25 Aprile 2022 – Una nuova resistenza sotto la bandiera del bene e della verità.

Anna Magnani in una celebre sequenza di “Roma città aperta”, di Roberto Rossellini.
Salvatore Bravo

Una nuova Resistenza sotto la bandiera del bene e della verità

Esodo per una nuova cultura della Resistenza

Resistenza e riduzionismo

 

 

Il 25 Aprile è il giorno in cui la democrazia sociale afferma i propri valori sconfiggendo le forze oscure del nazifascismo. Nella liturgia annuale della ricorrenza però si tende da più parti ad occultare che il sistema capitalistico – già vigente in tutto il Novecento  (prima, durante e dopo il secondo conflitto mondiale) e oggi globalizzatosi –, non è così antitetico al nazifascismo come sovente ama dipingersi: il nazifascismo è parte sostanziale della ormai lunga storia del capitalismo.

 

La multinazionale capitalistica della IBM, al servizio di Mussolini e di Hitler

In un articolo pubblicato il 14-02-2001 su “il manifesto” si poteva leggere a proposito di un libro di Edwin Black (La IBM e l’Olocausto. I rapporti fra il Terzo Reich e una grande azienda americana, Rizzoli, Milano 2001):

«[…] uno dei motivi che spiegano il putiferio scatenato dal libro di Black è proprio la generalizzata amnesia postmoderna. Negli ultimi due decenni non solo si è rimossa la memoria dei crimini del capitale in nome del profitto: il capitalismo si è persino trasfigurato in una istituzione “morale”, fonte dei valori che contano […]. Sul versante della casa madre IBM il libro mette in luce l’uso delle schede perforate non solo nella preparazione a tavolino della Shoah, ma anche nella gestione logistica dei campi di concentramento, del lavoro coatto, della macchina militare […]. Le schede perforate della IBM grondano di sangue […]. I manager americani sapevano benissimo che la loro tecnologia era usata nei campi di concentramento, che essa “agevolava l’oppressione e il genocifio”, “costituiva l’ossatura dell’infrastruttura nazista”. […] Thomas Watson [si vedano immagini cliccando qui], presidente della IBM, sfoggiava sul suo pianoforte una foto di Mussolini con dedica autografa, e parlava di Hitler con “simpatia” e “ammirazione”, e fu ricevuto dal Führer con tutti gli onori a Berlino nel 1937 [Si vedano le foto cliccando qui]. Ancora nel marzo del 1941 un manager IBM telegrafò soddisfatto a New York: “Il governo tedesco ha bisogno delle nostre macchine. I militari le usano per ogni possibile impiego”. […] Dopo l’entrata in guerra dell’America nel 1941 i rapporti con la filiale svizzera della IBM non si interruppero, e per questo tramite […] forniture americane arrivarono in Germania anche dopo quella data».[1]

 

Mettere a nudo la realtà capitalistica del presente

La vittoria del 25 Aprile e le sue celebrazioni ritrovano il proprio autentico significato se davvero riescono ad individuare le forze che oggi operano (in vario modo) nel controllare, soggiogare, silenziare ogni istanza comunitaria alternativa: è questo l’unico modo per resistere e non lasciarsi avvolgere e stritolare dai tentacoli del capitale. Se ci si limita ad una monumentale celebrazione del passato, e specialmente, se la giornata del 25 Aprile è usata ideologicamente dalle attuali forze capitalistiche per autocelebrarsi, la ricorrenza è svuotata del suo significato etico e politico. Costoro dicono che il nemico è stato sconfitto nel passato e affermano che ora regna il miglior sistema sociale e politico possibile, che bisogna “solo gestire” l’ordinario costituito dai bombardamenti etici e dalla flessibilità (sfruttamento) sul lavoro in nome della libertà del capitale. Resistere significa, invece, far emergere “il nemico” della democrazia e della libertà.

 

L’inganno del riduzionismo

La contemporaneità ha nel riduzionismo e nel capitalismo (nella sua forma globale) i nemici da combattere. La bestia selvatica del mercato, come l’ebbe a definire Hegel, produce riduzionismi in campo culturale, in modo da congelare le coscienze individuali e comunitarie condannate a ipostatizzarsi.
Il feticismo dei mercati sta divorando le libertà mediante l’inganno del riduzionismo: si elimina ogni discorso sul bene e sulla verità per sfuggire allo sguardo critico e non svelare le dinamiche dei processi di accumulo e profitto.

 

Accogliere solo chi testimonia dialetticamente la verità

In tale clima infausto bisogna leggere e pensare autori che testimoniano dialetticamente la verità. Senza la ricerca veritativa il sistema capitale non si palesa nella sua miseria culturale, la quale si traduce in nichilismo e squallore antropologico. Il dialogo tra Carmelo Vigna e Luca Grechi dona uno sguardo critico e fuori dal coro accademico che consente di comprendere le dinamiche in atto. Si resiste al presente, se si introduce il parametro della qualità e del bene con cui giudicare e pensare la totalità.
Il riduzionismo è il velo di Maya con il quale il capitale neutralizza il pensiero dialettico e la prassi. I riduzionismi devono essere letti nella loro valenza storica e ideologica per poterli smascherare nella loro verità strutturale e ideologica:

«Vigna: […] Questo riduzionismo si associa ad altre forme di riduzionismo: naturalistico, psicologico ecc. L’epistemologia è, comunque, sul piano filosofico, la fonte (e la forma) maggiore di questi riduzionismi, specie se coltivata senza la consapevolezza ch’essa è solo riflessione su un frammento dell’esperienza, e non sul senso della esperienza nella sua totalità».[2]

 

Adattarsi passivamente oppure agire criticamente dall’interno?

Resistere significa scegliere. Gli uomini e le donne che hanno resistito al nemico nazifascista hanno scelto la libertà, non sono stati “idioti” nel significato greco del termine. Gli idioti erano coloro che si occupavano solo degli affari privati e non avevano nessun senso del pubblico.

Resistere implica avere il senso etico del pubblico che si costruisce attraverso lo sguardo olistico con il quale si giudica il valore qualitativo della totalità, in cui siamo implicati:

«Vigna: […] La massa può solo fare i conti col proprio “starci dentro” quotidiano, cioè dentro la vita quotidiana. E, in questo quotidiano, si può vivere sostanzialmente in due modi: adattandosi passivamente oppure agendo criticamente dall’interno».[3]

 

Resistenza e flessibilità

La mercificazione totale dell’essere umano e della vita è il vero nemico. Il male è tra di noi e con noi, ogni tentativo di occultarne la verità va combattuto e denunciato. Bisogna tenere la posizione, non cedere all’adattamento che in questo caso è già assimilazione. Le gioie e le promesse del grande tentatore, il capitalismo, si stanno rilevando nella loro effettualità: gli esseri umani con le loro relazioni sono merce di scambio. Il dialogo ha ceduto il posto al solo calcolo utilitario, per cui si è tutti in pericolo e minacciati dal valore di scambio e dai processi di alienazione che producono l’infelicità generale e le guerre nel privato, nel pubblico e tra gli Stati nazionali:

