Petite Plaisance Blog

Adriano Prosperi – Siamo la prima generazione umana che abbia fatto tutta insieme un’esperienza collettiva del paradigma di Hobbes. Scopriamo dentro di noi una paura nuova: la paura della libertà … e la spontanea rinunzia alla libertà – a tante, diverse forme di libertà. In primo luogo alla libertà dei rapporti umani.

Adriano Prosperi 01

Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes «Leviatano».

Siamo la prima generazione umana che abbia fatto tutta insieme un’esperienza collettiva del paradigma di Hobbes: la paura della morte come causa della soggezione a un moderno Leviatano.

Della ragion di Stato, 1589

Un’opinione che fu anticipata dall’allievo dei gesuiti Giovanni Botero, il quale nella sua celebre e molto letta Ragion di Stato, scrisse: « Io sono di parere, che per la sicurezza de gli Stati, e de’ prencipi loro, miglior cosa sia la severità del governo, che la piacevolezza; e la paura, che l’amore; e la ragion si è, che il farti amare da tutto un popolo, non è in tua potestà; ma bene è in tua possanza il farti temere».

Aspettiamo di vedere le forme in cui prenderà corpo questa esperienza. Ma intanto è evidente che la percezione del nostro stato presente si è fatta strada in molti modi nelle menti: talvolta ideologizzata nelle fantasie di complotti e nell’evocazione di poteri pronti a cogliere l’occasione per impadronirsi del diritto di proclamare lo stato di eccezione, ma più spesso travestita da spontanea rinunzia alla libertà – a tante, diverse forme di libertà. In primo luogo alla libertà dei rapporti umani.
Ciò che è stato imposto dalla minaccia di morte, presenza impalpabile e invisibile veicolata dall’ambiente e da tutto quello che vi si muove, è diventato rapidamente un’abitudine, un istinto. La paura ha cancellato la fiducia, trasformando il rapporto con l’altro in una minaccia da evitare.
È vero in generale che nessun uomo è un’isola, ma per questo periodo tutti siamo diventati tante isole. Per approdare all’altra isola si è dovuto studiare come farlo, quali segnali mandare, quali garanzie esibire che non portavamo pericoli.
E mentre gli stati di emergenza si ripetono e si comincia a capire che con il Covid-19 siamo davanti alla prospettiva di una lunga convivenza, ci si viene accorgendo che qualcosa è passato dall’esterno all’interno di noi. Man mano che si tornava – o ci si illudeva di tornare – alla normalità, si scopriva da qualche parte dentro di noi una paura nuova: la paura della libertà. E questo perché nella libertà era presente il pericolo della morte.

Adriano Prosperi, Tremare è umano. Una breve storia della paura, Solferino, Milano 2021, pp. 146-147.


Risvolto di copertina

Avere paura è un grande destino umano. I tempi difficili in cui siamo immersi ne sono segnati e questo sentimento rischia di immobilizzarci, come animali di fronte a un pericolo. Ma forse è possibile guardarlo con altri occhi.
In queste pagine colte e appassionate, Adriano Prosperi ci accompagna a incontrare le paure dell’uomo, ci racconta le epoche di pestilenza e ci ricorda la potenza di un’iconografia del peccato e del Male che informa e percorre le costruzioni intellettuali attraverso cui comprendiamo la vita. E assieme al passato ci spiega il presente, mettendo a nudo il cuore antico della nostra modernità globalizzata, in un’analisi sferzante di ciò che davvero abbiamo da temere: un orizzonte di disparità economica, saccheggio ambientale e impoverimento culturale. Questo è il vero flagello, su questo orizzonte compariranno – o sono già comparsi – i nuovi cavalieri dell’Apocalisse. La pestilenza ha portato alla luce, come in ogni tempo, complottismi popolari e strategie dei potenti, attacchi ai medici e processioni penitenziali, pozioni miracolose e capri espiatori. Ma occorre guardare oltre. E riconoscere la paura nel suo aspetto più nascosto di forma di dominio, peste delle menti per cui esiste un solo rimedio, pietra filosofale ricercata nei secoli dalla scienza come dall’arte: la conoscenza. L’arma con cui possiamo affrontare un sentimento che ci appartiene e che, se riusciamo a dominarlo, può renderci più forti.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

François Jullien – La forza del pensiero dissidente di Eraclito è in grado di pensare, nel contesto ontologico greco, un’armonia “più potente di quella apparente” che, anziché separarli, tiene in tensione coerente gli opposti.

François. Jullien 02

François Jullien, L’apparizione dell’altro. Lo scarto e l’incontro, Feltrinelli, Milano 2020, pp. 47-49.


François Jullien – L’intimità è la condivisione sotterranea che non ha più bisogno di mostrarsi di dare prova di sé. È uno ‘stadio’ che si raggiunge non uno ‘stato’.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

Mario Liverani – Paradiso e dintorni. Il paesaggio rurale dell’antico Oriente. “Torre di Babele” come metafora per la città e “Giardino dell’Eden” come metafora per la campagna. città orientale caratterizzata dai “luoghi del potere”. Città ellenistica (con i suoi elementi di derivazione greca) che dà spazio ai “luoghi della cittadinanza”.

Mario Liverani

La ‘Torre di Babele’ come metafora per la città e il ‘Giardino dell’Eden’ come metafora per la campagna. Entrambi erano caratterizzati da un elemento di crisi e di collasso: la torre di Babele era rimasta incompiuta e abbandonata, il giardino dell’Eden era stato chiuso all’uomo, costretto a migrare verso ambienti meno ospitali.

La città orientale era caratterizzata dai “luoghi del potere”, mentre quella ellenistica (con i suoi elementi di derivazione greca) diede altrettanto spazio ai “luoghi della cittadinanza” – le caratteristiche urbanistiche riflettendo quelle socio-politiche. Per “luoghi del potere” s’intendono le strutture difensive (mura e porte urbiche), gli edifici palatini, i palazzi, ma anche gli arsenali, le stalle, gli opifici militari), gli edifici templari (moltiplicati dalla struttura politeistica, ma culminanti nel tempio del dio cittadino), mentre a certe esigenze già presenti (specie lo scambio sia locale sia a distanza) vengono dedicati dei “non-luoghi” di funzionalità secondaria o intermittente: la porta urbica, lo spazio antistante al tempio, la via regia che attraversa la città. I “luoghi della cittadinanza” sono quelli dedicati alle riunioni politico-amministrative, allo scambio, allo svago: il foro (o agorà), i porticati che spesso lo circondano, il mercato, il teatro, le terme (o più banalmente i bagni pubblici). Per riprendere una distinzione resa celebra dal Guicciardini, al Palazzo si aggiunge e si contrappone la Piazza.

 


Negli anni Trenta del secolo scorso, il grande Marc Bloch concepì un nuovo paradigma di ricerca storica, nel quale riservò un ruolo privilegiato alla ricostruzione del paesaggio agrario. Questa scelta strategica – indicativa delle concezioni storiche tipiche della scuola delle Anna/es – si rivelò saggia, ed ebbe successo: sia perché bilanciava il peso della città con quello delle campagne, sia perché ottimamente si adattava a sottolineare gli elementi della “lunga durata” contro le strettoie della “storia evenemenziale”. Al seguito di Bloch, lo studio del paesaggio agrario è diventato un ovvio ed importante punto di partenza per la comprensione di ogni ambito storico quale scenario degli avvenimenti politici e delle tendenze socio-economiche, ma anche quale esito fisico di quegli avvenimenti e di quelle tendenze (in Italia si segnalò l’opera di Emilio Sereni). Il paesaggio, modificato dall’uomo attraverso il tempo, costituisce di per sé una fonte e uno strumento per la corretta valutazione della struttura sociale. L’organizzazione dello spazio regionale (comprendente sia gli insediamenti sia le campagne) è una sorta di immagine, impressa nel terreno, del modo di produzione e della struttura sociale che l’hanno prodotta.
Questo approccio è stato efficace nella storia medievale e moderna, non solo per una maggiore consapevolezza e un avanzamento metodologico, ma anche per una maggiore disponibilità e diversificazione di dati: registri catastali e archivi notarili, immagini iconografiche e gli stessi resti fisici dell’ antico paesaggio ancora a vista. Per la storia antica (e segnatamente per quella antico-orientale) il compito si è rivelato più difficile. A parte un’evidente arretratezza metodologica, connessa alla priorità assegnata all’edizione dei testi e alla competenza filologica, problemi aggiuntivi derivano dalla scarsità documentaria: i testi catastali sono limitati a poche zone e periodi, e i paesaggi antichi giacciono sepolti sotto la continua sedimentazione delle piane alluvionali, oppure distrutti da successivi interventi umani.
In alcune zone, tuttavia, l’archeologia ha contribuito a ricostruire le linee generali dello sfruttamento agricolo. E questo vale non solo per la Grecia classica o per l’Italia romana o per l’Europa preistorica e protostorica, ma anche per alcune parti del Vicino Oriente antico (pp. 6-7).

L’attuale copertura vegetale del Vicino Oriente è ben diversa da quella originaria, che possiamo non solo postulare ma concretamente ricostruire sulla base dei dati paleobotanici. Per condizioni “originarie” intendiamo qui quelle presenti all’inizio del Neolitico, prescindendo sia da quelle più remote, i cui mutamenti dipendono da fattori extra-umani, sia anche da quelle del Paleolitico la cui economia di sussistenza poteva praticarsi senza interventi di modifica ambientale, tuttalpiù con qualche modesto intervento di disboscamento mediante fuoco. È il passaggio dall’economia di caccia e raccolta a quella di produzione di cibo (agricoltura e allevamento) che rende funzionali e anzi necessari interventi sull’ambiente: ampliamento delle radure coltivabili e dunque disboscamento più sistematico, regolarizzazione dei corsi d’acqua, definizione di unità produttive (campi) mediante delimitazione ed anche recinzione, delineamento (per effetto di utilizzo ripetitivo) di percorsi per la transumanza (tratturi), per arrivare, a partire dal Bronzo Antico, a più incisivi interventi come i terrazzamenti collinari e le reti di canali a bonificare le zone paludose (p. 13).

Come ho già avuto occasione di suggerire (Mario Liverani, Power and Citizenship, in Peter Clark (ed.), Cities in World History, Ubuversity Press, Oxford 2013), la città orientale era caratterizzata dai “luoghi del potere”, mentre quella ellenistica (con i suoi elementi di derivazione greca) diede altrettanto spazio ai “luoghi della cittadinanza” – le caratteristiche urbanistiche riflettendo quelle socio-politiche. Per “luoghi del potere” s’intendono le strutture difensive (mura e porte urbiche), gli edifici palatini Ci palazzi, ma anche gli arsenali, le stalle, gli opifici militari), gli edifici templari (moltiplicati dalla struttura politeistica, ma culminanti nel tempio del dio cittadino), mentre a certe esigenze già presenti (specie lo scambio sia locale sia a distanza) vengono dedicati dei “non-luoghi” di funzionalità secondaria o intermittente: la porta urbica, lo spazio antistante al tempio, la via regia che attraversa la città. I “luoghi della cittadinanza” sono quelli dedicati alle riunioni politico-amministrative, allo scambio, allo svago: il foro (o agorà), i porticati che spesso lo circondano, il mercato, il teatro, le terme (o più banalmente i bagni pubblici). Per riprendere una distinzione resa celebra dal Guicciardini, al Palazzo si aggiunge e si contrappone la Piazza. Non ci sono piazze nella città antico-orientale, solo vie di ogni ordine e grado, dalla grande “via regia” fino ai dedali di oscure viuzze; al sole risplendente ma accaldante si preferisce l’ombra. Magari il re preferisce il sole, per motivi simbolici, ma va in giro seduto sul baldacchino e protetto dal grande ombrello, mentre i portatori (se solo potessero) preferirebbero l’ombra (p. 124).

