Marco Penzo – Alle origini del concetto di “comunismo”

scuola-di-atene

Rappresentando per Marx comunismo la realizzazione di una società nella quale vale l’affermazione «a ognuno secondo i suoi bisogni»,[1] questo presupposto ci può portare a riflettere più dettagliatamente al pensiero comunista ai tempi a noi remoti dei Greci e dei Romani e in generale di quel mondo che definiamo antico: convenzionalmente il mondo antico si conclude con la deposizione di Romolo Augustolo e la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.), e, seguendo il Musti,[2] con la chiusura della Scuola di Atene (529 d.C.), che segna effettivamente la fine della grande storia del mondo greco antico, già debilitato dal 146 a.C., anno della distruzione di Corinto e fondazione della provincia di Acaia da parte dei Romani.[3] Ricordiamo però la storia greca manualistica si chiude in genere con la battaglia di Azio e la morte di Marco Antonio e Cleopatra nel 30 a.C.[4] Sta di fatto che un ordine “stabile” successivo alla fine dell’Impero Romano d’Occidente non si ha fino alla caduta dei Longobardi e la vittoria decisiva di Carlo Magno tra il 774 e il 776 d.C., che riporta in auge il concetto di Impero Romano, subentrando come figura legittima del potere imperiale (vedi la sua incoronazione a imperatore nell’800 d.C.) e come naturale successore dei Romani, e ufficiale avviatore di una nuova fase: ecco il Medioevo, quello che era nato con l’arrivo di popoli come Ostrogoti, Visigoti e Longobardi, ma che ha trovato autentica legittimazione e realizzazione con l’ascesa di Carlo Magno, guida dei Franchi.[5]
Ma, tornando al concetto di comunismo, forse dobbiamo riprendere i passi proprio dal mondo greco e così proprio dalla grande scuola di Atene, il pantheon della filosofia antica.
Pensando a Raffaello e alla sua opera della Scuola di Atene, ci ricordiamo dell’enumerarsi di figure storiche che hanno fondato il pensiero filosofico antico, con al centro della scena i due padri della filosofia antica (senza dimenticare il padre putativo, l’Ungaretti per gli ermetici, il Baudelaire per i simbolisti, del pensiero razionale greco, cioè Socrate): Platone e Aristotele.
Proprio questi due avrebbero creato “involontariamente” quella divisione che ben espresse l’ottimo Coleridge tra “platonici” e “aristotelici”, come ricorda ad esempio Pugliese Carratelli [6]: e mai come altri questi due pionieri del pensiero sono stati alla base del futuro pensiero di Marx, a mio dire uno degli ultimi grandi allievi di questi pensatori.
Bisogna però sottolineare che la concezione di comunismo nasce ben prima dell’evoluzione del pensiero della Trinità della filosofia greca Socrate-Platone-Aristotele.
Se vogliamo guardare molto lontano, Pettinato ci chiarisce che nell’arcaico periodo assiro sotto il regno di Ur III, fondato da Ur-Nammu e poi riformato da Shulgi si venne ad organizzare una società con principi che si possono definire comunisti (2100 a.C).[7]
Sta di fatto che nel mondo greco, e più precisamente nel VI secolo a.C., si fa risalire la prima e singolare esperienza del mondo classico: Pentatlo, uomo di Cnido che, trascinandosi nell’onda della colonizzazione greca dell’Italia, in particolare di Sicilia e Magna Grecia, tentò l’impresa di conquistare Lilibeo e Erice e sostenne Selinunte contro Segesta in una lotta che lo vide morire per mano degli Elimi, abitanti la Sicilia occidentale. I seguaci di Pentatlo in quest’avventura colonizzatrice si rifugiarono nelle isole Eolie e, probabilmente sulla base dei principi della loro guida, stabilirono una società di stampo comunista, dove Lipari era l’epicentro, mentre Stromboli, Vulcano e Salina le zone agricole. Seguendo il Musti[8] possiamo riassumere come fossero organizzate le terre, secondo una gestione di proprietà comuni o che venivano rese private limitatamente nel tempo: ogni 20 anni doveva avvenire una redistribuzione delle terre.
L’esperienza di Lipari non è però un caso così singolare: è lo stesso Musti[9] a sottolineare l’influenza dorica nella gestione “comunista” delle terre…