«Grecchi: […] Tutto, nel modo di produzione capitalistico, diventa inevitabilmente merce: non più solo il lavoro, la natura, la moneta (come sottolineava K. Polany), ma anche tutte le relazioni umane, e in un certo senso perfino le strutture della personalità, che il capitale tende a produrre appunto come merci, funzionalmente al proprio valore processo di valorizzazione complessiva».[4]

  

Resistenza significa cambiarne i processi produttivi

Il nucleo del problema resta la produzione. Resistenza significa cambiarne i processi produttivi. Nela produzione capitalistica gerarchizzata i soggetti imparano la normalità del dominio, assimilano e riportano nel loro privato la logica dello sfruttamento e della negazione dell’altro. La produzione forma soggettività passive pur nella loro aggressività competitiva.
Resistere, oggi, significa trasgredire gli inutili specialismi astratti per una critica argomentata al sistema capitale non scissa dalla prassi. L’aziendalizzazione delle istituzioni e della vita è la violenza legalizzata col sistema capitalistico.
Bisogna spostare l’attenzione sul problema essenziale, il quale, non è la distribuzione, ma la produzione che si esplica con la gerarchizzazione e con la sussunzione. La produzione con la divisione tra dominatori e dominati addomestica ed insegna la passività. La genesi della passività è nella produzione la quale forma coscienze che ipostatizzano la gerarchizzazione produttiva con cui si nega l’attività politica. La produzione passivizzante vuole formare alla normalità della pratica del dominio. Resistere e sperare significa storicizzare i sistemi produttivi per emanciparli dalla normalità della violenza globale:

«Grecchi: […] Engels ha chiarito bene che la ridistribuzione della ricchezza dipende dalla forma (privatistica e sociale) della sua produzione, e oggi la forma produttiva è quella capitalistica privata dei gruppi transnazionali…».[5]

 

La fioritura della nostra umanità

Resistere significa coltivare nella lotta la speranza di una nuova fioritura nella vita e nella storia:

«Vigna: […] La fioritura della nostra umanità è sempre inizialmente un sogno, ed è un sogno che vuole (e che deve anche) farsi reale. Perciò è necessario coltivare cose come l’audacia e la speranza, fin da quando si è giovani».[6]

Il primo esodo per una nuova cultura della Resistenza è capire i significati delle nuove liturgie del sistema con il suo linguaggio falsamente libertario e orwelliano. La speranza è prassi critica e consapevolezza teorica del luogo-mondo in cui siamo. Bisogna trovare le ragioni per resistere e sperare, non vi è resistenza senza speranza. Gli adulti devono testimoniare non la flessibilità-adattamento al sistema capitale, ma la speranza critica in opposizione alla crematistica alienante e violenta. La speranza e la resistenza hanno la loro genealogia nella testimonianza critica a cui le nuove generazioni guardano per orientarsi in una realtà depressiva che li vuole perennemente flessibili e adattabili agli ordini del capitale.

 

Note

[1] Un test statistico chiamato Shoah

il manifesto 14/02/01

La Ibm e l’Olocausto Il ramo tedesco del gigante informatico Usa fornì a Hitler il know how dello sterminio. Un libro lo svela, cinque scampati chiedono i danni GUIDO AMBROSINO – BERLINO

Che la macchina di sterminio nazista si fosse avvalsa della tecnologia meccanografica della Ibm, il gigante americano dell’informatica, non è una novità.

In Germania se ne discusse già nel 1983, quando un inedito movimento di protesta riuscì a far saltare il censimento progettato dal governo federale. Incombeva allora lo spettro del “grande fratello” che tutto controlla, come nel romanzo 1984 di George Orwell. Le stesse “iniziative civiche” che si battevano contro le centrali nucleari e i missili atomici a medio raggio temevano un salto di qualità nella schedatura elettronica dei cittadini, già sperimentata in grande scala dalla polizia durante la caccia ai guerriglieri della Rote Armee Fraktion. La corte costituzionale finì col dare loro ragione, proclamando il diritto dei cittadini “all’autodeterminazione informatica”, cioè al controllo sui dati che li riguardano. I Länder tedeschi e lo stato federale dovettero istituire dei garanti per la tutela dei dati personali. Solo molti anni più tardi queste tematiche vennero riprese anche in Italia.

Uno degli argomenti che favorì in Germania il successo della protesta contro il censimento del 1983 fu proprio la scoperta che le premesse “informatiche” per lo sterminio degli ebrei erano state fornite dall’Ufficio statistico del Reich e dalla filiale tedesca della Ibm, la società Dehomag (Deutsche Hollerith Maschinen Gesellschaft), con i censimenti del 1933 e del 1939, i cui dati erano stati elaborati con il sistema delle schede perforate. Due storici della nuova sinistra, Karl Heinz Roth e Götz Aly, riversarono le loro ricerche nel libro Schedatura totale. Censimenti, controlli d’identità e selezione nel nazionalsocialismo (Berlino, 1984).

Un libro importante, che fece perdere l’innocenza alle tecniche di controllo statistico della popolazione. Ma le sue rivelazioni, più che sfociare in una denuncia delle responsabilità passate della casa madre americana, servirono a rafforzare un movimento per i diritti civili nella società contemporanea. Del resto la storiografia di sinistra aveva già tanto insistito sulla compromissione del capitale – anche di quello internazionale – nel nazismo, che il ruolo giocato allora dalla Ibm ne sembrava un corollario quasi scontato. Come che sia il libro di Roth e Aly è finito sulle bancarelle dell’antiquariato, senza fare né caldo né freddo ai manager della Ibm nella centrale di Armonk, vicino a New York.

Non andrà così col nuovo libro del pubblicista americano Edwin Black, La Ibm e l’Olocausto, pubblicato in contemporanea il 12 febbraio in otto paesi, con anticipazioni in esclusiva su settimanali e quotidiani. L’impatto è enorme, e non solo perché Black ha aggiunto molti nuovi dettagli alle ricerche di Roth e Aly, soprattutto sul versante americano della casa madre Ibm, e sull’uso delle schede perforate non solo nella preparazione a tavolino della Shoah, ma anche nella gestione logistica dei campi di concentramento, del lavoro coatto, della macchina militare.

Paradossalmente uno dei motivi che spiegano il putiferio scatenato dalla pubblicazione di Black è proprio la generalizzata amnesia postmoderna. Negli ultimi due decenni non solo si è rimossa la memoria dei crimini del capitale in nome del profitto: il capitalismo si è perfino trasfigurato in un’istituzione “morale”, fonte dei valori che contano, come innovazione e spirito d’impresa. Riscoprire dopo tanta apologia che le schede perforate della Ibm grondano sangue ha l’effetto di uno shock.

Ma è soprattutto l’esperienza organizzativa e giuridica accumulata negli ultimi anni in America dai sopravvissuti allo sterminio con le cause collettive di risarcimento a rendere esplosivo il libro di Edwin Black. Grazie alle class action la storiografia esce dagli scaffali delle biblioteche universitarie e piomba nelle aule dei tribunali. Ed ecco che il gigante Ibm trema: non tanto perché ferito nell’onore, ma perché minacciato nel portafoglio. Sono in gioco indennizzi per miliardi di dollari.

