Ipazia di Alessandria (355/370-415 a.C.) – Verso il cielo è rivolto ogni tuo atto Ipazia sacra, bellezza delle parole, astro incontaminato della sapiente cultura.

Ipazia di Apessandria01

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Ma è nel fuoco che bisogna ardere.
Niente si addice alla parola più che la temperatura del fuoco […]
Non c’è ritirata possibile, Sinesio.

(M. Luzi, Libro di Ipazia)

Leva dunque, lettore, all’alte ruote
meco la vista, dritto a quella parte
dove l’un moto e l’altro si percuote […]
E se le fantasie nostre sono basse
a tanta altezza, non è maraviglia;
ché sopra ‘l sol non fu occhio ch’andasse.
(
Dante, Par. X)

***

Ipazia rappresentava il simbolo dell’amore per la verità, per la ragione, per la scienza che aveva fatto grande la civiltà ellenica. Con il suo sacrificio cominciò quel lungo periodo oscuro in cui il fondamentalismo religioso tentò di soffocare la ragione.

Margherita Hack

***

Quando ti vedo mi prostro, davanti a te e alle tue parole,
vedendo la casa astrale della Vergine,
infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto
Ipazia sacra, bellezza delle parole,
astro incontaminato della sapiente cultura
“.

Pallada

***

“Quando tracciava una nuova mappa del cielo, Ipazia stava indicando una traiettoria nuova – e insieme antichissima – per mezzo della quale gli uomini e le donne del suo tempo potessero imparare ad orientarsi sulla terra e dalla terra al cielo e dal cielo alla terra senza soluzione di continuità e senza bisogno della mediazione del potere ecclesiastico […]. Ipazia insegnava ad entrare dentro di sé (l’intelletto) guardando fuori (la volta stellata) e mostrava come procedere in questo cammino con il rigore proprio della geometria e dell’aritmetica che, tenute l’una insieme all’altra, costituivano l’inflessibile canone di verità”.

Gemma Beretta, Ipazia d’Alessandria, Editori Riuniti.

***

“Poiché tale era la natura di Ipazia, era cioè pronta e dialettica nei discorsi, accorta e politica nelle azioni, il resto della città a buon diritto la amava e la ossequiava grandemente e i capi, ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da lei”.

Damascio

***

“A causa della sua straordinaria saggezza tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale”.

Socrate Scolastico

01 Ipazia in un dipinto del 1885 di Charles William Mitchell

Ipazia in un dipinto del 1885 di Charles William Mitchell

 

Particolare del dipinto di Raffaello Sanzio - La scuola di Atene

Ipazia, Particolare del dipinto di Raffaello Sanzio – La scuola di Atene

 

 

Jules Gaspard, Ipazia, 1908

Jules Gaspard, Ipazia, 1908

 

 

Gemma Beretta, Ipazia d'Alessandria

Gemma Beretta, Ipazia d’Alessandria

 

Hypatia of Alexandria. Mathematician and Martyr di Michael A.B. Deakin

Hypatia of Alexandria. Mathematician and Martyr di Michael A.B. Deakin

 

Ipazia. Vita e sogni di una scienziata del IV secolo

Ipazia. Vita e sogni di una scienziata del IV secolo


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Fernanda Mazzoli – Alcune considerazioni intorno al libro «L’AGONIA DELLA SCUOLA ITALIANA» di Massimo Bontempelli

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ALCUNE CONSIDERAZIONI INTORNO AL LIBRO

L’AGONIA DELLA SCUOLA ITALIANA

DI MASSIMO BONTEMPELLI

Il lettore di questo libro pubblicato nel 2000 dall’Editrice C.R.T. resta colpito più ancora che dall’ acutezza dell’analisi e dalla profondità della visione culturale che l’alimenta dall’indubbia attualità del testo. Una qualità che, in questo caso, preoccupa più che rallegrare, in quanto sottolinea che i processi individuati all’epoca da Bontempelli come agenti di un disastro educativo e culturale hanno continuato a lavorare il corpo travagliato della scuola italiana, fino all’esaurimento progressivo della sua funzione culturale ed educativa, sancito dall’ultima riforma, la buona scuola, cioé la scuola subordinata alle esigenze del mercato.

Una lunga agonia, progettata nel corso degli anni ’80 nei piani alti delle oligarchie economiche transnazionali su diretto suggerimento delle organizzazioni industriali europee e realizzata da chirurghi governativi di diverse appartenenze partitiche e di comune fede nelle virtù salvifiche del mercato, con l’ausilio di solerti assistenti reclutati nel variegato mondo delle burocrazie ministeriali, dei sindacati confederali e dell’Università.

