Salvatore A. Bravo – Storia, filosofia ed oblio in Massimo Bontempelli. Sulla necessità di coniugare lo studio della storia e della filosofia di fronte alla pianificazione dell’oblio alienante e nichilistico.

Massimo Bontempelli 030

I Forchettoni rossi

Salvatore A. Bravo

Storia, filosofia ed oblio in Massimo Bontempelli

Sulla necessità di coniugare lo studio della storia e della filosofia di fronte alla pianificazione dell’oblio alienante e nichilistico

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Logo-Adobe-Acrobat-300x293   Luca Grecchi, Ricordo filosofico di Massimo Bontempelli   Logo-Adobe-Acrobat-300x293

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Coniugare storia e filosofia

Filosofo e storico Massimo Bontempelli coniugava storia e filosofia, poiché la storia senza la metodologia filosofica resta incompresa: è semplice cronologia. La storia è il campo di azione e di battaglia della filosofia, per cui è nella storia, come nel quotidiano, che la filosofia non solo adopera la sua metodologia di indagine, ma ne verifica anche il peso cognitivo. L’asse storico – per avere valore conoscitivo e critico – necessita della filosofia: solo attraverso la storia compresa e mediata dalla razionalità filosofica è possibile porre le condizioni per un movimento di emancipazione. Massimo Bontempelli da insegnante di scuola superiore aveva verificato quanto l’aziendalizzazione della scuola avesse comportato il depauperamento dell’insegnamento della storia fino a renderla una presenza formale. La geostoria nel biennio del liceo è il riduzionismo applicato a due discipline: la storia e la geografia. La sottrazione della storia al processo formativo ha evidentemente lo scopo di necrotizzare la conoscenza dei processi di trasformazione per eternizzare il presente e formare al dogmatismo del presente astratto:

«Il problema che dobbiamo porci è: quale potrebbe essere l’asse culturale della scuola attuale? Secondo me, per varie considerazioni che qui non posso svolgere, l’asse culturale della scuola oggi dovrebbe essere la dimensione della storicità. Occorrerebbe cioè reintrodurre la storia là dove è stata svuotata, e quindi insegnare la lingua e la letteratura dal punto di vista storico. La dimensione storica è poi di importanza cruciale per l’insegnamento delle materie scientifiche. Per esempio, quando si insegna la geometria euclidea non si dice chi era Euclide, dove aveva studiato, perché aveva costruito quel sistema deduttivo. Se si riscoprissero tutti i legami fra la geometria euclidea, i progetti dell’accademia platonica, la continuità e la separazione di Euclide rispetto alla filosofia platonica, la sua geometria acquisterebbe un profondo significato culturale ed educativo. Pensate che bello se l’insegnante di storia insegnasse la storia dell’età ellenistica, e l’insegnante di matematica insegnasse la geometria euclidea, e le cose si incastrassero. In mancanza di ciò, l’insegnamento scientifico, che dovrebbe quasi per definizione essere un insegnamento critico, diventa, paradossalmente, come ci spiega Lucio Russo, il più dogmatico. Perché le persone imparano delle leggi scientifiche, dei procedimenti, delle soluzioni di problemi in maniera totalmente dogmatica, tant’è vero che lo studente della scuola secondaria generalmente non sa che la scienza non è mai definitiva, che è un modello, che la fisica newtoniana non è più vera in senso assoluto, perché addirittura le sue disconferme sono state quasi cooriginarie alla sua formazione. Ad esempio le leggi di Keplero sulle orbite dei pianeti vengono imparate a scuola completamente svuotate di significato storico. Non si immagina che le ipotesi che hanno guidato quello scienziato nella scoperta dell’orbita di Marte sono ipotesi metafisiche, di tipo neoplatonico e neopitagorico. Io penso che una scuola dovrebbe coordinare le materie, i programmi, gli insegnamenti, insegnare cioè arte, letteratura, scienza, filosofia dal punto di vista di una connessione storica e penso che questo sarebbe molto importante».[1]

Pianificazione dell’oblio alienante e nichilistico

Si organizza l’oblio per rafforzare e rendere adamantini i processi di alienazione delle esistenze. L’oblio pianificato non è solo la dimenticanza di sé, ma è rendere impossibile il presentare a se stessi l’identità comunitaria e linguistica, le quali, in quanto innominabili, insegnano l’incultura della decontestualizzazione acritica.
Si spingono verso il limbo dell’astratto professori ed alunni, in modo da decretare la fine della storia. Naturalmente il capitalismo assoluto dichiara in ogni modalità espressiva la fine della storia: pertanto la storia diventa disciplina superflua. La storia, invece, è forza plastica e vitale che mentre guarda al passato, si orienta al futuro. Si vuole giungere al termine di “ogni possibile”, di ogni transizione dalla potenza all’atto. In tal modo la temporalità si chiude su stessa, si rende monade senza passato e senza futuro.

I forchettoni

I forchettoni sono l’esempio simbolico e metaforico del nichilismo economico quale substrato della politica. Se per le “sinistre” è stato possibile adattarsi tanto facilmente al nuovo stato di cose post-1989 ciò è dovuto al fondamento economicistico e non veritativo che le ha connotate. Nel periodo immediatamente successivo la seconda guerra mondiale il nichilismo era contenuto dalla presenza di culture diverse, dalla memoria aggregatrice della Resistenza. Con la fine del comunismo storico novecentesco e, in assenza di ogni limite e di una autentica opposizione culturale e di massa nei confronti del liberismo edonistico, il nichilismo economicistico si è reso prevalente e tracotante.
Il termine forchetta già nell’immediato secondo dopoguerra denunciava la politica finalizzata al potere e non al servizio dei cittadini:

«Contrariamente a quanto potrebbe sembrare a prima vista, per “forchettoneria” s’intende, all’epoca, non tanto la ladroneria personale del politico, quanto piuttosto la sua voracità di potere istituzionale per il proprio partito e per se stesso in quanto uomo di partito. Ciò risulta chiaro dal referente in relazione a cui fu coniata l’espressione “regime della forchetta”: si tratta di un discorso di Scelba all’indomani del trionfo democristiano del 18 aprile 1948, in cui quel ministro aveva dichiarato che il suo partito era autorizzato dalla sua vittoria su tutti gli altri nella competizione elettorale ad occupare i centri del potere pubblico a porre i suoi uomini alla testa delle aziende statali».[2]

Massimo Bontempelli riscontra le tracce del nichilismo, la lunga scia che ha portato all’attuale condizione, già nella logica del potere per il potere presente nei partiti della prima Repubblica:

«Forchettone è dunque, nell’accezione originaria del termine, colui che intende la politica come manovra volta all’acquisizione di quote di potere istituzionale, concepite anche come risorse da impiegare nell’attività a cui riduce la politica manovriera».[3]

La cannibalizzazione del pubblico

La spirale nichilistica attraversa la storia e presto il re sarà nudo: l’indebitamento pubblico, l’evasione fiscale, la normalità della corruzione condurranno a rendere sempre più esplicito l’esito nichilistico. Prodi rappresenta la trasversalità della logica acquisitiva ed economicistica, mentre è presentato dalla propaganda come il risanatore dell’Iri, ricoprendo l’incarico di dirigente liquidatore dal 1982 al 1989. In realtà la svende ai soliti noti. Ma c’è di più. Prodi è il punto di congiunzione delle destre con le sinistre, è un democristiano di “sinistra”. Prodi è il simbolo della perversa logica economicistica che attraversa l’arco dei partiti, ne è l’archetipo:

«L’Iri era allora carico di debiti, dovuti anche al fatto che vi si approvvigionavano i Forchettoni democristiani, così come i Forchettoni socialisti si servivano dell’Eni, dopo la morte di Mattei e l’estromissione di Cefis. Prodi è passato alla storia come il suo “risanatore”, che ne ha rimesso in pari bilanci grazie ad una competenza tecnica non succube della voracità dei partiti. Ma questa storia è una falsa leggenda, creata dalla stampa di proprietà dei poteri economici forti, la cui rapida circolazione e accettazione rivela quanto la figura pubblica di quest’uomo sia stata programmata per agire al servizio di quei poteri sotto l’opposta apparenza dell’indipendenza personale del “tecnico”».[4]

Il nichilismo acquisitivo assimila il pubblico a fini privati, lo divide tra i detentori del potere economico. Il fine è eliminare l’economia mista che si colpevolizza di ogni male per legittimare le logiche acquisitive ed individualistiche: è la premessa per l’aggressione alla Costituzione ed ai suoi valori comunitari.

I bombardamenti etici e l’astuzia conformistica

Un altro passo in avanti nella storia del nichilismo economicistico che funge da liquido fondamento del capitalismo si ha con la fine dell’Unione Sovietica e la corsa all’adattamento alla nuova contingenza storica: D’Alema ben rappresenta la fuga dalla realtà per il regno dell’astratto. Il nichilismo è la smaterializzazione di ogni contesto e senso, il soggetto prende le distanze dalla concretezza per ritrovarsi solo con la razionalità strumentale. D’Alema pur di conservare il potere si allea con la finanza internazionale ed accetta prono il bombardamento della Serbia (1999) a “fini umanitari”, la liquidazione dello stato sociale, il finanziamento alle scuole private:

«Fuori dall’ambiente politico non sarebbe nessuno, non saprebbe far niente. La sfera politica è la sua unica dimensione professionale. Si tratta, inoltre, non della politica intesa come fino a qualche decennio fa, non cioè della politica in senso etimologico del termine, ovvero di quell’attività che decide le sorti della polis, ma della politica in senso odierno del termine, come attività che, senza nulla decidere sulle sorti della vita collettiva, plasmate solo dalla dinamica autoreferenziale dell’economia, consiste nella lotta per la spartizione del potere di amministrare gli effetti sociali del meccanismo economico. D’Alema agisce come tutto il ceto politico di cui fa parte, esclusivamente entro questa cornice, che per lui, in particolare, è l’unico schema di realtà, cosicché ha potuto sviluppare il talento ad essa più congruo, appunto l’astuzia conformistica». [5]

Bontempelli definisce astuzia conformistica l’assenza di ogni fine etico e comunitario, la capacità tattica che si sostituisce alla politica, ad ogni valore oggettivo. L’astuzia conformistica è il carattere del nichilismo economicistico, vive e prolifera in un mondo di soli mezzi. E può farlo, poiché non discerne il bene dal male, ogni logica universale è sostituita dall’autoreferenzialità personale, dai propri interessi di carriera. Al partito dei tempi della forchetta, ora si è sostituito il carrierismo amorale personale.

 

Tatticismi e scacchiere

L’espressione massima del tatticismo nichilistico Massimo Bontempelli lo individua in Bertinotti che fa cadere il governo Prodi per aiutare D’Alema, che così accusa il massimalismo di Bertinotti ed appare, in tal maniera, come difensore dei diritti sociali, ma in realtà ha il solo fine di rafforzare la propria posizione di potere:

«Facendo cadere il governo proprio in quel momento, egli fa il gioco di D’Alema, che può così liberarsi di Prodi scaricandone la responsabilità sul massimalismo bertinottiano e apparendo addirittura il suo difensore. In questo comportamento di Bertinotti, se fosse davvero ciò che appare, cioè il rifiuto di sacrificare le ragioni sociali alle esigenze del compromesso politico, non ci sarebbe nulla di censurabile, per quanto D’Alema ne tragga vantaggio. Ogni lotta politica condotta per la giustizia sociale ha infatti ricadute indirette sulla scacchiera dei poteri istituzionali, da cui qualche giocatore di quella scacchiera viene svantaggiato e qualcun altro avvantaggiato, senza che ciò debba preoccupare, perché è quella scacchiera in se stessa che nei nostri tempi è nemica della giustizia sociale. Senonchè, come D’Alema appare in quella circostanza un difensore di Prodi contro Bertinotti quando in realtà si serve di Bertinotti contro Prodi, così Bertinotti appare radicalmente contrapposto a Prodi e a D’Alema, mentre non solo fa il gioco di D’Alema indirettamente, ma lo fa volontariamente in maniera tale da aiutarlo a vincerlo sulla scacchiera in cui viene giocato – scacchiera alla quale non è affatto disinteressato, ma al contrario molto interessato». [6]

In assenza di assi culturali ed assiologici non resta che il tatticismo, il gioco delle pedine. La razionalità nichilistica vive in un mondo di mezzi senza fini. In fondo il nichilismo, nella definizione nietzscheana, non è che l’assenza di fini.