Sabato scorso cinque ebrei scampati ai Lager, due cecoslovacchi, un ucraino e due cittadini statunitensi hanno presentato una denuncia contro la Ibm accusandola di “complicità nell’Olocausto”, a nome dei circa centomila sopravvissuti. Il loro avvocato Michael Hausfeld vuole innanzitutto che i giudici costringano la Ibm a rendere accessibile tutta la documementazione conservata nei suoi archivi. Ma già adesso – sulla scorta dei libro di Edwin Black – ritiene di poter dimostrare che i manager americani sapevano benissimo che la loro tecnologia era usata nei campi di concentramento, che essa “agevolava l’oppressione e il genocidio”, “costituiva l’ossatura dell’infrastruttura nazista”.

Era stato Hermann Hollerith, un ingegnere americano di origine tedesca, a inventare le schede perforate che portano il suo nome, le antenate dei moderni computer. E grazie al possesso di questo brevetto la Ibm ha costruito le sue fortune. I dati, con delle punzonatrici, vengono tradotti in fori su delle schede di cartoncino. Le schede possono poi venire lette con degli aghi di metallo. Quando passano attraverso un buco gli aghi chiudono un circuito elettrico, che aziona dei contatori di scatti, in grado di tradurre le informazioni in serie numeriche.

I circuiti elettrici possono anche azionare delle macchine di smistamento delle schede, che depositano in un mucchietto separato quelle con i dati cercati. Per esempio le schede con i dati del censimento del 1933 prevedevano per gli ebrei un foro alla terza riga della 22esima colonna. La smistatrice ammucchiava una sull’altra le schede con questa informazione in un mucchietto a parte. Per passaggi successivi si poteva ricostruire quanti ebrei abitavano in un determinato quartiere o in una certa strada, o incrociare i loro dati anagrafici con le loro professioni. Negli anni ’40 lettori meccanografici più elaborati erano in grado di tradurre le schede in tabulati e liste di nomi.

Così all’interno della popolazione si potevano rapidamente individuare gruppi a seconda della caratteristica scelta: minorati fisici e mentali, asociali, comunisti, omosessuali. L’amministrazione dei Lager poteva smistare i prigionieri nella produzione a seconda della loro qualificazione professionale, oppure selezionarli per le camere a gas.

In Germania negli anni ’20 una società autonoma utilizzava, su licenza della Ibm, la tecnica Hollerith: la Dehomag di Willy Heidinger. Nel 1922, anno in cui la Germania fu funestata da una superinflazione, la Dehomag non fu in grado di pagare 100.000 dollari per l’uso del brevetto. Thomas Watson, presidente della Ibm, ne approfittò per inghiottirla. Offrì alla Dehomag la cancellazione del debito in cambio della cessione del 90% delle azioni. Da quel momento la fabbrica tedesca divenne a tutti gli effetti una filiale della Ibm, la più importante: il comparto tedesco realizzava quasi la metà del fatturato dell’intero gruppo.

L’ufficio statistico del Reich era uno dei migliori clienti. Watson, che sfoggiava sul suo pianoforte una foto di Mussolini con dedica autografa, e parlava di Hitler con “simpatia” e “ammirazione”, fu ricevuto con tutti gli onori dal Führer a Berlino nel 1937. Ancora nel marzo del 1941 un manager Ibm telegrafò soddisfatto a New York: “Il governo tedesco ha bisogno delle nostre macchine. I militari le usano per ogni possibile impiego”.

Solo dopo l’entrata in guerra dell’America nel 1941 la Dehomag fu posta dai nazisti sotto amministrazione controllata. Ma stranamente i rapporti con la filiale svizzera della Ibm non si interruppero, e per questo tramite, secondo Edwin Black, forniture americane arrivarono in Germania anche dopo quella data.

[2] Carmelo Vigna – Luca Grecchi, Sulla verità e sul bene, Petite Plaisance, Pistoia 2011, pag. 18. [indicepresentazioneautoresintesi ]

[3] Ibidem, pag. 39.

[4] Ibidem, pag. 77.

[5] Ibidem, pag. 115.

[6] Ibidem, pag. 118.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Callimaco (305-240 a.C.) – Qualcuno mi ha detto della tua morte e ho pianto a ricordare. Ed ora tu, chi sa dove, sei cenere: ma hanno vita i tuoi usignoli, da cui persino Ade, che tutto rapisce, terrà lontane le sue cupe mani.

Ludovica Bargellini

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Cicerone (106-43 a.C.) – Se qualcuno salisse al cielo e contemplasse la forma dell’universo e lo splendore delle stelle, tale spettacolo non gli darebbe alcun piacere, mentre sarebbe fonte di grande gioia se avesse qualcuno a cui raccontarlo.


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Piergiorgio Bellocchio (1931-2022) – In ricordo di Piergiorgio Bellocchio. I suoi “semi di umanità” rappresentano oggi l’indispensabile educazione al “restare umani” (Franco Toscani).

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Vittorio Morfino – Hegel e l’ombra di Spinoza. I concetti di organismo e violenza.


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ISBN 978-88-7588-321-8, 2022, pp. 216, formato 140×210 mm., Euro 25 – Collana “Il giogo” [145].

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Sabrina Grimaudo – Misurare e pesare nella Grecia classica. Teoria, storia, ideologie.

Sabrina Grimaudoi, Misurare e pesare nella Grecia classica, L’Epos, Palermo 1998.

Sabrina Grimaudo è docente presso l’Università di Palermo. I suoi studi soni principalmente rivoilti ad aspetti storico-epistemologici della scienza antica, al lessico greco della parentela e all’analisi del rapporto potere/violenza nei testi greci. Oltre avari contributi su riviste specializzate, ha pubblicato Misurare e pesare nella Grecia antica. Teorie, storia, ideologie, L’Epos, Palermo 1998.

Curriculum e pubblicazioni di Sabrina Grimaudo.


In copertina: Coppa di Arcesilao (VI sec. a.C.), Parigi, Cabinet des Médailles.
In copertina: Coppa di Arcesilao (VI sec. a.C.), Parigi, Cabinet des Médailles.

Sabrina Grimaudo, «Difendere la salute. Igiene e disciplina del soggetto nel “De sanitate tuenda” di Galeno». Problema medico o questione filosofica?


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Diego Lanza (1937-2018) – Nous e thanatos. Scritti su Anassagora e sulla filosofia antica. Prefazione di Gherardo Ugolini

Diego Lanza

Nous e thanatos. Scritti su Anassagora e sulla filosofia antica

Prefazione di Gherardo Ugolini: L‘Anassagora di Diego Lanza.

ISBN 978-88-7588-343-0, 2022, pp. 368, formato 140×210 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [142].