Massimo Bontempelli si è trovato a vivere la riforma Berlinguer che, attraverso l’autonomia scolastica, ha aperto la strada alla scuola-azienda, diventata oggi il modello organizzativo della scuola italiana, la cui impostazione gerarchica è garantita dalla presenza di un Dirigente manager e di uno staff di docenti collaboratori, dall’ossessione della misurazione di abilità e competenze di alunni e insegnanti, da una soffocante burocratizzazione del lavoro dei docenti, dalla flessibilità delle loro mansioni e dalla differenziazione del loro trattamento economico in base ad un presunto merito che premia tutto fuorché il concreto impegno didattico nelle classi.

È, quest’ultimo, uno snodo cruciale, come Bontempelli aveva ben compreso: il pauroso impoverimento culturale della scuola va di pari passo con la sua trasformazione in senso aziendale, ne costituisce il presupposto e il coronamento e passa necessariamente per un cambiamento di funzione dell’insegnante, non più intellettuale ed educatore (almeno sul piano più alto), ma organizzatore e coordinatore di progetti, animatore, somministratore (sic) di test, nonché addestratore a competenze specifiche ritenute utili al mercato del lavoro.

Questo risibile ircocervo che già muoveva i primi baldanzosi passi con la riforma berlingueriana in questi anni è stato amorevolmente nutrito a più mani ed è cresciuto fino ad allargare i suoi tentacoli e a soffocare l’idea stessa di una formazione culturale disinteressata e di un pensiero critico capace di leggere la realtà nella sua complessità, humus indispensabile per lo sviluppo armonioso di un essere umano e di un cittadino consapevole, piuttosto che di un lavoratore usa e getta e per di più soddisfatto della sua condizione.

L’ alternanza scuola-lavoro, introdotta dalla legge 107 e fulcro della nuova idea di scuola subordinata alle esigenze delle imprese locali alle quali è pronta a fornire manodopera gratuita sotto il pretesto di un apprendistato a competenze professionali spendibili più tardi, rende indispensabile quel richiamo avanzato da Massimo Bontempelli a ripensare “su un piano conoscitivamente alto, ed eticamente valido” la relazione tra scuola e società, attualmente appiattita meccanicamente su una dimensione economicistica, quando non apertamente e servilmente prona alle richieste immediate della produzione .

È un invito che merita di essere ripreso, perché attorno a questo nesso si gioca una partita importantissima che rischia di consegnare inerme un’intera generazione al tritatutto del mercato, sotto la copertura demagogica della promessa di uno sbocco occupazionale, la cui mancanza viene vergognosamente attribuita all’inadeguatezza della scuola rispetto alle dinamiche del presente, invece che alle politiche neoliberiste del lavoro e agli scenari economici del mondo globalizzato.

Lo svuotamento culturale trova puntuale conferma nell’assenza, denunciata da Bontempelli, di un preciso asse culturale nella riforma berlingueriana che si disegna, in definitiva, come una goffa combinazione di tecnicismo didattico e di aziendalismo organizzativo. A distanza di quasi vent’anni dalla sua lucida analisi, possiamo misurare quanto puntuale fosse la sua previsione della direzione verso cui veniva trascinata la scuola italiana, e con essa, l’idea stessa di educazione: pesante invadenza burocratica nella didattica,condizionamenti economici,culto delle misurazioni valutative e delle prove standardizzate, incentivi alla concorrenza fra scuole e,all’interno delle stesse, fra colleghi, trasmissione sempre più ridotta e banalizzata dei contenuti, deconcettualizzazione delle discipline a profitto dell’apprendimento nozionistico e acritico di un fumoso “saper fare” e di modelli di comportamento “corretti”.

Una zavorra tenuta insieme dall’insipienza culturale e da un piatto conformismo nei riguardi di ogni innovazione governativa che ha condotto la già sconquassata nave scuola verso le secche di un supermercato della formazione, terreno di caccia ideale per le scorribande di enti di ogni tipo alla famelica ricerca di promozione commerciale e di concreti incentivi economici, dietro erogazione di attività di ogni risma che stanno trasformando la scuola in un “progettificio”. È, questo, un approdo consacrato dalla legge 107 (filiazione legislativa della buona scuola), ultimo in ordine di tempo, ma non definitivo, scalo della deriva aziendalistica del sistema dell’istruzione pubblica

Di fronte a questo disastro, frutto di scelte politiche e culturali in sintonia con il credo totalitario neoliberista, assume un rilievo particolarmente significativo, capace di innervare la necessaria – oggi come venti anni fa – resistenza culturale l’individuazione da parte di Massimo Bontempelli della scelta della dimensione storica come “orizzonte di problematicità” dei diversi percorsi conoscitivi. Un’indicazione preziosa che, sottraendo la scuola all’appiattimento sul presente e alla rincorsa delle mode del momento, le fornisce quell’indispensabile asse culturale coerente con la sua funzione educativa.

L’agonia della scuola italiana, pur facendo con grande rigore argomentativo tabula rasa della ratio che ha ispirato la riforma dell’autonomia, è un libro profondamente costruttivo, perché sempre attento a definire la dimensione culturale ed etica entro cui inscrivere i processi educativi. Un libro indispensabile per chiunque rifiuti la mercificazione della cultura e dell’educazione e veda, al contrario, in esse un potente strumento di liberazione umana.