 

L’omologazione della destra e della sinistra

Il fine di queste tattiche conformistiche è smantellare la Costituzione la quale – con la sua presenza giuridica, sempre più formale – rappresenta un limite all’aziendalizzazione integrale, vero ed unico fine dell’economicismo, e rappresenta e rammenta anche la resistenza culturale e civile all’integralismo del fascismo:

«Ogni Costituzione, si sa, è originata da un fatto storico: quello del testo del 1948 è la Resistenza uscita dall’antifascismo, quello del testo auspicato da D’Alema è una crostata uscita dal forno di casa Letta. Di fronte a tanta bassezza di mentalità, persino Occhetto (ed è tutto dire) sembra un gigante intellettuale quando osserva, intervenendo nella Bicamerale, che il testo in preparazione è costruito respingendo tutte le indicazioni dei giuristi pur di raggiungere un compromesso tra gli interessi diversi delle due coalizioni, tra aree diverse all’interno di ciascuna coalizione, e tra partiti grandi e piccoli partiti, e che ha per questo enormi incongruenze di cui è priva la Costituzione del 1948, in quanto nata da compromessi tra partiti, ma da un incontro tra tre culture, quella cattolica, quella marxista e quella liberale». [7]

Nel gioco del nichilismo destra e sinistra si ritrovano ad essere sostanzialmente interscambiabili, poiché sono accomunate dall’astuzia conformistica, dal tatticismo finalizzato al potere e specialmente perché sono entrambe organiche all’economia, in un circolo vizioso, in cui diviene difficile distinguere la politica dall’economia. La storia del nichilismo finisce con l’essere la storia del trionfo del capitalismo assoluto. Marino Badiale che ha condiviso con Bontempelli una parte della sua storia intellettuale, fa dell’autoreferenzialità la cifra della politica asservita al liberismo. L’autoreferenzialità implica il pervertimento della politica, perché il senso della politica è rispondere ai bisogni reali dei popoli. L’autoreferenzialità risponde solo alle carriere personali, alle ambizioni di piccoli gruppi mediaticamente onnipresenti:

«Al contrario, è proprio nella sua autoreferenzialità che la politica è funzionale alla logica profonda della fase attuale dell’economia capitalistica. Infatti, come abbiamo detto, la fase contemporanea è quella in cui l’economia del profitto si estende a tutti gli ambiti della realtà sociale piegandoli alla propria logica. La politica autoreferenziale non fa che giocare i propri giochi di potere, usando le carte che questa situazione le fornisce, e abbandonando così l’intera realtà sociale all’invasione devastante della logica del profitto. L’autoreferenzialità della politica è dunque nella situazione attuale, la migliore garanzia del procedere indisturbato dell’economia capitalistica». [8]

L’autoreferenzialità coincide con la crisi del linguaggio ridotto a distrattore di massa. La parola, non più dialogo, è solo un mezzo per distrarre le masse con la chiacchiera (Gerede), per spingerla verso temi che possano obliare le urgenze della vita. I potentati mediatici ed il clero orante sono lo splendore del nichilismo mediatico, del valore di esposizione che mentre illumina brucia significati e senso della realtà, e dunque la politica: tutto si consuma nel teatrino della parola-immagine che comunica la coazione a ripetere del sempre uguale senza prospettiva. La necessità di un linguaggio privo di contenuti è accentuata dalla globalizzazione che con il suo dinamismo estremo, non consente progettualità, ma esige adattamenti perenni per conservare il potere:

«L’unico modo per evitare questo grave rischio è allora non dire mai nulla, cioè usare un linguaggio completamente privo di contenuti razionali. Ai politici serve un linguaggio malleabile, manipolabile, piegabile all’esigenza del momento. I politici hanno bisogno di un linguaggio – argilla, che non faccia resistenza».

L’asse storico

La necessità di riportare la storia nelle scuole, nella formazione di ciascuno si rende evidente in questo breve iter dello sviluppo nichilistico. Capire la discesa verso il capitalismo assoluto, le sue contraddizioni ed i suoi inganni è la priorità del nostro tempo. Il riduzionismo applicato alla formazione, alle capacità critiche, lo smantellamento della scuola pubblica sono la realizzazione del modello liberista, il quale è oltre sia della destra come della sinistra, poiché non vuole altro che autoriprodursi omologando ogni centro di resistenza e pensiero, per cui destra e sinistra terminano la loro corsa nel ventre dell’ideologia dell’azienda per non creare più nulla. L’alternativa è il sovrapporsi di tanti visi tutti con le stesse finalità, per cui l’essere coincide con il nulla. Il trionfo del nichilismo, dell’assenza del fondamento veritativo, unica vera urgenza, non può che portare al trionfo dell’omologazione nel nulla. Il nulla dei volti come delle parole si sussegue con esiti esiziali. Se nulla accade, forse la causa profonda è l’assenza di ogni fondamento veritativo, di ogni dialettica della parola. La Filosofia e la storia sono trattate con sufficienza, ma la loro assenza nella cultura di un popolo ne decreta la sudditanza a logiche che ne minacciano la sopravvivenza culturale e biologica.

Il nulla non ha limite, è uno spazio infinito in cui perdersi. Affinché possa affermarsi una vita umana degna di essere vissuta è necessario che al caos si dia un fondamento, senza il quale non vi è progetto e non vi è storia.

L’asse storico è il terreno su cui ricostruire il fondamento veritativo, e per Bontempelli è l’antidoto al nichilismo crescente. Il bivio a cui siamo è tra un futuro nella storia ed un futuro senza storia. Il tempo storico necessita di riconciliazione, di trascendere le scissioni, per sostituire all’abbaglio del disvalore di esposizione dello spettacolo – che mentre illumina il narcisismo col suo niente brucia tutto intorno a sé – il principio di realtà che guarda gli effetti del saccheggio in assenza del senso veritativo.

Vorrei concludere ricordando un breve scritto di Gramsci, Il topo e la montagna, dedicata al figlio, sulla necessità di ricostruire dinanzi agli effetti del capitalismo acquisitivo:

«Carissima Giulia, puoi domandare a Delio, da parte mia, quale dei racconti di Puskin ami di piú. Io veramente ne conosco solo due: Il galletto d’oro e Il pescatore. Vorrei ora raccontare a Delio una novella del mio paese che mi pare interessante. Te la riassumo e tu gliela svolgerai, a lui e a Giuliano. Un bambino dorme. C’è un bricco di latte pronto per il suo risveglio. Un topo si beve il latte. Il bambino, non avendo latte, strilla, e la mamma dice che non serve a nulla correre dalla capra per avere del latte. La capra gli darà il latte se avrà l’erba da mangiare. Il topo va dalla campagna per l’erba e la campagna arida vuole l’acqua. Il topo va dalla fontana. La fontana è stata rovinata dalla guerra e l’acqua si disperde: vuole il maestro muratore; questo vuole le pietre. Il topo va dalla montagna e avviene un sublime dialogo tra il topo e la montagna che è stata disboscata dagli speculatori e mostra dappertutto le sue ossa senza terra. Il topo racconta tutta la storia e promette che il bambino cresciuto ripianterà i pini, querce, castagni ecc. Così la montagna dà le pietre ecc. e il bimbo ha tanto latte che si lava anche col latte. Cresce, pianta gli alberi, tutto muta; spariscono le ossa della montagna sotto il nuovo humus, la precipitazione atmosferica ridiventa regolare perché gli alberi trattengono i vapori e impediscono ai torrenti di devastare la pianura. Insomma il topo concepisce un vero e proprio piano di lavoro, organico e adatto a un paese rovinato dal disboscamento. Carissima Giulia, devi proprio raccontare questa novella e poi comunicarmi l’impressione dei bimbi. Ti abbraccio teneramente».

Senza la storia e la filosofia gli esseri umani non vedono le ossa della terra e dunque non se ne assumono la responsabilità. La svolta può avvenire in qualsiasi momento storico, poiché la minaccia è tale che è sempre più improbabile distogliere lo sguardo. Contro la cultura dei forchettoni, l’asse storico è un antidoto imprescindibile, poiché ricostruisce la genealogia dei processi del reale, permettendo la consapevolezza della gettatezza della propria condizione, e di elaborare risposte collettive:

«C’è però un ambito di studi che è capace di rammemorare, da un punto di vista diverso da quello filosofico, possibilità antropologiche cancellate dall’attuale distruttività sociale del mercato e della tecnica. Si tratta degli studi storici. Torniamo, per capirlo, agli esempi di prima. La possibilità dell’individuo di autodeterminarsi come soggetto libero, e la sua possibilità di partecipare a una sfera di finalità pubbliche separate dalla sfera privata degli interessi particolari, sono due grandi realizzazioni della civilità borghese moderna disperse dal totalitarismo del mercato e della tecnica. Perciò, lo studio storico della progressiva dissoluzione, per effetto del progressivo estendersi del capitalismo nella vita collettiva, dell’identità sociale e culturale delle classi borghesi, trasformate in meri aggregati di agenti atomizzati della produzione capitalistica, riconducendoci all’epoca in cui le classi borghesi si identificavano ancora con valori umanistici indipendenti dal mercato e dalla tecnica, ci consente di accedere alle possibilità antropologiche di cui abbiamo parlato. La conoscenza storica, d’altra parte, in un’epoca della cultura che non ammette più alcuna gerarchia ontologica dei saperi, rappresenta l’unico possibile riferimento unitario per settori disciplinari distinti. Ad esempio, saperi di tipo diverso come la geometria di Euclide, la statica di Archimede, l’astronomia di Aristarco, la filosofia morale di Epicuro, possono trovare una collocazione concettuale unitaria nella trama culturale del mondo storico ellenistico. Si delinea, così, la possibilità di un asse culturale dell’insegnamento delle discipline scolastiche costituito dalla conoscenza storica. Un grande valore educativo della conoscenza storica è, come si è visto, quello di far accedere a modi di essere umani che sono prima comparsi e poi divenuti inoperanti nel corso del tempo, e di cui sarebbe importante tornare a disporre per contrastare la degradazione della vita sociale. Ma non si tratta solo di questo. Si è visto, infatti, come il dominio totalitario sulla società di un meccanismo economico autoreferenziale richieda il contrappeso di uno spirito critico capace di relativizzare il primato del momento economico».[9]

La formazione storico-filosofica è dunque antinichilistica, poiché trascende le scissioni che non sono solo nella forma dell’atomismo sociale, ma specialmente si esprimono nella frammentazione della temporalità, la quale risulta in tal maniera ridotta al solo attimo consumante. L’educazione storica è dunque la condizione per formare al senso al quale si giunge attraverso la lettura della scissione nella storia.