In copertina: Thanatos e Hypnos trasportano il corpo di Sarpedonte via dal campo di battaglia di Troia. L’autore, il cosiddetto Pittore di Thanatos, è vissuto nel V secolo a.C. ad Atene. Dettaglio da una lekythos attica a fondo bianco datata agli anni 440-430 a.C. circa. British Museum, Londra (Cat. Vases D56).

indicepresentazioneautoresintesi


Il νοῦς (‘intelletto’, ‘mente’) è il principio che nel sistema cosmogonico di Anassagora dà origine al turbinoso movimento circolare da cui le sostanze si formano per separazione; θάνατος (‘morte’) è per Epicuro un semplice vuoto, mentre per Aristotele non era possibile intenderne il concetto altrimenti che in chiave biologica. Attorno a questi due temi ruota gran parte dell’analisi di Diego Lanza, presentata in alcuni saggi pubblicati tra il 1963 e il 2005 su riviste specializzate di studi classici e in miscellanee, ed ora raccolti nel presente volume. Nell’approccio al pensiero di Anassagora, come pure nell’indagine su concetti importanti della cultura greca antica quali σοφία, σωφροσύνη, ἀρετή etc., Lanza ricorre ad uno specifico approccio ermeneutico-filologico che muove dall’analisi linguistica e stilistica dei testi, e punta alla comprensione del contesto storico-culturale in cui inquadrare ogni singola testimonianza, con la finalità di smascherare e decostruire i modelli d’interpretazione che si sono costruiti e consolidati nel corso del tempo. Il tutto senza mai ostentare la presunzione di aver raggiunto un’interpretazione oggettivamente vera e definitiva, ma sempre nell’ottica di problematizzare le questioni illuminandole da molteplici punti di vista. Si tratta dello stesso metodo che Lanza ha utilizzato altrove per interpretare la tragedia greca, la figura del tiranno nel teatro, la Poetica e gli scritti biologici di Aristotele, gli snodi teorici della storia degli studi classici.






Diego Lanza (1937-2018) – Di mio padre ricordo l’orgoglio tenace, la fedeltà alle proprie decisioni, l’energia necessaria a una silenziosa coerenza, il disprezzo per il mormorio del senso comune. Mi ha insegnato ad essere come chi amiamo si aspetta che noi siamo, perché non pesare su chi ci ama con le nostre sofferenze è amorosa accortezza.
Diego Lanza (1937-2018) – La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca. Prefazione di Anna Beltrametti
Diego Lanza (1937-2018) – Appassionato filologo e grecista, innovativo nella lettura interdisciplinare dei testi, sempre in tensione etica, morale, filosofica, che ci consegna quale suggello, testimonianza vivificante e forte dono.
Diego Lanza (1937-2018) – «Lo stolto. Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune». Prefazione di M. Stella. Postfazione di G. Ugolini.
Diego Lanza (1937-2018) – Euripide porta sulla scena lo spettatore, l’uomo della vita di ogni giorno.
Diego Lanza, Gherardo Ugolini – «Storia della filologia classica». Si è cercato di illustrare tutta la problematicità della filologia, mostrando al contempo quanto lo studio dell’antico abbia sempre interferito con i dibattiti che hanno via via segnato lo svolgersi della cultura europea negli ultimi due secoli.
Diego Lanza (1937-2018) – Il libro di A. Meillet ci offre un’immagine della lingua greca oltremodo ricca, nel costante riferimento a precise condizioni storiche. Il rapporto tra lingua e società si definisce con chiarezza come rapporto tra lingua e civiltà, cultura in senso antropologico.
Diego Lanza (1937-2018) – «Il tiranno e il suo pubblico» è il tentativo di definire la genesi, lo sviluppo e la fortuna di una figura ideologica, che sempre meglio si precisa nella letteratura ateniese tra la metà del V e la metà del IV secolo a.C.
Silvia Gastaldi, Fulvia de Luise, Gherardo Ugolini, Giusto Picone – ** MARIO VEGETTI e DIEGO LANZA **, In ricordo di una amicizia filosofica.

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Annie Lacroix-Riz – C’è un contesto storico che spiega perché la Russia è stata messa all’angolo. Questa guerra, per quanto deplorevole, è stata annunciata molto tempo fa, e le voci ragionevoli di militari, diplomatici e accademici in Occidente, che non hanno accesso a nessun grande organo di “informazione” privato o statale, sono categoriche sulle responsabilità esclusive e di lunga data degli Stati Uniti nello scoppio del conflitto che hanno reso inevitabile.

L’histoire contemporaine toujours sous influence

Annie Lacroix-Riz, docente di storia contemporanea all’Università di Parigi VII-Denis Diderot, ha scritto diversi libri sulle due guerre mondiali e la dominazione politica ed economica. Guarda con attenzione la situazione in Ucraina ponendola in relazione alla storia dell’imperialismo di inizio XX secolo e la sua continuazione. Quello che ci viene raccontato troppo spesso dai media non ci permette di capire il conflitto, quindi di cercare una soluzione per la pace. In questa intervista, ci viene offerto uno sguardo retrospettivo utile per comprendere gli eventi e la storia recente della regione.

 

Intervista a Annie Lacroix-Riz

C’è un contesto storico che spiega perché la Russia è stata messa all’angolo

Questa guerra, per quanto deplorevole, è stata annunciata molto tempo fa, e le voci ragionevoli di militari, diplomatici e accademici in Occidente, che non hanno accesso a nessun grande organo di “informazione” privato o statale, sono categoriche sulle responsabilità esclusive e di lunga data degli Stati Uniti nello scoppio del conflitto che hanno reso inevitabile.

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Nei media, si ha l’impressione che la guerra in Ucraina sia scaturita dal nulla. Cosa può dirci del suo contesto storico?

Prima di tutto, gli elementi storici sono quasi assenti da quella che è difficile definire una “analisi” della situazione. Tuttavia, ci sono due aspetti importanti da prendere in considerazione negli eventi attuali. In primo luogo, c’è una situazione generale, cioè l’aggressione della Nato contro la Russia. In secondo luogo, c’è una sorta di ossessione contro la Russia – e anche contro la Cina. Questa ossessione non è nuova, quindi permette di relativizzare l’attuale frenesia anti-Putin. L’essenza della presunta “analisi occidentale” è che Putin sia un pazzo paranoico e (o) un nuovo Hitler. Ma l’odio per la Russia e il fatto di non sopportare che la Russia eserciti un ruolo mondiale è riconducibile all’imperialismo statunitense.

 

Come si spiega questa ossessione?

È un’ossessione caratteristica di un imperialismo dominante che è stato egemone per quasi tutto il XX secolo. Questo imperialismo non vuole perdere la propria egemonia, che però sta perdendo. In effetti, oggi non siamo più nella stessa situazione degli anni ‘50, quando gli Stati Uniti rappresentavano il 50% della produzione mondiale. La Cina si sta avvicinando alla posizione di primo produttore del mondo, e questo non piace agli Stati Uniti. Negli ultimi anni abbiamo raggiunto un momento particolarmente acuto del confronto, segnato da una serie di aggressioni sconcertanti.