Fernanda Mazzoli


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Fernanda Mazzoli – Intorno alla scuola si gioca una partita decisiva che è quella della società futura che abbiamo in mente. La scuola può riservarsi un ruolo attivo, oppure scegliere la capitolazione di fronte al modello sociale neoliberista.

 

 

FERNANDA MAZZOLI

SCUOLA LIQUIDA

LA LIQUIDAZIONE DELLA SCUOLA PUBBLICA

La Legge 107 varata nel luglio 2015, la cosiddetta “buona scuola”, è il tentativo più recente di dare profilo istituzionale alla deriva aziendalistica e consumista dell’istruzione voluta dalle oligarchie cui non sfugge l’alterità della conoscenza e del pensiero critico rispetto alla logica del profitto. Scuola azienda, dove impianto verticistico e addestramento alle competenze specifiche si combinano a formare lavoratori poco qualificati, destinati a precariato e sfruttamento, in ossequio alle politiche neoliberiste. Scuola supermercato, dove allo studente-cliente si apre il ventaglio di un’offerta abbondante, allettante e intercambiabile, indirizzata a un consumatore onnivoro. Scuola leggera, fortemente impoverita nella sua dimensione formativa e culturale, subordinata alle esigenze immediate del mercato, obbediente al pensiero unico del totalitarismo digitale e tecnologico. Ecco i muri portanti per collocare l’istruzione pubblica nel poderoso edificio ideologico che fa da supporto alla gigantesca controffensiva proprietaria scatenata negli ultimi decenni. Ambizioso progetto di controllo sociale che mira alla privatizzazione della scuola pubblica e passa per una ridefinizione del docente che la nuova pedagogia di Stato svuota della sua identità culturale e trasforma in animatore, organizzatore, compilatore di schede. Diventa necessario, allora, rovesciare il paradigma di subordinazione culturale al mercato, individuando proprio nella scuola il terreno fertile per un’apertura verso una visione diversa della società e della vita.

Fernanda Mazzoli si è occupata di letteratura orale e processi di stregoneria in area centro-europea, collaborando a diverse riviste. Insegna francese in un Liceo linguistico.

Sensibili alle foglie, 2016

ISBN 978-88-98963-55-3

p. 120


 

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Premessa


Indice

 

LA ROTTAMAZIONE DELLA SCUOLA
A buona scuola cattivi maestri – Gli inadeguati… – … si adeguano …

DALLA SCUOLA ALL’AZIENDA
Cucito o spremitura delle olive? – TreLLLe in cattedra –Ma in presidenza c’è l’Europa – Competenze per competere – Fondata sul lavoro – Il totalitarismo digitale – Alfabetizzazioni – Dalla “buona scuola” alla Legge 107 – Un silenzio assordante – Buona scuola e cattiva lingua

INSEGNANTI SENZA SEGNO
Quantificare – Valorizzare – Controllo qualità – Valutare – La gestione manageriale – Autonomia … da che cosa? – Uno, nessuno, centomila

IL PROGETTIFICIO
Autonomia dall’insegnamento – Animare e facilitare – Dacci oggi la nostra animazione quotidiana – La scuola supermercato – Cosa metto nel carrello? – Docenti a consumo e docenti consumati – Prove di arrembaggio – La dismissione

UNA SCUOLA ALTRA
Lasciateci lavorare – La resistenza culturale – Per una scuola forte – Aperture – Dalla nuova religione digitale… – … Alla Lectio – Non di solo digitale – Elogio della difficoltà – Scommessa per il futuro


Scuola liquida. Fernanda Mazzoli – YouTube


La Strega nella tradizione ugro-finnica e in quella occidentale

La Strega nella tradizione ugro-finnica e in quella occidentale

 


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Augusto Cavadi – Commento al libro di S. Latouche, «Baudrillard o la sovversione mediante l’ironia».

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Baudrillard o la sovversione mediante l’ironia

Baudrillard o la sovversione mediante l’ironia

 

S. Latouche, Baudrillard o la sovversione mediante l’ironia, Jaca Book, Milano 2016, pp. 78, euro 9,00

 

Con questo agile volumetto Serge Latouche aggiunge un anello alla preziosa collana, da lui stesso diretta, “I precursori della decrescita”. Come avverte l’autore sin dalle prime righe, “può sembrare incongruo presentare Jean Baudrillard come un precursore della decrescita”. Egli è infatti, sì, “un critico insuperabile della società dei consumi”, ma – se si passa dalla diagnosi alla terapia – non lo si trova con chiarezza a fianco nella battaglia per “una società conviviale di abbondanza frugale”. E ciò per almeno tre ragioni: “Anzitutto perché la dimensione ecologista è quasi del tutto assente dalla sua riflessione”; “in secondo luogo, perché, patafisico ironico e provocatore distaccato, sfiora, nonostante i suoi dinieghi, una forma di nichilismo”; infine perché “la sua pungente ironia lo avvicina a un atteggiamento ‘radical-chic’ di cui si compiacciono i bobos”, vale a dire i bohémien borghesi (bourgeois bohémien).

