Luigi Cancrini  – Dialoghi con il figlio. «Che cos’è il comunismo, papà?». L’uomo costruisce anche secondo le leggi della bellezza. La cosa di cui Marx era spaventato, allora, era soprattutto l’idea per cui il comunista «rozzo» avrebbe mantenuto una tendenza a ragionare in termini di oggetti invece che di persone

Cancrini

dialoghi con il figlio

FIGLIO Che cos’è il comunismo, papà?

PADRE La risposta piu pertinente mi è sembrata, da sempre, quella del giovane Marx. Nel terzo dei suoi Manoscritti, dedicato alla proprietà privata. Se partiamo da lì, tuttavia, quello che ci aspetta è un discorso piuttosto lungo.

FIGLIO Non importa. […] Possiamo parlarne per tutta la notte.. [Continua a leggere]

 

Luigi Cancrini, Dialoghi con il figlio, Editori Riuniti, 1992, pp. 78-83.

 

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Luigi Cancrini,
Dialoghi con il figlio. «Che cos’è il comunismo, papà?»

dialoghi

L’animale costruisce soltanto secondo la misura e il bisogno della specie a cui appartiene, mentre l’uomo sa produrre secondo la misura di ogni specie e sa ovunque predisporre
la misura inerente a quel determinato oggetto; quindi l’uomo costruisce anche secondo le leggi della bellezza.

Lo sfruttamento è la disumanizzazione progressiva dell'essere umano in quanto tale, una negazione delle potenzialità e delle esigenze caratteristiche della specie umana.

 


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Pier Paolo Pasolini (1922-1975) – Il potere di oggi manipola i corpi in un modo orribile. Li manipola trasformandone la coscienza, cioè nel modo peggiore, con valori alienanti e falsi, i valori del consumo, che compiono quello che Marx chiama un genocidio delle culture viventi.

Pasolini 03

Pasolini prossimo nostro

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«Nulla è più anarchico del potere, il potere fa praticamente ciò che vuole. E ciò che il potere vuole è completamente arbitrario o dettato da sua necessità di carattere economico, che sfugge alle logiche razionali. Io detesto soprattutto il potere di oggi. Ognuno odia il potere che subisce, quindi odio con particolare veemenza il potere di questi giorni. È un potere che manipola i corpi in un modo orribile, che non ha niente da invidiare alla manipolazione fatta da Himmler o da Hitler. Li manipola trasformandone la coscienza, cioè nel modo peggiore, istituendo dei nuovi valori che sono dei valori alienanti e falsi, i valori del consumo, che compiono quello che Marx chiama un genocidio delle culture viventi, reali, precedenti. Sono caduti dei valori, e sono stati sostituiti con altri valori. Sono caduti dei modelli di comportamento e sono stati sostituiti da altri modelli di comportamento. Questa sostituzione non è stata voluta dalla gente, dal basso, ma sono stati imposti dal nuovo potere consumistico, cioè la nostra industria italiana pluri-nazionale e anche quella nazionale degli industrialotti, voleva che gli italiani consumassero in un certo modo, un certo tipo di merce, e per consumarlo dovevano realizzare un nuovo modello umano».

Pier Paolo Pasolini

Citato in Pasolini prossimo nostro, film documentario di Giuseppe Bertolucci (2006).

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Fernanda Elisa Bravo Herrera – Tracce e percorsi di un’utopia: L’emigrazione italiana in Argentina. Il libro di Bravo Herrera, ovvero come si riempie un vuoto culturale.

Emigrazione in Argentina

Arnaldo Ferraguti 01

Fernanda Elisa Bravo Herrera

Huellas y recorridos de una utopía

La emigración italiana en la Argentina

 

Huellas yrecorridos de una utopia

Scheda del libro

Huellas y recorridos de una utopía. La emigración italiana en la Argentina. Buenos Aires: Teseo, 2015. 372 p. ISBN 978-987-723-004-8

Introduzioni di Romano Luperini e Antonio Melis.

Illustrazioni di Arnaldo Ferraguti.

Nota introduttiva di Romano Luperini  Logo Adobe Acrobat

Nota introduttiva di Antonio Melis    Logo Adobe Acrobat


 

Aspetti istituzionali

Il Testo riunisce alcuni risultati di una ricerca iniziata prima come borsista del Governo Italiano presso l’Università degli Studi di Siena, sotto la guida dei Professori Romano Luperini e Antonio Melis (1999-2000), e proseguita in seguito all’interno del Progetto di Ricerca sull’incidenza della cultura italiana nella letteratura argentina, come ricercatrice del CONICET (Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Tecnológicas – Argentina), sotto la direzione delle Prof.sse María Rosa Lojo (Universidad de Buenos Aires – CONICET) e Zulma Palermo (Universidad Nacional de Salta).
Il libro ha ricevuto un finanziamento straordinario del CONICET per la pubblicazione. La ricerca è stata supportata grazie a due borse di studio del Governo Italiano rilasciate dall’Istituto Italiano di Cultura a Buenos Aires e una borsa post-dottorale del CONICET.
Il lavoro ha avuto il patrocinio del CONICET, dell’Istituto Italiano di Cultura a Buenos Aires, del Dipartimento di Filologia e Critica delle Letterature Antiche e Moderne della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Siena e della Facultad de Humanidades dell’Universidad Nacional de Salta.
Le ricerche sono state effettuate presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, la Biblioteca di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Siena, la Biblioteca dell’Università per Stranieri di Siena e la Biblioteca Comunale di Siena.Altresì, l’Autrice ha utilizzato materiale, cosiddetto grigio, proveniente da archivi e da fonti più disparate.

L’Autrice è ricercatrice del CONICET (Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas – Argentina) presso l’ILA – FFyL – UBA (Instituto de Literatura Argentina della Facoltà di Filosofia e Lettere dell’Università di Buenos Aires; Dottoressa di Ricerca in Letteratura Comparata e Traduzione del Testo Letterario; Magister in Conservazione e gestione dei Beni Culturali e in Letteratura Comparata per l’Università degli Studi di Siena; laureata in Lettere per l’Università Nazionale di Salta (Argentina). Premio dell’Accademia Argentina di Lettere e Menzione d’Onore della Facoltà di Lettere dell’Università Nazionale di Salta (1997). Ha ricevuto borse di ricerche del Consiglio di Ricerca dell’Università Nazionale di Salta (1997), della Regione Toscana (1997), del Governo Italiano (1999-2000) e del CONICET (Post-dottorale, 2009). Ha lavorato presso le Facoltà di Lettere di Siena e Arezzo dell’Università degli Studi di Siena come docente a contratto di Letterature Ispanoamericane, Letteratura Spagnola, Cultura Ispanoamericana. Ha pubblicato El Fondo de Mercedes de Tierras y Solares (1583-1589) del Archivo y Biblioteca Históricos de Salta (2010) e Sátira política y representaciones de género en la prensa de Salta a fines del siglo XIX (2010), Huellas y recorridos de una utopía. La emigración italiana en la Argentina (2015), Parodias y reescrituras de tradiciones literarias y culturales en Leopoldo Marechal (2015).