Mario Liverani, Paradiso e dintorni. Il paesaggio rurale dell’antico Oriente, Gius. Laterza & Figli Bari 2018.,


Quarta di copertina
La nostra civiltà comincia il suo viaggio in uno spazio mitico. Un ‘giardino dell’Eden’ in cui l’uomo trovava soddisfatte tutte le sue necessità. Per secoli studiosi e ricercatori si sono interrogati sulla realtà storica di questo paesaggio primigenio. Oggi finalmente è possibile rispondere alla domanda: ma com’era fatto questo paradiso?

Quando l’Europa iniziò la sua esplorazione del Vicino Oriente, le notizie riguardanti quest’area erano sommarie e spesso facevano riferimento a un passato leggendario e mitico. In particolare, due miti ne avevano simboleggiato il paesaggio: la ‘Torre di Babele’ come metafora per la città e il ‘Giardino dell’Eden’ come metafora per la campagna. Entrambi erano caratterizzati da un elemento di crisi e di collasso: la torre di Babele era rimasta incompiuta e abbandonata, il giardino dell’Eden era stato chiuso all’uomo, costretto a migrare verso ambienti meno ospitali. Invece di città, i primi viaggiatori nel Vicino Oriente trovarono rovine, e invece di giardini trovarono il deserto. Col progredire dell’indagine storica e archeologica, le informazioni sulle antiche città (da Ninive a Babilonia) crebbero, mentre le informazioni sulle campagne rimasero scarse e quasi nulle. La storia orientale antica divenne una questione di re e dinastie, di città e palazzi, di scribi e artigiani e mercanti. Si sapeva che la stragrande maggioranza della popolazione antica era costituita da contadini e pastori, ma la ricostruzione della loro vita e del loro ambiente venne a lungo esclusa dal quadro. Oggi le condizioni sono cambiate. Possiamo provare, per la prima volta, a dare un volto al ‘giardino dell’Eden’, a quel paesaggio in cui è germinata alcuni millenni fa la nostra civiltà.

Indice del volume



Mappa del mondo babilonese, ca 500 a.C.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.


Antonio Vigilante – Le dimore leggere. Saggio sull’etica buddhista.

Antonio Vigilante - Le dimore leggere

Antonio Vigilante

Le dimore leggere

Saggio sull’etica buddhista

ISBN 978–88–7588-291-4, 2021, pp. 336, Euro 28 – Collana “Il giogo” [137].

In copertina: The interior of a Buddhist temple, by John Thomson, 1869.

indicepresentazioneautoresintesi


Nell’immagine in evidenza, a sn.: Rilievo in scisto raffigurante il Buddha, il Vajrapani e alcuni monaci, proveniente da Butkara I (Pakistan) e conservato presso il Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma.


«Non fare ciò che è male / fare ciò che è bene / purificare la propria mente: / questo è l’insegnamento del Buddha», si legge nel Dhammapada, uno dei più influenti testi buddhisti. Stu­diando i testi del Canone del Buddhismo Theravāda, Antonio Vigilante offre in questo saggio una interpretazione dell’etica buddhista quale etica transpersonale, tesa al superamento del soggetto attraversi tre momenti. Il primo è il passaggio da un sé disperso nella molteplicità dei suoi desideri ad un sé solido e centrato, grazie alla meditazione e ad altre pratiche disciplinari che hanno molte affinità con le tecniche filosofiche greche, in particolare dello Stoicismo. Il secondo è l’apertura di questo sé grazie alle dimore divine, i quattro valori fondamentali del Buddhismo: la benevolenza, la compassione, la gioia partecipe e l’equanimità. Il terzo momento, quello del Risveglio, è l’abbandono del sé e, con esso, della stessa etica, con la sua distinzione tra bene e male. Solo quando il superamento del soggetto è completo l’etica si realizza pienamente e al tempo stesso si estingue, poiché trasceso l’io è spenta la possibilità stessa del male.
Centrata sulla negazione della sostanza, l’irrilevanza dell’esistenza del Divino e l’insussistenza del soggetto, la visione del mondo buddhista nega i fondamenti stessi della civiltà occidentale. Ma questi fondamenti, osserva Vigilante, sono venuti consumandosi nel pensiero contemporaneo, da Nietzsche a Sartre, per cui l’etica buddhista sembra indicare oggi una via percorribile da un Occidente in crisi.


Antonio Vigilante vive a Siena. Si occupa di teoria della nonviolenza, pedagogia, filosofia morale e interculturale. Tra i suoi libri: Il Dio di Gandhi (2009), La pedagogia di Gandhi (2010), Ecologia del potere. Studio su Danilo Dolci (2012), L’educazione è pace. Scritti per una pedagogia nonviolenta (2014), A scuola con la mindfulness (2017), La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha (2019). Con Petite Plaisance ha pubblicato: Dell’attraversamento. Tolstoj, Schweitzer, Tagore (2018) e L’essere e il tu. Aldo Capitini in dialogo con Nishitani Keiji, Enrique Dussel e Murray Bookchin (2019).


Indice

Introduzione
Nota
Abbreviazioni

Il Dhamma del Buddha
La via della conoscenza
Filosofia e religione
Un misticismo ateistico
La zattera
Il Buddha e la tradizione indiana
Śramaṇa
Nobili verità
La genesi interdipendente
L’azione
Il nibbāna
Razionale e irrazionale

 

Il sé disperso e il sé dimora
La psicologia buddhista
I pezzi del carro
La nausea
La possibilità della gioia
L’indicibile
Inquinanti

  

Tecnologie del non sé
La cura di sé
Enkrateia
Il Sāṃkhya
Lo Yoga
Una pratica di immersione
Samatha e vipassanā
Lo sforzo
Jhāna
Lo sguardo profondo
Sentieri che si intersecano

 

Una casa sicura
La felicità più alta
Dal quotidiano al sublime
Etica domestica
Non uccidere
Non rubare
La condotta sessuale
Etica della parola
Non assumere sostanze inebrianti
La via verso il riconoscimento
Pacificare le relazioni
Genitori e figli
Maestri e discepoli
Etica coniugale
L’amicizia
Servi ed operai
Asceti e brahmani
Essere inclusivi
Un’etica concreta
Etica e politica

  

La fortezza dei saggi
La via del bhikkhu
Lo sciocco e il saggio
Artigiani di sé
L’amicizia spirituale
Dimore stabili
Le colpe più gravi

Le colpe meno gravi

 

L’apertura

Il dimorare divino
La benevolenza
Controvento
Il dolore, la gioia, il distacco
Porte aperte sul Risveglio
Al di là dei segni
Il sé dono
Oltre il bene e il male
L’abbandono e l’insegnamento

 

Conclusione

Bibliografia


Antonio Vigilante – L’essere e il tu. Aldo Capitini in dialogo con Nishitani Keiji, Enrique Dussel e Murray Bookchin.
Antonio Vigilante – Dell’attraversamento. Tolstoj, Schweitzer, Tagore

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.


Maura Del Serra – In voce. 55 poesie lette dall’autrice, che in video presenta il suo libro.

Maura Del Serra, In voc blog

Maura del Serra presenta il suo libro in video

Maura Del Serra

In voce

55 poesie lette dall’autrice

ISBN 978-88-7588-302-7, 2020, pp. 64,  Euro 12.

indicepresentazioneautoresintesi



Al popolo della pace, la poesia incipitale di questa raccolta, letta da Maura Del Serra nel 2009 in occasione dell’iniziativa 25 TV per 25 guerre, realizzata dall’artista Gerardo Paoletti per “World March” Associazione Mondiale per la Pace, era finora l’unica traccia esistente di interpretazione autoriale dei suoi testi. Adesso, con la selezione di altre 54 poesie, l’autrice offre ai suoi lettori/ascoltatori, un articolato ventaglio della sua produzione poetica, dei temi, luoghi, voci e ritratti in cui l’esperienza personale si fa corale e universale.

Nutrita con intensità empatica e dialogica dalle radici culturali e sapienziali dell’Occidente nel loro intersecarsi con le vene più feconde delle tradizioni orientali, la poesia della Del Serra è percorsa dal costante agonismo tra assolutezza metatemporale della rivelazione e tenebre della violenza storica, solitudine identitaria e unanimismo creaturale, con un ethos appassionato e rigoroso e con una finezza ed originalità stilistica scandita con vibrante emozione anche dalla sua viva voce.

 

Maura Del Serra, poetessa, drammaturga, traduttrice e critico letterario, già comparatista nell’Università di Firenze, ha riunito le sue poesie nei volumi: L’opera del vento e Tentativi di certezza, Venezia, Marsilio, 2006 e 2010; Scala dei giuramenti, Roma, Newton Compton, 2016; Bios, Firenze, Le Lettere, 2020. Tutti i suoi testi teatrali sono pubblicati nei volumi: Teatro e Altro teatro, Pistoia, petite plaisance, 2015 e 2019.

Fra gli autori da lei tradotti dal latino, tedesco, inglese, francese e spagnolo: Cicerone, Shakespeare, Woolf, Mansfield, Tagore, Proust, Weil, Lasker-Schüler, Sor Juana Inès de la Cruz. (www.mauradelserra.com)


Maura Del Serra – Adattamento teatrale de “La vita accanto” di Mariapia Veladiano
Maura Del Serra, Franca Nuti – Voce di Voci. Franca Nuti legge Maura Del Serra.
Intervista a Maura Del Serra. A cura di Nuria Kanzian. «Mantenersi fedeli alla propria vocazione e all’onestà intellettuale, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico»
Maura Del Serra – Il lavoro impossibile dell’artigiano di parole
Maura Del Serra – La parola della poesia: un “coro a bocca chiusa”
Maura Del Serra, «Teatro», 2015, pp. 864
Maura Del Serra – Quadrifoglio in onore di Dino Campana
Maura Del Serra – I LIBRI ed altro
Maura Del Serra – Miklós Szentkuthy, il manierista enciclopedico della Weltliteratur: verso l’unica e sola metafora
Maura Del Serra – Al popolo della pace.
Maura Del Serra – «L’albero delle parole». La mia vita è stata un ponte per centinaia di vite, che mi hanno consumato e rinnovato, per loro libera necessità.
Maura Del Serra – «Altro Teatro», rimanendo fedele alla mia vocazione, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico o alla rassicurante ma snaturante appartenenza a consorterie di potere.
Maura Del Serra – «Lettera agli amici». Apocalissi di una civiltà ingiusta, predatoria, pervasa dalla ybris materialista ed ipertecnologica. Sarà insieme doloroso e salutare, quanto mi auguro inevitabile e consapevole, un mutamento di rotta. Ascoltiamo le voci di chi ci invita ad «aprire la porta che non abbiamo visto».
Maura Del Serra – Ma come ricambiare alla stella la sua luce danzante, all’albero il suo slancio fra due mondi, … alle stagioni i loro ritmici doni …? … Distruggiamo fuori o dentro di noi solamente per scrollare questo debito immenso da portare come Atlante il suo globo terrestre

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.