A proposito, viene da pensare a come i Dori in Laconia gestivano le terre, dividendole in parti uguali per la coltivazione e mantenendo il pascolo comune, sempre con la preoccupazione di gestire l’uguaglianza tra le genti “pari” e si ricorda come a Sparta si evitava l’uso di materiali preziosi come l’oro per la coniazione di monete, il tutto per scacciare quella sorta di ὓβρις tanto temuta dai Greci. Questo riporta Plutarco su Licurgo, lo storico legislatore spartano: «Licurgo si preoccupò di dividere le proprietà in modo che ogni sentore di irregolarità e di non eguaglianza potesse essere rimosso […]. Fece ritirare tutte le monete in oro e argento e impose l’uso delle sole monete di ferro. Di conseguenza a un peso e una massa grandi diede un valore insignificante, cosicché per 10 mine fosse necessario un largo ripostiglio in casa, e un giogo di buoi per trasportarle. Quando le monete ebbero corso, molti tipi di iniquità furono cacciati da Sparta».[10]
Questo concetto di moderazione, di limite, è fondamentale nel mondo antico: “in medio stat virtus” è il motto per eccellenza del mondo antico, e l’Etica Nicomachea di Aristotele il testo per eccellenza della ricerca dell’ἀρετή nella medietas. E grande fautore di questa moderatio fu il filosofo del numero, quel Pitagora che tanti conoscono per le formule matematiche, ma che forse non conoscono sotto l’ambito politico-sociale: per lui il numero è armonia, equilibrio, essenziale metro di valutazione della verità (in questo Platone, soprattutto quello più vecchio, si rifarà al pensiero pitagorico…). Il numero è il simbolo dell’ordine, quindi la società deve essere ordinata secondo questo metodo di armonizzazione. La società ideale è comunitaria, una società composta da “amici”: l’amicizia è fondamentale per una società di uguali e il “comunismo” diventa la filosofia della πόλις della Magna Grecia per eccellenza, Crotone, dove l’élite pitagorica assumeva forme certamente non prettamente o propriamente democratiche, ma comunque aristocratiche nel loro significato più nobile.[11]
Gli ἄριστοι sono nel mondo greco i “migliori”, coloro che hanno le competenze e le conoscenze per gestire la res publica: è ispirandoci a tali concezioni che arriviamo a Platone, che non solo è il massimo teorico del mondo antico sotto l’ambito politico, ma è in lui che il concetto di λόγος assume le sfumature più complete, da parola a dialogo, da ragionamento a numero. L’armonia delle idee, dei numeri porta a una concezione in cui l’uomo deve ricercare la felicità, e felicità per Platone è sapere: il mito della caverna riportato nella Repubblica[12] è l’esempio non solo gnoseologico della scoperta del Bene, ma anche uno dei primi manifesti politici sul compito dell’uomo, che nella sua pienezza è filosofo, amante della σοφία.
Tutti hanno la potenzialità di arrivare al Bene, ma molti di essi necessitano di una spinta, hanno bisogno della “discesa” al mondo della δόξα del filosofo, che rischia di essere disprezzato o ucciso dagli uomini[13], ma che fa del “comunismo della Verità” il suo scopo di vita. Il mito della caverna è grande perché dà la dimostrazione essenziale del valore non solo gnoseologico, ma anche e in un certo senso soprattutto morale del cammino del filosofo sganciato dalla δόξα.
Ed è per questo che mi permetto di definire Platone il “filosofo della libertà” del mondo antico, così come Marx lo è per il mondo contemporaneo.
Tornando a teorici di società con principi comunisti, Aristotele nella Politica parla di Falea di Calcedone, vissuto nell’età della sofistica, il quale voleva dividere in parti uguali i possedimenti per dare la maggior giustizia possibile;[14] così anche di Ippodamo di Mileto, famoso organizzatore della città e del Pireo basandosi sulla geometria pitagorica di cui fu grande sostenitore, il quale divise la società in 3 parti (soldati, artigiani, contadini) così come il territorio (comune, privato, sacro), seguendo il fatto che il 3 era il numero perfetto per i Pitagorici, tutto per ritrovare quell’armonia comunista di stampo pitagorico di cui abbiamo già parlato.[15]
E’ Aristotele a riportare le differenti teorie “comuniste” del mondo greco, ma mentre Falea e Ippodamo danno un senso tecnico più vicino alla realtà, per Aristotele il nostro Platone ha cogitato una società irrealizzabile[16]: si tratta del primo vero esempio di Utopia, nome dell’opera poi scritta da Thomas More e pubblicata nel 1516.[17]
Ma in cosa consiste questa società che per prima ha dato l’idea sì di utopia, ma anche l’idea di un mondo migliore? In Platone c’è il desiderio, la pretesa di portare un mondo ideale sulla Terra: in questo senso è un filosofo idealista, che vede nelle Idee dell’Iperuranio delle formule perfette che devono riportare la verità.