 

Dati della controcopertina

Il libro offre una prospettiva circa le stratificazioni ideologiche e culturali che contornano il fenomeno sociale dell’emigrazione. A partire da un dispositivo teorico che affonda le proprie radici nelle analisi di Bacthin, nella prospettiva propria della Sociocritica come metodologia di lettura dei testi, nella teoresi propria New Criticism, così come nella semiotica greimasiana e di Eco e negli studi sull’ideologia – intesa in senso lato – di Therborn, nonché sugli studi sull’emigrazione come quelli di Emilio Franzina e Sebastiano Martelli, tra i molti, il lavoro affronta la costruzione dell’immaginario attorno al fenomeno dell’emigrazione. L’obiettivo della ricerca è quello di rintracciare le configurazioni ideologiche dell’immaginario sociale italiano attorno all’emigrazione verso l’Argentina dall’Ottocento fino ai primi anni del 2000. Vengono studiate le diverse posizioni ideologiche e politiche riguardanti il concetto di nazione e\o patria, la costruzione dell’identità, dell’alterità, degli spazi, la concezione del fenomeno emigratorio (cause e conseguenze, esperienze e valori), i contesti socio-politici dell’Argentina e dell’Italia.

 

Corpus studiato

Testi letterari canonici e non canonici (dimenticati, marginali, “non-letterari”) tra i quali canzoni popolari, lettere, testi “autobiografici”, manuali, libri di lettura per l’infanzia. Testi saggistici o documenti storici. Riferimenti a film, illustrazioni, fotografie. Alcuni di questi possono essere considerati di “scarsa” qualità letteraria, ma sono stati analizzati perché presentano un alto valore come documenti storici e sociali. Il corpus pertanto è composto da testi facenti parte della letteratura canonica, della letteratura classificata come minore, da documenti ufficiali, nonché da tutta una serie di materiali che potrebbero essere classificati come letteratura o testi “grigi”, ovvero difficilmente inseribili in un canone, ma che portano con sé un enorme valore documentale.
Alcuni degli autori (letteratura) studiati: Tito Barbini, Vanni Blengino, Dino Campana, Cesare Cantù, Paolo Lorenzini (Collodi Nipote), Enrico Corradini, Attilio Dabini, Edmondo De Amicis, Erri De Luca, Emilio Franzina, Lucilla Gallavresi, Pietro Gori, Maria Luisa Magagnoli, Claudio Magris, Paolo Mantegazza, Antonio Marazzi, Cesare Mazzonis, Ada Negri, Ippolito Nievo, Laura Pariani, Giovanni Pascoli, Nella Pasini, Alberto Prunetti, Edoardo Salmeri, Mariangela Sedda, Folco Testena, Andrea Zanzotto.
Autori di libri di viaggi: Mirko Ardemagni, Massimo Bontempelli, Nicola Bottiglieri, Alberto Maria De Agostini, Arnaldo Fraccaroli, Giacomo Pavoni, Francesco Scardin, Luca Toscani.
Gli autori di origine toscana sono: Dino Campana, Paolo Lorenzini (Collodi Nipote), Paolo Mantegazza, Tito Barbini.

 

Parti / capitoli

Il testo si divide in sette capitoli:

  1. Los hilos y las voces: presentazione della ricerca, obiettivi, problemi, principi teorici, organizzazione del corpus, percorso o parti del libro. Si definisce il concetto di “e(in)migración” (p. 33-34) creato per la prima volta dall’Autrice per significare le molteplici prospettive che configurano questo processo socio-culturale inteso come problematica bifronte e poliedrica; si definiscono altresì le modalità di lettura dei testi (anche i testi letterari vengono letti come documenti storici e ideologici). Si definisce il dispositivo teorico su cui appoggiarsi: la teoria bachtiniana, la Teoria della Cultura, la semiotica di Eco, la New Criticism di Angenot e Robin, la sociologia-filosofia-antropologica di Therborn. Vengono presi in considerazione altri studi sulla letteratura italiana che si occupa di emigrazione (non solo verso l’Argentina): Jean-Jacques Marchand, Sebastiano Martelli, Emilio Franzina (e anche Luigi Cepparrone, Martino Marazzi, Gianni Paoletti).
  2. O Paese: presentazione generale del corpus. Presentazione di alcuni autori significativi. Riferimento alle loro esperienze come emigranti o come viaggiatori, o alle loro vicende vincolate con l’emigrazione. Il problema della marginalità/del successo/ dell’oblio. Ragionamento sul perché dell’oblio di questi testi nel canone letterario (negazione del conflitto culturale, marginalità dei protagonisti, indifferenza degli intellettuali, contrasto/opposizione con un progetto politico (unità d’Italia/Risorgimento), trauma sociale, distanze stilistiche, non leggibilità, scarsa qualità, ecc). La formazione di un’altra Italia al di là delle frontiere. Formazione dell’identità italiana all’estero. Importanza della storia dal sotto, delle micro-storie (Hobsbawm, Sharpe). Le ideologie in contrasto e le strategie di manipolazione sociale attraverso i testi, collegati con dei progetti politici, un’interpretazione della storia. Visibilità dei conflitti nella lettura. Presentazione delle quattro posizioni che rappresentano quatto posizioni politiche e ideologiche: anti-emigrazionistica, denuncia sociale, pro-emigrazionistica e della ricerca personale.
  3. Catarsis de la hemorragia: analisi della posizione anti-emigrazionista (difesa della produzione agricola perché l’emigrazione creava dei danni all’agricoltura; socialista; nazionalista). Danno al lavoro italiano. Posizione del lutto, metafora dell’emorragia e del naufragio. Posizione nazionalista di Enrico Corradini. Negatività della nostalgia: analisi nelle canzoni popolari. Posizioni contraddittorie del fascismo: perdita dell’italianità fra gli emigranti / emigrazione come forma di colonizzazione culturale. De-mistificazione dell’America. Problema dell’esilio: l’emigrazione come esilio forzato. Analisi del romanzo Studio e racconto di Marazzi, analisi dei testi di Nella Pasini.
  4. El dolor y la conciencia. Denuncia/critica sociale collegata con l’emigrazione: non implica una difesa o una opposizione all’emigrare o agli emigranti. Analisi della realtà sociale. Posizione vincolata con il realismo, il naturalismo. Importanza delle illustrazioni sui libri e sui giornali (Arnaldo Ferraguti, Achile Beltrame su La Domenica del Corriere, Luigi Bemporad per L’Illustrazione Italiana) e anche i dipinti di Raffaello Gambogi, Angelo Tommasi. Critica alle miserie e al degrado degli emigranti. Lettura di Sull’Oceano di Edmondo De Amicis, Un caffè molto dolce di Magagnoli (analisi della figura di Severino Di Giovanni), Senza patria di Pietro Gori. Si segnalano i conflitti nella società italiana: classi sociali, campanilismi, regionalismi, politici, economici. Lettura dell’anarchismo e la rappresentazione letteraria. Riletture delle utopie e costruzione di nuove utopie.
  5. La conquista refractante a través del héroe. Posizione che concepisce l’emigrazione come opportunità (non a livello individuale ma sociale) politica, nazionale: espansionismo demografico, economico, culturale. L’emigrazione è una forma di redenzione dell’Italia, gli emigranti sono eroi, coloni, portatori della cultura, redimono il Paese. Riprendono valori del Risorgimento, della Roma imperiale, dei principi della conquista dell’Africa (Libia ed Etiopia). Riconoscimento dell’italianità negli emigranti (italiani all’estero). Costruzione dell’identità degli italiani all’estero. Letteratura dell’infanzia (formazione del cittadino). Idealizzazione degli emigranti, delle gesta emigratorie, sul principio dell’eroicità. Principio di conquista.
  6. El viaje de la búsqueda interior. Il viaggio dell’emigrazione visto nell’individualità, come gesta unica, non sociale, è un percorso di crescita individuale, formazione. Scritti di religiosi, avventurieri. Letteratura di viaggio (non tanto di emigrazione, anche se potenzialmente collegabile ed in relazione con l’emigrazione). Percorso dell’eroe o del fuggitivo. Viaggio come luogo di utopie. Carattere autobiografico del viaggio.
  7. Los desembarcos y los puertos. Sintesi dei capitoli attorno le problematiche dell’identità e dell’e(in)migrazione, considerando alcuni dei nodi semantici principali.