Mario Vegetti (1937-2018) – Scritti con la mano sinistra. Prefazione di Fulvia de Luise.

Mario Vegetti, Scritti con la mano sinistra

Mario Vegetti

Scritti con la mano sinistra

Prefazione di Fulvia de Luise

Seconda edizione. ISBN 978–88–7588-289-1, 2021, pp. 240, Euro 20 – Collana “Il giogo” [136].
In copertina: Kouros, IV secolo a.C., Atene, Museo Archeologico Nazionale.

indicepresentazioneautoresintesi

I testi qui offerti al lettore si caratterizzano per la loro coerenza, nei suoi due aspetti di insistenza e resistenza. Insistenza, nel senso di continuare tenacemente a porre problemi e domande, senza variare disinvoltamente il punto di vista da cui l’interrogazione viene posta, rifiutando la convinzione secondo la quale le sconfitte storiche sono di per sé la prova di errori nella teoria. E resistenza: che significa accettare i mutamenti imposti dalla riflessione e dalle cose stesse su cui ci si interroga, ma invece rifiutare pentitismi compiacenti, cedimenti corrivi alle mode correnti o alle “luci della ribalta”; restare fedeli, insomma, a ciò che di noi hanno fatto la nostra storia intellettuale e morale, da un lato, la nostra collocazione nel mondo, dall’altro. Scritti con la mano sinistra, appunto. Nel doppio senso che si tratta, da un lato, di scritti marginali, parerga, rispetto al mio impegno professionale di studioso della filosofia antica; dall’altro, di scritti che rispecchiano più direttamente la mia collocazione politica, la mia presa di partito (la scelta “da che parte stare”). “A sinistra”, dunque. Una posizione alla quale mi consegnano la mia tradizione familiare, il mio percorso intellettuale e morale, la mia convinzione di un futuro possibile alternativo alla barbarie che attraversa il nostro tempo e ne minaccia l’orizzonte. La stessa tensione razionale, lo stesso sforzo di comprensione e argomentazione, ispirano e sorvegliano (o almeno dovrebbero sorvegliare) sia il lavoro di ricerca sia la “presa di partito” che coinvolge l’uomo prima che il ricercatore.

Il libro è diviso in tre parti. Nella prima, Tra filosofia e politica, si discutono alcune problematiche filosofiche rilevanti dal punto di vista delle interrogazioni che vengono, in senso lato, dalla politica. Nella seconda, Tra politica e filosofia, l’oggetto di indagine sono le prospettive della politica considerate da un punto di vista filosofico. Nella terza, Fra gli antichi e noi, si torna ad una riflessione sulla società e sul pensiero dell’antichità dal punto di vista delle prospettive filosofico-politiche delineate. Grandi interrogativi, dunque, per piccoli scritti, nell’intento di tenere aperto lo spazio dell’incertezza, di riproporre l’urgenza della riflessione, resistendo sia al cedimento di fronte all’omologazione del pensiero, sia alla rassegnazione di fronte all’estrema durezza dell’epoca. Non si tratta di un compito esclusivo del filosofo, e tanto meno dell’antichista, perché esso coinvolge la responsabilità morale e intellettuale di ognuno.

Mario Vegetti

 

 

Nota bibliografica sull’opera di Mario Vegetti

a cura di Fulvia de Luise

Mario Vegetti (1937-2018) è stato professore emerito di Storia della filosofia antica all’Università di Pavia. Con il suo lavoro scientifico, ha aperto nuovi campi di indagine all’analisi storica e filosofica della cultura antica, diventando protagonista di un rinnovamento tematico e metodologico di eccezionale portata, che si avvaleva, da un lato, della ricezione e dell’elaborazione delle esperienze antropologiche francesi, legate allo strutturalismo e al marxismo, dall’altro del confronto con l’approccio analitico di matrice anglosassone, da cui veniva l’attenzione alla specificità filosofica dei testi antichi e all’attualità delle loro argomentazioni nel contesto del dibattito contemporaneo. La questione del metodo interpretativo ha occupato uno spazio importante nelle diverse fasi della sua attività di studioso, con effetti di particolare originalità nell’applicazione al rapporto con gli antichi, che Vegetti intendeva affrancare dal classicismo e da ogni forma di incauta attualizzazione.
La prima parte del suo percorso è caratterizzata dall’interesse per la dimensione scientifica del pensiero antico, con particolare riferimento alla medicina e alla biologia. Appartengono a questo periodo le traduzioni commentate delle opere di Ippocrate [… continua a leggere cliccando su Nota bibliografica sull’opera di Mario Vegetti a cura di Fulvia de Luise].

***

Fulvia de Luise insegna Storia della Filosofia Antica presso in Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento (clicca qui per la pagina dell’Università a lei dedicata). Dal 1994 al 2007 ha partecipato al seminario di studio sulla Repubblica di Platone, diretto dal prof. Mario Vegetti presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università agli Studi di Pavia, contribuendo con numerosi saggi alla produzione di un commentario dell’opera (pubblicato in sette volumi, tra il 1998 e il 2007, per i tipi della Bibliopolis, Napoli). Tra il 1989 e il 2001 ha svolto un’intensa attività di ricerca sui modelli antropologici ideali nel pensiero antico e sul tema della felicità nel pensiero antico e moderno, pubblicando due monografie, in collaborazione con G. Farinetti (Felicità socratica, Hildesheim 1997; Storia della felicità. Gli Antichi e i moderni, Torino 2001). I suoi studi si sono rivolti inoltre all’interpretazione della scrittura platonica, con particolare riferimento, oltre che alla Repubblica, al Fedro e al Simposio, di cui ha curato edizioni commentate (clicca qui per le pubblicazioni di Fulvia de Luise).

Pubblicazioni di Fulvia De Luise

Fulvia de Luise | University of Trento – Academia.edu

Fulvia de Luise – Un «Paradigma in cielo» di Mario Vegetti. Platone ci insegna a vedere nell’uso del paradigma una forma di educazione del pensiero che taglia i legami collusivi con l’esistente, liberando la capacità di progettare un mondo nuovo.
Silvia Gastaldi, Fulvia de Luise, Gherardo Ugolini, Giusto Picone – ** MARIO VEGETTI e DIEGO LANZA **, In ricordo di una amicizia filosofica.

 


Indice

 

Fulvia de Luise

Prefazione

Breve nota bibliografica sull’opera di Mario Vegetti

Scritti con la mano sinistra

 

Avvertenza

Premessa

Tra filosofia e politica

Potenza dell’astrazione e sapere dei soggetti

Per un lavoro filosofico

La polis, il filosofo e i poteri

Un viaggio di mille anni. Tre questioni filosofiche

Tra politica e filosofia

Per una politica dei comunisti: problemi teorici

L’Ottobre dopo la sconfitta.

Le ragioni della Rivoluzione sovietica agli inizi del XXI secolo

Note sulla guerra

Appendice: Sulla discussione intorno alla “violenza”

e alla “rinuncia alla violenza”

Non c’è passato senza futuro

Tra gli antichi e noi

Marxismo e mondo antico: una prospettiva

Marx e l’antico: una storia impossibile

L’ermeneutica del soggetto. Foucault, gli antichi e noi

Platone politico nel Novecento

Comunità giusta, politica dell’anima

e dimensione dell’utopia in Platone

Il fascino del tiranno

Indice dei nomi


Mario Vegetti – La filosofia e la città: processi e assoluzioni .
Mario Vegetti – Il lettore viene introdotto a una sorta di visita guidata in uno dei più straordinari laboratori di pensiero politico nella storia d’Occidente.
Mario Vegetti e Francesco Ademollo – Incontro con Aristotele: la potenza del suo pensiero è ancora in grado di parlarci.
Mario Vegetti – Il coltello e lo stilo. Animali, schiavi, barbari e donne alle origini della razionalità scientifica.
Mario Vegetti (1937-2018) – «Scritti sulla medicina galenica». Il volume raccoglie i principali scritti su Galeno e sul Galenismo composti da Mario Vegetti in circa un cinquantennio di attività.
Mario Vegetti (1937-2018) – Il tempo, la storia, l’utopia. Cè il tempo dell’utopia, cioè della realizzazione della kallipolis attuata. L’avvento della kallipolis rappresenta un’esigenza necessaria come intenzione di governare il disordine, ma esso è improbabile (non però, per le stesse ragioni, impossibile).
Mario Vegetti (1937-2018) – Il sognatore che pensa,  il pensatore che sogna nel «Racconto del Saggio del Capitale».
Mario Vegetti (1937-2018) – Mario Vegetti a due anni dalla morte ci lascia alcuni messaggi. Tenere aperto lo spazio dell’incertezza. Resistere al cedimento di fronte all’omologazione del pensiero. Resistere alla rassegnazione di fronte all’estrema durezza dell’epoca. Rifiutare pentitismi compiacenti, cedimenti corrivi alle mode correnti o alle “luci della ribalta”. Restare fedeli, insomma.
Berti, L. Canfora, B. Centrone, F. Ferrari, F. Fronterotta, S. Gastaldi – «La filosofia come esercizio di comprensione. Studi in onore di Mario Vegetti». Introduzione di G. Casertano e L. Palumbo
Mario Vegetti (1937-2018) – È attraverso il linguaggio, e non attraverso i sensi, che la verità si presenta all’anima. La parte essenziale dell’uomo è l’anima. È l’anima del concreto soggetto vivente a giocare un ruolo centrale nella morale socratica.
Mario Vegetti (1937-2018) – La felicità ha bisogno di durata e di costanza ed esige una prassi tenacemente virtuosa.
Mario Vegetti (1937-2018) – Il dominio e la legge. La «Costituzione degli Ateniesi» è un testo violento, sia nel suo apparato teorico sia nel suo atteggiamento di fronte al sociale.
Mario Vegetti (1937-2018) – Ha mostrato come fosse possibile mantenere un nitido profilo di pensiero, invariante nel suo assetto di fondo, sviluppando al tempo stesso in direzioni diverse le sue potenzialità di ricerca.
Silvia Gastaldi, Fulvia de Luise, Gherardo Ugolini, Giusto Picone – ** MARIO VEGETTI e DIEGO LANZA **, In ricordo di una amicizia filosofica.
Mario Vegetti (1937-2018) – L’idraulica platonica dei flussi di energia psichica contribuisce a chiarire il senso dell’elevarsi nella ricerca di contenuti veritativi: si tratta di chiudere un possibile canale per costringere questa energia a defluire verso scopi più alti, a beneficio dell’anima intera e non di una sola sua parte.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.


Sergio Arecco – Quando il cinema era giovane. I fantasmi dell’opera, i fantasmi all’opera.