Una simile posizione non poteva essere apprezzata da un filosofo liberale come Karl Popper, il quale vide appunto in Platone (e in un certo senso, per ovvie ragioni, Socrate), ma anche in Hegel e Marx, gli ideologi del “totalitarismo”[18]: questa visione limita notevolmente la profondità del pensiero platonico e l’ambizione sociale di Hegel e Marx, che (e soprattutto il secondo), contrariamente a quanto possa pensare Popper, hanno cercato di dare un senso alla società umana intera. Per Hegel la storia si concludeva nel presente, “giustificando” il potere prussiano, mentre per Marx la storia è un processo da analizzare per cogitare una società più ugualitaria, in cui appunto il comunismo è il termine “ultimo”, il tipo di società dove ognuno ha la potenzialità di arrivare al Bene (volendo riprendere Platone) secondo, in fondo, quel principio successivo di Gramsci secondo il quale «tutti gli uomini sono “filosofi”».[19]
E in questo senso, ritornando a Platone, criticato da certa scuola marxista di essere antidemocratico,[20] contro cioè gli interessi dei più poveri e deboli, si può leggere una corretta visione platonica della società, che pure Aristotele ammette rifarsi alla democrazia oltre che all’oligarchia[21], o, meglio, all’aristocrazia di stampo pitagorico. Platone divide in 3 parti (vedi Ippodamo) la società: filosofi-guide, guerrieri, lavoratori. E’ una sorta di democrazia a piramide, dove per guidare uno stato-πόλις bisogna avere le competenze (ecco l’allievo di Socrate) e chi meglio di chi ha voluto affrontare l’uscita dalla caverna e salire al Sole, al Bene, può guidare la πόλις… E’ però lo stesso Platone ad intendere la potenzialità di ogni individuo ad arrivare all’Idea del Bene, l’ἀλήθεια per eccellenza: ritorna ancora fondamentale il mito della caverna, forse il più complesso di Platone.
Accusare Platone di antidemocrazia è fuorviante e sbagliato. Per sostenere questa posizione si può riportare la critica di Platone al possedimento smisurato della proprietà privata, che a maggior ragione i filosofi devono lasciar stare, perché contrastante con quel principio di medietas essenziale nel mondo greco e romano.
Il limite: ecco il comandamento dell’uomo antico. Platone fa valere più degli altri questo principio, che poi Aristotele esemplificherà benissimo nella differenza tra economia e crematistica, l’amministrazione della casa contro l’abuso di ricchezze,[22] e nell’affermazione di uomo come animale politico, cioè sociale.[23]
Per Platone non c’è spazio per il profitto, soprattutto nel Platone delle Leggi[24], e, se c’è, tale deve essere incamerato dallo Stato per l’amministrazione saggia e a favore del bene comune.
Se di comunismo dei beni si può parlare con Platone, quindi sotto un ambito prettamente economico, questo non si può propriamente dire nell’ambito sociale nel suo senso più esteso: tema centrale, soprattutto del mondo greco, è la schiavitù, e difatti lo schiavo per Aristotele, ad esempio, è pari a «un oggetto che respira»[25] (più tardi Varrone avrebbe utilizzato la formula «strumento che parla»[26]). Saranno gli Stoici, soprattutto quelli vicini all’ambiente romano, a rivalutare la figura dello schiavo. In particolare Seneca ed Epitteto dettero il via a un maggiore rispetto per questa classe sottomessa. Ma fu il pensiero e l’azione di Blossio di Cuma, maestro e sostenitore di Tiberio Gracco,[27] a risaltare questo atteggiamento impegnato a favore dei più disagiati: esaltò gli schiavi e si schierò dalla loro parte nella rivolta di Aristonico avvenuta nella seconda metà del II secolo a.C., il quale attirò a sé, più o meno legittimamente, più o meno onestamente, il favore degli schiavi nella lotta contro l’imperialismo schiavistico romano e nella sognata fondazione di Eliopoli, la Città del Sole che richiama verosimilmente all’Isola del Sole di Giambulo[28] e che potrebbe essere stata formulata grazie proprio alle teorie democratiche di Blossio.[29]
La Città del Sole[30] è anche il titolo dell’opera di Tommaso Campanella del 1602 che probabilmente si rifece, oltre che a Platone, anche a una simile vicenda.
Accanto a questa pretesa di giustizia sociale ante litteram, si affiancava in grandi intellettuali dell’epoca tardo-repubblicana la critica all’avidità di denaro (Sallustio[31]), ma anche un rivisitazione della condizione dello schiavo (soprattutto tramite gli storici Agatarchide di Cnido e Posidonio di Rodi[32]).