 

 Il libro è disponibile in formato cartaceo su Amazon,
presso le Librerías Hernández (Buenos Aires)
e per scaricarlo (ebook – pdf) dal sito della casa editrice Teseo

https://www.editorialteseo.com/archivos/13346/huellas-y-recorridos-de-una-utopia/


 

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Fernanda Elisa Bravo Herrera

 

Libri di Fernanda Elisa Bravo Herrera

 

Parodias y reescrituras de tradiciones literarias y culturales en Leopoldo Marechal. Buenos Aires: Corregidor, 2015. Colección La vida en las Pampas. [ISBN 978-950-05-3083-5]. 432 pp.

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Huellas y recorridos de una utopía. La emigración italiana en la Argentina. Buenos Aires: Teseo, 2015. [ISBN 9789877230048]. 372 pp.

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El Fondo Mercedes de Tierras y Solares (1583 – 1589) del Archivo y Biblioteca Históricos de Salta. Salta: Fundación Capacit-Ar del NOA, 2010. [I.S.B.N. 978-987-22728-3-8]. 172 p. + CD ROM.

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Sátira política y representaciones de género en la prensa de Salta a fines del siglo XIX. La Civilización, La Revista Salteña y La Revista. Avances de Investigación CEPIHA N° 8, 2010. Salta: CEPIHA – Fac. de Humanidades – Univ. Nac. de Salta, 2010. 142 pp.

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 Articoli

“Parodias y reescrituras de tradiciones literarias en Leopoldo Marechal” en Hammerschmidt, Claudia (ed.), Leopoldo Marechal y la fundación de la literatura argentina moderna. Potsdam: Inolas Publishers LTD, 2015, pp. 411-431 [ISBN 978-3-946139-03-4].

“Memoria y paisaje en la poesía de Vicente Gerbasi y Jorge Isaías” en Grillo, Rosa Maria (a cura di), Venimos de la noche y hacia la noche vamos. Salerno – Milano: Oèdipus, 2015, pp. 131-148. [ISBN 978-88-7341-206-9].

“E(in)migración italiana en la Argentina y conflictos lingüísticos. Representaciones literarias y variaciones en las dos orillas” en Revista del Instituto de Investigaciones Lingüísticas y Literarias Hispanoamericana (RILL), Vol. 19, núm. 1, 2014, pp. 60-85 [ISSN 2250-6799].

“Recuperación de la memoria en la escritura de Rubén Tizziani y de Roberto Raschella” en Zibaldone. Estudios Italianos, Vol. III, N. 5, enero 2015, pp. 221-228 [ISSN: 2255 – 3576].

“Narrar la memoria y los exilios. Viaje e inmigración en ‘Mar de olvido’ de Rubén Tizziani”, Anales de Literatura Hispanoamericana, 43 (2014) Número especial: Escribir la frontera: itinerancias y sujetos migrantes en la literatura hispanoamericana, pp. 101-113 [ISSN 0210-4547 ISSN-e 1988-2351].

“Rosalba Campra, Travesías de la literatura gauchesca. De Concolocorvo a Fontanarrosa. Buenos Aires, Corregidor, 2013, 153 pp. ISBN 9789500520720”. [Reseña] en Cuadernos AISPI. Estudios de lenguas y literaturas hispánicas 3/2014, de la Associazione Ispanisti Italiani, pp. 239-241 [ISSN 2283-981X].

“Edmondo De Amicis en Argentina” en Claves. Salta: abril, Año XXIII, N° 228, 2014, pp. 12-13.´ Publicado también en: La Gazeta del Progreso. Periódico del Club del Progreso. Año 3. http://gazetaprogreso.com.ar/?page_id=2039 [Recuperado Agosto de 2014].

“La inmigración italiana en Argentina entre la memoria y el olvido” en Grillo, Rosa Maria – Perugini, Carla (a cura di), El olvido está lleno de memoria. Salerno: Oèdipus, 2014, pp. 79-112, CD-Rom [ISBN 978-88-7341-185-7].

