più elevato si possa pensare, è il «toccare» il vero, rappresenta la realtà più divina ed eccellente che c’è in noi.
Aristotele, La mano è azione: afferra, crea, a volte si direbbe che pensi. La mano ha fatto l’uomo, è l’uomo stesso, è lo strumento degli strumenti. In verità il pensiero si impone come artigianale così come la mano.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Ludwig Wittgenstein (1889-1951) – Il pensatore somiglia molto al disegnatore che vuole riprodurre nel disegno tutte le connessioni possibili.

Ludwig Wittgenstein 01

«Il pensatore somiglia molto al disegnatore che vuole riprodurre nel disegno tutte le connessioni possibili. […] Il lavoro filosofico è propriamente – come spesso in architettura – piuttosto un lavoro su se stessi. Sul proprio modo di vedere. Su come si vedono le cose».

Ludwig Wittgenstein, Vermischte Bemerkungen [1977], a cura di G. H. von Wright, Suhrkamp, Frankfurt a. M.; tr . it. (a cura di M. Ranchetti) Pensieri diversi, Adelphi, Milano 1980, pp. 33 e 40-41.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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