Sotto Roma lo schiavo poteva affrancarsi dal padrone e diventare liberto (cosa che non accadeva nel mondo greco): ecco quindi emergere i grandi Stoici del periodo imperiale romano, cioè Seneca, maestro di Nerone e sognatore, come prima Platone, di una società dove doveva regnare la giustizia, ed Epitteto, appunto liberto.
Pensiero affine a quello stoico era il pensiero cinico, al quale il fondatore delle Stoà, Zenone di Cizio, si ispirò per portare avanti i suoi precetti. Per i cinici, contrariamente alla visione del Greco classico, il lavoro, soprattutto manuale, era un valore: gli schiavi potevano avere dignità umana come i liberi. Ecco in quale ambiente culturale si sviluppò la manumissio dello schiavo, la sua emancipazione: il II e il I secolo a.C. furono appunto anche i periodi dove emersero le famose rivolte servili, due in Sicilia, e una, l’ultima, la più famosa e clamorosa (praticamente contemporanea alla guerra mitridatica, dove ci furono elementi servili sotto la guida di Mitridate…[33]), con Spartaco, il Trace che tra il 73 e il 71 a.C. ha scombussolato le file dell’esercito romano. Sempre con Spartaco, particolarità che ci collega agli Spartani e a Licurgo, si evitò l’uso di materiali come oro e argento a favore di bronzo e ferro[34]: in questo caso non c’era l’interesse per la coniazione di monete, ma vi era l’obbiettivo pratico di costruire armi per difendersi dai Romani (senza poi escludere una “superiorità morale” riportata da Urbainczyk[35]).
Anche nell’organizzazione della banda di Spartaco c’era un certo comunismo tra schiavi ribelli: l’intento era respingere l’imperialismo romano a favore della libertà comune.
Il comunismo non fu un elemento così fortuito, ma non era sviluppato al pensiero socialista di tipo “scientifico” marxiano: non si può parlare propriamente di rivoluzione in questo senso nel mondo antico, anche se, per concludere con Spartaco, ci furono delle avvisaglie di questa, tanto che lo stesso Marx nello scrivere a Engels, il caro amico, non nascondeva il fascino che scaturiva da Spartaco, risultando una delle figure più grandiose del mondo antico.[36]
D’altro canto, il comunismo assunse nel passato delle connotazioni particolari anche in ambito religioso: rimanendo soprattutto nell’ambito monoteistico, Giuseppe Flavio ci dice che gli Esseni (della cui comunità faceva probabilmente parte anche Gesù di Nazareth) erano un popolo che viveva in confraternite comunitarie dove vigeva la proprietà collettiva;[37] così i primi Cristiani, seguendo i precetti dei Padri della Chiesa, dovevano condividere i beni e disprezzare le ricchezze superflue:[38] non è un caso che dalla divisione del pane (corpo di Cristo) deriva il termine tanto caro ai sinistrorsi “compagno”…
Ma più di ogni altro fu Marcione che portò avanti quello che Mazzarino definisce «comunismo della carità»,[39] promuovendo uno stile di vita molto radicale sotto l’ambito dell’astinenza alimentare e libero dal matrimonio, a causa del quale secondo Marcione era vietato ricevere battesimo; comunque non c’era una pura e severa divisione tra battezzati e catecumeni durante le cerimonie, cosa che accadeva invece nel rituale del cattolicesimo primordiale.
Mazdak, figura importante del mondo persiano vissuta tra il V e il VI secolo d.C., portò avanti teorie in campo religioso, ma soprattutto in ambito sociale, dove si prevedeva la comunione dei beni per evitare cupidigia e inimicizia nella comunità.[40]
Come conclusione si può affermare che il comunismo fu presente sin dal mondo antico, ma naturalmente non nella formula marxiana: ovviamente Marx è un uomo della storia contemporanea, un filosofo che però fece del pensiero antico della Trinità greca Socrate-Platone-Aristotele un punto di riferimento fondamentale. In particolare Platone fu il vero riferimento ideologico del filosofo di Treviri, ma anche l’Ateniese non fu un innovatore ex-novo del comunismo, o più propriamente della comunione di beni: gli esempi soprariportati ci danno l’idea dello sviluppo di un pensiero, di un’azione che aveva origini precedenti alla nascita di Platone, così come società o ideologie di stampo comunista si ebbero successivamente avvicinandoci al Medioevo… Sarà con Marx che ci sarà la svolta decisiva, ma siamo in una società guidata dal capitale, che porta alla reificazione e all’alienazione dell’uomo: è il filosofo tedesco a svelare l’inganno del capitale e a lanciare contro di esso l’accusa definitiva.