Anche la Russia viene presa di mira. Si ha l’impressione che ci sia ancora una sorta di rancore contro i bolscevichi, ma è importante rendersi conto che questa russofobia dell’imperialismo statunitense è iniziata in epoca zarista ed è continuata in seguito, anche dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Gli impegni presi dagli Stati Uniti di non avanzare militarmente nella zona ex sovietica sono stati tutti violati. Dal 1991 al febbraio 2022, siamo così arrivati a un momento in cui la prospettiva per la Russia di vedere la Nato alle sue porte e di un’Ucraina nuclearizzata è divenuta una realtà immediata.

 

Qual è il posto dell’Ucraina nel confronto fra potenze imperialiste?

L’Ucraina è inseparabile dalla storia della Russia fin dall’alto Medioevo. La Russia con tutte le sue ricchezze naturali è una caverna di Alì Babà e l’Ucraina è stata il suo gioiello più grande: è una fonte straordinaria di carbone, ferro e tante altre risorse minerali, oltre che un formidabile deposito di grano e altri cereali. Cosa che ha attratto a lungo i desideri di molti.

Se ci atteniamo al periodo imperialista (dal 1880), possiamo dire che è stata la Germania a essere inizialmente interessata all’Ucraina. Prima della guerra del 1914, il Reich tedesco decise di controllare l’impero russo assicurandosi il controllo delle sue “marche” più sviluppate, l’Ucraina e gli Stati baltici. Durante il conflitto, la Germania trasformò questi Stati e l’Ucraina in una roccaforte militare, la base per il suo assalto all’Impero russo. Durante la Prima guerra mondiale, mentre la Germania fallì sul fronte occidentale già nel 1917, lo stesso non si può dire del fronte orientale, che dominò fino alla sua sconfitta. E anche se, dal gennaio 1918, la Russia da poco sovietica era sottoposta a ulteriori aggressioni da parte di tutte le altre potenze imperialiste (14 paesi la invasero senza dichiarazione di guerra), Berlino riuscì a imporle, nel marzo 1918, il trattato di Brest-Litovsk, che ne confiscò l’Ucraina. La sconfitta della Germania alla fine della Prima guerra mondiale non è valsa a restituirla, vista la guerra condotta sul suo suolo dagli “Alleati”, sostenuti da tutti gli elementi antibolscevichi, russi e ucraini.

 

L’Ucraina ha poi goduto di un breve periodo di indipendenza…

Dal 1918 al 1920, ci fu effettivamente un breve periodo di “indipendenza” folcloristica, sullo sfondo dell’aggressione delle armate bianche (pogromiste) di Denikin, e del pogromista Petliura, ufficialmente “indipendentista” e alleato della Polonia (che mirava a tutta l’Ucraina occidentale). L’Ucraina rimase l’obiettivo del Reich, che aveva preso il sopravvento sull’impero austriaco, poi gli “austro-ungarici” degli Asburgo, possessori della Galizia orientale, nell’ovest dell’Ucraina, dopo la spartizione della Polonia. Questa tutela germanica fornì una base preziosa per l’indebolimento della Russia e dello slavismo ortodosso, dal tempo degli Asburgo, con l’uniatismo come strumento principale, guidato dal Vaticano.

 

Che ruolo ha avuto il Vaticano?

L’uniatismo cattolico, supporto ideologico della conquista germanica, aveva sedotto una parte della popolazione ucraina occidentale, grazie al suo aspetto formale molto vicino all’ortodossia. Questo strumento di conquista austriaco fu ripreso dalla Germania in epoca imperialista: il Vaticano, capendo che non poteva più contare sul moribondo impero cattolico, si sottomise definitivamente al potente Reich protestante all’inizio del XX secolo, anche in Ucraina.

Nel periodo tra le due guerre, l’Ucraina giocò quindi un ruolo decisivo nell’alleanza tra la Germania e il Vaticano, al quale Berlino affidò lo spionaggio militare attraverso i chierici uniati. Possiamo vedere come fu organizzato allora il tentativo di conquistare l’Ucraina, consacrato dalla firma del Concordato del Reich del luglio 1933. Uno dei suoi due articoli segreti stabiliva che la Germania e il Vaticano si sarebbero alleati nella presa dell’Ucraina, che era uno dei principali obiettivi di guerra della Germania, sia nella Prima guerra mondiale che nella Seconda. L’assalto militare, l’occupazione e lo sfruttamento economico sarebbero spettati alla Germania, la “ricristianizzazione” cattolica al Vaticano.

 

Anche gli Stati Uniti erano interessati…

L’Ucraina è una questione importante in sé, ma è anche la porta d’accesso al Caucaso ricco di petrolio. Gli Stati Uniti si sono uniti all’imperialismo tedesco per entrare in Russia e specialmente in Ucraina dopo la fine della Prima guerra mondiale. Nel 1930, tutti gli imperialismi sognavano di abbuffarsi nella ricca Ucraina. Nel mio libro Aux origines du carcan européen, ho mostrato come Roman Dmovski, uomo politico polacco di estrema destra, aveva analizzato perfettamente la “questione ucraina” nel 1930. Scrisse che i grandi imperialismi volevano tutti mangiarsi l’Ucraina, con in testa i due più febbrilmente impegnati nel compito: il tedesco e l’americano. Diceva anche che se l’Ucraina fosse strappata dalla Russia, questa sarebbe diventata un paese puramente “consumatore”, costretta a comprare i suoi prodotti industriali altrove. Non avrebbe mai potuto sostenere una tale perdita, aggiungeva.

 

Non ha funzionato, l’Ucraina è rimasta nell’Unione Sovietica. Ma c’era ancora il nazionalismo ucraino, giusto?

Il nazionalismo ucraino è stato prima tedesco e poi statunitense (o meglio entrambi), perché non aveva una reale capacità di indipendenza: il Reich lo ha finanziato prima del 1914, e da allora non ha mai smesso. Infatti, coloro che sostenevano di volere l’Ucraina “indipendente” (Bandera più di alcuni dei suoi, che non pretendevano nemmeno di rivendicarla “immediatamente”) appartenevano tutti all’uniatismo, che nel periodo tra le due guerre, e per tutta la Seconda guerra mondiale, fu confuso con il nazismo.

È difficile non fare il collegamento con i movimenti che troviamo oggi: il battaglione Azov, Pravy Sektor, ecc., sono gli eredi diretti e rivendicati del movimento autonomista ucraino del periodo tra le due guerre, che vide la creazione, già nel 1929, del movimento banderista. Chiamata “Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini” (OUN), fu interamente finanziata dal Reich di Weimar e poi di Hitler (dopo che l’“autonomismo” era stato sovvenzionato dal Reich guglielmino).

 

Come si è sviluppato questo movimento?

Il movimento di Stepan Bandera, ora “eroe nazionale” ufficiale dell’Ucraina statale, e al quale il battaglione Azov e altri raggruppamenti filonazisti rendono costantemente omaggio, si diffuse a partire dal 1929 nell’Ucraina polacca e slovacca. Non era presente nell’Ucraina sovietica e ortodossa. I “banderisti”, come altre correnti del “nazionalismo ucraino”, erano anti-ebraici, anti-russi e anche violentemente anti-polacchi. Hanno anche attaccato radicalmente gli ucraini non autonomisti e gli ucraini che erano rimasti vicini alla Russia.