Salvatore A. Bravo

[1] Massimo Bontempelli, La convergenza del centrosinistra e del centrodestra nella distruzione della scuola italiana, Petite Plaisance, Pistoia 2003, pp. 7-8.

[2] I Forchettoni rossi, con testi di M. Bontempelli, M. Nobile, M. Badiale, A. Marazzi, A. Furlan, Massari editore, 2007, p. 119.

[3] Ibidem, p. 129.

[4] Ibidem, p. 131

[5] Ibidem, p. 149

[6] Ibidem, pp. 159 160

[7] IIbidem, p. 157

[8] Ibidem, p. 218

[9] Massimo Bontempelli, Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana?, Petite Plaisance Pistoia, 2000, pp. 12-13.


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Massimo Bontempelli (1946-2011) – L’EPILOGO DELLA RAZIONALIZZAZIONE IRRAZIONALE: demente rinuncia alla razionalità degli orizzonti di senso, e perdita della conoscenza del bene e del male. L’universalizzazione delle relazioni tecniche ha plasmato la razionalizzazione irrazionale, razionalità che non ha scopi, che è cioè irrazionale.



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Salvatore A. Bravo – Massimo Bontempelli interprete di Karl Marx. Marx era prima di tutto un rivoluzionario: questa era la sua reale vocazione. La lotta era il suo elemento. Ed ha combattuto con una passione, con una tenacia e con un successo come pochi hanno combattuto.

Karl Marx di Bontempelli

Bontempelli, Marx

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Perché Marx era prima di tutto un rivoluzionario.
Contribuire in un modo o nell’altro all’abbattimento della società capitalistica e delle istituzioni statali che essa ha creato, contribuire all’emancipazione del proletariato moderno al quale Egli, per primo, aveva dato la coscienza delle condizioni della propria situazione e dei propri bisogni, la coscienza delle condizioni della propria liberazione: questa era la sua reale vocazione.
La lotta era il suo elemento.
Ed ha combattuto con una passione, con una tenacia e con un successo
come pochi
hanno combattuto.

F. Engels

 

 

Salvatore A. Bravo

Il Marx di Bontempelli

Massimo Bontempelli (Pisa, 26 gennaio 1946 – Pisa, 31 luglio 2011) interprete di Marx.

A Marx ci si approssima, affermava Costanzo Preve, per cui ogni illusione di rispecchiamento perfetto non è che l’esemplificazione di un autore. Massimo Bontempelli si accosta a Marx non solo con rigore metodologico, ma, anche in ragione della sua formazione hegeliana, con metodo olistico. Attraverso la lettura dei testi ne coglie il fondamento, evidenzia l’umanesimo marxiano ed il problema della reificazione, e dimostra soprattutto che non vi può essere nulla di più ingenuo che porre in antitesi Marx ed Hegel. Anzi, Bontempelli argomenta come Marx sviluppi e porti a compimento intuizioni, concetti e metodi presenti nel pensiero hegeliano. L’attività filosofica è ri-pensare, per ri-creare – in nuovi orditi teoretici – concetti già dati. Il breve saggio di Bontempelli si conclude con l’orazione funebre di Engels all’amico. Non è un caso che Bontempelli abbia voluto così chiudere l’introduzione a Marx. Engels omaggia l’amico che ha smesso di pensare. Ovvero, per Marx vivere è pensare: non è concepibile lotta senza prassi che si coniughi con la teoria. Il pensare marxiano è polisemico, speculare alla creatività stilistica del suo filosofare. Pensare per Marx non è il freddo calcolare logico, ma è il pensare partecipante, è attività, prassi, trasformazione dei comportamenti sociali, poiché ogni soggetto umano è comunitario per sua essenza. Il pensiero è sempre intenzionalità attraverso la quale sono messi in atto i processi di riconoscimento, autoriconoscimento e critica sociale. Così Engels nella sua orazione funebre (1883):

«Il 14 marzo, alle due e quarantacinque pomeridiane, ha cessato di pensare la più grande mente dell’epoca nostra. L’avevamo lasciato solo da appena due minuti, e al nostro ritorno l’abbiamo trovato tranquillamente addormentato nella sua poltrona, ma addormentato per sempre».[1]

 

L’economia politica

L’economia politica marxiana nella sua impostazione è hegeliana. Vi sono due metodi di indagine. Uno parte dal dato concreto ed astrae dalle strutture: gli economisti inglesi iniziano la loro indagine dalla proprietà avulsa dai processi storici, per cui la proprietà e le differenze sociali sono rese ipostasi, dogmi indiscutibili: si costruisce in tal modo l’ideologia economica che rispecchia la condizione storica eternizzandola. Il secondo metodo di indagine è di matrice hegeliana. Si segue un processo che ricostruisce il dato, in modo processuale e storico, partendo dal dato generico per ricostruirlo nelle sue relazioni effettive e concrete. Nella logica hegeliana il concetto di essere generalissimo si determina nelle relazioni. Nella stessa maniera Marx analizza nell’economia politica: i concetti sono problematizzati e ricostruiti nella loro genealogia, trascendendo la pura empiria per dare spazio ai soggetti che li pongono ed alle loro relazioni. In questa maniera la genealogia scardina dogmi, pregiudizi culturali ed ideologici:

«Una volta compresa la Logica di Hegel, Marx riformula in senso dialettico la sua concezione dell’economia: da questa riformulazione nasce di getto nel 1857 Per la critica dell’economia politica (pubblicata poi nel ‘59) che è il preludio al Capitale cioè alla vera e propria scienza economica marxista. L’opera contiene una Introduzione e una Prefazione: la prima è del ‘57, la seconda del ‘59. A noi interessa l’Introduzione perché è qui che Marx illustra la metodologia con cui studia l’economia politica. Dice Marx che due sono i metodi che si possono seguire nel formulare la scienza economica: 1) quello di muovere dall’elemento concreto e reale e da qui costruire una serie di astrazioni ricavate dal concreto; 2) quello di muovere da categorie astratte, comprendere la loro connessione, e, attraverso questa comprensione, interpretare la realtà concreta. Marx respinge il primo metodo e accetta il secondo: pretendere, infatti, di partire da un dato concreto (poniamo la “popolazione”) è mera illusione, perché in ogni caso si parte sempre da un’astrazione (come appunto è il concetto di “popolazione”), e per di più da un’astrazione che proprio perché ha la pretesa di riflettere immediatamente l’empiria si rivela la più povera perché non è mediata dal pensiero (qui, Marx, riprende integralmente la critica hegeliana della certezza sensibile). Allora il metodo scientifico corretto è quello di partire da concetti già astratti e mediati dal pensiero che non pretendono di riflettere in quanta tali l’empiria cogliere le loro connessioni logiche e, alla luce di queste, illuminare la realtà concreta».[2]

Coscienza e linguaggio

Marx, mediante il metodo hegeliano, ricostruisce i processi di formazione di ipostasi che, in assenza di metodi interpretativi adeguati, sono negati e favoriscono – fino ad affermarla – la scissione che legittima le ipostasi contrapposte, perché prevale l’empirico e dunque l’astratto, mentre la processualità storica dimostra che ciò che appare astratto ed irrigidito è l’effetto di una visione astorica. La coscienza, evidenzia Marx, è il risultato del soggetto che modifica la natura per soddisfare i suoi bisogni economici. La trasformazione della natura modifica il soggetto. In tale relazione si sviluppa la coscienza e con essa il linguaggio, che è lo strumento per comunicare nel gruppo. Marx non indaga la coscienza come avulsa dalla storia, ma applica il metodo della logica hegeliana, ne palesa la storicità e dunque la soggettività che pone l’oggettività in una relazione di biunivoca trasformazione:

«La prima condizione della dimensione storica sta dunque non nella semplice esistenza fisica, ma nell’attività per mantenerla, perché l’esistenza fisica non si mantiene che attraverso un’attività trasformativa, quindi una storia. La produzione umana di beni economici e necessaria perché l’uomo non trova già dati i beni necessari alla sua sopravvivenza fisica, bensì deve procurarseli modificando la realtà esteriore. Ma producendo i beni che gli sono necessari per mantenere la sua esistenza fisica, l’uomo muta non solo la realtà esteriore sulla quale agisce con il lavoro, ma muta anche se stesso. Il lavoro, infatti, trasforma il modo di essere di chi lo esplica, e determina, data la sua natura intrinsecamente cooperativa, i rapporti tra gli uomini. Nasce cosi il modo di produzione, cioè il modo con cui gruppi sociali si sono organizzati in funzione della produzione economica per garantire la riproduzione biologica del gruppo stesso. Essendo per sua natura sociale, il lavoro implica la comunicazione tra gli uomini, quindi il linguaggio, e perciò la coscienza: “il linguaggio, come la coscienza, sorge soltanto dal bisogno, dalla necessità di rapporti con gli altri uomini”. La coscienza, però, perviene a uno sviluppo e a un perfezionamento ulteriore in virtù dell’accresciuta produttività, dell’aumento dei bisogni e dell’aumento della popolazione».[3]

 

Essere/Merce

Il fondamento della logica hegeliana è l’essere, mentre il fondamento del capitalismo è la merce. Marx sostituisce l’essere hegeliano con la merce, ma similmente ne spiega la genesi attraverso il definirsi mediato da relazioni storico-sociali sempre più complesse. Le relazioni sono di ordine sistemico-olistico, per cui variando, si trasforma il sistema, poiché le parti si riposizionano secondo nuove figure:

«[…] in tutta la sua evidenza: nel testo hegeliano si parte dall’Essere – forma immediata e semplice se ne sviluppano dialetticamente tutte le determinazioni in un lungo cammino, e poi si ritorna all’Essere nella cui trasparenza si scorge l’Idea. Nel testo di Marx, si parte dalla merce – forma immediata e semplice -, se ne sviluppano dialetticamente le determinazioni e ad essa merce, nella cui trasparenza si scorge ora il capitale, infine si torna. Seguendo l’analisi dialettica condotta da Marx nel corso del Capitale, abbiamo modo di vedere come tutta una serie di aspetti della società (che è poi la società in cui viviamo) si presentino complicati l’uno con l’altro in modo tale che nessuno di essi può venire modificato senza la modificazione di tutti gli altri».[4]

“La verità è tutto” ha insegnato Hegel. Anche nel caso di Marx la concretezza è visuale relazionale e storica che riesce a strappare i soggetti dal torpore del dogmatismo. Il metodo hegeliano-marxiano è dunque antideologico e come tale potenzia il soggetto, lo strappa dalla passività dell’ignoranza. Il soggetto acquisisce “spinozianamente” potenza e ciò muta la qualità della sua vita e delle sue relazioni.