Nonostante queste solide ragioni in contrario, Latouche inserisce Baudrillard nell’elenco dei “precursori della decrescita” perché, pur essendo “un autore inclassificabile”, dissemina le sue opere d’intuizioni che possono essere raccolte e rielaborate in un quadro propositivo più organico. Tra questi apporti: la critica dell’economia (come scienza che si pretende esatta e come ‘cosa’ che si pretende assoluta), la messa in guardia dai pericoli della tecnica, la segnalazione dei limiti del sistema rappresentativo e – soprattutto – il rifiuto dell’ideologia del progresso.

Quest’ultimo aspetto si articola su “due elementi forti e imprescindibili: in primo luogo, l’analisi della festa consumistica della società di crescita e, in secondo luogo, la critica della globalizzazione e della società dello spettacolo, due facce della stessa medaglia”. Sul primo punto: la crescita “produce contemporaneamente beni e bisogni, ma non li produce con lo stesso ritmo”, sì da causare “una pauperizzazione psicologica” (un perenne senso di insoddisfazione) che capovolge la “società della crescita” nell’ esatto “opposto” di una “società dell’abbondanza”. Questo perenne senso di povertà – passiamo così al secondo punto – è compensato (illusoriamente), e alimentato (realmente), dall’esibizione spettacolare del lusso, del surplus, del “troppo”: super e iper mercati, comprando e rivendendo merci da tutto il pianeta (con etichette rigorosamente in un’unica lingua dominante), le espongono in modo da diventare “il paesaggio primario e il luogo geometrico dell’abbondanza”.

   Che si può fare per invertire la rotta? La risposta di Baudrillard è più o meno: nulla. Alle proposte preferisce la derisione: “sostituire finalmente l’eterna teoria critica con una teoria ironica”. Per questo Latouche ritiene che il suo maestro vada considerato “non avversario, ma (ironicamente) estraneo alla serena utopia dell’abbondanza frugale”. Eppure, forse, la speranza si annida nel fondo oscuro del bicchiere: se ci sono osservatori acuti come Baudrillard, e discepoli come Latouche che ne rielaborano e diffondono il pensiero, e recensori che recensiscono Baudrillard e Latouche, e lettori che leggono Baudrillard, Latouche e i loro recensori … si può essere sicuri che non ci sia nessuna possibilità di mutare il corso della storia?

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com


Augusto Cavadi – Ideologia “gender” e dintorni. Qualche chiarimento lessicale.

Augusto Cavadi – Il saggio di N. Pollastri: «Consulente filosofico cercasi»

Augusto Cavadi – Perché il Sud non decolla?

 


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Koinè – Diciamoci la verità, oltre l’orizzonte del pensiero dominante

Diciamoci-in-verita

Diciamoci oltreSommario

***
***  Logo Adobe AcrobatLa società ad una dimensione

I. Società articolata ma non complessa / II. Società di mercato / III. L’ideologia dell’aziendalismo / IV. La tecnica come orizzonte storico / V. L’ideologia tecnocratica / VI. La falsità dell’idea della fine delle ideologie / VII. Una mitologia spiritualmente arida / VIII. L’economia come religione / IX. L’occultamento dell’economia umana concreta / X. Un universo tecnico che aggiunge problemi a problemi / XI. Il progresso capitalistico come regresso umano / XII. L’economia capitalistica come economia asociale / XIII. L’urgenza di un’economia che risponda ai bisogni umani / XIV. L’ambiente naturale come ambiente tecnico / XV. La lesione dell’integrità personale.

***  Logo Adobe AcrobatCritica dell’uomo ad una dimensione

XVI. Le strutture della personalità umana nella società di mercato / XVII. I cinque assiomi di un modo di pensare capace di contrastare la barbarie sociale /XVIII. L’assolutizzazione dell’orizzonte storico contemporaneo / XIX. Tecnica del plusvalore e valori umani / XX. Relativizzazione dell’economia del plusvalore / XXI. Da dove trarre le motivazioni per una nuova interpretazione del mondo? / XXII. L’uomo morale / XXIII. Una categoria esclusivamente umana: la fragilità / XXIV. Il nucleo essenziale di ogni morale / XXV. L’uomo che non si misura con la morale / XXVI. Narcisismo e concretismo / XXVII. La tecnica come potenza deprivatrice di senso / XXVIII. La tecnicizzazione della vita come espressione dell’odio dell’uomo per la propria umanità.