“Expansión colonial y Política Nacionalista de la Emigración Italiana en la Argentina”

“Tiempos y espacios de formación de identidades colectivas en Cambacérès, Balbi, Aparicio e Iparraguirre”.

“Inmigración y nacionalismo en El diario de Gabriel Quiroga de Manuel Gálvez”.

“Violencia discursiva y conflicto social en tres revistas salteñas del siglo XIX”

“Cuestiones en torno al poder y la palabra: el entrecruzamiento del proyecto político y de los programas periodísticos del siglo XIX”

“La pasión de los nómades de María Rosa Lojo: contrapunto extraterritorial de Una excursión a los indios ranqueles de Lucio V. Mansilla”

“Teoría y praxis de la narración en la escritura de Ricardo Piglia: el mito del Diario y del secreto”

“Syria Poletti y el oficio de escribir exilios”

“Racconti di viaggio in Argentina: interpretazioni e proposte di lettura. Problemi di storiografia letteraria e conformazione del canone”

“(Des)articulación de memorias, soledades y exilios: Augustus y Fragmentos de Siglo de Liliana Bellone”

“Presentazione. Quando la scrittura diventa amazzone”

“(Auto)biografía e historia en El arpa y la sombra de Alejo Carpentier”

“Entre dos fuegos. Alejandro y los pescadores de Tancay de Braulio Muñoz”

“Los (im)posibles regresos a la tierra (perdida): Si hubiéramos vivido aquí de Roberto Raschella y La tierra incomparable de Antonio Dal Masetto”

“El arte del contrapunto. La copla en el norte argentino”

“Desarraigos, fronteras y exilios de la inmigración: Stéfano de Armando Discépolo y Gris de ausencia de Roberto Cossa”

“Anarchismo ed emigrazione in Argentina nella scrittura di Pietro Gori e Maria Luisa Magagnoli”

“El yo y la otredad en la nueva novela histórica. A propósito de La pasión de los nómades de María Rosa Lojo”

“Censure, assenze e prigioni. La “poetica” di Ricardo Piglia”

“Memoria, emigración y entrecruzamiento de la palabra de Quasimodo en Oscuramente fuerte es la vida y en La tierra incomparable de Antonio Dal Masetto”

“Utopías en torno a las fronteras entre civilización y barbarie. Nuevas excursiones a los indios ranqueles”

“Cruces y encrucijadas en Al cielo sometidos de Reynaldo González”

“Scavare nella metamorfosi perlongheriana: Tu svástica en las tripas. Corpo e storia in Néstor Perlongher di Edoardo Balletta (Gorée, 2009)”

“Si hubiéramos vivido aquí de Roberto Raschella: pertenencias y extrañamientos identitarios”

“Conjeturas e indagaciones: el doble movimento enunciativo de Ricardo Piglia”

“Cooperación internacional y protección del patrimonio cultural: la gestión de la UNESCO y de la OEA”

“Memoria y relato en Alejandro y los pescadores de Tancay de Braulio Muñoz”

“La emigración italiana en la Argentina entre el fracaso y la epopeya: Emigrati de Antonio Marazzi e I Roscaldi de Nella Pasini”

“La conformación de la tradición cultural en la escritura de Leopoldo Marechal”

“La configuración de la mujer en tres revistas de Salta a fines del siglo XIX”

“Espacio, huella y ausencia de la cultura indígena en la escritura de Leopoldo Marechal”

“Dante, Valli y Marechal: Fedeli d’Amore en diálogo”

“Lo épico en ‘La Patriótica’ de Leopoldo Marechal”.

“Configuraciones del viaje en la literatura de emigración italiana en la Argentina”

“Los asedios y las batallas en ‘Megafón o la guerra’ de Leopoldo Marechal”

“Viajes y fronteras en torno a la e(in)migración”

“Percorsi nella memoria: il lessico nell’esilio affettivo dell’immigrazione”

“Fronteras y conflictos emergentes en el discurso homogeneizador del siglo XIX. Un recorrido por revistas salteñas”

“Reescrituras de textos italianos en la producción de Leopoldo Marechal: sublimación y censura de lo erótico”

La risa antropofágica como sostén de relatos del mundo: estrategias de carnavalización y efecto polifónico en la producción de Leopoldo Marechal

“La escritura marechaliana como apropiación de textos pictóricos”

“La narrativa marechaliana como espacio macarrónico de construcciones míticas”

Tesis Doctoral: “La parodia en la producción de Leopoldo Marechal como lectura/re-escritura de las tradiciones literarias y culturales”.

Tesis de Maestría “El Fondo de Mercedes de Tierras y Solares (1583-1589) del Archivo y Biblioteca Históricos de Salta”

Tesis de Licenciatura «La Teoría del Humor en la producción de Leopoldo Marechal»

RESEÑA. Fernanda E. Bravo Herrera. Diario de viaje a Oriente (1850-51) y otras crónicas del viaje oriental, de Lucio V. Mansilla. Edición, introducción y notas de María Rosa Lojo By Fernanda Elisa Bravo Herrera and Cuadernos del Hipogrifo. Revista de Literatura Hispanoamericana y Comparada (ISSN 2420-918X)


 

 

 

 

Cerchiamo insieme nuovi orizzonti di senso! Ciò che molti dicono essere «impossibile» è invece il possibile cammino verso la realtà, verso la vera umanità dell’uomo, e la vera sapienza.

In fuga

L’impossibile …

Non obbedire a chi ti dice di rinunziare all’impossibile!
L’impossibile solo rende possibile la vita dell’uomo.
Tu fai bene a inseguire il vento con un secchio.
Da te, e da te soltanto, si lascerà catturare.

                                                                  Margherita Guidacci

… è il possibile cammino verso la realtà …

Chi non spera quello che non sembra sperabile
non potrà scoprirne la realtà,
poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo,
qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada.

                                                                                             Eraclito

… e la vera sapienza

 … se uno
ha veramente a cuore la sapienza,
non la ricerchi in vani giri,
come di chi volesse raccogliere le foglie
cadute da una pianta e già disperse dal vento,
sperando di rimetterle sul ramo.

La sapienza è una pianta che rinasce
solo dalla radice, una e molteplice.
Chi vuol vederla frondeggiare alla luce
discenda nel profondo, là dove opera il dio,
segua il germoglio nel suo cammino verticale
e avrà del retto desiderio il retto
adempimento: dovunque egli sia
non gli occorre altro viaggio.