L’alienazione

L’alienazione è il fondamento del pensiero marxiano. L’opera di Marx non è che lotta alle forme di alienazione che rendono l’essere umano oggetto della storia, estraneo a se stesso ed alla comunità. Marx, sin dalle opere giovanili, descrive i limiti di coloro che ritengono che l’alienazione possa essere trascesa solo mediante cambiamenti politici. I diritti politici, senza il superamento delle differenze materiali e sociali, non possono che confermare l’alienazione e la divisione della comunità in classi, scissa tra dominati e dominatori, poiché il diverso peso economico dei soggetti cannibalizza i diritti politici che sono così solo il paravento ideologico dietro il quale la violenza è legittimata dalle leggi e si disorienta i subalterni con la chimera dell’uguaglianza politica:

«Marx interviene sull’argomento discutendo non tanto la questione della minorità politica degli Ebrei, quanto, piuttosto, ciò che è sottinteso in tutto il discorso di Bauer, e cioè l’identità tra emancipazione politica ed emancipazione umana. Stando a Bauer, infatti, (e anche al Marx democratico di qualche mese prima) attraverso la democrazia politica l’uomo diventerebbe padrone del proprio destino, emancipandosi da ogni alienazione. Ebbene, Marx ora precisa che emancipazione politica ed emancipazione umana sono due realtà distinte: ed è proprio da questa distinzione tra le due forme di emancipazione che nasce la sua idea comunista secondo cui la vera emancipazione umana può scaturire soltanto dall’abolizione delle diseguaglianze sociali. Marx comincia con il ricordare che in un paese modello di democrazia politica come gli Stati Uniti d’America, non solo non c’è stato superamento dell’alienazione religiosa – come avrebbe dovuto accadere se fosse vera l’identità posta da Bauer tra democrazia politica ed emancipazione umana –, ma al contrario, c’è tutto un fiorire di sette religiose più o meno intolleranti. Prendendo poi in esame i testi costituzionali elaborati dalla rivoluzione francese, ovvero i documenti che hanno stabilito i “sacri principi” della democrazia politica, Marx fa vedere come essi abbiano costituito una sfera quella dello Stato distinta da quella immediatamente sociale, postulando che nell’ambito di tale sfera gli uomini possono ritrovare la loro uguaglianza naturale pur permanendo le loro diseguaglianze sociali».[5]

L’alienazione, la sofferenza umana non necessaria possono essere risolte sono con il comunismo, poiché solo con la realizzazione della natura umana, con un’organizzazione umana finalizzata a sviluppare i singoli individui in relazione libera tra di loro, terminerà la storia come lotta tra dominanti e dominanti scissione prima da cui conseguono divisioni alienanti che negano l’umanità nella sua pienezza:

 «La fondamentale differenza è sintetizzata da Marx in una sua celebre frase in cui afferma che nel socialismo deve venire data a ciascuno secondo il suo lavoro nel senso spiegato prima – che la retribuzione deve essere proporzionale al lavoro svolto e che lo Stato deve obbligare gli individui a lavorare. Nella società comunista, invece, secondo Marx, di questa non ci sarà bisogno perché durante il socialismo gli individui avranno potuto plasmare il loro essere non sulla base di un’educazione individualistica così che principio regolatore della società comunista sarà non più a ciascuno secondo il suo lavoro, ma a ciascuno secondo le sue capacità e a ciascuno secondo i suoi bisogni. In quest’ultimo approdo è condensato il sogno di Marx di una completa liberazione dell’uomo».[6]

 

La prassi contro l’alienazione

La prassi è la condizione, affinché il soggetto posa risolvere l’alienazione. Hegel e l’idealismo hanno fatto della prassi la libertà e la dignità dell’essere umano. Marx riporta la prassi al centro della storia dell’umanità: la libertà non cade dal cielo stellato, ma è nella prassi. O meglio: lottare, capire, smascherare l’ideologia che anestetizza la ragione è già prassi-libertà. La realizzazione della libertà è anch’essa un lungo iter che vive e si ridefinisce e ricategorizza con l’umanità che progetta nel presente il suo futuro, modificando le condizioni storiche, ponendo in atto ciò che è potenzialmente presente. La filosofia dev’essere filosofia della prassi, ma essa è concretizzabile solo se la riflessione teoretica vive la relazione circolare tra teoria e prassi: tale osmosi è già disalienante. Il materialismo storico è speculare alla prassi, anzi ne è l’espressione più completa, il materialismo è metafora della prassi:

«”I filosofi hanno finora variamente interpretato il mondo; si tratta ora di mutarlo”. Quindi mentre la “materialità” nella concezione borghese è intesa come Natura, ora, nella nuova accezione di Marx, la materialità è la società economica dell’uomo, per cui affermare la priorità della materialità sulla coscienza significa affermare la priorità sulla coscienza non di un qualcosa di esterno all’uomo (la Natura), ma della sua propria dimensione sociale. Si tratta di un mutamento cruciale di prospettiva: la priorità della Natura rispetto all’uomo, dice Marx, è un fatto filogenetico, legato all’antropogenesi, all’origine della storia, e dunque tale da non autorizzare a considerare la Natura la base materiale della coscienza nella storia. Scriverà infatti nell’Ideologia tedesca: “È vero che la priorità della Natura eterna rimane ferma… D’altronde questa Natura che prende la storia umana non è la Natura nella quale vive Feuerbach, non la Natura che oggi non esiste più da nessuna parte, salvo forse in qualche isola corallina australiana di nuova formazione […]. Accade così allora che per esempio Feuerbach vede soltanto fabbriche e macchine a Manchester, dove un secolo fa erano solo filatoi e telai a mano e scopre soltanto pascoli e paludi nella campagna di Roma, dove al tempo di Augusto non avrebbe trovato altro che vigneti”. Questa posizione di Marx che mette in prima piano il valore trasformativo dell’attività umana rispetto alla Natura, aiuta ad interpretare la prima delle Tesi su Feuerbach, dove (recuperando la critica hegeliana alla certezza sensibile) c’è un esplicito riconoscimento della superiorità dell’idealismo sul materialismo tradizionale: “Il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è che l’oggetto è concepito solo sotto forma di oggetto di intuizione sensibile, ma non come attività umana pratica, non soggettivamente. È accaduto quindi che il lato attivo della realtà è stato sviluppato dall’idealismo in contrasto con il materialismo, ma solo in modo astratto, poiché naturalmente l’idealismo ignora l’attività reale”. Quindi Marx, come gli idealisti, concepisce la realtà sensibile quale prodotto dell’attività umana (“soggettivamente”), senonché, diversamente dagli idealisti, a fondamento di quella attività, dunque dell’uomo che crea il proprio essere, dunque della storia, pone i1 lavoro, la prassi sociale umana e non il pensiero. Inoltre: fino all’anno prima Marx ha creduto, seguendo Feuerbach, in un’essenza naturale dell’uomo sempre uguale a se stessa; ora, invece, l’essere dell’uomo è considerato un prodotto del modo di produzione che egli eredita, per cui in ogni epoca storica l’essere dell’uomo sarà diverso, proprio perché ogni epoca storica ha una sua propria determinata morfologia che la distingue dalle altre».

 

 

La dittatura del proletariato

La dittatura del proletariato ha contribuito ad alimentare pregiudizi ed esemplificazioni contro Marx. Bontempelli smaschera l’uso ideologico in chiave antimarxiana della dittatura del proletariato. In primis, se la dittatura del proletariato fosse un sistema autoritario effettivo, non si comprenderebbe il passaggio al comunismo, il quale è preparato dalla fase socialista, durante la quale l’umanità reimpara il senso della comunità, e si disintossica dalle tossine del capitalismo acquisitivo. La dittatura del proletariato è il governo della maggioranza che impara la partecipazione politica e la prassi come modello quotidiano di vita. Il percorso che conduce al comunismo ed alla disalienazione, non può essere improvviso, ma deve essere mediato dalla dittatura del proletariato, il processo è hegeliano, perché non vi è l’immediatezza, il passaggio improvviso da uno stadio di sviluppo ad un altro. Ma la mediazione garantisce il radicamento strutturale del processo, la prassi delle coscienze, la consapevolezza collettiva:

«La cosiddetta dittatura del proletariato è dunque elemento caratterizzante di un regime socialista secondo Marx, ma intesa come dittatura esercitata non da una minoranza bensì dalle classi lavoratrici, vale a dire dalla stragrande maggioranza della popolazione, esclusivamente sui gruppi borghesi espropriati dalla rivoluzione proletaria, ed esclusivamente al fine di indirizzare tale rivoluzione ad un esito comunista (la dizione precisa usata da Marx nella Critica del programma di Gotha è infatti dittatura rivoluzionaria del proletariato), e con un risvolto, quindi, di massima estensione della democrazia. II principio di una dittatura che sia anche massima espressione di democrazia quale è posto da Marx nel suo concetto di dittatura del proletariato, non è ovviamente comprensibile al di fuori della concezione marxiana dello Stato come espressione politica di un dominio di classe. Ogni Stato, infatti, realizza un potere tanto dittatoriale quanto democratico, con aspetti dittatoriali e aspetti democratici variamente proporzionati a seconda del tipo di Stato e variamente distribuiti sulle varie classi della popolazione. Da questo punto di vista una dittatura socialista del proletariato sulla borghesia contiene necessariamente, secondo Marx, più democrazia di quella contenuta dal più democratico Stato capitalistico che sia concepibile».[7]

L’attualità è dominata dalla categoria della quantità, per cui studiosi del calibro qualitativo di Massimo Bontempelli non hanno il riconoscimento che spetta loro. Ma il tempo è galantuomo: filtra e seleziona l’autentico dall’inautentico. Pertanto Bontempelli rimarrà quale testimonianza di un intellettuale che ha fatto dell’impegno silenzioso il senso della sua vita e del suo pensare, nel tempo dell’«utile», in cui il regno animale dello Spirito sembra non avere limiti e prospettive.

 Salvatore A. Bravo

 

[1] Massimo Bontempelli, introduzione a Marx (ed Engels), in Associazione Culturale Punto rosso, Libera università popolare p. 40.

[2] Ibidem, p. 29.

[3] Ibidem, p. 32.

[4] Ibidem, p. 36.

[5] Ibidem, pp. 16 17.

[6] Ibidem, p. 39.

[7] Ibidem, p. 38.


Massimo Bontempelli, Filosofia e Realtà. Saggio sul concetto di realtà in Hegel e sul nichilismo contemporaneo.

ISBN 88-87296-71-5, 2000, pp. 288, f Euro 15

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Massimo Bontempelli – Costanzo Preve, Nichilismo Verità Storia. Un manifesto filosofico della fine del XX secolo.

ISBN 88-87296-00-6, 1997, pp. 192,  Euro 15 – Collana “La Crisalide”. I

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Massimo Bontempelli, L’agonia della scuola italiana.

ISBN 88-87296-79-0, 2000, pp. 144, formato 140×210 mm., Euro 10.

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Massimo Bontempelli, Tempo e Memoria. La filosofia del tempo tra memoria del passato, identità del presente e progetto del futuro.

ISBN 88-87296-69-3, 1999, pp. 112, Euro 10.

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Massimo Bontempelli Carmine Fiorillo, Il sintomo e la malattia. Una riflessione sull’ambiente di Bin Laden e su quello di Bush.

ISBN 88-87296-50-2, 2001, pp. 128, Euro 10.

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Massimo Bontempelli, La conoscenza del bene e del male.

ISBN 88-87296-10-3, 1997, pp. 160,Euro 15.

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Massimo Bontempelli, Il respiro del Novecento. Percorso di storia del XX secolo (1914-1945).

ISBN 88-88172-10-6, 2002, pp. 672, Euro 35.

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Massimo Bontempelli, La disgregazione futura del capitalismo mondializzato.

ISBN 88-87296-30-8, 1998, pp32, f Euro 5

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Massimo Bontempelli, Gesù di Nazareth. Uomo nella storia. Dio nel pensiero. Prefazione di Marco Vannini. Postfazione di Giancarlo Paciello.

ISBN 978-88-7588-188-7, 2017, pp. 160, formato 140×210 mm., Euro 15

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Massimo Bontempelli – IL PREGIUDIZIO ANTIMETAFISICO DELLA SCIENZA CONTEMPORANEA

Massimo Bontempelli (1946-2011) – Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana?

Massimo Bontempelli – La convergenza del centrosinistra e del centrodestra nella distruzione della scuola italiana.

Massimo Bontempelli – In cammino verso la realtà. La realtà non è la semplice esistenza, ma è l’esistenza che si inscrive nelle condizioni dell’azione reciproca tra gli esseri umani, diventando così sostanza possibile del loro mutuo riconoscimento.