Sergio Arecco 004

Sergio Arecco

Quando il cinema era giovane. I fantasmi dell’opera, i fantasmi all’opera

ISBN 978–88–7588-287-7, 2021, pp. 232, Euro 20 – Collana “Il pensiero e il suo schermo” [6].

In copertina: Andreij Tarkovskij, Solaris (1972): Kris e il fantasma della moglie Hari. Nel taglio basso di copertina fotogrammi da: Un chien andalou (L. Buñuel) – Big Eyes (T. Burton) – La promessa dell’assassino (D. Cronenberg) – Teresa Venerdì (V. De Sica) – Millennium. Uomini che odiano le donne (D. Fincher) – Les carabiniers (J.-L. Go­dard) – Zatoichi (T. Kitano) – Turner (M. Leigh) – Porcile (P.P. Pasolini) – I racconti di Canterbury (P.P. Pasolini) – Racconto d’inverno (É. Rohmer) – Arca russa (A. Sokurov) – Sacrificio (A. Tarkovskij) – Melancholia (L. von Trier).

indicepresentazioneautoresintesi

Che cosa è successo? Perché un titolo come il nostro: Quando il cinema era giovane? È successo che è cambiato e sta cambiando tutto quanto, nelle funzionalità del cinema. Intendiamoci. Non è affatto un male. L’ampliamento smisurato della ricezione video e della potenzialità diffusionale della tecnologia digitale ha reso inevitabile un fenomeno di tale portata, la cui entità si misurerà in termini ancor più espansivi nell’immediato futuro, quantomeno in quello prevedibile. La qualità del prodotto è oggi altissima. Sicuramente innovatrice del linguaggio visivo e delle modalità espressive del mezzo – ancora e sempre, nel XXI secolo come un secolo fa, il mezzo è il messaggio. E non è affatto una manifestazione di rincrescimento, la nostra. È una constatazione, elementare e necessaria, di una mutazione epocale. Infatti, quando il cinema era giovane, l’opera passava comunque, in prima istanza, per la sala. Oggi non più, o solo parzialmente. Perché oggi essa arriva perlopiù allo spettatore tramite video o addirittura tramite smartphone. Il che cambia tutto nel rapporto del pubblico, chiamiamolo ancora così, con lo schermo e ciò che questo rappresenta, anche in termini di interlocutore adibito alla ricezione del film. Non solo. Oggi molte opere vengono realizzate a priori in digitale, con un semplice smartphone e tutti gli effetti speciali che si desiderano, nonché una molteplicità di soluzioni e invenzioni finora impensabili. Già tre anni fa, Unsane è stato girato da Steven Soderbergh con un iPhone apposito, e ha richiesto appena una settimana di ‘lavorazione’. Ebbene, Unsane è un gioiello. Meccanico? Sì, meccanico.

Qui si parla di: Un chien andalou (L. Buñuel), Big Eyes (T. Burton), La promessa dell’assassino (D. Cronenberg), Teresa Venerdì (V. De Sica), Millennium. Uomini che odiano le donne (D. Fincher), Les carabiniers (J.-L. Godard), Zatoichi (T. Kitano), Turner (M. Leigh), Porcile (P.P. Pasolini), I racconti di Canterbury (P.P. Pasolini), Racconto d’inverno (É. Rohmer), Arca russa (A. Sokurov), Sacrificio (A. Tarkovskij), Melancholia (L. von Trier), Solaris (A. Tarkovskij).

Sergio Arecco, insegnante e studioso di cinema, collaboratore delle principali riviste del settore, può vantare nel suo curriculum una decina di monografie su registi e attori tra i più diversi – da Pasolini, di cui è stato il primo esegeta, a Ôshima, da Cassavetes a Lucas, da Markopoulos a Bergman, su cui ha discusso la tesi di laurea nel 1968, da Resnais e Bresson a Dietrich e Brando, per editori come Il Castoro, Le Mani, Bulzoni, Ets – e una nutrita serie di volumi a tema, tra cui Il paesaggio del cinema, vincitore del premio “Maurizio Grande”, e Anche il tempo sogna. Quando il cinema racconta la storia, vincitore del premio “Umberto Barbaro”. Ha inoltre collaborato, tra l’altro, al Dizionario critico del film Treccani e al Dizionario dei registi del cinema mondiale Einaudi. Per la Cineteca di Bologna ha scritto un ampio repertorio del corto sonoro: Il cinema breve. Da Walt Disney a David Bowie, con prefazione di Goffredo Fofi. E per Petite Plaisance ha già pubblicato nel 2019 Fisica e metafisica del cinema. Svolge anche, da più di vent’anni, un’intensa attività di traduttore per le maggiori case editrici: Einaudi, Mondadori, Bompiani, attualmente La nave di Teseo.

Sergio Arecco – La durevole passione per il cinema con i miei libri in questi ultimi cinquanta anni.
Sergio Arecco – Fisica e metafisica del cinema. Il battle study dal muto al digitale

“Ben oui si on filme pas c’est pas du cinéma.”
“Des conneries! Le cinéma c’est bien avant qu’on filme.
Là cette bouteille elle a pas besoin d’être filmée
pour être du cinéma” .

François Bégaudeau, La blessure la vraie, 14 (2011)

***

317 ISBNSergio Arecco

Fisica e metafisica del cinema. Il battle study dal muto al digitale

ISBN 978-88-7588-253-2, 2019, pp. 224, Euro 20
Collana “il pensiero e il suo schermo”

indicepresentazioneautoresintesi

*****

«Nulla può darsi in qualunque situazione bellica senza l’esatta conoscenza dell’elemento di fondo: l’uomo e la sua morale». È quanto scrive lo stratega Ardant du Picq, morto in battaglia (Longeville-lès-Metz, guerra franco-prussiana), nell’incompiuto Études sur le combat, noto come  Battle Studies, ancora oggi testo di riferimento per chiunque intenda misurarsi con il tema del combattimento in pace o in guerra. Sì, anche in pace. Non sempre, infatti, si tratta di guerra guerreggiata, tra opposti eserciti. Leggendo, nel corso del volume, i capitoli su Napoli o Boston o Parigi, alternati con quelli sulla Grande Guerra o il Vietnam o la Cecenia, il lettore viene infatti chiamato a condividere una visuale complessiva – tipica del cinema, che del tema ha fatto uno dei suoi punti di forza – della nozione etica di conflitto in senso lato. Perché la qualità del grande cinema sta appunto nel suo innalzare, in virtù dell’immagine-movimento, un evento fisico come la battaglia a evento metafisico, a proprietà estetica, tale da esaltarne i principi della metafora e della metonimia, del latente e del manifesto, del connubio tra reale e immaginario. In Fisica e metafisica del cinema. Il battle study dal muto al digitale, l’Autore percorre, attraverso l’analisi di film di ogni epoca, da Charlot soldato a Dunkirk, l’evoluzione di un topos narrativo che ha nutrito la storia della settima arte.

*****

Indice

Nota di percorso

Antoine o la guerra degli ultimi
Napoli o la guerra dei vicoli
Westfront o la guerra delle ombre
Dunkirk/Dunkerque o la guerra degli idiomi
London (blitz) o la guerra dei bambini
Northern o la guerra delle identità
Vietnam o la guerra dei mondi
Boston o la guerra dei sobborghi
Caucaso o la guerra dei paesaggi
Cartoonia o la guerra dei simboli
Parigi o la guerra dei simulacri
Pier Paolo o la guerra delle figure

 Appendice:
Alain/Ingmar/Theo/Jean-Luc/Elisabetta/Marco o la guerra delle fedi

 Indice dei nomi e delle opere

***

Sergio Arecco, insegnante e studioso di cinema, collaboratore delle principali riviste del settore, può vantare nel suo curriculum una decina di monografie su registi o attori tra i più diversi – da Pasolini, di cui è stato il primo esegeta, a Oshima, da Cassavetes a Lucas, da Markopoulos a Bergman, su cui ha discusso la tesi di laurea nel 1968, da Resnais e Bresson a Dietrich e Brando, per editori come Il Castoro, Le Mani o Bulzoni – e una nutrita serie di volumi a tema: da Il paesaggio del cinema, vincitore del premio “Maurizio Grande”, a Anche tempo sogna. Quando il cinema racconta la storia, vincitore del premio “Umberto Barbaro”, da Le città del cinema a Il vampiro nascosto, perlopiù pubblicati da Le Mani. Ha inoltre collaborato al Dizionario critico dei film Treccani e al Dizionario dei registi del cinema mondiale Einaudi. Da ultimo ha pubblicato, per la Cineteca di Bologna, un ampio repertorio del corto sonoro: Il cinema breve. Da Walt Disney a David Bowie. Dizionario del cortometraggio 1928-2015, con la prefazione di Goffredo Fofi.


Il cinema breve

Il cinema breve

Sergio Arecco

Il cinema breve.
Da Walt Disney a David Bowie.
Dizionario del cortometraggio (1928-2015)

Editore Cineteca di Bologna, 2016

Oltre duecento corto e mediometraggi esemplari, selezionati e analizzati dalla perizia critica di Sergio Arecco, compongono nelle pagine di questo libro un’autentica storia parallela del cinema. Una storia che parte dalle origini del sonoro e senza soluzione di continuità arriva fino a noi, una corrente continua di multiformi invenzioni che ci conduce dallo Steamboat Willie di Walt Disney al Blackstar di David Bowie. Film d’avanguardia, film narrativo, film d’animazione, autobiografia, provocazione intellettuale, opera prima e pezzo unico, esordio ed epitaffio, contaminazione estrema e cinema puro. Concentrazione, divagazione, episodio, appunto, colpo d’occhio. Truffaut e Warhol, Antonioni e Park Chan-wook, D.A. Pennebaker e Björk, Shirley Clarke e Dino Risi, Buñuel e Tex Avery, Pasolini e Justin Lin, Mishima e Scorsese, Beckett e Monicelli, Lynch e Miyazaki. Certo, il cinema breve vive spesso di vita segreta. Compaiono nel repertorio anche nomi poco frequentati, titoli misteriosi, e sta forse qui il più forte richiamo di questo dizionario: nel suo proporsi come miniera di scoperte, di film così ben raccontati che avremo voglia di cercarli e di vederli, e che entreranno a far parte del nostro bagaglio cinefilo, della nostra storia personale.


1972_Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini

Sergio Arecco

Pier Paolo Pasolini

Partisan Edizioni , 1972

Dedicato alle opere di Pier Paolo Pasolini. Pubblicato nel 1972 dalla casa editrice romana «Partisan» in una collana che ospitava, tra l’altro, un saggio di Bordiga su Lenin, un libello di Cabral intitolato Guerriglia: il potere delle armi, una monografia su Godard di Moscariello e Dibattito su Rossellini a cura di Gianni Menon. Il volume comprende una Conversazione con Pier Paolo Pasolini a cura di Sergio Arecco.

Indice

In limine
Staticità dei contenuti: un mondo a metà?
La cultura e la sua rivalsa estetica
Vita come pretestualità della morte: la tecnica fondante e globale
«Tutto il mio folle amore…»: l’io epico
La cronaca ideologica e quella filmica
Biofilmografia


Thodoros Anghelopulos0

Thodoros Anghelopulos

Sergio Arecco

Thodoros Anghelopulos

Il Castoro Cinema, La Nuova Italia , 1978

Storia e mitologia, metafora ed emozione si fondono nell’opera di un grande regista dallo stile rigoroso: La recita (1975), Il volo (1986) e il Leone d’argento Paesaggio nella nebbia (1988).