                                                                   Margherita Guidacci


L’immagine: Pere Borrell del Caso, Huyendo de la critica [In fuga dalla critica], 1874.

Il giovane scavalca la cornice per evadere dalla costrizione della fissità (definitoria) della tela in cui si vedeva confinato nella prigione di rigide scansioni spazio-temporali, una weberiana «gabbia d’acciaio».

Il titolo, Huyendo de la critica, ironico e dissacrante, conferisce al giovane la statura di chi si ribella, di chi non obbedisce a chi vuole convincerci a «rinunciare all’impossibile». Qui vuole essere metafora di una sana aspirazione a ricercare nuovi orizzonti di senso per l’arte, per la filosofia, per la società, per la storia, per l’umanità dell’uomo che non deve sottostare immobile e passiva alla perentorietà di chi proclama la “fine della storia” nell’universo capitalistico, che desertifica e inquina lo spirito e che vorrebbe precludere l’apertura di altri orizzonti: soprattutto di modalità sociali autenticamente comunitarie.


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Etienne de La Boétie (1530-1563) – Della servitù volontaria

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« Vorrei solo riuscire a comprendere come mai tanti uomini, tanti villaggi e città, tante nazioni a volte, sopportano un tiranno che non ha alcuna forza se non quella che gli viene data, non ha potere di nuocere se non in quanto viene tollerato. Da dove ha potuto prendere tanti occhi per spiarvi se non glieli avete prestati voi? come può avere tante mani per prendervi se non è da voi che le ha ricevute? Siate dunque decisi a non servire più e sarete liberi!».

«E’ davvero sorprendente, e tuttavia così comune che c’è più da dispiacersi che da stupirsi nel vedere milioni e milioni di uomini servire miserevolmente, col collo sotto il giogo, non costretti da una forza più grande, ma perché sembra siano ammaliati e affascinati dal nome solo di uno, di cui non dovrebbero temere la potenza, visto che è solo, né amare le qualità, visto chenei loro confronti è inumano e selvaggio. […] Ma, buon Dio! che storia èquesta? Come diremo che si chiama? Che disgrazia è questa? Quale vizio, o piuttosto, quale disgraziato vizio? Vedere un numero infinito di persone non obbedire, ma servire; non essere governati, ma tiranneggiati; senza che gli appartengano né beni né parenti, né mogli né figli, né la loro stessa vita! Sopportare i saccheggi, le licenziosità, le crudeltà, non di un esercito, non di un’orda barbara, contro cui bisognerebbe difendere innanzitutto il proprio sangue e la propria vita, ma di uno solo […] Chiameremo questa vigliaccheria? Diremo che coloro che servono sono codardi e deboli? Se due, tre o quattro persone non si difendono da un’altra, questo è strano, ma tuttavia possibile; si potrà ben dire giustamente che è mancanza di coraggio. Ma se cento, mille sopportano uno solo, non si dovrà dire che non vogliono, che non osano attaccarlo, e che non è vigliaccheria, ma piuttosto spregevolezza ed abiezione? […] Dunque quale vizio mostruoso è mai questo che non merita nemmeno il nome di vigliaccheria, e per il quale non si trova un termine sufficientemente offensivo, che la natura rinnega di aver generato e la lingua rifiuta di nominare?».

«Questo tiranno solo, non c’è bisogno di combatterlo, non occorre sconfiggerlo, è di per sé già sconfitto, basta che il paese non acconsenta alla propria schiavitù. Non bisogna togliergli niente, ma non concedergli nulla. Non occorre che il paese si preoccupi di fare niente per sé, a patto di non fare niente contro di sé. Sono dunque i popoli stessi che si lasciano o piuttosto si fanno tiranneggiare, poiché smettendo di servire ne sarebbero liberi. È il popolo che si assoggetta, che si taglia la gola e potendo scegliere fra l’essere servo e l’essere libero, lascia la libertà e prende il giogo; che acconsente al suo male, o piuttosto lo persegue. […] se per avere la libertà basta desiderarla, se c’è solo bisogno di un semplice atto di volontà, quale popolo al mondo potrebbe valutarla ancora troppo cara, potendola ottenere solo con un desiderio […] ?».

«Colui che tanto vi domina non ha che due occhi, due mani, un corpo, non ha niente di più dell’uomo meno importante dell’immenso ed infinito numero delle nostre città, se non la superiorità che gli attribuite per distruggervi. Da dove ha preso tanti occhi, con i quali vi spia, se non glieli offrite voi? Come può avere tante mani per colpirvi, se non le prende da voi? I piedi con cui calpesta le vostre città, da dove li ha presi, se non da voi? Come fa ad avere tanto potere su di voi, se non tramite voi stessi? Come oserebbe aggredirvi, senon avesse la vostra complicità? Cosa potrebbe farvi se non foste i ricettatori del ladrone che vi saccheggia, complici dell’assassino che vi uccide e traditori di voi stessi?».

«Vi sono tre tipi di tiranni: gli uni ottengono il regno attraverso l’elezione del popolo, gli altri con la forza delle armi, e gli altri ancora per successione ereditaria. Chi lo ha acquisito per diritto di guerra si comporta in modo tale da far capire che si trova, diciamo così, in terra di conquista. Coloro che nascono sovrani non sono di solito molto migliori, anzi essendo nati e nutriti in seno alla tirannia, succhiano con il latte la natura del tiranno, e considerano i popoli che sono loro sottomessi, come servi ereditari; e, secondo la loro indole di avari o prodighi, come sono, considerano il regno come loro proprietà. Chi ha ricevuto il potere dello Stato dal popolo […] è strano di quanto superino gli altri tiranni in ogni genere di vizio e perfino di crudeltà, non trovando altri mezzi per garantire la nuova tirannia che estendere la servitù ed allontanare talmente i loro sudditi dalla libertà, che, per quanto vivo, glie ne si possa far perdere il ricordo. A dire il vero, quindi, esiste tra loro qualche differenza, ma non ne vedo affatto una possibilità di scelta; e per quanto i metodi per arrivare al potere siano diversi, il modo di regnare è quasi sempre simile».