***  Logo Adobe AcrobatUna concezione forte della verità
come fondamento di una pratica anticapitalistica 

XXIX. Economia del plusvalore e costituzione della personalità / XXX. Forme di organizzazione della personalità individuale / XXXI. Il capitalismo si impone abbattendo ogni limite / XXXII. La storia insegna la storicità di ogni sua prospettiva / XXXIII. L’idea ultracapitalistica della illimitata plasmabilità della natura / XXXIV. Lo scopo morale / XXXV. L’orizzonte nichilistico della modernità / XXXVI. La riduzione dell’ontologia ad empiria / XXXVII. La concezione metafisica della verità / XXXVIII. La metafisica come dimensione entro la quale si costituiscono ragione e verità / XXXIX. Miseria del realitivismo antimetafisico / XL. La superficialità: cifra del relativismo antimetafisico / XLI. La concezione metafisica della verità non è un nuovo fondamentalismo / XLII. Concezione metafisica della verità e gerarchia di valori / XLIII. La verità oggettiva della ragione è la fonte dell’eticità umana / XLIV. La verità oggettiva della ragione è la fonte della dialogicità umana.

***  Logo Adobe AcrobatL’essere della libera comunità e l’amore  

XLV. Comunità arcaica e libera comunità / XLVI. Lo spazio dialogico / XLVII. L’uomo universale / XLVIII. La libera comunità come universalità umana / XLIX. Libera comunità e resistenza / L. L’inesistenza di un soggetto sociale anticapitalistico/ LI. L’amore: rapporto dell’uomo con la fragilità / LII. Le quattro condizioni ontologiche dell’amore / LIII. La radice ontologica dell’amore.


L’intero testo di 49 pagine in PDF.

Diciamoci oltre

Logo Adobe AcrobatDiciamoci la verità oltre l’orizzonte del pensiero dominante


Chi non spera quello
che non sembra sperabile
non potrà scoprirne la realtà,
poiché lo avrà fatto diventare,
con il suo non sperarlo,
qualcosa che non può essere trovato
e a cui non porta nessuna strada.
 Eraclito



 

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Ernst Bloch (1885-1977) – L’utopia concreta sta all’orizzonte di ogni realtà. L’utopia non è fuga nell’irreale, è scavo per la messa in luce delle possibilità oggettive insite nel reale e lotta per la loro realizzazione.

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«Anche se la speranza non fa altro che sormontare l’orizzonte, mentre solo la conoscenza del reale tramite la prassi lo sposta in avanti saldamente, è pur sempre essa e soltanto essa che fa conquistare l’incoraggiante e consolante comprensione del mondo, a cui essa conduce, come la più salda ed insieme la più tendenzialmente concreta. […] L’importante è imparare a sperare. Il lavoro della speranza non è rinunciatario perché di per sé desidera aver successo invece che fallire. […] Contro l’aspettare è d’aiuto lo sperare. Ma non ci si deve solo nutrire di speranza, bisogna anche trovare in essa qualcosa da cucinare. […] L’utopia concreta sta all’orizzonte di ogni realtà; la possibilità reale circonda fino alla fine le tendenze-latenze dialettiche aperte, l’utopia non è fuga nell’irreale, è scavo per la messa in luce delle possibilità oggettive insite nel reale e lotta per la loro realizzazione».

Ernst Bloch, Il principio speranza, 3 vol., Garzanti, 1994, vol. I, pp. 262-263.


Ernst Bloch (1885 – 1977) – Chi è scialbo si colora come se ardesse. La via esteriore è la più facile. Apparire più che essere: questo il suo motto.
Ernst Bloch (1885-1977) – Tutto ciò che vive ha un orizzonte. Dove l’orizzonte prospettico è tralasciato, la realtà si manifesta soltanto come divenuta, come realtà morta, e sono i morti, cioè i naturalisti e gli empiristi, che qui seppelliscono i loro morti.
Ernst Bloch (1885-1977) – È la filosofia la scienza in cui è viva, ha da esser viva, la consapevolezza del tutto. La filosofia ha a cuore soprattutto l’unità del sapere. La filosofia sta sul fronte.

 


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Walter Benjamin (1892-1940) – Che cos’erano per me i miei primi libri? Io non leggevo un libro, vi entravo, vivevo tra le sue righe; e quando lo riaprivo dopo un’interruzione, ritrovavo me stesso nel punto in cui ero rimasto.

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«Che cos’erano per me i miei primi libri?

