Un po’ alla volta sono state scardinate tutte le loro possibili difese, in modo da ottenere un popolo di consumatori privati non tanto della cultura, quanto della capacità di riconoscerla e del desiderio di goderne.
A mancare è quella che Latronico chiama “fiducia nel fatto che l’arte abbia qualcosa da dare”: l’idea che possa essere un valore aggiunto all’esistenza o che contribuisca per lo meno a renderla più interessante.
Il risultato è un popolo di giovani e meno giovani che non riescono a comprendere un testo con troppe subordinate.
Che non conoscono nemmeno la Storia che li riguarda.
Che non sanno perché il sole nasce e tramonta.
Sudditi col diritto di voto.
Perciò non sei stupida,Giulia.
Ti hanno solo detto che certe cose in questa società non contano e l’hanno reso vero.
Con la cultura non si mangia: lo hanno urlato a un microfono, lasciato intuire dal curriculum dei vip.
È nello sguardo di tua madre quando mi paga le ripetizioni, un cartello appeso al collo dei professori perennemente precari, perennemente frustrati. È uno spot elettorale.
Nei tuoi quindici anni di vita hai assimilato che leggere è noioso, difficile e non cambia le cose. Non ti diverte o rende felice. Leggere non serve a niente.
Quindi lascia che vi diano la colpa, i genitori attenti con le loro librerie strapiene, i professori che ti incalzano in groppa ai loro Ronzinante. Che ti rinneghino pure più di tre volte e che storcano il viso da te.
Sbagliano, perché nella giungla che li circonda non riconoscono i lupi che ti hanno cresciuta».
Giusi Marchetta, Lettori si cresce, Einaudi, 2015, p. 55.