Massimo Bontempelli – Il pensiero nichilista contemporaneo. Lettura critica del libro di Umberto Galimberti « Psiche e tecne».

Massimo Bontempelli (1946-2011) – L’EPILOGO DELLA RAZIONALIZZAZIONE IRRAZIONALE: demente rinuncia alla razionalità degli orizzonti di senso, e perdita della conoscenza del bene e del male. L’universalizzazione delle relazioni tecniche ha plasmato la razionalizzazione irrazionale, razionalità che non ha scopi, che è cioè irrazionale.

 


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Massimo Bontempelli – Il pregiudizio antimetafisico della scienza contemporanea

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304 ISBN

Massimo Bontempelli

Il pregiudizio antimetafisico della scienza contemporanea

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Per comprendere l’ontologia dell’essere sociale al livello della sua compiutezza ontologica, quale sede di una verità fortemente esplicativa e logicamente incontrovertibile, occorrerebbe aver dissipato i tanti equivoci dell’inconsapevolezza filosofica. Un primo equivoco riguarda la nozione filosofica di realtà. Per l’uomo mentalmente immerso nell’universo delle merci, infatti, non è reale se non ciò che appare in una figurazione omogenea a quella della merce, vale a dire in forma sensibilmente percettibile e concretamente utilizzabile. Realtà, da questo punto di vista, non è che un altro nome per l’esistenza empirica. Naturalmente si può dare alle cose i nomi che si desiderano. La denominazione in questione, però, è carica di un’ideologia dell’intrascendibilità del dato, fortemente limitatrice del pensiero, al quale toglie curiosità intellettuale e capacità di comprensione verso le forme ontologiche più alte della semplice esistenza empirica. Non è certo un caso se, nonostante precise indicazioni testuali non equivocabili da chi effettivamente le legga, la celebre formula hegeliana secondo cui ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale, sia stata comunemente intesa come una attribuzione di logicità ai nessi empirici, e come un’attribuzione di necessità concettuale alla storia. Eppure Hegel chiarisce esplicitamente come la realtà che è razionale sia non già quella empirica bensì quella ontologica, e come l’empirico esista frequentemente in forma irrazionale, ovvero ontologicamente irreale. Naturalmente senza comprendere il concetto di realtà elaborato dalla filosofia ontologica non si dispone di una mappa concettuale adatta in cui situare la nozione di libera individualità sociale. La libera individualità sociale costituisce infatti la più razionale espressione della socialità umana, e quindi la forma ontologicamente più reale del genere umano, pur avendo fino ad oggi difettato quasi completamente di esistenza empirica. La forma più matura di mentalità comunista è proprio quella che comprende il difetto dell’attuale esistenza sociale nella sua totale incapacità di dare espressione concreta alla realtà ontologica della libera individualità sociale. Un secondo grave equivoco concerne la metafisica. Essa appare per lo più come l’abusiva sostituzione di spiegazioni basate su principi assoluti trascendenti la concreta esperienza, inverificabili per definizione, ai sobri modelli esplicativi relativi ai dati empirici. In realtà, il termine metafisica si riferisce, più genericamente, a qualsiasi principio esplicativo più interno e profondo rispetto alla superficie empirica delle cose. Farsi scudo degli argomenti adducibili contro la trascendenza per giustificare l’abolizione di ogni metafisica, significa non capire quello che già Vico e Kant avevano mostrato, e cioè che senza principi metafisici risulta inesplicabile la trasformazione storica. Erano forse empirici i principi del puritanesimo che hanno ispirato la trasformazione del sistema politico dell’Inghilterra del Seicento dalla monarchia assoluta a quella costituzionale? O i principi del 1789 che hanno ispirato la rivoluzione francese? Un ulteriore equivoco riguarda la nozione di verità e la sua assolutezza. La mentalità contemporanea è portata a concepire la verità o, aristotelicamente, come adaequatio rei intellectus (declinando questa corrispondenza in senso predittivo e strumentalistico, anziché in senso essenzialista e statico come Aristotele), o, formalisticamente, come coerenza sintattica delle manipolazioni simboliche nelle trasformazioni inferenziali. La nozione di verità viene così ridotta a quella di congettura nel primo caso, e a quella di rigore nel secondo. Intendiamoci: sia le congetture che il rigore sono necessari ai processi conoscitivi. Se però essi non rappresentano momenti integrativi del pensiero veritativo, ma pretendono di esprimere tutta la conoscenza possibile all’uomo, mettendo da parte come un ferro vecchio la nozione più forte e più propria di verità, conducono inevitabilmente al nichilismo. La congettura può essere, infatti, in base alle prove che ha dato di sé come strumento di orientazione nell’esperienza, più o meno affidabile, e, in base ai dati sperimentali di controllo, più o meno corroborata. Ma la sua validità non può per definizione essere ritenuta permanente: essa, in quanto congettura, può sempre trovare un’esperienza che la smentisca. Il rigore, da parte sua, è per definizione contenutisticamente vuoto, e non può giustificare il proprio principio di coerenza. Se dunque si assumono la congettura e il rigore come unici mezzi di ragionamento, si apre nel ragionamento stesso un vuoto, quello della verità, intesa nel suo carattere di permanenza di significato, autoconvalidazione logica, pienezza di contenuto ontologico. La risposta che viene ovvia alla mentalità odierna è che è appunto di questo carattere della verità che si può e si deve fare a meno. Senonché, come ha rivelato Hegel, alla cui dimostrazione rinviamo (cfr. Scienza della logica, vol. II, sez. II, cap. III, e inoltre nella premessa a Sul concetto in generale), sussiste necessariamente una verità di cui non è misura l’esistenza, ma sulla quale anzi è l’esistenza a misurare la sua verità. Non si può cioè fare a meno di un criterio di giudizio la cui verità sia data non da qualche sua forma di correlazione con i dati empirici, ma da una sua intrinseca autoconvalida, e che consenta di valutare come veri o falsi i dati empirici. Non ne fanno a meno, infatti, neppure coloro che questo criterio negano, e riducono la verità a congettura e a rigore. La loro stessa affermazione che la verità sia congettura o rigore non rientra né nella congettura né nel rigore. E la critica negatrice dell’esistenza di una verità permanente, autoconvalidantesi e piena di contenuto ontologico, o presuppone contraddittoriamente la permanenza, l’autoconvalida e la piena realtà dell’economia di mercato, o sfocia, altrettanto contraddittoriamente, in una contestazione che deve autorelativizzarsi. Alla mentalità odierna appare comunque insensata l’idea che qualcosa di esistente possa essere falso. Se esiste, non si dice forse il vero affermandone l’esistenza? Con i fatti, si diceva una volta, non si discute. Eppure, tanto per fare un esempio, uno Stato la cui politica sia interamente determinata da interessi privati è un falso Stato, dato che appartiene al concetto di Stato il carattere di essere un’istituzione pubblica. E la ragione esiste proprio se discute i fatti alla luce della sua razionalità.


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Massimo Bontempelli (1946-2011) – Gesù di Nazareth. Uomo nella storia. Dio nel pensiero. Prefazione di Marco Vannini.

Massimo Bontempelli_Gesù

284 ISBN

Massimo Bontempelli

Gesù di Nazareth. Uomo nella storia. Dio nel pensiero

Prefazione di Marco Vannini. Postfazione di Giancarlo Paciello

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***

«La ricerca della verità, anche storica, non procede mai sui binari del potere, religioso o civile, e neppure dell’accademia ad essi legata. È cosa, questa, ben nota, per cui non meraviglia che un insegnante di liceo del nostro tempo, ingiustamente rimasto ai margini della ribalta culturale, offra un significativo contributo a quella ricerca cui, quasi tre secoli fa, dette inizio un altro insegnante liceale: l’amburghese Hermann Samuel Reimarus.

Il libro di Bontempelli si situa infatti legittimamente in quella linea di indagine scientifica sulla “vita di Gesù”, iniziata appunto con Reimarus […] che ha avuto nel corso del ventesimo secolo ulteriori importanti sviluppi e che non è affatto terminata.

Identica è, infatti, l’impostazione critica e la metodologia: esaminare le fonti con la maggiore imparzialità possibile, esercitando la ragione senza tesi preconcette. Il libro dichiara esplicitamente fin dall’inizio questo programma e ad esso si attiene scrupolosamente, restando così equidistante tanto dalla letteratura devozionale quanto dal positivismo più rozzo».

Marco Vannini

 

Indice

Prefazione di Marco Vannini

Dal Gesù della tradizione cristiana al Gesù della storia

L’incontro con Gesù dopo la sua morte

Gli inizi di Gesù con Giovanni Battista

Gli anni oscuri di Gesù

L’anno luminoso di Gesù

Gesù nell’orizzonte di Gerusalemme

La tragica sconfitta di Gesù a Gerusalemme

Gesù nella storia e oltre la storia

 

 

Postfazione di Giancarlo Paciello

 

 


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Fernanda Mazzoli – Alcune considerazioni intorno al libro «L’AGONIA DELLA SCUOLA ITALIANA» di Massimo Bontempelli

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ALCUNE CONSIDERAZIONI INTORNO AL LIBRO

L’AGONIA DELLA SCUOLA ITALIANA

DI MASSIMO BONTEMPELLI

Il lettore di questo libro pubblicato nel 2000 dall’Editrice C.R.T. resta colpito più ancora che dall’ acutezza dell’analisi e dalla profondità della visione culturale che l’alimenta dall’indubbia attualità del testo. Una qualità che, in questo caso, preoccupa più che rallegrare, in quanto sottolinea che i processi individuati all’epoca da Bontempelli come agenti di un disastro educativo e culturale hanno continuato a lavorare il corpo travagliato della scuola italiana, fino all’esaurimento progressivo della sua funzione culturale ed educativa, sancito dall’ultima riforma, la buona scuola, cioé la scuola subordinata alle esigenze del mercato.

Una lunga agonia, progettata nel corso degli anni ’80 nei piani alti delle oligarchie economiche transnazionali su diretto suggerimento delle organizzazioni industriali europee e realizzata da chirurghi governativi di diverse appartenenze partitiche e di comune fede nelle virtù salvifiche del mercato, con l’ausilio di solerti assistenti reclutati nel variegato mondo delle burocrazie ministeriali, dei sindacati confederali e dell’Università.

Massimo Bontempelli si è trovato a vivere la riforma Berlinguer che, attraverso l’autonomia scolastica, ha aperto la strada alla scuola-azienda, diventata oggi il modello organizzativo della scuola italiana, la cui impostazione gerarchica è garantita dalla presenza di un Dirigente manager e di uno staff di docenti collaboratori, dall’ossessione della misurazione di abilità e competenze di alunni e insegnanti, da una soffocante burocratizzazione del lavoro dei docenti, dalla flessibilità delle loro mansioni e dalla differenziazione del loro trattamento economico in base ad un presunto merito che premia tutto fuorché il concreto impegno didattico nelle classi.

È, quest’ultimo, uno snodo cruciale, come Bontempelli aveva ben compreso: il pauroso impoverimento culturale della scuola va di pari passo con la sua trasformazione in senso aziendale, ne costituisce il presupposto e il coronamento e passa necessariamente per un cambiamento di funzione dell’insegnante, non più intellettuale ed educatore (almeno sul piano più alto), ma organizzatore e coordinatore di progetti, animatore, somministratore (sic) di test, nonché addestratore a competenze specifiche ritenute utili al mercato del lavoro.