 Per ricordarmene dovrei prima cancellare dalla memoria ogni altra cognizione di libri. È certo che tutto ciò che so oggi si basa sulla prontezza con cui allora mi aprii ai libri; ma mentre ora il contenuto, l’argomento, la meteria sono estranei al libro, come oggetto, allora ne erano parte essenziale e intrinseca, come la carta e il numero delle pagine. Il mondo che si rivelava nel libro e il libro stesso erano assolutamente indivisibili. Come il libro, anche il suo contenuto, il suo mondo, era palpabile, si poteva toccare con mano.
E parimenti quel contenuto e quel mondo gtrasfiguravano ogni parte del libro. Vi ardevano dentro, irradiavano da esso; inscritti non solo nella copertina e nelle figure, erano racchiusu nei titoli dei capitoli e nei capilettera, nei paragrafi e nelle colonne.
Io non leggevo un libro, vi entravo, vivevo tra le sue righe; e quando lo riaprivo dopo un’interruzione, ritrovavo me stesso nel punto in cui ero rimasto».
Walter Banjamin

 

 

La mia biblioteca

La mia biblioteca

Walter Benjamin, La mia biblioteca, Elliot, 2016

Quarta di copertina

Nel 1931 un trasloco costrinse Benjamin ad affrontare la mole sterminata dei volumi accumulati nel corso degli anni. Dal mezzogiorno alla mezzanotte, senza essere riuscito a terminare l?impresa, il filosofo tedesco aprì le casse che contenevano la sua biblioteca. Le ore passate tra la polvere e gli scatoloni ispirarono questo saggio. Dalla tensione non risolta tra ordine e disordine, alla presenza massiccia di libri mai letti sugli scaffali, passando per gli acquisti memorabili e le tattiche da adottare nelle aste pubbliche: tutto concorre a delineare la figura del collezionista, il cacciatore di libri, il flâneur che, perdendosi nelle grandi e piccole città, va alla ricerca di una botteguccia antiquaria o di una sperduta cartoleria. Un testo curioso, qui presentato insieme ad altri due scritti, Presso il camino e Come si spiega un grande successo editoriale?, nei quali Benjamin indaga la magia della lettura e le cause che possono rendere un trattato sulle erbe un imprevedibile best seller.


Walter Benjamin sul collezionismo librario: “Disfo la mia biblioteca”


Walter Benjamin (1892-1940) – «Esperienza» . Il giovane farà esperienza dello spirito e quanto più dovrà faticare per raggiungere qualcosa di grande, tanto più incontrerà lo spirito lungo il suo cammino e in tutti gli uomini. Quel giovane da uomo sarà indulgente. Il filisteo è intollerante.
Walter Benjamin (1892-1940) – Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera
Walter Benjamin (1892-1940) – La malinconia tradisce il mondo per amore di sapere. Ma la sua permanente meditazione abbraccia le cose morte nella propria contemplazione, per salvarle.

 


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Jan Patočka (1907-1977) – Chi può rispondere alla domanda se il conflitto di Socrate sia solo un conflitto dei tempi, oppure se si tratti di uno scontro fondamentale irriducibile ed eterno? Socrate non ha una risposta a portata di mano, ma solo una domanda.

Jan Patočka 01
Socrate di Patočka

Socrate di J. Patočka, Rusconi, 1999

«Chi può rispondere in modo soddisfacente alla domanda se il conflitto di Socrate sia solo un conflitto dei tempi, determinato da una specifica situazione storica relativa, oppure se si tratti di uno scontro fondamentale irriducibile ed eterno?». Jan Patočka, Socrate.

«Socrate non ha una risposta a portata di mano, ma solo una domanda. E poi cerca di destare negli altri la stessa domanda. Con questo risveglio della domanda negli altri, però, Socrate cambia gli altri. La domanda sul bene ultimo opera nell’anima una conversione totale. La costringe a tornare in se stessa, a cercare ciò che è il suo fine ultimo e la sua propria vocazione». Jan Patočka, Socrate.

«La specificità di Socrate consiste nel fatto che ha compreso e ha sempre sottolineato che il mero immediato superamento irriflesso dell’individualismo non è ancora un integrale atteggiamento morale, bensì dev’essere preceduto dalla domanda. Perciò la risposta propria di Socrate all’incertezza morale del suo tempo è la domanda morale. Essa è la sua scoperta propria. La domanda, però, esprime sempre il non sapere, i dubbi. Socrate reagisce contro la sicurezza ingenua dell’uomo non desto moralmente. A Socrate, quindi, per questo risveglio dalla certezza alla domanda serve la dialettica raffinata, spesso vertiginosa ed ingannevole. Ciò che, quindi, per Socrate è più importante è il risveglio alla domanda, non la risposta». Jan Patočka, Socrate.