Nagisa Oshima

Nagisa Oshima

Sergio Arecco

Nagisa Ōshima

Il Castoro Cinema, La Nuova Italia , 1979

Regista scomodo, non solo in patria, per il radicalismo ideologico ed espressivo. Dei suoi film duri e violenti, i più noti sono La cerimonia (1971) ed Ecco l’impero dei sensi (1976).


John Cassavetes

John Cassavetes

Sergio Arecco

John Cassavetes

Il Castoro Cinema, La Nuova Italia , 1981

John Cassavetes (New York, 1929 – Los Angeles, 1989) ha “inventato” l’idea stessa di cinema indipendente. La sua produzione, così coerente e refrattaria a ogni compromesso, ha rappresentato un’inesauribile fonte d’ispirazione per cineasti di tutto il mondo. Il suo stile asciutto, diretto e nervoso gli ha permesso di scavare meglio di chiunque altro tra le emozioni e i turbamenti dei suoi personaggi.
Tra i suoi film: Ombre (1959), Volti (1968), Una moglie (1975), La sera della prima (1977), Gloria – Una notte d’estate (1980).

John Cassavetes

John Cassavetes

Sergio Arecco

John Cassavetes

Il Castoro Cinema, 2009


George Lucas_b

George Lucas

Sergio Arecco

George Lucas

Il Castoro Cinema, 1995

Nasce a Modesto, California, nel 1944. Regista e produttore di genio. Ha dato vita a una scuola di effetti speciali, divenuta centro di produzione: la Industrial Light and Magic. Con le sue Guerre stellari (1977-1983) la fantascienza ha scoperto nuovi confini.

1995_George Lucas

George Lucas


1997_Alain Resnais

Alain Resnais

Sergio Arecco

Alain Resnais o la persistenza della memoria

Le Mani-Microart’S, 1997, 2014


1998_Rober Bresson

Robert Bresson

Sergio Arecco

Robert Bresson. L’anima e la forma

Le Mani-Microart’S, 1998


2000_Igmar Bergman. Segreti e magie

Igmar Bergman

Sergio Arecco

Igmar Bergman. Segreti e magie

Le Mani-Microart’S, 2000


2002_Il paesaggio del cinema

Il paesaggio del cinema

Sergio Arecco

Il paesaggio del cinema. Dieci studi da Ford ad Almodovar

Le Mani-Microart’S, 2002


2003_Il vampiro nascosto

Il vampiro nascosto

Sergio Arecco

Il vampiro nascosto. Suggestioni e dipendenza nel cinema

Le Mani-Microart’S, 2003, 2014


2004_Anche il tempo sogna

Anche il tempo sogna

Sergio Arecco

Anche il tempo sogna. Quando il cinema racconta la storia

ETS, 2004

Trenta film considerati esemplari del rapporto tra cinema e storia. Dai primi capolavori di Griffith – “Nascita di una nazione” – Ejzenstejn – “Ottobre” o Chaplin – “Il grande dittatore” – il volume traccia un itinerario completo, dal cinema classico al cinema contemporaneo, passando per esperienze anche eccentriche come “Hitler” di Syberberg o “Heimat” di Reitz. L’autore studia le forme e le modalità di realizzazione dei primi kolossal, le loro dinamiche interne, il loro impatto sul pubblico e le loro possibili valenze propagandistiche.


2005_Marlene Dietrich

Marlene Dietrich

Sergio Arecco

Marlene Dietrich. I piaceri dipinti

Le Mani-Microart’S, 2005


2007_Marlon Brando

Marlon Brando

Sergio Arecco

Marlon Brando. Il delitto di invecchiare

Le Mani-Microart’S, 2007


2009_Cinema e paesaggio

Cinema e paesaggio

Sergio Arecco

Cinema e paesaggio. Dizionario critico da “Accattone” a “Volver”

Le Mani-Microart’S, 2009, 2014

Dizionario critico in cento film, dalla A alla Z; dalle origini del cinema a oggi; da Il dottor Mabuse (Fritz Lang, 1922-23) a Gomorra (Matteo Garrone, 2008), passando per Via col vento (Victor Fleming, 1939) o Hiroshima, mon amour (Alain Resnais, 1959). Il filo conduttore del libro è il paesaggio del cinema che non è mai sfondo o contorno illustrativo, ma presenza viva, interlocutore privilegiato e speculare ai personaggi, complemento insostituibile alla loro articolazione narrativa e alla loro storia. Il paesaggio con i suoi punti fermi e i suoi punti di fuga, i suoi margini e i suoi sconfinamenti. Il suo filo più segreto e più intimo, è quello delle frontiere del visibile che si spostano, dei confini che non si lasciano definire, che fanno avanzare sempre un po’ di più i loro margini e le loro soglie. In una parola, è quello dello sconfinamento. Un concetto che, pur traendo ispirazione dal cinema di paesaggio, investe il cinema in sé, la sua dinamica, la sua grammatica e la sua sintassi: il paesaggio come una componente intrinseca, peculiare, del cinema, comparabile, per la sua funzione essenziale, alla recitazione degli attori o alla costruzione delle sequenze o alla dinamica del montaggio, vale a dire a quei fondamentali che fanno, materialmente e idealmente, un film. Qualcosa di più, dunque, di una nozione estetica. Quasi una filosofia (se la parola non fosse troppo grossa). Qualcosa che ha a che fare con la vita, con il suo perenne divenire.


2010_Le città del cinema

Le città del cinema

Sergio Arecco

Le città del cinema. Da Metropolis a Hong Kong

L’Epos, 2010

Metropolis e Hong Kong: due città, due icone, una vera e una immaginaria, che solo il cinema ha reso effettivamente reali; paradigmi del moderno e di sé stesse, reinventate dalla mitologia cinematografica e riplasmate come metropoli “assolute”; città virtualmente invisibili o inesistenti chiamate a vivere e a essere sé stesse solo dall’occhio della telecamera che ne legittima l’esistenza e concede loro uno statuto di visibilità.


2013_Le anatomie dell'invisibile

Le anatomie dell’invisibile

Sergio Arecco

Le anatomie dell’invisibile. Il cinema raccontato con il cinema

Città del silenzio, 2013

Sullo sfondo di un cinema che riflette su se stesso – attraverso i generi, gli interpreti o i registri espressivi – l’autore prende in esame alcuni temi, ricomposti in una struttura unitaria e omogenea: la voce fuori campo, il sogno, la favola, la dimensione urbana contrapposta a quella extraurbana, la sessualità. Con una nota di René de Ceccatty.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

Presentazione del volume: «Recitare il tempo. Le voci della “Heimat” di Edgar Reitz». Giovedì 1 luglio, alle ore 21, presso la sede del Museo Etnografico, Piazza della Gambarina 1, Alessandria. Collegatevi oggi al link: https://fb.me/e/12KmGZvvI

Rossi Barbara - Edgar Reitz 01

Qui sotto link di collegamento all’evento on line di presentazione del libro “Recitare il tempo. Le voci della Heimat di Edgar Reitz”, che avrà luogo oggi, 29 giugno, alle ore 18 sulla pagina FB dell’Associazione Museo Nazionale del Cinema di Torino. Sarà presente Henry Arnold.

Barbara Rossi

https://fb.me/e/12KmGZvvI
Comunicato stampa  

Presentazione del volume
Recitare il tempo.
Le voci della Heimat di Edgar Reitz

Giovedì 1 luglio, alle ore 21,

l’Associazione di cultura cinematografica e umanistica La Voce della Luna, in collaborazione con il Museo Etnografico “C’era una volta”, il Comune di Alessandria, Alegas e FIC (Federazione Italiana Cineforum), presenta “Recitare il tempo. Le voci della Heimat di Edgar Reitz” (edizioni Petite Plaisance), il nuovo saggio a tema cinematografico di Barbara Rossi, media e film educator, studiosa di cinema e giornalista.
Dopo “Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo” (Bietti, 2019), l’autrice approfondisce alcuni temi già parzialmente affrontati nel volume precedente, dedicato a uno dei più prestigiosi registi del Nuovo Cinema Tedesco degli anni Sessanta, arricchendo e completando la sua prospettiva critica attraverso interviste esclusive con Edgar Reitz e con gli attori protagonisti della saga di “Heimat” (definita da alcuni ‘la madre di tutte le serie’), da Salome Kammer a Henry Arnold a Marita Breuer.
Impreziosiscono il volume la prefazione a cura di Henry Arnold, l’introduzione di Cristina Jandelli, studiosa del divismo cinematografico e docente di cinema all’Università di Firenze, la postfazione di Sergio Arecco, critico cinematografico e traduttore, e un’appendice di Michele Maranzana, docente di filosofia e dirigente scolastico del Liceo “Amaldi” di Novi Ligure.
La presentazione, a ingresso libero previa prenotazione a causa del numero limitato dei posti disponibili, avrà luogo – nel rispetto delle norme sanitarie in vigore – presso la sede del Museo Etnografico, Piazza della Gambarina 1, Alessandria.
Con l’Autrice saranno presenti il prof.  Sergio Arecco e il prof. Michele Maranzana.

Info e prenotazioni: tel. 340/9418376

www.voceluna.altervista.org; www.museodellagambarina.com

Fb:/VoceLuna/; FB:/museogambarina/

Voci sempre più potenti e – a tratti – minacciose si moltiplicano nella Germania e nell’Europa di oggi, solcate da fratture, violenze ed estremismi in chiave nazionalista che sembravano ormai appartenere al passato.

“Recitare il tempo. Le voci della Heimat di Edgar Reitz” risulta, in questa prospettiva, un testo di grande attualità, la cui riflessione si spinge ben oltre la dimensione propriamente cinematografica, per condurre il lettore e, insieme, lo spettatore a inoltrarsi nei meandri del Tempo, della Storia, della memoria, di tutto ciò che – anche in chiave esistenziale e filosofica – ci fonda e viene da noi dotato di senso.

Come sostiene Henry Arnold: «Il tempo è un fenomeno inspiegabile. Il tempo è vita e la vita è un viaggio verso la fine del tempo. Quello che stiamo vivendo diventa qualcosa che abbiamo vissuto. Tempo si trasforma subito in tempo passato. […] È il grande merito di questo libro non solo evidenziare e riaccendere un aspetto essenziale della trilogia di “Heimat”, ma anche mantenere vivo il film. E quindi è stato un onore e un piacere per me far parte di questo libro, oggi, nell’anno 2021. […] Il ‘tempo delle prime canzoni’ è ormai passato. […] Il ‘buon tempo antico’ è un’altra chimera. I film di Edgar Reitz, invece – così si spera – rimarranno».