 

Marco Penzo

Marco Penzo – nato a Sinalunga (SI) nel 1988, diplomato presso il Liceo Classico “F. Petrarca” di Arezzo e laureato presso la facoltà di “Lettere e Filosofia” dell’Università “Alma Mater Studiorum” di Bologna, si dedica con passione alla scrittura passando da poesia a saggistica.

Note

[1] K. Marx-F. Engels, Opere scelte, Editori Riuniti, Roma, 19692, p. 962. Questa citazione viene dalla Critica del programma di Gotha (1875). Cf. Atti degli Apostoli (At. 4, 35).

[2] Cf. D. Musti, Storia Greca, Laterza, Bari, 20063, pp. 849-850.

[3] Cf. E. Ciccotti, Storia Greca, Vallecchi, Firenze, 1922.

[4] Cf. G. Giannelli, Trattato di storia greca, Tumminelli, Roma, 19675.

[5] Per lo studio del passaggio al Medioevo cf. H. Pirenne, Mahomet et Charlemagne, PUF, Paris, 1937. Il testo è fondamentale perché spiega come l’economia europea fu “bloccata” dall’espansionismo islamico del VII secolo e come ci fu il successivo emergere di Carlo Magno, elementi che segnarono per l’autore definitivamente il passaggio dal mondo antico a quello medioevale.

[6] Cf. Platone, Discorsi sull’amicizia e sull’amore, introduzione di G. Pugliese Carratelli, a cura di E. Totti, Opportunity Book, Milano, 1995, p. 7.

[7] Cf. G. Pettinato, I Sumeri, Rusconi, Milano, 1994, pp. 283-289.

[8] Cf. D. Musti, op. cit., p. 193.

[9] Cf. Ibidem, p. 194.

[10] Plu. Lyc. 9.

[11] Come osservazione sul pensiero politico-sociale di Pitagora cf. C. Fiorillo-L. Grecchi, Il necessario fondamento umanistico del “comunismo”, Editrice Petite Plaisance, Pistoia, 2013, pp. 22-25.

[12] Cf. Pl. R. 514 a-517 a.

[13] Cf. Ibidem 517 a.

[14] Cf. Arist. Pol. II, 7, 1266 a-b.

[15] Cf. Ibidem II, 8, 1267 b.

[16] Cf. Ibidem II 1-6, 1260 b-1266 a.

[17] Cf. T. More, Utopia, Penguin, London, 2012.

[18] Cf. K. Popper, The Open Society and Its Enemies, Routledge, London, 1945.

[19] A. Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino, 2007, vol. II, p. 1375.

[20] Sull’argomento cf. C. Fiorillo-L. Grecchi, op. cit., pp. 25-26.

[21] Cf. Arist. Pol. II, 6, 1266 a.

[22] Cf. Ibidem I, 9, 1256 b-1258 a.

[23] Cf. Ibidem I, 2, 1253 a.

[24] Cf. Pl. Lg. 741 E.

[25] Arist. E.N. VIII, 13, 1161 b.

[26] Varr. R. R. I, 17, 1.

[27] Cf. Plu. T. G. 20, 7.

[28] Cf. D. S. II, 55, 1-2.

[29] Su Blossio cf. D. R. Dudley, Blossius of Cumae, “Journal of Roman Studies”, 31 (1941), pp. 94-99.

[30] Cf. T. Campanella, La Città del Sole, Arnoldo Mondadori, Milano, 1991.

[31] Cf. Sall. Cat. XI.

[32] Cf. K. Meister, La storiografia greca, Laterza, Bari, 20078, pp. 179-183, 198-204.

[33] Cf. Plu. Sull. 18, 8-10.

[34] Cf. App. B. C. I, 117, 547.

[35] Cf. T. Urbainczyk, Spartacus, Bristol Classical Press, London, 2004, p. 64.

[36] Cf. K. Marx-F. Engels, Opere XLI Lettere Gennaio 1860-Settembre 1864, Editori Riuniti, Roma, 1973, p. 176.

[37] Cf. J. B. J. II, 122.

[38] In merito cf. C. Fiorillo-L. Grecchi, op. cit., pp. 35-56.

[39] S. Mazzarino, Trattato di Storia Romana – L’Impero Romano, Tumminelli, Roma, 1956, p. 202.

[40] Cf. C. Fiorillo-L. Grecchi, op. cit., p. 18 nota 18.