Quarta di copertina

Jan Patočka (1907-1977), allievo di Edmund Husserl e considerato il più importante filosofo ceco, ha mediato la fenomenologia appresa dal maestro con la tradizione classica del socratismo e del platonismo, elaborando un pensiero originale che si sta diffondendo con grande successo in Europa. La sua idea di “vivere nella verità”, pur nella problematicità, lo ha condotto a schierarsi durante gli anni oscuri del regime comunista cecoslovacco a favore degli uomini ingiustamente perseguitati e ad essere il primo firmatario di “Charta 77”, la vivace protesta in difesa dei diritti umani. Per questa ragione fu arrestato e condotto alla morte durante un violento interrogatorio da parte della milizia di stato. Giustamente è stato definito il “Socrate di Praga”. Il suo studio su Socrate, risalente al 1947 e tradotto per la prima volta in una lingua occidentale, è quindi assai significativo per comprendere la radici teoriche del suo operato. Il conflitto di Socrate con l’Atene del tempo, per Patočka, diviene il modello di un conflitto fondamentale eterno. L’idea socratica del non-sapere assume per lui il significato di una presa di coscienza della finitezza dell’uomo, che è fonte di umiltà intellettuale; in questo modo, la problematicità diventa anche il primo passo per la “cura dell’anima”, vale a dire per un’esistenza umana in prossimità e in vista del bene. Secondo Patočka, la cura dell’anima costituisce altresì la base spirituale sulla quale l’Europa è nata e si è sviluppata, e in base alla quale potrebbe anche rigenerarsi in futuro. Il testo è stato curato da Martin Cajthaml e Giuseppe Girgenti, ricercatori del “Platoninstitut” presso l’Accademia Internazionale di Filosofia nel Principato del Liechtenstein, che insieme hanno già tradotto di Patočka Platone e L’Europa (Vita e Pensiero, Milano 1997). Il testo ceco riprodotto a fronte è tratto dalla seguente edizione: Sokratés, Praga 1947, seconda edizione a cura di I. Chvatik e P. Kouba, Praga (SPN) 1991.


Indice del volume Socrate


Recensione di Salvatore Bravo al libro di J. Patočka, Socrate


Che cos'è la fenomenologia?

Che cos’è la fenomenologia?

 

Le monde naturel et le mouvement de l'exsistence humaine

Le monde naturel et le mouvement de l’exsistence humaine

 

Lo spazio e la sua problematica

Lo spazio e la sua problematica

 

Platonismo negativo e altri frammenti

Platonismo negativo e altri frammenti

 

Saggi eretici sulla filosofia della storia

Saggi eretici sulla filosofia della storia


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Paul Valéry (1871-1945) – «Le livres ont le mêmes ennemis que l’homme: le feu, l’umide, les bêtes, le temps; et leur propre contenu». Possiamo tradurre «les bêtes» con «la stupidità».

Paul Valéry 01
Valéry Littérature

P. Valéry, Littérature

 

Le livres ont le mêmes ennemis que l’homme:

le feu, l’umide, les bêtes, le temps;

et leur propre contenu.

 

Paul Valéry, Littérature, Gallimard, 1930.

 

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Salvatore Gullì – Opporsi al cinismo e alla sopraffazione dei poteri dominanti, nell’intento di suscitare un moto di indignazione che faccia nascere, nella coscienza di ciascuno, un germe di resistenza civile.

Salvatore Gullì
copertina_rivolta

Rivolta a venire: etica e utopia

Salvatore Gullì, Rivolta a venire: etica ed utopia, Città del Sole, 2015

 

 

Rivolta a venire è un volume di versi civili e di meditazioni in prosa attraverso cui l’autore ambisce a mettere in luce la valenza etica di figure esemplari, eroiche e geniali. La rivisitazione di tali figure – capaci di ampliare i confini del possibile e di favorire positive riflessioni – avviene in tempi di decadimento civile e culturale nel mondo politico e in quello economico-finanziario, con gravi ricadute sul comportamento dei singoli e delle collettività.
L’autore lancia il suo grido di accusa contro il cinismo e contro la sopraffazione dei poteri dominanti, nell’intento di suscitare un moto di indignazione che faccia nascere, nella coscienza di ciascuno, un germe di resistenza civile, alimentata da inestinguibili idealità e da imprescindibili spinte utopistiche. La rivolta a venire attende fautori disposti a contrastare la negativa corrente prevalente e prefigura una scossa che, accompagnata da crescita di consapevolezza – nel solco del concepimento di un avveduto progetto di cambiamento – potrà contribuire al risanamento delle comunità e alla restaurazione dell’etica. Ma anticipare il senso di un libro equivale a tradirne la funzione. Spetta perciò esclusivamente al volenteroso lettore decidere di rendersi fino in fondo partecipe e di scoprire il percorso ideale lungo il quale l’autore Salvatore Gullì, Rivolta a venire: etica ed utopia si prefigge di far affiorare verità vive ed attive.

***

Salvatore Gullì è laureato in Giurisprudenza presso l’Università La Sapienza di Roma. Esercita la professione di avvocato. Studioso di filosofia, di teoria generale del diritto e di etica, è anche autore di testi e di brani musicali.


Un brano per musica di Salvatore Gullì.

1992

Alba fumosa,
lucciole in posa,
congreghe chiuse,
liquami a iosa,
siringhe e sporco,
sirene e pianto,
buio nei cuori
mercato e luci,
alti palazzi,
brutto che impera:
e quando arriva la primavera ?
E quando arriva ?
Soffoca la città !

Servono eroi.
Mancano eroi.
Eroi ne esistono ?
Eroi che salvino ?

