Giancarlo Paciello – Ministoria della Rivoluzione cubana

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  1. Lotta politica democratica / 2. Verso la lotta armata / 3. L’assalto al Moncada / 4. La storia mi assolverà / 5. A volte, per fortuna, ritornano / 6. I barbudos in azione / 7. L’epopea castrista

 

 

 

 

Das Archivbild vom 21. August 1960 zeigt Kubas MinisterprŠsidenten Fidel Castro und Ernesto "Che" Guevara, damals PrŠsident der kubanischen Nationalbank, bei einer MilitŠrparade. Nach Ches Tod am 9. Oktober 1967 sind verschiedene Biographien Ÿber den lateinamerikanischen RevolutionŠr erschienen. dpa nur s/w (zu dpa-Korr: "Che Guevara ist auch 30 Jahre nach seinem Tod noch aktuell" vom 03.11.1997)

  1. Lotta politica democratica

 

Fidel Castro, entra all’università nel 1945 e si butta con impeto nelle lotte studentesche. Periodo di apprendistato, per il duro compito della lotta politica. E si dà subito da fare! In lotta con l’impresa privata dei trasporti urbani, Fidel diciottenne organizzò la requisizione degli autobus all’interno del recinto universitario, e vinse. Fidel faceva parte del gruppo dei manicatos, studenti che lottavano per la giustizia, denunciando i mali della vita pubblica. Questi, una volta erano andati a visitare il “penitenziario modello” dell’Isla de Pinos, e le guardie avevano tentato di impedire che gli studenti parlassero coi detenuti: Fidel aveva dato il via allo scontro – quasi una rissa – con le guardie e poi aveva denunciato l’incidente sul giornaletto dei manicatos. In seguito le autorità di polizia tentarono di coinvolgere Castro in provocazioni e processi. Una volta, nel corso di una manifestazione, un agente cadde ferito: accusarono Fidel. Ma lo studente che aveva deposto contro di lui, ritirò l’accusa e Fidel ne uscì ancora una volta indenne. Batista lo accusava di avere ucciso tre agenti di polizia, ma le più insospettabili fonti nordamericane – da Jules Dubois, uomo del Dipartimento di Stato, a Herbert Matthews, il direttore del New York Times che intervistò per primo Fidel sulla Sierra – scriveranno sempre parlando di una falsa accusa. Nel 1948 Castro fu mandato a Bogotà a rappresentare la FEU – la Federazione studenti universitari di Cuba – a un congresso del movimento studentesco latino-americano. In contemporanea al congresso studentesco, nella capitale della Colombia, si teneva una riunione dei ministri degli esteri dell’Organizzazione degli stati americani. Appena celebrata l’inaugurazione ufficiale di questa conferenza, il presidente liberale della Colombia, José E. Gaitan, fu assassinato. E Fidel si trovò all’interno di una insurrezione popolare. Studenti e operai, disorganizzati, tentarono di dare una guida allo spontaneo moto popolare. Apparvero bandiere rosse con falce e martello e vi furono parecchi morti.
Di lì a pochi giorni – osserva il Dubois – dovevano svolgersi in Italia le elezioni politiche più importanti del dopoguerra. Erano i primi di aprile del 1948. Una vittoriosa insurrezione comunista, sia pure nella lontana Colombia, avrebbe potuto influire sul risultato delle elezioni italiane. Ma i combattenti di quelle giornate popolari si ritirarono sui monti che circondano la capitale colombiana. Ridisceso a Bogotà, Fidel si presentò all’ambasciata cubana e riuscì a rientrare subito a Cuba, su un aereo che aveva portato tori di razza in Colombia. Con lui viaggiava un altro studente cubano che si era stupidamente vantato di avere ammazzato un prete, durante la rivolta. Poi si seppe che nessun prete era stato ucciso a Bogotà. A Fidel Castro si attribuì subito l’uccisione di ben tre preti. Fidel trasse dai fatti di Bogotà una lezione essenziale sulla debolezza dei moti spontanei popolari, anche quando questi giungono alla soglia della presa del potere. A Bogotà il movimento mancava di qualsiasi coordinazione. [Leggi tutto]

 

 

 

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Giancarlo Paciello,
Ministoria della Rivoluzione cubana

 

 


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