«Certamente tutti gli uomini, finché conservano qualcosa di umano, se si lasciano assoggettare, o vi sono costretti o sono ingannati […] È incredibile come il popolo, appena è assoggettato, cade rapidamente in un oblio così profondo della libertà, che non gli è possibile risvegliarsi per riottenerla, ma serve così sinceramente e così volentieri che, a vederlo, si direbbe che non abbia perduto la libertà, ma guadagnato la sua servitù. È vero che, all’inizio, si serve costretti e vinti dalla forza, ma quelli che vengono dopo servono senza rimpianti e fanno volentieri quello che i loro predecessori avevano fatto per forza. È così che gli uomini che nascono sotto il giogo, e poi allevati ededucati nella servitù, senza guardare più avanti, si accontentano di viverecome sono nati, e non pensano affatto ad avere altro bene né altro diritto, senon quello che hanno ricevuto, e prendono per naturale lo stato della loro nascita. Non si può dire che la natura non abbia un ruolo importante nel condizionare la nostra indole in un senso o nell’altro; ma bisogna altresì confessare che ha su di noi meno potere della consuetudine: infatti l’indole naturale, per quanto sia buona, si perde se non è curata; e l’educazione ci plasma sempre alla sua maniera, comunque sia, malgrado l’indole. I semi del bene che la natura mette in noi sono così piccoli e fragili da non poter sopportare il minimo impatto di un’educazione contraria; si conservano con più difficoltà di quanto si rovinino, si disfino e si riducano a niente. Benché dunque l’indole umana sia libera, l’abitudine ha sugli individui effetti maggiori che non la loro indole, e così essi accettano la servitù se sono sempre stati educati come schiavi. La natura dell’uomo è proprio di essere libero e di volerlo essere, ma la sua indole è tale che naturalmente conserva l’inclinazione che gli dà l’educazione».

«I teatri, i giochi, le farse, gli spettacoli, i gladiatori, le bestie esotiche, le medaglie, i quadri ed altre simili distrazioni poco serie, erano per i popoli antichi l’esca della servitù, il prezzo della loro libertà, gli strumenti della tirannia. Questi erano i metodi, le pratiche, gli adescamenti che utilizzavano gli antichi tiranni per addormentare i loro sudditi sotto il giogo. Così i popoli, istupiditi, trovando belli quei passatempi, divertiti da un piacere vano, che passava loro davanti agli occhi si abituavano a servire più scioccamente dei bambini che vedendo le luccicanti immagini dei libri illustrati, imparano a leggere».
(E. de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria.
Il testo fu redatto probabilmente intorno al 1549 e pubblicato clandestinamente nel 1576 con il titolo di Il contro uno).

Albert Einstein – Perché il socialismo? Why Socialism?

Albert Einstein

(Questo testo di Einstein fu pubblicato dalla rivista Monthly Review di New York nel 1949. Fu ripubblicato varie volte e particolarmente in Pensieri degli anni difficili dello stesso Einstein. Fu ripubblicato sul Monthly Review, edizione in spagnolo del 1977).