Questo risibile ircocervo che già muoveva i primi baldanzosi passi con la riforma berlingueriana in questi anni è stato amorevolmente nutrito a più mani ed è cresciuto fino ad allargare i suoi tentacoli e a soffocare l’idea stessa di una formazione culturale disinteressata e di un pensiero critico capace di leggere la realtà nella sua complessità, humus indispensabile per lo sviluppo armonioso di un essere umano e di un cittadino consapevole, piuttosto che di un lavoratore usa e getta e per di più soddisfatto della sua condizione.

L’ alternanza scuola-lavoro, introdotta dalla legge 107 e fulcro della nuova idea di scuola subordinata alle esigenze delle imprese locali alle quali è pronta a fornire manodopera gratuita sotto il pretesto di un apprendistato a competenze professionali spendibili più tardi, rende indispensabile quel richiamo avanzato da Massimo Bontempelli a ripensare “su un piano conoscitivamente alto, ed eticamente valido” la relazione tra scuola e società, attualmente appiattita meccanicamente su una dimensione economicistica, quando non apertamente e servilmente prona alle richieste immediate della produzione .

È un invito che merita di essere ripreso, perché attorno a questo nesso si gioca una partita importantissima che rischia di consegnare inerme un’intera generazione al tritatutto del mercato, sotto la copertura demagogica della promessa di uno sbocco occupazionale, la cui mancanza viene vergognosamente attribuita all’inadeguatezza della scuola rispetto alle dinamiche del presente, invece che alle politiche neoliberiste del lavoro e agli scenari economici del mondo globalizzato.

Lo svuotamento culturale trova puntuale conferma nell’assenza, denunciata da Bontempelli, di un preciso asse culturale nella riforma berlingueriana che si disegna, in definitiva, come una goffa combinazione di tecnicismo didattico e di aziendalismo organizzativo. A distanza di quasi vent’anni dalla sua lucida analisi, possiamo misurare quanto puntuale fosse la sua previsione della direzione verso cui veniva trascinata la scuola italiana, e con essa, l’idea stessa di educazione: pesante invadenza burocratica nella didattica,condizionamenti economici,culto delle misurazioni valutative e delle prove standardizzate, incentivi alla concorrenza fra scuole e,all’interno delle stesse, fra colleghi, trasmissione sempre più ridotta e banalizzata dei contenuti, deconcettualizzazione delle discipline a profitto dell’apprendimento nozionistico e acritico di un fumoso “saper fare” e di modelli di comportamento “corretti”.

Una zavorra tenuta insieme dall’insipienza culturale e da un piatto conformismo nei riguardi di ogni innovazione governativa che ha condotto la già sconquassata nave scuola verso le secche di un supermercato della formazione, terreno di caccia ideale per le scorribande di enti di ogni tipo alla famelica ricerca di promozione commerciale e di concreti incentivi economici, dietro erogazione di attività di ogni risma che stanno trasformando la scuola in un “progettificio”. È, questo, un approdo consacrato dalla legge 107 (filiazione legislativa della buona scuola), ultimo in ordine di tempo, ma non definitivo, scalo della deriva aziendalistica del sistema dell’istruzione pubblica

Di fronte a questo disastro, frutto di scelte politiche e culturali in sintonia con il credo totalitario neoliberista, assume un rilievo particolarmente significativo, capace di innervare la necessaria – oggi come venti anni fa – resistenza culturale l’individuazione da parte di Massimo Bontempelli della scelta della dimensione storica come “orizzonte di problematicità” dei diversi percorsi conoscitivi. Un’indicazione preziosa che, sottraendo la scuola all’appiattimento sul presente e alla rincorsa delle mode del momento, le fornisce quell’indispensabile asse culturale coerente con la sua funzione educativa.

L’agonia della scuola italiana, pur facendo con grande rigore argomentativo tabula rasa della ratio che ha ispirato la riforma dell’autonomia, è un libro profondamente costruttivo, perché sempre attento a definire la dimensione culturale ed etica entro cui inscrivere i processi educativi. Un libro indispensabile per chiunque rifiuti la mercificazione della cultura e dell’educazione e veda, al contrario, in esse un potente strumento di liberazione umana.

Fernanda Mazzoli


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Fernanda Mazzoli – Intorno alla scuola si gioca una partita decisiva che è quella della società futura che abbiamo in mente. La scuola può riservarsi un ruolo attivo, oppure scegliere la capitolazione di fronte al modello sociale neoliberista.

 

 

FERNANDA MAZZOLI

SCUOLA LIQUIDA

LA LIQUIDAZIONE DELLA SCUOLA PUBBLICA

La Legge 107 varata nel luglio 2015, la cosiddetta “buona scuola”, è il tentativo più recente di dare profilo istituzionale alla deriva aziendalistica e consumista dell’istruzione voluta dalle oligarchie cui non sfugge l’alterità della conoscenza e del pensiero critico rispetto alla logica del profitto. Scuola azienda, dove impianto verticistico e addestramento alle competenze specifiche si combinano a formare lavoratori poco qualificati, destinati a precariato e sfruttamento, in ossequio alle politiche neoliberiste. Scuola supermercato, dove allo studente-cliente si apre il ventaglio di un’offerta abbondante, allettante e intercambiabile, indirizzata a un consumatore onnivoro. Scuola leggera, fortemente impoverita nella sua dimensione formativa e culturale, subordinata alle esigenze immediate del mercato, obbediente al pensiero unico del totalitarismo digitale e tecnologico. Ecco i muri portanti per collocare l’istruzione pubblica nel poderoso edificio ideologico che fa da supporto alla gigantesca controffensiva proprietaria scatenata negli ultimi decenni. Ambizioso progetto di controllo sociale che mira alla privatizzazione della scuola pubblica e passa per una ridefinizione del docente che la nuova pedagogia di Stato svuota della sua identità culturale e trasforma in animatore, organizzatore, compilatore di schede. Diventa necessario, allora, rovesciare il paradigma di subordinazione culturale al mercato, individuando proprio nella scuola il terreno fertile per un’apertura verso una visione diversa della società e della vita.

Fernanda Mazzoli si è occupata di letteratura orale e processi di stregoneria in area centro-europea, collaborando a diverse riviste. Insegna francese in un Liceo linguistico.

Sensibili alle foglie, 2016

ISBN 978-88-98963-55-3

p. 120


 

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Premessa


Indice

 

LA ROTTAMAZIONE DELLA SCUOLA
A buona scuola cattivi maestri – Gli inadeguati… – … si adeguano …

DALLA SCUOLA ALL’AZIENDA
Cucito o spremitura delle olive? – TreLLLe in cattedra –Ma in presidenza c’è l’Europa – Competenze per competere – Fondata sul lavoro – Il totalitarismo digitale – Alfabetizzazioni – Dalla “buona scuola” alla Legge 107 – Un silenzio assordante – Buona scuola e cattiva lingua

INSEGNANTI SENZA SEGNO
Quantificare – Valorizzare – Controllo qualità – Valutare – La gestione manageriale – Autonomia … da che cosa? – Uno, nessuno, centomila

IL PROGETTIFICIO
Autonomia dall’insegnamento – Animare e facilitare – Dacci oggi la nostra animazione quotidiana – La scuola supermercato – Cosa metto nel carrello? – Docenti a consumo e docenti consumati – Prove di arrembaggio – La dismissione

UNA SCUOLA ALTRA
Lasciateci lavorare – La resistenza culturale – Per una scuola forte – Aperture – Dalla nuova religione digitale… – … Alla Lectio – Non di solo digitale – Elogio della difficoltà – Scommessa per il futuro


Scuola liquida. Fernanda Mazzoli – YouTube


La Strega nella tradizione ugro-finnica e in quella occidentale

La Strega nella tradizione ugro-finnica e in quella occidentale

 


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Massimo Bontempelli – La convergenza del centrosinistra e del centrodestra nella distruzione della scuola italiana.

La convergenza

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Massimo Bontempelli
L’agonia della scuola italiana

ISBN 88-87296-79-0, 2000, pp. 144, € 10,00

indicepresentazioneautoresintesi

La scuola italiana nel suo insieme è oggetto, per la prima volta dopo tre quarti di secolo, di una riforma complessiva ed incisiva. Le innovazioni che vi sono introdotte, però, esaminate attentamente nei loro effetti concreti, risultano tutte profondamente negative, sia sul piano della formazione educativa dei giovani, che su quello della professionalità degli insegnanti e della trasmissione di un sapere degno di questo nome. Il carattere pubblico e nazionale del sistema dell’istruzione, e la sua capacità di promuovere lo spirito critico e l’autonomia di giudizio dei giovani, ne risultano gravemente compromessi. Questo disastro è il prodotto di una cultura dogmatica e ideologizzata dei promotori della riforma, che li rende incapaci di pensare su un piano conoscitivamente alto, ed eticamente valido, il nesso tra scuola e società. Tale cultura è peraltro funzionale alle inconfessate esigenze totalitarie di un determinato sistema di potere. La scuola italiana, a questo punto, potrà essere salvata soltanto dalla resistenza consapevole degli insegnanti che vogliono continuare ad essere educatori. Il libro si articola in sette capitoli: L’innovazione distruttiva; Il didatticismo di regime; L’autonomia aziendalistica; L’educazione negata; La stupidità rivelata; La scuola del totalitarismo neoliberista; Il destino della scuola

******

Vorrei parlare non dei contenuti specifici del mio libro [L’agonia della scuola italiana], che chiunque, se vuole, può andare a leggere, ma dell’attuale evoluzione della scuola italiana dopo la riforma di Berlinguer, a cui il mio libro, pubblicato in quel momento, esclusivamente si riferisce. Per capire il senso profondo di tale evoluzione, bisogna cogliere le continuità di fondo dei tre ultimi ministri della pubblica istruzione, Berlinguer, De Mauro e Moratti, che invece appaiono al senso comune portatori di idee diverse. La pubblicistica ha visto addirittura De Mauro, diverso da Berlinguer. Con questo non voglio dire che tutto sia uguale. Ci sono diversità nelle rappresentazioni mentali dei tre personaggi, e diversità di superficie nei loro atti. Per esempio, nel mio testo insistevo sull’ossessione didatticistica che sembra ora declinante, nel senso che la lobby pedagogistica ha un po’ meno peso che con Berlinguer. Inoltre, più che di autonomia dell’istituzione scolastica oggi si parla di regionalizzazione. Però a mio avviso questi mutamenti rispondono alla medesima logica di fondo: la teleologia, la tendenza delle trasformazioni in atto nella scuola, pur con congegni diversi, rimane la medesima. Si tratta del progressivo smantellamento del sistema nazionale della pubblica istruzione, perseguito perché appare inutile e costoso ad una società organizzata in modo sempre più esclusivo da logiche di mercato. Prendiamo una delle cose che viene più strombazzata come elemento di conflitto: l’introduzione dei consigli di amministrazione nella scuola. Questo sembra un elemento di conflitto aspro, perché la destra sembra sostenere una questione di efficienza aziendalistica contro la sinistra arruffona e demagogica. La sinistra da parte sua accusa che si siano violati i diritti democratici del Collegio docenti e del Consiglio di istituto, espropriati da un consiglio di amministrazione.
Una modesta domanda: quando gli OOCC non discutono più assolutamente, perché non c’è lo spazio istituzionale, perché gli insegnanti non ne sono più capaci, di ciò che realmente si insegna, di ciò che dovremmo insegnare – dei problemi seri: si insegna cosa e perché non c’è traccia, ciò di cui si discute nei collegi è se tirare di scherma rientri nei crediti per l’esame di stato, oppure di progetti, oppure si discute della ripartizione dei finanziamenti sui progetti – se un Collegio deve fare questo, che lo faccia un consiglio di amministrazione conta poi molto, dal momento che è il contenuto della scuola che è stato svuotato? [Continua a leggere le nove pagine]

 

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Massimo Bontempelli,
La convergenza del centrosinistra e del centrodestra nella distruzione della scuola italiana

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Roberto Signorini, Una lettura critica del libro «L’agonia della scuola italiana». Con la risposta dell’autore: Massimo Bontempelli

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Massimo Bontempelli – In cammino verso la realtà. La realtà non è la semplice esistenza, ma è l’esistenza che si inscrive nelle condizioni dell’azione reciproca tra gli esseri umani, diventando così sostanza possibile del loro mutuo riconoscimento.