Queste bande di ausiliari della polizia tedesca, dal 1939 nella Polonia occupata, poi dal 22 giugno 1941 nell’URSS occupata, formarono un “esercito [cosiddetto] insurrezionale”, l’UPA. Questi 150-200.000 criminali di guerra massacrarono indiscriminatamente centinaia di migliaia di loro “nemici”: ebrei, ucraini fedeli al regime sovietico, russi e polacchi, che odiavano come gli altri. Per prendere solo l’esempio dei polacchi, tra 70.000 e 100.000 civili furono uccisi dalle milizie banderiste durante la guerra. L’argomento propagandistico in voga secondo cui lo Stato polacco ha accolto calorosamente gli ucraini “vicini” sentimentalmente è, alla luce di questa lunga storia criminale (che inizia prima della guerra), assurdo.

Nel 1944, quando l’Unione Sovietica riprese il controllo di tutta l’Ucraina, compresa Lvov (in luglio), 120.000 di questi criminali di guerra fuggirono in Germania. Gli Stati Uniti li hanno usati quando sono arrivati nella primavera del 1945.

Un libro sull’argomento, Hitler’s Shadow, è stato pubblicato da due storici americani ed è disponibile online in inglese. È tanto più interessante perché i suoi due autori sono storici approvati dal Dipartimento di Stato, con il quale lavorano ufficialmente sulla storia dello sterminio degli ebrei: Richard Breitman e Norman J.W. Goda. Mostravano come gli americani, appena arrivati in Germania nella primavera del 1945, avevano rintracciato tutti i criminali di guerra, tedeschi e non. Una parte dei banderisti rimase in Germania, nelle zone occidentali, soprattutto nella zona americana, con un grande raggruppamento a Monaco. Un altro è stato accolto a braccia aperte negli Stati Uniti, tramite la Cia, in barba alle leggi sull’immigrazione, e un altro ancora è rimasto nell’Ucraina occidentale.

Quest’ultimo gruppo, forte di decine di migliaia di persone, ha condotto una guerra inespicabile contro l’Unione Sovietica: tra l’estate del 1944 e l’inizio degli anni ‘50, ha assassinato 35.000 funzionari civili e militari, con il sostegno finanziario tedesco e americano, in particolare dal 1947-48. Un eccellente storico tedesco-polacco che ha avuto grossi problemi di censura dopo la “rivoluzione arancione” del 2004, Grzegorz Rossolinski-Liebe, ha dimostrato che il banderismo rimane un inestinguibile terreno di coltura filonazista: i molti eredi di Bandera nutrono un odio uguale per polacchi, russi, ebrei e ucraini che non sono fascisti. Inutile dire che questo ricercatore ha avuto grossi problemi di censura dalla “rivoluzione arancione” del 2004, e ancora di più nell’era di Maidan, soprattutto perché la sua tesi studiava come, dal 1943, i banderisti avevano creato una propria leggenda di “resistenza ai nazisti” tanto quanto ai rossi che agli ebrei. Una leggenda che è stata molto utile per l’inclusione nella lista dei gruppi “democratici” sostenuti da Washington.

 

Quali sono state le conseguenze di questa collusione?

Tra i criminali di guerra accolti calorosamente negli Stati Uniti, gli intellettuali contavano molto. Dal 1948, sono stati reclutati in gran numero dalle università americane, quella dell’Ivy League in testa, tra cui Harvard e Columbia. Nei “centri di ricerca sulla Russia” che sono proliferati dal 1946-1947, hanno partecipato, insieme ai loro prestigiosi colleghi americani, a una frenetica guerra ideologica contro la Russia. Fu in questo contesto che si diffuse la leggenda del “l’Holodomor”, i cui eventi hanno poi segnato le tappe decisive della conquista dell’Ucraina. Questa “ricerca” e questo “insegnamento”, impiegati per più di 70 anni, e diffusi in massa, con l’aiuto dei grandi media, nel corso dei decenni nell’Europa americana, hanno letteralmente “imputridito” la conoscenza “occidentale” della storia dell’Ucraina (e, più in generale, dell’URSS).

I sostenitori politici di Euromaidan, avatar delle innumerevoli “rivoluzioni arancioni” degli ultimi vent’anni, hanno formato la spina dorsale del 2014, alleandosi con gli oligarchi che, dal 1991, avevano monopolizzato tutta la ricchezza dell’Ucraina. Va notato che questo tipo di saccheggio non è proprio della Russia di Putin; può essere osservato in quasi tutti i paesi usciti dall’Unione Sovietica. In Ucraina, gli oligarchi hanno fatto affidamento su questi elementi banderisti. Lo Stato ucraino di Poroshenko e dei suoi successori dal 2014 si appoggia apertamente su questi movimenti nazisti che gli Stati Uniti hanno pasciuto al loro seno, senza tregua dal 1944-1945.

Gli Stati Uniti avevano infatti un programma esplicito, codificato nel giugno 1948 nel quadro della Cia, per liquidare puramente e semplicemente non solo la zona di influenza sovietica ma lo stesso Stato sovietico. Fu sotto l’amministrazione democratica che venne messa in atto la politica del “rollback” [annullamento] per schiacciare il comunismo dovunque si fosse stabilito (e per impedire che si stabilisse ovunque nella zona d’influenza americana). Come tutta una serie di lavori storici hanno dimostrato, compresi lavori di ricercatori americani con forti legami con l’apparato statale e robusti sentimenti antisovietici, questo programma è stato sicuramente attuato con la Cia fin dalla sua nascita, nel luglio 1947.

Possiamo cogliere tutta la portata del programma nel testo del febbraio 1952 di Armand Bérard, diplomatico francese distaccato a Bonn, che cito per esteso in Aux origines du Carcan européen. Bérard profetizzava che la Russia, così indebolita dalla guerra di logoramento tedesca condotta contro di lei dal 1941 al 1945 (27-30 milioni di morti, l’URSS europea devastata) avrebbe capitolato sotto i colpi degli Stati Uniti e della Germania di Adenauer, ufficialmente perdonata per i suoi crimini e riarmata fino ai denti: Mosca avrebbe finito per cedere tutta l’Europa centrale e orientale, che costituiva la sua “zona d’influenza” e che era stata oggetto “dei cambiamenti fondamentali, in particolare di natura democratica, che, dal 1940, hanno avuto luogo nell’Europa orientale”, nelle parole di questo diplomatico molto “occidentale”. E la data del 1940 si riferisce alla sovietizzazione degli Stati baltici e di parti della Romania e della Polonia, gli uni più fascisti degli altri.

 

Ma ci sono voluti alcuni anni.