Banche di culto,
mala e denari,
carceri piene,
mercati e cene,
mastica amaro chi più fatica,
chi non ne vede tanto cammino,
chi non ne vede segni di bene,
né leggi fatte come conviene,
ché è messa in gabbia l’anima di città.

Fragili noi,
subiamo noi,
Eroi ne esistono ?
Eroi che salvino ?

Teatri chiusi,
bambole-oche,
nuove catene,
mercati e seme,
maschere e feste,
si offende il vero,
vecchi reclini,
giovani muti,
destino in borsa
anime in gioco,
e chi decide è re di denari,
proprio non resta traccia di bene.

Servono eroi.
Mancano eroi.
Eroi ne esistono ?
Eroi che salvino ?

Bombe di mala,
anime in aria,
per sempre spenti in aria i buoni,
potere ignavo che, pur di stare, si volge indietro,
devia lo sguardo:
eccoli i frutti di azioni omesse !
In aria i giusti, in aria spenti,
per sempre spenti in terra i nostri eroi.

Fragili noi,
quanti rimpianti,
in tempi cupi fragili noi:
non ci eravamo neppure accorti
che c’era in gioco ciò che risplende,
ciò che per nulla al mondo si scambia,
ciò che per nulla al mondo si cambia,
ciò che fa luce nel buio che c’è.

Salvatore Gullì

 


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Renato Curcio – Ben oltre la società industriale, la società dello spettacolo e la modernità liquida, la società artificiale ci mette dunque di fronte al germe accattivante e vorace di un nuovo totalitarismo. Sapremo scegliere o ci accontenteremo di essere scelti?

Renato Curcio_La società artificiale

Locandina della Presentazione del Libro

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Locandina della Presentazione del Libro

Giovedì 7 settembre 2017, ore 18

Horti Lamiani, Via Giolitti 163  – Roma

 

 

La società artificiale

 

RENATO CURCIO

LA SOCIETÀ ARTIFICIALE

MITI E DERIVE DELL’IMPERO VIRTUALE

È esperienza comune che le nostre relazioni di qualsiasi tipo vengano sempre più frequentemente intermediate da dispositivi digitali. I legami interumani diretti lasciano il posto a mille forme di connessioni indirette e artificiali. Il marketing delle ‘internet company’ accompagna questa mutazione tecno-sociale con nuovi miti. La potenza degli smartphone, le meraviglie dell’intelligenza artificiale, la panacea dei robot per alleviare le fatiche del lavoro, la rivoluzione dei big data e il paradiso terrestre dell’internet delle cose. Un’assuefazione acritica maschera la nostra ignoranza sulle reali implicazioni di questa ulteriore evoluzione del capitalismo. Facendo leva su narrazioni d’esperienza che non indulgono all’anestetizzazione del malessere, questo libro s’interessa delle implicazioni sociali dei nuovi strumenti digitali e del significato concreto che nella vita di relazione quotidiana, nella politica, negli stati di coscienza e nel mondo del lavoro espressioni come big data, profilazione predittiva, intelligenza artificiale, cloud, robot umanoidi, internet delle cose, vengono realmente a configurare. Più in generale questa esplorazione cerca di mostrare come “progresso sociale” e “tecnologie digitali” non siano affatto sinonimi. E anzi, come queste ultime innervino l’architettura di classe capitalistica invadendo e aggredendo dall’interno lo spazio vitale essenziale delle relazioni umane.

Ben oltre la società industriale, la società dello spettacolo e la modernità liquida, la società artificiale ci mette dunque di fronte al germe accattivante e vorace di un nuovo totalitarismo. Un totalitarismo tecnologico che, a differenza di quelli ideologici del Novecento, invade e colonizza il luogo più “sacro” e fondamentale della libertà. D’altra parte, una matura consapevolezza di questa estrema deriva può essere anche il punto di partenza per un’ulteriore rimessa in discussione delle classi sociali e del destino di specie. Sapremo scegliere o ci accontenteremo di essere scelti?

Renato Curcio, socio fondatore di Sensibili alle foglie e socioanalista, ha pubblicato per queste edizioni numerosi titoli. Su questo tema, ricordiamo qui: L’impero virtuale, 2015; L’egemonia digitale, 2016.

ISBN 978-88-98963-75-1, p. 128, Euro 16,00

 


Renato Curcio – Introduzione al libro di Franco Del Moro, «Il dubbio necessario»: “Le persone che si adattano ad attività di pura sopravvivenza non raggiungono mai una piena realizzazione dei propri desideri, delle proprie capacità e aspirazioni: la vastità identitaria è la vera dimensione dell’esperienza umana nella creazione di nuovi mondi di senso”.
Renato Curcio – La materia più preziosa al mondo è l’anima degli umani, il loro immaginario. L’impero virtuale non è che la storia recente di una nuova e più insidiosa strategia di colonizzazione dell’immaginario.

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