Quanto prezioso e irrimediabilmente perduto sia ogni secondo della nostra vita, solo un film ce lo può mettere davanti agli occhi. Solo nel momento in cui qualcuno ci ha raccontato la nostra storia, come la storia del nostro battito del cuore, sappiamo chi siamo. […] Il tempo di solito lavora contro di noi, contrasta i nostri piani, manda a monte i progetti e pone un limite alla felicità di ognuno. L’arte cinematografica è figlia della tecnica e il prodotto di un mondo senza Dio […]: visto che viviamo nel secolo che ci ha regalato la macchina del tempo, allora vogliamo anche utilizzarla per strappare al flusso del tempo pezzi del suo bottino. Proprio in quanto uomini non religiosi, noi registi vogliamo lasciare le nostre tracce nell’universo-tempo, vogliamo conferire durata agli istanti della vita. “Verweile doch, du bist so schön” si dice con struggente desiderio nel Faust di Goethe.

Edgar Reitz, Film e tempo, 2006

Barbara Rossi

Recitare il tempo. Le voci della Heimat di Edgar Reitz

Prefazione di Henry Arnold. Introduzione di Cristina Jandelli.
Postfazione di Sergio Arecco.

In Appendice:
Michele Maranzana, Reitz e la macchina del tempo: appunti per un itinerario filosofico.

ISBN 978–88–7588-279-2, 2021, pp. 208,  Euro 20 – Collana “Il pensiero e il suo schermo” [5].

In copertina: Un’immagine emblematica di Edgar Reitz sul set.

indicepresentazioneautoresintesi

«La trilogia di Heimat, il romanzo familiare dal respiro epico e, insieme Bildungsroman, sterminata narrazione dove la ‘cronaca’ si intreccia alla finzione, la microstoria alla macrostoria, le memorie e i destini individuali a quelli collettivi, è anche un ineffabile palinsesto sull’arte di raccontare: quella capacità narrativa definita dal nonno ferroviere – lui non aveva una teoria per la sua arte di narrare e tuttavia era fermo nei suoi principi: i luoghi dell’azione dovevano essere reali […], i protagonisti dei suoi racconti avanzavano la pretesa di essere vissuti davvero – che Edgar Reitz ricorda con affetto, basandola su un principio di verità» (Barbara Rossi, Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo, Bietti, Milano 2019, p. 20).


Barbara Rossi, media educator e studiosa indipendente, è laureata in Storia e Critica del Cinema presso l’Università degli Studi di Torino; presidente dell’Associazione di cultura cinematografica e umanistica “La Voce della Luna” di Alessandria, con la quale propone corsi e rassegne sulla storia e il linguaggio del cinema, è vicepresidente della FIC (Fede­razione Italiana Cineforum). Ha organizzato incontri di formazione riservati ai docenti per il Museo Nazionale del Cinema di Torino e ha collaborato con il gruppo di ricerca “Memofilm, la creatività contro l’Alzheimer”, facente capo alla Cineteca di Bologna.

Giornalista pubblicista, ha curato la rubrica Le lune del cinema per la rivista “Cineforum”, con la quale attualmente collabora. Suoi saggi di argomento cinematografico sono stati pubblicati in diversi volumi antologici: nel 2015 è uscito, per l’editore Le Mani, il volume Anna Magnani, un’attrice dai mille volti tra Roma e Hollywood; nel 2019, all’interno della collana Bietti Heterotopia, Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo. Cura annualmente, in collaborazione con l’Associazione Culturale Italo-Tedesca di Alessandria, una rasse­gna che porta sul grande schermo il meglio della produzione cinematografica tedesca contemporanea. Ha organizzato, in collaborazione con l’Università delle Tre Età di Alessandria, la proiezione della trilogia di Heimat di Edgar Reitz.


«Il racconto-fiume seriale di Edgar Reitz impiega personaggi-attori che compongono la Heimat degli spettatori. Una patria di finzione disseminata di figure che si rincorrono nei primi tre cicli e infine, in Heimat-Fragmente: Die Frauen (2006), viene sostituita dalla soggettività della protagonista, Lulu, che incorpora frammenti dell’opera-mondo come atti di memoria filmica riattualizzata. Per comprendere chi sono i principali attori di Heimat e cosa fanno in questo grande ciclo, che abbraccia (e oltrepassa) l’arco cronologico 1919-2000, occorre, come fa Barbara Rossi nel suo saggio introduttivo, ricordare sia la loro formazione che ripercorrerne le biografie artistiche: tutte si definiscono infatti a partire dall’incontro con Edgar Reitz».

Cristina Jandelli


«Il tempo è un fenomeno inspiegabile. Il tempo è vita e la vita è un viaggio verso la fine del tempo. Quello che stiamo vivendo diventa qualcosa che abbiamo vissuto. Tempo si trasforma subito in tempo passato. Gone … Il film ha lo scandaloso privilegio di uscire dal tempo. Per giocarci, accelerarlo o fermarlo, a suo piacimento. Il film è tempo compresso: le lunghe 26 ore di Zweite Heimat corrispondono – in realtà – a 10 anni. Il film salta, omette e scorre in avanti, per fermarsi all’improvviso. In un momento, un attimo “così bello…”; oppure doloroso. E può fare anche di più: rende il tempo ripetibile. Detto in modo diverso, fa fermare completamente il tempo. Il ventenne Hermann Simon è ancora tra di noi. Il film non invecchia. Invecchia solo attraverso noi spettatori. Incontra in noi un‘altra vita e diventa, così, un altro film. Rimane lo stesso e tuttavia emerge sempre di nuovo. Ma deve essere visto. Se il film non viene visto, muoiono anche Maria, Clarissa o Hermann. È il grande merito di questo libro non solo evidenziare e riaccendere un aspetto essenziale della trilogia di Heimat, ma anche mantenere vivo il film. E quindi è stato un onore e un piacere per me far parte di questo libro, oggi, nell’anno 2021. Come mi ero amalgamato con la figura di Hermann Simon 30 anni fa, così sono uno spettatore oggi. Hermann può essere vivo, l’Henry Arnold di allora non esiste più. Il “tempo delle prime canzoni” è ormai passato. […] Il “buon tempo antico” è un’altra chimera. I film di Edgar Reitz, invece – così si spera – rimarranno».

Henry Arnold


Barbara Rossi, profonda studiosa del regista tedesco, nonché sperimentata didatta del linguaggio cinematografico, mette, all’inizio della sua riflessione, e fin già dal bellissimo sottotitolo della sua monografia, Uno sguardo fatto di tempo, immediatamente le carte in tavola. Il lettore deve familiarizzare senza indugi con la materia oggetto d’indagine. E deve riconoscere che un lavoro su Reitz non potrà non essere dedicato, in buona parte, all’opera monstrum della sua filmografia, a quell’Heimat che non solo lo ha fatto scoprire al mondo, ma che ha costituito, con le sue dimensioni abnormi – tre parti rispettivamente di 11, 13, 6 episodi, 15h40’ + 25h32’ + 11h32’, più un prologo, un epilogo con Heimat. Frammenti. Le donne e una quarta parte in funzione di prequel, L’altra Heimat. Cronaca di un sogno, alquanto sui generis –, un’esperienza unica, per l’autore come per lo spettatore, nonché un passaggio decisivo nella storia del cinema contemporaneo.

Sergio Arecco


Una esperienza umana fondamentale, quella del tempo: in fondo, viviamo dentro cicli e mutamenti. Qualcosa torna a noi e si ripete, come le stagioni, qualcosa scorre via in maniera irreversibile, come i giorni della nostra vita. Intuiamo collettivamente qualcosa come eterno e qualcosa come caduco, oscuramente sentendo che siamo contenuti e circondati dal tempo. Siamo impastati di tempo. Un tempo imperioso, che si impone alla nostra maniera di stare al mondo, a tal punto da renderci indispensabile pensarlo e cercare di dominarlo. Facciamo calendari e orologi, sogniamo macchine del tempo e sviluppiamo filosofie e fisiche del tempo. Eppure non riusciamo a sottrarci al suo potere, mentre la stessa sconfitta travolge il pensiero raziocinante e sistematico della filosofia e della scienza, questa medicina teoretica dell’angosciosità fondamentale della condizione umana, che nel suo pensare il tempo si scontra con aporie insanabili, dove soluzioni opposte all’interrogativo su che cosa esso sia si fronteggiano eternamente senza possibilità di vittoria.
Cos’ha a che fare il cinema di Edgar Reitz con questo? Tutto. Lo ha in primo luogo in quanto cinema, quindi in quanto cinema di Reitz, regista di cui è stato detto che ha «un meraviglioso sguardo fatto di tempo, intessuto di memorie private e collettive, di racconti veri o fittizi, di storie e di Storia» (Barbara Rossi, Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo, Bietti, Milano 2019, p. 209).

Michele Maranzana


Per diffondere la cultura: cinematografica, letteraria, filosofica, artistica…

A cura di Barbara Rossi

Giancarlo Chiariglione, Le forme informi della frontiera. Lo sguardo del cinema western sulla storia americana.

ISBN 978-88-7588-221-1, 2018, pp. 112, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [1]. In copertina: Il giudice E. Cotton Winchell sulla cima del monte californiano a cui diede il suo nome nel 1888: incarnazione dell’autentico “uomo del Wild West”.

indicepresentazioneautoresintesi

 


Alessandro Alfieri, Dal simulacro alla Storia. Estetica ed etica in Quentin Tarantino.

ISBN 978-88-7588-218-1, 2018, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [2]. In copertina: Il volto di Django Freeman (Jamie Foxx) in una scena del film Django Unchained, 2012, scritto e diretto da Q. Tarantino.

indicepresentazioneautoresintesi


Sergio Arecco, Fisica e metafisica del cinema. Il battle study dal muto al digitale.

ISBN 978-88-7588-253-2, 2019, pp. 224, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [3]. In copertina: Charlie Chaplin, Charlot soldato (Shoulder Arms), 1918, fotogramma.

indicepresentazioneautoresintesi


Giangiuseppe Pili, Anche Kant amava Arancia meccanica. La filosofia del cinema di Stanley Kubrick.
Prefazione di Silvano Tagliagambe.

ISBN 978-88-7588-230-3, 2019, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [4]. In copertina: Stanley Kubrick sullo sfondo di una sequenza di 2001. Odissea nello spazio, con l’astronauta David Bowman (interpretato da Keir Dullea). In quarta: il monolito nero.

indicepresentazioneautoresintesi


Barbara Rossi, Recitare il tempo. Le voci della Heimat di Edgar Reitz. Prefazione di Henry Arnold. Introduzione di Cristina Jandelli. Postfazione di Sergio Arecco. In Appendice: Michele Maranzana, Reitz e la macchina del tempo: appunti per un itinerario filosofico.

ISBN 978–88–7588-279-2, 2021, pp. 208, formato 140×210 mm, Euro 20 – Collana “Il pensiero e il suo schermo” [5]. In copertina: Un’immagine emblematica di Edgar Reitz sul set.

indicepresentazioneautoresintesi


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.


Michelangelo Bovero – L’ideologia (neo)liberista concepisce il mercato come una sorta di istituzione suprema e sovrana, e promuove a valore assoluto un’idea di libertà che tende a confondersi con la semplice assenza di regole, ossia con quella che Kant chiamava «libertà selvaggia».