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Filosofare

Il 31 luglio 2011 veniva improvvisamente a mancare, a Pisa, Massimo Bontempelli. Chi ha avuto la fortuna di leggere i suoi libri, sa che, con lui, è venuto a mancare uno dei pensatori italiani più originali, autore di opere filosofiche, storiche e politiche che trovano raramente degli uguali fra quelle più note ai contemporanei; essendo pensatore critico verso il modo di produzione capitalistico, ed estraneo alla università, né in vita né in morte i suoi meriti gli sono (almeno per ora) stati adeguatamente riconosciuti. Queste pagine non ripagano il debito, né ne ricostruiscono l’opera, ma vogliono semplicemente essere un ricordo filosofico.


Massimo Bontempelli

In cammino verso la realtà

 

Leggi e stampa le 16 pagine

Quando l’epoca in cui si vive
non lascia esprimere la realtà a ben definiti percorsi storico-sociali,
l’imperativo, per conservare dignità umana,
e non lasciarsi invecchiare dalla morte,
è quello di
costruire esperienze di riconoscimento e di manifestazione della realtà.


Alle soglie del XXI secolo il genere umano ha materializzato, e già notevolmente percorso, quel sentiero della notte da cui Parmenide, con il suo poema inaugurativo della filosofia greca, lo aveva messo in guardia ben due millenni e mezzo or sono. Parmenide aveva qualificato il sentiero della notte come sentiero che non è, non nel senso che non potesse apparire all’esistenza, o che non fosse transitabile, ma nel senso che sulla sua via, tracciata a partire da una volontà negatrice dell’essere, non sarebbe stato possibile percepire più nulla di reale.

L’uomo di oggi, infatti, inoltratosi nel sentiero della notte, non percepisce più nulla come intangibilmente vincolato alle condizioni del reciproco riconoscimento umano, e come inseparabile dal suo contesto trascendentale di significato, neppure nelle forme distorte delle rappresentazioni trascendenti e dell’educazione eteronoma. Tutto gli appare invece svincolabile: la persona può essere svincolata dal lavoro, il lavoro può essere svincolato dai diritti, la natura può essere svincolata da ogni sacralità, il comportamento umano può essere svincolato da ogni dovere, il bambino può essere svincolato dalla sua infanzia, e così via. Tutto gli appare decontestualizzabile: ogni cosa è vista come duttile a piacere a fronte della completa liceità arbitrarista e della illimitata potenza proceduralistica. Nulla, insomma, gli appare più reale.

Parmenide aveva preavvertito l’Occidente, con il suo poema, che un sentiero simile sarebbe stato del tutto privo di saggezza, perché avrebbe tolto al sapere ogni oggettività, in quanto il linguaggio pensante non può esprimere altra oggettività che quella dell’essere, e perché avrebbe impedito ogni trasmissione educativa, in quanto, egli disse, non si può educare attraverso la negazione dell’essere.

La civiltà stessa, dunque, viene progressivamente cancellata sulla via del sentiero della notte. Oggi abbiamo davanti agli occhi molteplici segni di questa cancellazione: masse senza un lavoro da cui poter trarre i mezzi per un’esistenza minimamente dignitosa; lavoro privato di ogni diritto; ambiente naturale inquinato fino alla prospettiva del collasso ecologico del pianeta; diffusione su vastissima scala di pratiche di segregazione e di tortura; sfruttamento e brutalizzazione di settori dell’infanzia; sempre più estese ed impunite accumulazioni di ricchezza per via criminale; scomparsa crescente di ogni senso morale.

Tutti questi elementi, ed altri che potrebbero venire aggiunti, sono manifestazioni evidenti di una perdita di realtà da parte del genere umano, ma nessuno di essi rappresenta la radice storica di questa via di allontanamento dalla realtà che è stata imboccata. Lo si può intuire anche dal fatto che i gruppi nati per contrastare tali elementi singolarmente presi (ad esempio forze neocomuniste e neokeynesiane in difesa del lavoro, gruppi ecologisti ed animalisti in difesa della natura, organizzazioni in difesa della legalità, e via dicendo), non soltanto non hanno mutato il panorama complessivo, ma hanno rivelato spiccate tendenze all’adattamento compromissorio… [Continua a leggere]

  Freccia rossa  Massimo Bontempelli, In cammino verso la realtà

Già pubblicato in

Filosofia e realtàMassimo Bontempelli
Filosofia e realtà.

Saggio sul concetto di realtà in Hegel e sul nichilismo contemporaneo

Petite Plaisance, 2000, pp. 223-254.

ISBN 88-87296-71-5, 2000, pp. 288, formato 140×225 mm, Euro 15,00

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Altri testi di M. Bontempelli

 

Massimo Bontempelli – Il pensiero nichilista contemporaneo. Lettura critica del libro di Umberto Galimberti « Psiche e tecne».

La convergenza del centrosinistra e del centrodestra nella distruzione della scuola italiana

Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana?

Gesù uomo nella storia, Dio nel pensiero

Il pregiudizio antimetafisico della scienza contemporanea, in: Scienza, Cultura, Filosofia  

Il respiro del Novecento. Percorso di storia del XX secolo (1914-1945)

Il sintomo e la malattia. Una riflessione sull’ambiente di Bin Laden e su quello di Bush 

L’agonia della scuola italiana 

La conoscenza del bene e del male

La convergenza del centrosinistra e del centrodestra nella distruzione della scuola italiana, in:  Visioni di scuola. Buoni e cattivi maestri

La disgregazione futura del capitalismo mondializzato

Nichilismo Verità Storia. Un manifesto filosofico della fine del XX secolo 

Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana?, in: Metamorfosi della scuola italiana

Tempo e Memoria. La filosofia del tempo tra memoria del passato, identità del presente e progetto del futuro


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  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate
(ordine alfabetico per autore)
al 27-01-2016

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Massimo Bontempelli – Il pensiero nichilista contemporaneo. Lettura critica del libro di Umberto Galimberti « Psiche e tecne».

Psiche

Filosofare

Il 31 luglio 2011 veniva improvvisamente a mancare, a Pisa, Massimo Bontempelli. Chi ha avuto la fortuna di leggere i suoi libri, sa che, con lui, è venuto a mancare uno dei pensatori italiani più originali, autore di opere filosofiche, storiche e politiche che trovano raramente degli uguali fra quelle più note ai contemporanei; essendo pensatore critico verso il modo di produzione capitalistico, ed estraneo alla università, né in vita né in morte i suoi meriti gli sono (almeno per ora) stati adeguatamente riconosciuti. Queste pagine non ripagano il debito, né ne ricostruiscono l’opera, ma vogliono semplicemente essere un ricordo filosofico.


Massimo Bontempelli

Un esempio di pensiero nichilista contemporaneo.  Lettura critica del libro di Umberto Galimberti
Psiche e tecne

Sommario del saggio

Il nichilismo contemporaneo va criticato nel suo più alto livello di espressione

Il discorso filosofico di Galimberti è prigioniero del suo presente storico
avendolo pensato come assoluto

Il dispositivo teorico di Galimberti è derivato dalla filosofia heideggeriana

Nel dispositivo teorico heideggeriano
non c’è varco pensabile nell’orizzonte dell’epoca presente

L’heideggerismo è una filosofia dell’impotenza che adatta il pensiero al tempo storico

Per Galimberti la tecnica è l’essenza dell’uomo

L’angustia teorica dell’impostazione filosofica heideggeriana

Il dispositivo teorico hedeggeriano è devastante
delle poche risorse culturali non ancora avvelenate dal nichilismo

L’errore capitale di Hedigger appare come verità alle intelligenze di oggi

Il filo teoretico che unisce Heidegger, Galimberti e Severino

La tecnica non è il fondamento dell’attuale orizzonte storico

Il sistema capitalistico tecnicizzato non è la fine della storia

Non è vero che non si dia essenza dell’uomo al di là del condizionamento tecnico

Il compito più degno della filosofia oggi è quello di tematizzare
le forme ontologiche oscurate dall’orizzonte della tecnica

Il principio hegeliano secondo il quale il reale è razionale rappresenta una posizione culturale niente affatto prefigurante la razionalità tecnica, ma del tutto alternativa

La povertà filosofica di Galimberti in ordine a:
conoscenza, verità, anima, cultura e valori spirituali

Leggi e stampa le 16 pagine

Il nichilismo contemporaneo
va criticato nel suo più alto livello di espressione

Hegel ha una volta osservato che per confutare veramente un sistema di pensiero è necessario penetrarne la forza e le ragioni, e criticarlo, quindi, soltanto nel suo più alto livello di espressione. Alla luce di questa osservazione di Hegel, una lettura critica dell’ultimo libro di Umberto Galimberti, Psiche e tecne (Feltrinelli), rappresenta il terreno più adatto per la confutazione del nichilismo contemporaneo. Si tratta, infatti, di un libro di alto livello. Il suo primo pregio è quello di affrontare, in un’epoca la cui produzione scritta per lo più si aggira con superficialità tra cose del tutto fatue, oppure si inoltra in maniera soltanto erudita in questioni di arido specialismo, un argomento della massima serietà umana. Ciò di cui Galimberti ci parla, infatti, è il modo in cui la nostra umanità è stata interamente riplasmata dal fatto storicamente inedito di abitare un ambiente tecnicamente organizzato in ogni sua articolazione. Pochi sono gli argomenti altrettanto degni di essere discussi e approfonditi… [Continua a leggere le 16 pagine]

  Freccia rossa  Massimo Bontempelli
Un esempio di pensiero nichilista contemporaneo
Lettura critica del libro di Umberto Galimberti, “Psiche e tecne”


Già pubblicato in

Filosofia e realtàMassimo Bontempelli
Filosofia e realtà.

Saggio sul concetto di realtà in Hegel e sul nichilismo contemporaneo

Petite Plaisance, 2000, pp. 255-283.

ISBN 88-87296-71-5, 2000, pp. 288, formato 140×225 mm, Euro 15,00

indicepresentazioneautoresintesi

Altri testi di M. Bontempelli

La convergenza del centrosinistra e del centrodestra nella distruzione della scuola italiana

Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana?

Gesù uomo nella storia, Dio nel pensiero

Il pregiudizio antimetafisico della scienza contemporanea, in: Scienza, Cultura, Filosofia  

Il respiro del Novecento. Percorso di storia del XX secolo (1914-1945)

Il sintomo e la malattia. Una riflessione sull’ambiente di Bin Laden e su quello di Bush 

L’agonia della scuola italiana 

La conoscenza del bene e del male

La convergenza del centrosinistra e del centrodestra nella distruzione della scuola italiana, in:  Visioni di scuola. Buoni e cattivi maestri

La disgregazione futura del capitalismo mondializzato

Nichilismo Verità Storia. Un manifesto filosofico della fine del XX secolo 

Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana?, in: Metamorfosi della scuola italiana

Tempo e Memoria. La filosofia del tempo tra memoria del passato, identità del presente e progetto del futuro


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(ordine alfabetico per autore)
al 18-01-2016

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

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Massimo Bontempelli – IL PREGIUDIZIO ANTIMETAFISICO DELLA SCIENZA CONTEMPORANEA

Determinismo

 

Sommario

 

Popper: la teoria come congettura

Hegel e la filosofia della scienza

La teoria della verità come idealità matematica

Godel: la logica matematica non può giustificare il proprio principio di coerenza

Matematica senza fondamento

Barrow: la base teorica universale della matematica

Hegel: la quantità come “qualità tolta”

Il gran libro della Natura è scritto in caratteri matematici?