Dopo il 1945, questo tipo di progetto ha richiesto tempo, poiché il governo sovietico era meno indifferente al proprio popolo e ai popoli circostanti di quanto la storia della propaganda “occidentale” sostenga. Ma è stato portato avanti con notevole continuità e con enormi risorse finanziarie. L’intera popolazione fu presa di mira, ma un’attenzione particolare fu dedicata alle élite statali e intellettuali del paese, che, come priorità, dovevano essere distaccate dallo Stato sovietico. Lo sforzo è accelerato considerevolmente dopo la vittoria degli Stati Uniti nel 1989, e con maggiore efficienza, mentre la Russia attraversava un decennio di completa decadenza. Bisogna ricordare che sotto Eltsin, le potenze straniere, in primo luogo gli Stati Uniti, hanno governato il paese, l’economia venduta all’asta è crollata, la popolazione diminuita dello 0,5% all’anno (drammaticamente in Siberia e nell’Estremo Oriente), e l’aspettativa di vita della popolazione russa era scesa drasticamente nel 1994 (di quasi dieci anni per gli uomini).

Durante questi anni, il lavoro delle termiti tedesco-americane che Breitman e Goda hanno descritto per gli anni 1945-1990 (perché i tedeschi erano strettamente coinvolti) si è ovviamente intensificato. È vero che il National Endowment for Democracy (NED), caro a Patricia Nuland, un’eminenza delle amministrazioni Bush e poi di tutti i suoi successori democratici, Biden compreso, ha appena cancellato dal proprio sito i suoi dossier sul finanziamento, che fino ad allora erano stati pubblici, almeno in parte, della secessione dell’Ucraina, e poi del suo inserimento nell’apparato di aggressione alla Russia. Ma il sito del Dipartimento di Stato non ha censurato l’ammissione del 13 dicembre 2013 del sottosegretario Nuland, la signora delle opere buone di Maidan, così presente a Kiev nel febbraio 2014, davanti al Congresso: lì ha dichiarato con orgoglio che dalla caduta dell’URSS (1991), “gli Stati Uniti” hanno “investito più di 5 miliardi di dollari per assistere l’Ucraina”. Lo scopo era certamente quello di assicurarsi una presa definitiva sulla miniera d’oro agricola e industriale ucraina, obiettivo finale di questa lunga crociata. Ma era anche per portare l’Ucraina nella Nato, di cui quasi tutti i paesi dell’ex zona di influenza sovietica e molte delle ex repubbliche sovietiche sono già membri. Questo è stato riconosciuto da molti anni. È stato chiaramente riaffermato dalla “carta di partenariato strategico Stati Uniti-Ucraina firmata il 10 novembre 2021 dal segretario di Stato americano Antony Blinken e dal ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba”: questa è la dicitura orgogliosamente esibita dal Parlamento europeo di Strasburgo nella sua “Risoluzione del 16 dicembre 2021 sulla situazione alla frontiera ucraina e nei territori occupati dell’Ucraina occupati dalla Russia”.

Da quel momento in poi, Mosca doveva essere portata a cinque minuti dalle bombe atomiche che erano state conservate nei paesi membri della Nato fin dalle origini del Patto atlantico (in alcuni casi fin dai primi anni ‘50). C’era da esacerbare il contenzioso delle miserie inflitte dall’Ucraina di Maidan alle popolazioni del Donbass, in chiara violazione degli accordi di Minsk. La propaganda occidentale ha taciuto dal 2014 al febbraio 2022 su queste miserie e su questa violazione degli accordi di cui Parigi e Berlino erano “garanti”.

La lunga congiuntura storica e gli sviluppi dal 1989, seriamente aggravati dal 2014, hanno messo all’angolo la Russia. Tutti gli osservatori ragionevoli sottolineano che ha lanciato la guerra contro l’Ucraina il 24 febbraio 2022, spinta ai suoi limiti estremi. Questo passo ricorda quello fatto dall’Unione Sovietica alla fine del 1939.

 

Che cosa intende con questo?

Questo è un elemento essenziale. Alla fine del 1939, l’Unione Sovietica fece un sincero tentativo di negoziare con la Finlandia, presentata negli archivi storici e militari come un puro e semplice alleato della Germania nazista. Dal 1935, la Germania aveva installato una serie di campi d’aviazione militare in Finlandia, che erano basi d’attacco dell’URSS cedute de facto alla Germania, e che furono effettivamente utilizzate durante la guerra per l’aggressione tedesca contro l’URSS. Per settimane, Mosca ha discusso invano con la Finlandia, che una volta era stata parte dell’Impero russo ma che era diventata un paese chiave del “cordone sanitario” antibolscevico nel 1918-1919. I sovietici chiesero alla Finlandia di scambiare parte del suo territorio per creare una forte zona cuscinetto difensiva intorno a Leningrado con un territorio (sovietico) più vasto. Le trattative fallirono, sotto la pressione della Germania e di tutti i paesi “democratici” che, come dichiarò all’epoca un diplomatico fascista italiano, sognavano una generale “Santa Alleanza” contro i sovietici.

L’URSS invase la Finlandia il 30 novembre 1939. Ha dovuto affrontare una propaganda del tipo di quella diffusa ora e delle sanzioni (compresa l’espulsione dalla Società delle Nazioni, ottenuta all’unanimità il 14 dicembre). Si trattava solo del mostro sovietico contro la povera piccola Finlandia, e il Vaticano del filo-nazista Pio XII era sbilanciato come il Papa attuale sui “fiumi di sangue” ucraini. La “guerra d’inverno”, in un paese chiave del “cordone sanitario” dove la popolazione era stata “scaldata” contro il comunismo e l’URSS per oltre vent’anni, fu terribile.

Dolorosamente, l’Armata Rossa ha infine sconfitto la Finlandia. E il 12 marzo 1940, l’accordo raggiunto diede a Helsinki ciò che Mosca aveva già offerto nel 1939, né più né meno, e senza dubbio protesse Leningrado dall’invasione. È significativo che l’attuale campagna di propaganda vilipenda il lungo periodo di neutralità che la Finlandia del dopoguerra ha osservato, dopo che la Finlandia filonazista era passata, come previsto, in guerra dalla parte della Germania.

 

Quindi questo le ricorda l’attuale situazione in Ucraina?

Sì, se ci si attiene ai fatti storici e non ci si limita a dire che siamo di fronte a un mostro squilibrato. Leggo oggi in petizioni o giornali di riferimento che “Putin” sta incendiando un’Europa finora calma e pacifica. Ma non abbiamo sentito questi intellettuali, reclutati in massa dalla grande stampa e scatenati contro il “nuovo Hitler”, protestare e manifestare contro le centinaia di migliaia di morti causati dai bombardamenti americani ed “europei” in Iraq, Libia, Afghanistan e Siria. Le stesse persone che maledicono “Putin” hanno trovato eccellenti i 78 giorni di bombardamenti contro Belgrado e il “nuovo Hitler” Milosevic. Il paragone, va notato, è stato applicato a tutti i “nemici” che l’Occidente si è creato da quando Nasser nazionalizzò il canale di Suez.

Né ricordo la forte indignazione di questi nuovi antinazisti per i 500.000 bambini morti in Iraq per mancanza di cibo e cure mediche come conseguenza immediata del blocco anglo-americano, bambini il cui sacrificio “valeva la pena” secondo l’ex segretario di Stato democratico Madeleine Albright, recentemente scomparsa. Cos’è questo sistematico doppio standard, applicato anche alle popolazioni martirizzate del Donbass, che Putin è accusato di aver strumentalizzato per otto anni contro la tanto simpatica Ucraina?