Michelangelo Bovero

[…] alcuni tra i pericoli più insidiosi per i diritti fondamentali di libertà provengono oggi da correnti culturali e movimenti politici che si autodefiniscono liberali, o sono chiamati neoliberali, in quanto fautori del «libero mercato». In realtà, l’ideologia (neo)liberista comporta una distorsione e uno snaturamento dei principi che da sempre hanno ispirato il costituzionalismo liberale, giacché concepisce il mercato come una sorta di istituzione suprema e sovrana, e promuove a valore assoluto un’idea di libertà che tende a confondersi con la semplice assenza di regole, ossia con quella che Kant chiamava «libertà selvaggia». Specchio e alimento di un’incultura politica diffusa, la retorica della libertà come liceità sregolata è un sostegno efficace alla strategia di quei gruppi di potere – i cosiddetti «poteri forti», insofferenti di limiti e controlli – che mediante l’abolizione o l’allentamento di vincoli normativi mirano a conquistare ogni spazio delle relazioni sociali, ad attrarre nella sfera del mercato ogni tipo di beni, anche quelli protetti dalle norme costituzionali sui diritti fondamentali. Persino i diritti di libertà.

[…] Detto nel modo più semplice e semplificante, i diritti di libertà sono gli aspetti primari, normativamente specificati e precisati, della dignità della persona, come tali sono inalienabili e indisponibili, sono ciò che non si può comprare né vendere, e perciò debbono essere protetti contro le possibili lesioni e invasioni di qualunque potere, privato o pubblico: contro il mercato e contro le maggioranze politiche. […]

 

Michelangelo Bovero, Quale libertà. Dizionario minimo contro i falsi liberali, Laterza, Roma-Bari 2004, pp.VII-VIII.

Gli scritti di Michelangelo Bovero



La teoria dell’élite, Loescher 1975


Società e Stato da Hobbes a Marx, con Norberto Bobbio,
Corso di Filosofia della politica, a.a. 1972-1973,
Cooperativa Libraria Universitaria Torinese 1984


Società e Stato nella filosofia politica moderna, con Norberto Bobbio, il Saggiatore 1984


Contro il governo dei peggiori. Una grammatica della democrazia, Laterza 2000.

I sostantivi, come uguaglianza, libertà, cittadinanza; gli aggettivi, come formale e sostanziale, presidenziale e parlamentare; i verbi, come eleggere, rappresentare, decidere sono parole-chiave che ricorrono in ogni discorso sulla democrazia. Di fronte alla confusione della comunicazione politica, questo libro vuole ridefinire le regole del loro uso corretto e non equivoco. Certi “errori grammaticali” della democrazia, non riconosciuti come tali e, anzi, scambiati per usi corretti, contribuiscono a generare errori anche nella pratica. La democrazia rischia di trasformarsi nel “governo dei peggiori”.


Una gramatica de la democracia contra el gobierno de los peores

A grammar of democracy against the worst government,

Editorial Trotta 2002

Hablar de democracia, de lo que se entiende por una democracia «ideal», requiere hoy redefinir y precisar el lenguaje que habitualmente se ha venido utilizando en la comunicación política, de manera confusa y equívoca, al postular los que deberían ser sus principios deseables. En el propósito de esta obra reside la necesidad de establecer las reglas que deben articular la utilización de aquellos elementos sobre los que conformar un discurso inequívoco acerca de lo que entendemos por democracia. Una gramática que fije las normas de uso y el significado preciso de las palabras que aparecen repetidamente en política, ordenadas aquí a modo de categorías (sustantivos, adjetivos, verbos), y cuyo empleo adecuado condiciona la discusión sobre el que ha de ser el sentido y la naturaleza de la democracia.


Quale libertà. Dizionario minimo contro i falsi liberali, Laterza 2004

Il volume raccoglie i seguenti saggi: “La libertà e i diritti di libertà” di Michelangelo Bovero, “Libertà personale” di Stefano Rodotà, “Libertà di pensiero” di Alessandro Pizzorusso, “Libertà di religione” di Ermanno Vitale, “Libertà di insegnamento” di Marcello Vigli, “Libertà di informazione” di Alfonso Di Giovine, “Libertà di riunione e di associazione” di Valentina Pazé, “Libertà di circolazione” di Luigi Ferrajoli.


Norberto Bobbio, Teoria generale della politica, a cura di Michelangelo Bovero, Einaudi 2009

Negli scritti di Bobbio degli ultimi trent’anni si trovano numerosi accenni al progetto di redigere una “Teoria generale della politica”, concepita come un’opera di ampio respiro. Il progetto, mai condotto a termine, viene ora realizzato a cura di Michelangelo Bovero, suo allievo e successore nell’insegnamento della Filosofia politica, ricomponendo in un ordine sistematico una quarantina di saggi di Bobbio, scelti in base a due criteri principali: da un lato, la portata generale del contenuto teorico di ciascuno di essi e la sua rispondenza a un aspetto essenziale del pensiero di Bobbio; dall’altro la scarsa o nulla notorietà di questi saggi rispetto ad altre opere bobbiane.

Il futuro di Norberto Bobbio, a cura diMichelangelo Bovero, Laterza 2011

“Questo libro nasce da un’idea semplice, condivisa da molti: Norberto Bobbio manca alla cultura e alla vita civile del nostro presente. Manca la sua proverbiale chiarezza, che non è soltanto uno stile, una dote di nitore nella scrittura: è un modo di pensare, di affrontare i problemi andandovi al cuore, superando equivoci e confusioni, involontarie o interessate. Tuttavia – anche questa è un’idea condivisa – l’opera sterminata che Bobbio ci ha lasciato è in grado, per la sua misura “classica”, di offrire orientamenti per la comprensione della nostra realtà, in parte già mutata rispetto al tempo, anzi ai diversi tempi, in cui è stata elaborata.” Michelangelo Bovero muove da queste considerazioni per riflettere su molte grandi questioni del nostro tempo, affrontandole anche a partire dal pensiero di Bobbio: le condizioni presenti della democrazia, dei diritti umani, della pace; il destino del diritto, dello stato di diritto e della Costituzione in tempi di globalizzazione; le sorti delle grandi correnti politiche del Novecento, come il liberalismo e il socialismo, e il rapporto tra politica e cultura nel nuovo secolo. Il libro trae origine da un convegno internazionale svoltosi a Torino nell’ottobre del 2009 in occasione del centenario della nascita di Norberto Bobbio, a cui ha preso parte un folto gruppo di intellettuali provenienti da più parti del mondo, studiosi eminenti nei campi della teoria politica e giuridica, della filosofia, della storia e della critica della cultura.


Los desafíos de la democracia, Editorial Ubijus 2011

Aludir a Michelangelo Bovero nos remite, inexcusablemente, al pensamiento de uno de los más grandes politólogos que han existido Norberto Bobbio, fundador de la llamada “Escuela de Turín” dedicada a los estudios concernientes a la teoría política. Bovero ha sido el más cercano y fiel discípulo de Bobbio. A pesar de que este muy destacado pensador falleció hace ya algunos años, gran parte de la responsabilidad de la explicación de los alcances de su obra, en lo concerniente a sus ideas en la ciencia política, el profesor Bovero las ha asumido intensa y brillantemente. El presente volumen recoge la ponencia Los desafíos de la democracia sustentada por Michelangelo Bovero, el 5 de febrero de 2010, en el patio central del Poder Legislativo del Estado de Michoacán. La guía de la exposición de Bovero son algunas correspondencias a determinados textos representativos de Norberto Bobbio, quien prolijamente escribió acerca de la democracia. La democracia se proyecta como un modelo ideal y -como apunta Bovero- consiste principalmente en el procedimiento que se establece para que un régimen político sea considerado democrático. En la medida que este procedimiento se cumpla en la práctica, en esa medida, el régimen será más o menos democrático. En efecto, el paradigma de la democracia implica problemas para concretarse en la realidad. Bovero se esmera en formular distintos cuestionamientos que ponen en vilo las pautas del sistema democrático, para en seguida, esbozar algunos lineamientos básicos como propuesta conceptual para orientar al público acerca de los valores inherentes a la democracia. El profesor Bovero alerta respecto a la dificultad de entender la preponderancia que tiene el procedimiento para alcanzar las decisiones por parte de las mayorías frente a los derechos fundamentales y libertades públicas. Empero, reconoce que Norberto Bobbio no subestimaba la estrecha relación que guardaban lo que él consideraba sus propios ideales: la democracia, los derecho[…]


La vida constitucional de México, con Serrano Migallón, Fondo de Cultura Económica 2011


Diritti e poteri, con Valentina Pazé, EGA-Edizioni Gruppo Abele, 2013

Tra garanzia dei diritti e limitazione dei poteri esiste un nesso strettissimo. In positivo e in negativo. Così, oggi, il diffuso affievolirsi dei diritti si accompagna , nel nostro Paese, all’affermarsi indisturbato di grandi potentati economico-finanziari, veri e propri poteri selvaggi, e al crescere del controllo dei media (e di chi ne è proprietario) sulle menti e sulle coscienze. Non c’è di che rallegrarsi. Per questo parlare di diritti e di poteri significa parlare di democrazia e di partecipazione.


I grandi maestri del pensiero laico, con Piero Calamandrei e Giulio Giorello, Claudiana 2014

I pensatori del laicismo e i loro differenti universi culturali. Le diverse laicità dei pensatori classici e del Novecento italiano. La laicità dello stato come fondamento del diritto di diffondere le proprie fedi al riparo da dispotismo e intolleranza.

La democracia en nueve lecciones, con Valentina Pazé, Editorial Trotta, 2014

Un gran tema, la democracia, convoca a nueve estudiosos que proponen otras tantas lecciones surgidas en el contexto de un experimento de educación cívica: la Escuela para la buena política. Cada uno de los docentes, organizadores o promotores de esta Escuela tiene su propia concepción de la política y su propia orientación ideal. Pero comparten una convicción de fondo: que la discusión pública de los problemas públicos es, como decía Norberto Bobbio, la quintaesencia de la democracia. Estas lecciones quieren ofrecer elementos para un intercambio de ideas informado y meditado, de manera que las orientaciones y los puntos de vista de cada cual puedan madurar, modelarse y remodelarse como componentes activos de una opinión pública crítica. Van destinadas a ciudadanos que sienten la exigencia de estudiar como ciudadanos, de aprender a ser tales, de ser capaces de tomar parte en el proceso democrático y de recuperar su espacio en la vida pública. Los partidos, las nuevas formas de participación, el populismo, el mercado, la deuda, el miedo o Europa y la democracia son algunos de los asuntos tratados.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

FRanco Toscani – Marx non cessa di lodare la duttilità, l’iniziativa storica, la capacità di sacrificio, la novità e la grandezza dell’azione storica della Comune, per quanto destinata a essere sopraffatta.

Franco Toscani- Comune di Parigi

Jules Vallès

L’insorto.

Introduzione, traduzione e cura di Fernanda Mazzoli.

ISBN 978-88-7588-207-5, 2019, pp. 320, Euro 27.

indicepresentazioneautoresintesi

 
 

 

 

 

 

Peter Watkins – La Comune di Parigi è sempre stata seriamente emarginata dal sistema educativo francese. Le questioni che i comunardi affrontarono erano molto simili a quelle con cui dobbiamo confrontarci oggi.

