Amnon Kapeliouk (1930-2009) – 16 settembre 1982. «Sabra e Chatila. Inchiesta su un massacro». Il paesaggio sfida qualsiasi descrizione. Un’incarnazione dell’orrore, una visione dopo un uragano. dimensione di barbarie È questo spettacolo spaventoso. Un puzzo acre di cadaveri aleggia sulle macerie.
16 settembre 1982
امذبحة صبرا وشاتيل
madhbaḥa Ṣabrā wa-Shātīlā
Amnon Kapeliouk
Sabra e Chatila. Inchiesta su un massacro
Presentazione di Helarion Capuci. Introduzione di Stefano Chiarini
a cura di Giancarlo Paciello e Carmine Fiorillo
indice – presentazione – autore – sintesi
In copertina:
Pittogramma arabo del poeta Mouhamad Hamza Ganayem che significa
«... verso il cielo che piange/una pioggia leggera e tranquillizzante/su un mare di rifugiati…».
Quando, nel 1983, decidemmo di pubblicare per la prima volta in italiano questo libro motivammo così la nostra scelta: «Il testo che pubblichiamo si inserisce nel quadro di una pubblicistica sempre più rara, una pubblicistica che fa della verità e dell’indipendenza di giudizio la base irrinunciabile di ogni attività di documentazione e di analisi della realtà. Pensiamo a chi, sia pure da un ben preciso punto di vista, sappia e voglia attenersi ai fatti, ignorando le interpretazioni di comodo della realtà». E Amnon Kapeliouk, che aveva scritto in meno di due mesi l’inchiesta su quell’orribile carneficina che si svolse nei campi profughi di Sabra e Chatila, a Beirut, apparteneva di diritto a simile pubblicistica, con il suo esempio di impegno e di dignità intellettuale innanzitutto nei confronti del popolo palestinese martoriato e misconosciuto.
Nel 2002, dopo più di vent’anni, quando pubblicammo in seconda edizione il libro, questo popolo subisce, sulla sua terra, ancora violenze e distruzioni. Nel 2002, come più di vent’anni prima, Amnon Kapeliouk era lì, ancora una volta con il suo coraggio e la sua dignità di uomo. A pochi giorni dall’incubo vissuto nei campi profughi di Jenin da più di quattordicimila palestinesi asserragliati in un chilometro quadrato e bombardati da carri armati a da elicotteri da combattimento Cobra, è andato di persona a Jenin, per un’altra inchiesta. E, su Le Monde Diplomatique di maggio 2002, in un articolo dal titolo Jénine, enquete sur un crime de guerre, comincia così: «Il paesaggio sfida qualsiasi descrizione. Un’incarnazione dell’orrore, una visione dopo un uragano. Case distrutte, un tutto o in parte, rottami di cemento e di ferro, grovigli di fili elettrici. Auto polverizzate dai carri armati o dai missili aggiungono una dimensione di barbarie a questo spettacolo spaventoso. Un puzzo acre di cadaveri aleggia sulle macerie. Non resta nulla delle infrastrutture».
Vogliamo sottolinearne due aspetti. Il primo è relativo alla sua capacità di Kapeliouk di andare a fondo, di cogliere l’essenziale della mostruosità. Riesce a farsi raccontare come tutto il campo profughi fosse diventato un bersaglio estremamente differenziato. Con il satellite, sono state rilevate le posizioni delle 1100 case e a ciascuna di esse è stato assegnato un numero, di quattro cifre precisa l’interlocutore. Sopra Jenin volavano sempre due Cobra, e i piloti di turno ricevevano un numero, più semplice di così! Il secondo aspetto riguarda la qualifica di questi attacchi, che nonostante tutto hanno richiesto otto giorni per vincere la resistenza del popolo palestinese di Jenin. Kapeliouk non ha dubbi, si tratta di un crimine di guerra dello Stato d’Israele. Un terrorismo di stato in piena azione, ci viene di concludere.
L’edizione del 2002 è in tutto identica alla precedente, fatte salve evidentemente la presentazione di monsignor Helarion Capucci e l’introduzione di Stefano Chiarini. Anche l’appendice, nella quale l’autore esprime le sue critiche e le sue riserve al documento conclusivo della commissione d’inchiesta israeliana sui massacri di Sabra e Chatila, il famoso rapporto Kahane, è di Amnon Kapeliouk, ed era presente nella prima edizione.
Oggi, nel 2019, 37 anni dopo, di fronte all’oblio generalizzato, noi vogliamo far memoria di quella strage e di tutte quelle altre che sono state perpetrate sul popolo palestinese in lotta per la propria dignità, per la propria terra, per la propria indipendenza.
Viva il popolo palestinese !!
Giancarlo Paciello
Carmine Fiorillo
La prima edizione italiana del testo di Kapeliouk, nella traduzione di Giancarlo Paciello, compare nel giugno 1983 come supplemento al nn. 20/22 di Corrispondenza Internazionale, periodico di documentazione culturale e politica, Anno VII. Nella redazione: Carmine Fiorillo e Giancarlo Paciello.