È consigliabile per chi non sia un esperto di problemi economici e sociali esprimere delle opinioni sulla questione del socialismo? Per un complesso di ragioni credo di sì.
Consideriamo in primo luogo la questione dal punto di vista della conoscenza scientifica. Potrebbe sembrare che non vi siano delle differenze metodologiche essenziali fra l’astronomia e l’economia: in entrambi i campi gli scienziati tentano di scoprire leggi di validità generale entro un ordine circoscritto di fenomeni, in modo da rendere quanto più possibile comprensibile connessioni fra questi fenomeni. In realtà, però, differenze di metodo esistono. La scoperta di leggi generali nel campo economico è resa difficile dal fatto che nei fenomeni economici osservati intervengono spesso molti fattori che è assai difficile valutare separatamente. Inoltre, l’esperienza accumulatasi fin dall’inizio del cosiddetto periodo civile della storia umana è stata, come è noto, fortemente influenzata e limitata da cause che non sono affatto di natura esclusivamente economica. Per esempio, la maggior parte degli stati più importanti dovettero la loro esistenza alla politica di conquista. I popoli conquistatori si imposero legalmente ed economicamente, come la classe privilegiata del paese conquistato. Essi si riservarono il monopolio della proprietà terriera e crearono una casta sacerdotale con membri appartenenti alla loro stessa classe. I sacerdoti, avendo il controllo dell’educazione, trasformarono la divisione in classi della società in una istituzione permanente ed elaborarono un sistema di valori a mezzo del quale, a partire da allora, il popolo fu guidato, in larga misura senza che ne avesse consapevolezza, nel suo comportamento sociale.
Ma la tradizione storica è, per cosi dire, cosa di ieri; in nessuna parte del mondo abbiamo di fatto superato quella che Thorstein Veblen chiamò “la fase predatoria” dello sviluppo umano. I fatti economici che ci è dato osservare appartengono a tale fase, e le stesse leggi che possiamo eventualmente ricavare da tali fatti non sono applicabili ad altre fasi. Dato che il vero scopo del socialismo è precisamente quello di superare e di procedere oltre la fase predatoria dello sviluppo umano, la scienza economica, al suo stato attuale, può gettare ben poca luce sulla società socialista del futuro.
In secondo luogo, il socialismo è volto a un fine etico-sociale. La scienza, però, non può stabilire dei fini e tanto meno inculcarli negli esseri umani; la scienza, al più, può fornire i mezzi con i quali raggiungere certi fini. Ma i fini stessi sono concepiti da persone con alti ideali etici; se questi ideali non sono sterili, ma vitali e forti, vengono adottati e portati avanti da quella gran parte dell’umanità che, per metà inconsciamente, determina la lenta evoluzione della società.
Per queste ragioni dovremmo stare attenti a non sopravvalutare la scienza e i metodi scientifici quando si tratta di problemi umani; e non dovremmo ammettere che gli esperti siano gli unici ad aver il diritto di pronunciarsi su questioni riguardanti l’organizzazione della società.
Da un po’ di tempo innumerevoli voci affermano che la società umana sta attraversando una crisi, che la sua stabilità è stata gravemente scossa. Caratteristico di una tale situazione è il fatto che gli individui si sentano indifferenti o addirittura ostili verso il gruppo sociale, piccolo o grande, al quale appartengono. Per illustrare ciò che intendo dire, voglio ricordare qui un’esperienza personale. Recentemente discutevo con una persona intelligente e di larghe vedute sulla minaccia di una nuova guerra che, secondo me, comprometterebbe seriamente l’esistenza dell’umanità, e facevo notare che solo un’organizzazione sopranazionale potrebbe offrire una forma di protezione da questo pericolo. Allora il mio interlocutore, con voce molto calma e fredda, mi disse: “Perché lei è così profondamente contrario alla scomparsa della razza umana?”
Sono sicuro che solo un secolo fa nessuno avrebbe fatto una domanda del genere con tanta leggerezza. È l’affermazione di un uomo che ha lottato invano per raggiungere un equilibrio interno e ha perduto, più o meno, la speranza di riuscirvi. È l’espressione di una solitudine e di un isolamento dolorosi di cui soffrono moltissimi in questi tempi. Quale ne è la causa? Esiste una via d’uscita?
È facile sollevare tali questioni, ma è difficile dare loro una risposta con un qualche grado di sicurezza. Debbo tentare, tuttavia, come meglio posso, anche se sono perfettamente consapevole del fatto che i nostri sentimenti e i nostri sforzi sono spesso contraddittori e oscuri, e non possono venir espressi mediante facili e semplici formule.
L’uomo è, allo stesso tempo, un essere solitario e un essere sociale. In quanto essere solitario, egli cerca di proteggere la propria esistenza e quella di coloro che gli sono più vicini, di soddisfare i propri desideri personali, e di sviluppare le proprie qualità naturali. In quanto essere sociale, egli cerca di guadagnarsi la stima e l’affetto dei suoi simili, di condividere le loro gioie, di confortarli nel loro dolore, e di migliorare le loro condizioni di vita. Soltanto l’esistenza di questi sforzi diversi, frequentemente contrastanti, spiega il carattere particolare di un uomo, e la loro particolare combinazione determina la misura nella quale un individuo può raggiungere un equilibrio interno e contribuire al benessere della società. È perfettamente possibile che la forza relativa di queste due tendenze sia sostanzialmente determinata dall’eredità. Ma la personalità che alla fine ne emerge è in gran parte formata dall’ambiente in cui un uomo viene a trovarsi durante il suo sviluppo, dalla struttura della società in cui egli cresce, dalla storia di quella società, e dal giudizio che essa dà dei differenti tipi di comportamento. Il concetto astratto di “società” significa, per l’essere umano individuale, la somma totale di queste relazioni dirette e indirette con i suoi contemporanei e con tutti gli uomini delle generazioni precedenti. L’individuo può pensare, sentire, lottare, e lavorare da solo; ma egli dipende dalla società, nella sua esistenza fisica, intellettuale ed emotiva, tanto che è impossibile pensare a lui, o comprenderlo, al di fuori della struttura della società. È la “società” che fornisce all’uomo il cibo, i vestiti, una casa, gli strumenti di lavoro, la lingua, le forme di pensiero, e la maggior parte dei contenuti di pensiero; la sua vita è resa possibile dal lavoro e dalle realizzazioni dei molti milioni di uomini del passato e del presente che si nascondono dietro quella piccola parola: “società”.
È evidente, perciò, che la dipendenza dell’individuo dalla società è un fatto naturale che non può venir abolito, proprio come nel caso delle api o delle formiche. Tuttavia, mentre l’intero processo vitale delle formiche e delle api è determinato fin nei più minuti particolari da rigidi istinti ereditari, lo schema sociale e le interrelazioni degli esseri umani sono assai variabili e suscettibili di mutamento. La memoria, la capacità di realizzare nuove combinazioni, il dono della comunicazione orale, hanno reso possibili fra gli esseri umani degli sviluppi non dettati da necessità biologiche. Tali sviluppi si manifestano nelle tradizioni, istituzioni, e organizzazioni, nella letteratura, nelle scoperte scientifiche e tecniche, nelle opere d’arte. Questo spiega come succede che, in un certo senso, l’uomo possa, attraverso il comportamento, influenzare la propria vita, e che in questo processo possano avere una funzione il pensiero e la volontà coscienti.
L’uomo riceve ereditariamente, alla nascita, una costituzione biologica che dobbiamo considerare fissa e inalterabile, e che comprende le esigenze naturali che sono caratteristiche della specie umana. Inoltre, nel corso della vita, egli acquisisce una costituzione culturale, che gli viene dalla società attraverso la comunicazione diretta e attraverso molti altri tipi di influenze. È questa costituzione culturale ad essere, nel corso del tempo, soggetta a mutamenti e a determinare in larga misura i rapporti fra l’individuo e la società. La moderna antropologia ci ha insegnato, attraverso lo studio comparato delle cosiddette culture primitive, che il comportamento sociale degli esseri umani può essere molto diverso, a seconda degli schemi culturali predominanti e dei tipi di organizzazione che prevalgono nella società. È su questo fatto che coloro che lottano per migliorare il destino dell’uomo possono fondare le loro speranze: gli esseri umani non sono condannati, a causa della loro costituzione biologica, a distruggersi l’un l’altro o ad essere, ad opera delle proprie mani, alla mercé di un fato crudele.