Questa guerra, per quanto deplorevole, è stata annunciata molto tempo fa, e le voci ragionevoli di militari, diplomatici e accademici in Occidente, che non hanno accesso a nessun grande organo di “informazione” privato o statale, sono categoriche sulle responsabilità esclusive e di lunga data degli Stati Uniti nello scoppio del conflitto che hanno reso inevitabile.

 

Come si svilupperanno le cose?

Non faccio commenti sul futuro, perché gli storici non dovrebbero fare previsioni, soprattutto data l’informazione, esecrabile, attualmente disponibile. Ma mi sento in diritto di affermare che gli Stati Uniti sono la potenza imperialista le cui guerre di aggressione hanno, dalla fine della Seconda guerra mondiale, accumulato milioni di morti. Raccomando il libro tradotto di William Blum, un ex funzionario della Cia (sono i migliori analisti), che ha stabilito una rigorosa cronologia dei crimini degli Stati Uniti contro una serie di stati cosiddetti “canaglia”.

La Russia non è sempre stata vista come tale da “l’Occidente”, dai tempi della “Grande alleanza” e dello “zio Joe” (Josif Stalin). Fino agli ultimi decenni di propaganda unilaterale “occidentale” sulla liberazione dell’Europa attraverso il solo sbarco americano nel giugno 1944, era ampiamente riconosciuto che solo l’Armata Rossa aveva sconfitto la Wehrmacht, e a quale prezzo! Secondo stime recenti, gli Stati Uniti hanno subito meno di 300.000 morti totali nella Seconda guerra mondiale sui fronti di Pacifico ed Europa, tutti morti militari. Ho ricordato prima il mostruoso bilancio di morti di parte sovietica: dieci milioni di vittime militari, da 17 a 20 milioni le vittime civili.

Finora la Russia, sovietica o no, non ha seminato rovine in guerre straniere. È stata oggetto di aggressioni ininterrotte da parte delle grandi potenze imperialiste dal gennaio 1918. Non lo dico perché sono una sostenitrice di Putin. Tutti i documenti d’archivio vanno in questa direzione, i diplomatici e i militari occidentali sono i primi a saperlo e ad ammetterlo nella loro corrispondenza non destinata alla pubblicazione. Questo è il tipo di documentazione che ho scavato per più di cinquant’anni. Non faccio, attraverso il mio lavoro e nel giudicare l’attuale congiuntura, che il mio mestiere di storico.


Saggio già pubblicato su sinistra in rete del 9 aprile 2022.


L’histoire contemporaine toujours sous influence, LE TEMPS DES CERISES, 2012

En 2004, dans un pamphlet intitulé ‘L’histoire contemporaine sous influence’, Annie Lacroix-Riz s’inquiétait d’une certaine dérive de la recherche historique depuis les années 1980. Le climat idéologique s’est alourdi avec la généralisation d’un certain révisionnisme historique pour lequel toute révolution serait liberticide. Ces nouveaux dogmes conduisent aussi à censurer où à mettre à l’index les travaux des historiens qui continuent à penser hors des sentiers battus. Depuis, de « réforme » de l’université en nouvelles lois sur les archives, la situation s’est aggravée. S’est banalisée l’histoire d’entreprise, l’histoire de connivence, qui fait l’impasse sur les épisodes les moins glorieux de la vie des entreprises ou de leurs dirigeants. En témoigne l’affaire Louis Renault qui a défrayé la chronique au début de cette année : afin d’obtenir la réhabilitation de leur ancêtre, les héritiers Renault et certains « historiens » avec eux ont réécrit sa biographie. Dans un contexte ou le statut de fonctionnaire est menacé, dans quelles conditions la recherche historique peut-elle être indépendante des pressions financières ?


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Judith Schalansky – La rovina è un luogo utopico in cui passato e futuro diventano una cosa sola. È dolorosa la consapevolezza di essere mortali, e comprensibile il desiderio vanaglorioso di resistere alla fugacità e di lasciare delle tracce a una posterità sconosciuta, non solo di essere ricordati, ma di esserlo “in perpetuo”… Anche se nulla dura per sempre, ci sono cose che si mantengono più a lungo di altre …

Judith Schalansky, Inventario di alcune cose perdute, Nottetempo, 2020.

Judith Schalansky 

La rovina è un luogo utopico in cui passato e futuro diventano una cosa sola. È dolorosa la consapevolezza di essere mortali, e comprensibile il desiderio vanaglorioso di resistere alla fugacità e di lasciare delle tracce a una posterità sconosciuta, non solo di essere ricordati, ma di esserlo “in perpetuo”…
Anche se nulla dura per sempre, ci sono cose che si mantengono più a lungo di altre …

Descrizione

La Storia del mondo è piena di cose che sono andate perdute, smarrite nel corso del tempo o distrutte intenzionalmente, a volte semplicemente dimenticate – o magari, come si racconta nell’Orlando furioso, volate in un archivio sulla Luna. Inventario di alcune cose perdute è una raccolta di dodici storie, ciascuna dedicata a una cosa che non c’è più: narrazioni sospese in un delicato equilibrio tra presenza e assenza, fotografie ben a fuoco ma stampate con inchiostro scuro su carta scura, piccole realtà che solo l’immaginazione è in grado di riportare alla memoria. Si va da Tuanaki, un’isoletta indicata su vecchie mappe che ormai giace sotto il livello del mare, alla tigre del Caspio, il cui ultimo esemplare impagliato andò distrutto in un incendio; dallo scheletro di un presunto unicorno, nascosto chissà dove, a Kinau, un selenografo tedesco dell’800 di cui pare nessuno sappia nulla, fino alle misteriose lacune dei carmi amorosi di Saffo, che custodiscono ipotesi e segreti. Come aveva già fatto nel suo Atlante delle isole remote, in questo libro Judith Schalansky gioca a ricreare mondi del passato a partire da pochi frammenti, si cala nei contesti, nei linguaggi, coglie di volta in volta gamme di colori e sensazioni, restituendo a ogni cosa anche il più piccolo dettaglio, storico o visionario che sia.



Judith Schalansky, nata a Greifswald nel 1980, si è laureata in Storia dell’Arte e in Design e lavora a Berlino come scrittrice e designer, oltre a tenere corsi di tipografia. Il suo Atlante delle isole remote è uscito in Italia per Bompiani nel 2013. Lo splendore casuale delle meduse, pubblicato da nottetempo nel 2013 e tradotto in più di venti lingue, ha vinto nel 2012 il Premio Buchkunst Stiftung per il libro più bello dell’anno e nel 2013 il Premio Salerno Libro d’Europa. Inventario di alcune cose perdute, pubblicato da nottetempo nel 2020, ha vinto in Germania numerosi premi, tra cui il Wilhelm Raabe-Literaturpreis 2018, e in Italia il Premio Strega Europeo 2020.




M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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