Il risultato culturale della rivoluzione scientifica

La semplificazione galileiana del mondo reale

La quantità matematizzabile come dominabilità del mondo

I limiti del meccanicismo

La fisica delle particelle come pura astrazione teorica

Le teorie del tutto

Il determinismo dell’elettrodinamica quantistica

Feynman: la Natura è assurda

La povertà conoscitiva del determinismo matematico della fisica

Il crollo del determinismo fisico di fronte alle forme biologiche

La concezione biologistica della verità

La povertà della moderna coscienza antimetafisica

Il pregiudizio antimetafisico della mentalità odierna

Realtà e verità nella filosofia ontologica

La sapienza di Platone

 

 

POPPER: LA TEORIA COME CONGETTURA

Occorre rendere merito a Karl R. Popper di avere enunciato il più chiaro ed esemplare criterio di valutazione delle teorie scientifiche che sia concepibile nell’epoca del nichilismo della verità. Tale criterio non riflette l’effettivo sviluppo delle scienze, tanto che quando Popper, per fronteggiare le obiezioni mossegli, ha tentato di farlo aderire alla pratica scientifica, non ha fatto che introdurvi elementi di confusione e incoerenza. Ma ciò in quanto, nell’attuale contesto scientifico, le cui basi sono nichilistiche, ciò che determina l’affermazione di una teoria scientifica è soltanto la vastità e la durata del consenso della corporazione professionale degli scienziati, che dipende a sua volta sia dai loro codici culturali di riconoscimento, sia dal grado di incorporabilità della teoria in una qualche tecnica utile al sistema economico. Il bisogno di oggettività, però, per quanto negato da tutti i presupposti dello sviluppo sociale del nostro tempo, sopravvive inevitabilmente, per intrinseca necessità.·Popper ha dato una limpida risposta a questo bisogno. La sua grandezza è stata infatti quella di avere enunciato un criterio che, nella sua versione originaria, combina in maniera coerente i presupposti del nichilismo della verità della nostra epoca, per trame un criterio di oggettività scientifica che, ove potesse esistere su quei presupposti, non potrebbe avere che quella forma. Cosa dice infatti Popper? In primo luogo, che ogni teoria, non potendo trarre verità né dal puro pensiero né dall’osservazione dei fatti, è in ogni caso congettura. Tale assunto è perfettamente consequenziale all’assioma nichilistico dell’accettazione delle contingenze impostesi come fatti: se il dato di fatto è intrascendibile dal pensiero, il pensiero non può produrre verità, ma solo congettura, perché una verità tratta dall’osservazione dei fatti sarebbe comunque una generalizzazione che trascenderebbe l’ambito effettivamente osservato. In secondo luogo, Popper dice che una congettura è scientifica se contiene falsificatori potenziali, cioè fatti osservabili la cui eventuale osservazione equivalga, secondo la congettura stessa, a una sua falsificazione. Questo secondo assunto è, nello stesso tempo, un logico corollario del primo, e l’unica forma ragionevole di oggettività entro la mentalità creata daquelle che oggi si chiamano scienze: se i fatti sono la misura della conoscenza, e se essi non possono fondare alcuna verità, possono tuttavia, proprioin quanto misura ultima e intrascendibile della conoscenza, invalidare ogni conoscenza che risulti contraddirli. In terzo luogo, esiste secondo Popper un dovere di onestà scientifica di abbandonare le teorie falsificate dall’osservazione. Tutto ciò sembra a prima vista persuasivo, ed ha anche una sua approssimativa validità in taluni campi di giudizio. Ma non regge nella misura in cui pretende di descrivere l’impresa scientifica moderna: tutte le grandi teorie scientifiche, infatti, sono nate e si sono sviluppate in contraddizione con qualche fatto già accertato alloro tempo; i risultati di ogni osservazione dipendono in maniera forte dalla teoria adottata dall’osservatore; gli esperimenti cruciali della storia della scienza sono apparsi tali solo in un periodo successivo a quello in cui sono stati effettuati, in connessione con l’affermazione di teorie che li hanno valorizzati. Se si concepisce la teoria come congettura, non c’è poi modo di darle oggettività con i fatti.

HEGEL E LA FILOSOFIA DELLA SCIENZA

La filosofia della scienza degli ultimi decenni ha demolito l’epistemologia popperiana sul suo stesso terreno, mostrando come essa abbia fissato un criterio di demarcazione della scienza che non è né coerente né praticabile. Questo capitolo della filosofia della scienza è rivelatore di verità … ´[continua a leggere cliccando qui]

 

Leggi e stampa il testo di 17 pagine in formato PDF:

Massimo Bontempelli,
IL PREGIUDIZIO ANTIMETAFISICO DELLA SCIENZA CONTEMPORANEA

 

Questo saggio di Massimo Bontempelli è già stato pubblicato su Koinè, Periodico culturale, Anno X, nn. 1-2, Gennaio-Giugno 2002,  pp. 105-127; direttore responsabile Carmine Fiorillo; il volume collettaneo reca il titolo  Scienza cultura, filosofia.

Koiné

Scienza, Cultura, Filosofia

indicepresentazioneautoresintesi

Problemi tra scienza e cultura
Sintetizzare e interpretare/Darsi dei limiti/Sulla diffidenza per la filosofia/Una confutazione dello scientismo/I problemi della divulgazione/Specializzazione parcellizzante/Una catastrofe culturale?/Uno sguardo sulla cultura/Linee di resistenza/E se fosse colpa del capitalismo?/Conclusioni. Una modesta utopia.

Lucio Russo
Cosa sta accadendo alla scienza?
Premessa/Cos’è la scienza? La scienza esatta/Scienza esatta e tecnologia /Scienze biologiche (e altre scienze empiriche)/Il problema della verità/Divulgazione scientifica e imposture intellettuali/La crisi attuale/Il nuovo ruolo della biologia: le biotecnologie/Complessità /Quale futuro?

Marcello Cini
C’è ancora bisogno della filosofia per capire il mondo?
Introduzione/La svolta nella scienza dal XX al XXI secolo/L’epistemologia delle scienze della materia inerte/Una epistemologia delle scienze del mondo vivente/Il problema corpo/mente/Scienza e valori/Conclusioni.

Alberto Artosi
Lettera a uno scienziato sulla ragione, la razionalità e il razionalismo
Caro Scienziato/Bisogna guardarsi da un’immagine ingenuamente razionalistica della scienza/Anche gli scienziati più aperti sono dei razionalisti (e degli elitisti) ingenui/Bisogna sottrarsi al culto delle argomentazioni “razionali” /Il caso dell’archeoastronomia/ Il razionalismo ingenuo è intollerante/Sulla “cultura di massa”/Commiato.

Massimo Bontempelli
Il pregiudizio antimetafisico della scienza contemporanea
Popper: la teoria come congettura/Hegel e la filosofia della scienza/La teoria della verità come idealità matematica/Gödel: la logica matematica non può giustificare il proprio principio di coerenza/Matematica senza fondamento/Barrow: la base teorica universale della matematica/Hegel: la quantità come “qualità tolta”/Il gran libro della Natura è scritto in caratteri matematici?/Il risultato culturale della rivoluzione scientifica/La semplificazione galileiana del mondo reale/La quantità matematizzabile come dominabilità del mondo/I limiti del meccanicismo/La fisica delle particelle come pura astrazione teorica/Le teorie del tutto/Il determinismo dell’elettrodinamica quantistica/Feynman: la Natura è assurda/La povertà conoscitiva del determinismo matematico della fisica/Il crollo del determinismo fisico di fronte alle forme biologiche/La concezione biologistica della verità/La povertà della moderna coscienza antimetafisica /Il pregiudizio antimetafisico della mentalità odierna/Realtà e verità nella filosofia ontologic/La sapienza di Platone.

Fabio Bentivoglio
Scienza, Natura e destino dell’uomo. Riflettiamo con Aristotele
Che cosa è, oggi, la sapienza?/La Natura/Le onde e la scogliera/Un’etica per la civiltà tecnologica/Dogmi di ieri e dogmi di oggi/L’elogio del senso comune.

Jean Bricmont
Contro la filosofia della meccanica quantistica
Riassunto/Introduzione/Realismo e positivismo/Il problema della meccanica quantistica/La non località/Soluzioni possibili al problema della misura/Conclusioni/Appendice I: Il problema della misura/Appendice II: Il teorema di Bell/Appendice III: La teoria di Bohm/Appendice IV: Bibliografia/Ringraziamenti/Riferimenti.

Fabio Acerbi
Concetto ed uso dei modelli nella scienza greca antica
Il concetto di modello/La controversia storiografica: strumentalismo versus realismo/Cenni al dibattito epistemologico in età ellenistica/L’approccio per modelli nella scienza antica: alcuni esempi: a. Astronomia; b. Meccanica; c. Ottica; e. Teoria musicale; f. Medicina/Conclusioni.

Jules-Henri Poincaré
La matematica e la logica

 

 

 

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Massimo Bontempelli (1946-2011) – Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana?

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Un sistema scolastico, o un comparto di esso, è in grado di svolgere funzioni educative solo nella misura in cui è organizzato attorno a un asse culturale. Cosa è, infatti, un asse culturale? È un orizzonte unitario di valori cognitivi e normativi che rappresenta un modello di riferimento comune per una molteplicità di saperi di cui viene organizzata la trasmissione. Senza un tale orizzonte unitario, senza un tale modello di riferimento comune, i saperi trasmessi non possono venire appresi che in maniera reciprocamente irrelata, così da compromettere la loro funzione educativa.

I grandi riformatori degli assetti scolastici hanno sempre avuti chiari questi concetti. Da Hegel quando riorganizzava educativamente l’istituto di cui era preside a Norimberga, a Humboldt quando costruiva il ginnasio prussiano, fino, per quanto ci riguarda, a Gentile che rimodellava il sistema scolastico nazionale ereditato da Casati, si è sempre saputo che la strutturazione di una scuola che funzioni non può che derivare da un preciso asse culturale pensato per essa. Soltanto in tempi meschini come gli attuali, e sotto ceti politici di infimo livello quali quelli dell’odierno mondo capitalistico, poteva succedere che una riforma della scuola fosse impostata secondo criteri puramente organizzativi, a prescindere da ogni riferimento a contenuti culturali.

L’asse culturale della scuola è un principio generale del sapere, non una materia particolare di studio, e tuttavia acquista una concreta fisionomia, educativamente funzionale, quando viene espresso, in ambito scolastico, da un’area disciplinare specifica. Per questo tutte le riforme scolastiche basate su serie finalità educative (non stiamo parlando, quindi, della riforma Berlinguer) hanno individuato, per ogni tipo di scuola, un’area disciplinare destinata a esservi prevalente e caratterizzante, in quanto rappresentativa del suo asse culturale.

 

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Massimo Bontempelli, [Pubblicato su Koinè (Metamorfosi della scuola italiana), Anno VII, NN° 1-2 – Gennaio/Giugno 2000 – Direttore responsabile: Carmine Fiorillo], pp. 17.

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