Se ci domandiamo in qual modo la struttura della società e l’atteggiamento culturale dell’uomo dovrebbero essere modificati al fine di rendere il più possibile soddisfacente la vita umana, dovremmo essere coscienti del fatto che esistono certe condizioni che non possiamo modificare. Come abbiamo ricordato prima, la natura biologica dell’uomo non è suscettibile di mutamenti a ogni fine pratico. Inoltre, gli sviluppi tecnologici e demografici degli ultimi secoli hanno creato delle condizioni destinate a perdurare. In popolazioni stabili relativamente dense, dotate dei beni che sono indispensabili alla continuazione della loro esistenza, sono assolutamente necessarie una estrema suddivisione del lavoro e un apparato produttivo altamente centralizzato. È passato per sempre il tempo, che a volgersi indietro sembra cosi idilliaco, in cui gli individui o i gruppi relativamente piccoli potevano essere completamente autosufficienti. Non si esagera molto dicendo che l’umanità già oggi costituisce una comunità planetaria di produzione e di consumo.
Giunto a questo punto del discorso posso indicare brevemente ciò che secondo me costituisce l’essenza della crisi del nostro tempo. Si tratta del rapporto dell’individuo con la società. L’individuo è diventato più consapevole che mai della propria dipendenza dalla società. Egli però non sperimenta tale dipendenza come un fatto positivo, come un legame organico, come uno forza protettrice, ma piuttosto come una minaccia ai suoi diritti naturali, o addirittura alla sua esistenza. Inoltre, la sua posizione nella società è tale che gli impulsi egoistici del suo carattere vengono costantemente accentuati, mentre i suoi impulsi sociali, che per natura sono più deboli, si deteriorano progressivamente. Tutti gli esseri umani, qualunque sia la loro posizione nella società, soffrono di questo processo di deterioramento. Inconsciamente prigionieri del loro egotismo, essi si sentono insicuri, soli, e spogliati della ingenua, semplice e non sofisticata gioia di vivere. L’uomo può trovare un significato nella vita, breve e pericolosa come è, soltanto dedicandosi alla società.
L’anarchia economica della società capitalista, quale esiste oggi, rappresenta secondo me la vera fonte del male. Vediamo di fronte a noi un’enorme comunità di produttori, i cui membri lottano incessantemente per spogliarsi a vicenda dei frutti del loro lavoro collettivo, non con la forza, bensì tutto sommato in complice ossequio a regole stabilite in forma legale. In questo senso è importante rendersi conto che i mezzi di produzione, vale a dire l’intera capacità produttiva necessaria per produrre sia i beni di consumo che i beni capitali addizionali, possono essere con pieno crisma legale, e per la maggior parte lo sono, proprietà privata di singoli.
Per ragioni di semplicità, nella discussione che segue indicherò con la parola “lavoratori” tutti coloro che non partecipano alla proprietà dei mezzi di produzione, anche se ciò non corrisponde pienamente all’uso normale del termine. Il proprietario dei mezzi di produzione è in grado di acquistare la forza-lavoro del lavoratore. Usando i mezzi di produzione, il lavoratore produce nuovi beni che diventano proprietà del capitalista. Il punto essenziale di questo processo è la relazione fra quanto il lavoratore produce e quanto egli è pagato, entrambe le quantità misurate in termini di valore reale. Fintantoché il contratto di lavoro è “libero”, ciò che il lavoratore riceve è determinato non dal valore reale dei beni che produce, ma dalle sue necessità di sopravvivenza e dalla domanda di forza-lavoro da parte del capitalista, rapportata al numero di lavoratori che sono in concorrenza per i posti di lavoro. È importante comprendere che anche in teoria il salario del lavoratore non è determinato dal valore del suo prodotto.
Il capitale privato tende a concentrarsi nelle mani di pochi, in parte a causa della concorrenza fra i capitalisti, in parte perché lo sviluppo tecnologico e la crescente suddivisione del lavoro incoraggiano la formazione di più grandi complessi di produzione a spese dei minori. Il risultato di questi sviluppi è un’oligarchia del capitale privato il cui enorme potere non può essere efficacemente controllato neppure da una società politica democraticamente organizzata. La verità di ciò è determinata dal fatto che i membri dei corpi legislativi vengono scelti dai partiti politici, ampiamente finanziati o in altro modo influenzati dai capitalisti privati i quali, a ogni fine pratico, separano l’elettorato dal corpo legislativo. La conseguenza è che i rappresentanti del popolo non proteggono, di fatto, in modo sufficiente gli interessi degli strati meno privilegiati della popolazione. Inoltre, nelle condizioni attuali, i capitalisti privati controllano inevitabilmente, direttamente o indirettamente, le fonti principali d’informazione: stampa, radio, educazione. È quindi estremamente difficile e anzi, nella maggior parte dei casi, del tutto impossibile, che i cittadini pervengano a delle conclusioni oggettive e facciano un uso intelligente dei loro diritti politici.
La situazione dominante in un’economia basata sulla proprietà privata del capitale è perciò caratterizzata da due principi fondamentali: primo, i mezzi di produzione (capitale) sono proprietà privata e i proprietari ne dispongono a loro piacimento; secondo, il contratto di lavoro è libero. Naturalmente non esiste, in quanto tale, una società capitalista pura in questo senso. In particolare, occorre notare che i lavoratori, attraverso lunghe e amare lotte, sono riusciti ad assicurarsi una forma in certo modo migliorata del “contratto libero di lavoro” per certe loro categorie. Peraltro, considerata complessivamente l’economia dei nostri tempi non differisce molto dal capitalismo puro.
Si produce per il profitto, non per l’uso. Non vi è alcun provvedimento grazie al quale tutti coloro che possono e vogliono lavorare ne abbiano sempre la possibilità; esiste quasi sempre un “esercito di disoccupati”. Il lavoratore ha sempre la paura di perdere il proprio posto di lavoro. Dato che i disoccupati e i lavoratori mal retribuiti non rappresentano per i beni di consumo un mercato vantaggioso, la produzione di tali beni ne risulta limitata, con un conseguente grave danno. Il progresso tecnologico si risolve frequentemente in un aggravamento della disoccupazione piuttosto che in un alleggerimento della quantità di lavoro per tutti. Il movente del profitto, congiuntamente alla concorrenza fra i capitalisti, è responsabile di una instabilità nell’accumulazione e nell’impiego del capitale, che conduce a depressioni sempre più gravi. La concorrenza illimitata porta a un enorme spreco di lavoro, e a quelle storture della coscienza sociale nei singoli individui, di cui ho parlato prima.
Queste storture nell’individuo, secondo me sono la tara peggiore del capitalismo. Tutto il nostro sistema educativo soffre di questo male. Un atteggiamento esageratamente concorrenziale viene inculcato nello studente, abituandolo ad adorare il successo, come preparazione alla sua futura carriera.
Sono convinto che vi è un solo mezzo per eliminare questi gravi mali, e cioè la creazione di un’economia socialista congiunta a un sistema educativo che sia orientato verso obiettivi sociali.
In una tale economia i mezzi di produzione sono proprietà della società stessa e vengono utilizzati secondo uno schema pianificato. Un’economia pianificata, che equilibri la produzione e le necessità della comunità, distribuirebbe il lavoro fra tutti gli abili al lavoro e garantirebbe i mezzi di sussistenza a ogni uomo, donna e bambino. L’educazione dell’individuo, oltre a incoraggiare le sue innate capacità, si proporrebbe di sviluppare in lui un senso di responsabilità verso i suoi simili anziché la glorificazione del potere e del successo, come avviene nella nostra società attuale.
È necessario, tuttavia, ricordare che un’economia pianificata non rappresenta ancora il socialismo. Una tale economia pianificata potrebbe essere accompagnata dal completo asservimento dell’individuo. La realizzazione del socialismo richiede la soluzione di alcuni problemi sociali e politici estremamente complessi: in che modo è possibile, in vista di una centralizzazione di vasta portata del potere economico e politico, impedire che la burocrazia diventi onnipotente e prepotente? In che modo possono essere protetti i diritti dell’individuo, assicurando un contrappeso democratico al potere della burocrazia?



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