Peter Watkins La comune di Parigi01

«La Comune di Parigi è sempre stata seriamente emarginata dal sistema educativo francese, nonostante – o forse perché – è un evento chiave nella storia della classe operaia europea, e quando ci siamo incontrati la maggior parte del cast ha ammesso di conoscere poco o nulla sull’argomento ed è stato molto importante che le persone si siano coinvolte direttamente nella nostra ricerca sulla Comune di Parigi, acquisendo così un processo esperienziale nell’analisi di quegli aspetti dell’attuale sistema francese che stanno fallendo nella loro responsabilità di fornire ai cittadini un processo veramente democratico e partecipativo. Migliaia di Comunardi morirono per i loro ideali nel 1871. Speriamo che prima di vedere la fine del film capirete perché, e quanto le questioni che affrontarono siano molto simili a quelle con cui dobbiamo confrontarci oggi».

Peter Watkins

 

La Commune (Paris, 1871) è un film storico-drammatico del 2000 diretto da Peter Watkins sulla Comune di Parigi. Come rievocazione storica in stile documentaristico, il film ha ricevuto molti consensi dalla critica, per i suoi temi politici e per la regia di Watkins. La Comune (Parigi, 1871) è stata girata in soli 13 giorni in una fabbrica abbandonata alla periferia di Parigi.

 


Louise Michel (1830-1905) – Non voglio difendermi e non voglio essere difesa, appartengo completamente alla rivoluzione sociale e mi dichiaro responsabile delle mie azioni. Viva la Comune di Parigi.

Louise Michel 01

F. Roy, libraire-éditeur,  (p. titre-490).
 

 


 

«Non voglio difendermi e non voglio essere difesa,
appartengo completamente alla rivoluzione sociale
e mi dichiaro responsabile delle mie azioni […].
Bisogna escludermi dalla società, siete stati incaricati di farlo, bene!
L’accusa ha ragione.
Sembra che ogni cuore che batte per la libertà
ha solo il diritto ad un pezzo di piombo,
ebbene pretendo la mia parte!».

 

***
*

Louise Michel, Dichiarazione rivolta al tribunale durante il processo contro i comunardi che la giudicava perché era stata arrestata sulle barricate di Parigi della Comune del 1871. Le sue parole ispirarono Victor Hugo nel suo poema Viro Major .


 


 

 

La barricata di Piazza Blanche difesa dalle Donne comunarde.

Franco Toscani – Karl Marx e il significato della “Comune” di Parigi. La “Comune” sarà celebrata per sempre come la gloriosa messaggera di una nuova società. La sua testimonianza, il suo patrimonio e la sua eredità risiedono essenzialmente nella «sovrabbondanza di umanità dalla parte degli oppressi».

Karl Marx e la Comune di Parigi

 

Karl Marx, Die Klassenkämpfe in Frankreich: 1848 bis 1850

Die Klassenkämpfe in Frankreich: 1848 bis 1850 è una raccolta di articoli pubblicati nel 1850 da Karl Marx (1818-1883) sulla «Neue Rheinische Zeitung» e poi riuniti in volume da Friedrich Engels (Berlin, der Expedition des Vorwärts, 1895). 
La traduzione italiana, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, uscì a Milano nel 1896 dalle edizioni della Critica sociale e venne ripubblicata più volte (nel 1902, 1922,  1925 e poi nel dopoguerra).

Franco Toscani

 Karl Marx
e il significato della Comune di Parigi

 

 

I.
Marx e il significato essenziale della Comune di Parigi
come “governo del popolo per il popolo”.
‘Paris, arbeitend, denkend, kämpfend, blutend…’

Se le rivoluzioni sono per Marx “le locomotive della storia” (“Die Revolutionen sind die Lokomotiven der Geschichte”),[1] quella della Comune parigina del 1871 fu per lui la locomotiva più trainante e fondamentale, una vera e propria stella polare del suo pensiero e della sua attività politica come dirigente della Prima internazionale dei lavoratori. In vari scritti e occasioni Marx non cessa di lodare la duttilità, l’iniziativa storica, la capacità di sacrificio, la novità e la grandezza dell’azione storica della Comune, per quanto destinata a essere sopraffatta dalla reazione borghese.

Com’era sua consuetudine, per scrivere (fra il maggio e il giugno 1871) ciò che nel merito rimane il suo testo principale, Der Bürgerkrieg in Frankreich. Adresse des Generalrats der Internationalen Arbeiterassoziation (La guerra civile in Francia. Indirizzo del Consiglio generale dell’Associazione internazionale dei lavoratori), egli si documentò con grande accuratezza sull’esperienza rivoluzionaria francese (su cui scrisse pure due abbozzi preparatori), lavorò su materiali forniti da giornali francesi, inglesi e tedeschi, esaminò sia pubblicazioni che sostenevano la Comune sia quelle che si opponevano ad essa, utilizzò pure lettere e racconti orali di non pochi partecipanti all’esperienza della Comune e reduci dalla Francia (tra cui Léo Frankel, Eugène Varlin, Auguste Serraillier, Paul Lafargue, Yelisaveta Tomanovskaya, Pyotr Lavrov), si avvalse dei risultati cui era giunto nei suoi studi precedenti sulle lotte di classe in Francia (come Der Achtzehnte Brumaire des Louis-Napoleon, 1851-1852).[2]

Dal 18 marzo al 28 maggio 1871 resistette e operò alacremente, in condizioni di terribili avversità, la “gloriosa rivoluzione operaia” (die ruhmvolle Arbeiterrevolution, cfr. MEOC XXII, 287) della Comune, messa in atto da chi cercò di prendere in mano il proprio destino e seppe giungere sino all’estremo sacrificio di sé nella lotta per la salvezza nazionale (la Pariser Kommune era infatti agli occhi di Marx, giustamente, die wahrhaft nationale Regierung, il vero governo nazionale, cfr. MEOC, XXII, 303) e per una nuova, migliore società.

Analizzando con grande cuore, intelligenza e passione questa esperienza rivoluzionaria, Marx ritiene che il proletariato parigino, nel momento della disfatta e dei tradimenti delle classi dominanti, abbia deciso di padroneggiare il proprio destino assumendo “la direzione degli affari pubblici” (die Leitung der öffentlichen Angelegenheiten), prendendo “il potere di governo” (die Regierungsgewalt); tale presa di potere non avvenne impadronendosi semplicemente della macchina statale-militare-burocratica già data e usandola per i propri fini, ma cercando di spezzarla (come l’autore del Capitale scrive anche in una lettera a Ludwig Kugelmann del 12 aprile 1871) in quanto strumento di dominio di classe (Klassenherrschaft) e di asservimento sociale (cfr. MEOC XXII, 293-294 e 770, n. 429).

Riflettendo sullo stato borghese caratterizzato da un potere esecutivo centralizzato, il pensatore tedesco interpreta la sollevazione parigina come una rivoluzione contro il carattere essenzialmente repressivo del potere statale e capace di proporre, in nuce, un modello alternativo di potere e di istituzione municipale e statale.

La neue Kommune, per Marx, “rompe il moderno potere dello stato” (die moderne Staatsmacht bricht) proprio nel suo tentativo caparbio di porre termine alla perpetuazione (Verewigung) dell’asservimento sociale (gesellschaftliche Knetschaft. Cfr. MEOC XXII, 298, 300).

Pur assediata e in mezzo a mille inenarrabili difficoltà, la Comune voleva essere infatti e, per il breve tempo che le fu concesso, riuscì effettivamente ad essere il “governo della classe lavoratrice” (Regierung der Arbeiterklasse), “un governo del popolo per il popolo” (eine Regierung des Volks durch das Volk), capace di porre fine alla separazione fra stato e società, al dispotismo del potere.

Essa fu un nobile e grandioso tentativo di ripensare radicalmente la stessa nozione di potere politico o (leggiamo nel primo abbozzo de La guerra civile in Francia) “la riassunzione da parte del popolo per il popolo della sua vita sociale. Non è stata una rivoluzione per trasferirlo da una frazione delle classi dominanti all’altra, ma una rivoluzione per abbattere questa stessa orribile macchina della dominazione di classe” ( cfr. MEOC XXII, 299, 304, 486).

Nel primo abbozzo Marx così riassume il senso essenziale della rivoluzione parigina: “E’ il popolo che agisce per sé stesso da sé stesso” (MEOC XXII, 463).

Essa sorse come “la rivolta di una città provata dalla guerra e umiliata dalla sconfitta”[3] e divenne un “mezzo organizzato d’azione”, un “mezzo razionale” per condurre la lotta delle classi “nel modo più razionale ed umano” (cfr. MEOC XXII, 490), per rendere il potere al servizio della società e non più contro o sopra di essa.

E’ pure rimarchevole il fatto, ben documentato, che nel periodo dell’esperienza rivoluzionaria comunarda vi fu più ordine e sicurezza per le strade, diminuirono drasticamente gli assassinii, i furti, le aggressioni: “Non più cadaveri sui tavoli dell’obitorio, non più insicurezza nelle vie. Parigi non era mai stata così tranquilla. Al posto delle cocottes, le eroiche donne di Parigi! Una Parigi virile, inflessibile, che combatte, che lavora, che pensa! Una Parigi piena di magnanimità! Di fronte al cannibalismo dei suoi nemici, metteva i suoi prigionieri solamente in condizioni di non nuocere!” (MEOC, 507).

Continua Marx nel primo abbozzo: “Soltanto i proletari, infiammati da un nuovo compito sociale da portare a termine per tutta la società, il compito di sbarazzarsi di tutte le classi e del dominio di classe, erano gli uomini che potevano distruggere lo strumento di quella dominazione di classe – lo Stato, il potere governativo centralizzato ed organizzato, che pretendeva di essere il signore anziché il servo della società”(MEOC XXII, 487).

Nel primo abbozzo, Marx sottolinea la semplice e cristallina grandezza della Comune in questo modo: “La Comune – il riassorbimento del potere dello Stato da parte della società, in quanto sue forze vitali invece che in quanto forze che la controllano e la assoggettano, da parte delle stesse masse popolari, che formano la loro stessa forza al posto della forza organizzata per reprimerle – la forma politica della loro emancipazione sociale al posto della forza artificiale della società esercitata dai loro nemici per opprimerle (la loro stessa forza che viene loro opposta ed organizzata contro di loro). Questa forma era semplice come tutte le grandi cose” (MEOC XXII, 488).

Secondo Marx, la forma politica inaugurata dalla Comune (“la forma politica dell’emancipazione sociale, della liberazione del lavoro”, “la forma comunale di organizzazione politica”) assume un valore che va ben oltre i confini pur importanti della capitale francese; il modello parigino è esemplare, indicativo e regolativo per tutta la Francia, valido sia per tutti i grandi centri industriali del paese sia per i più piccoli villaggi di campagna: “Tutta la Francia organizzata in Comuni che lavorano per sé e si governano da sé, l’esercito permanente sostituito dalle milizie popolari, l’esercito dei parassiti dello Stato destituito, la gerarchia clericale rimpiazzata dall’insegnante pubblico, i giudici di Stato trasformati in organismi comunali, il suffragio per la rappresentanza nazionale non più una questione d’intrallazzi per un governo onnipotente, ma l’espressione deliberata di comuni organizzate, le funzioni dello Stato ridotte a poche funzioni per scopi generali nazionali” (cfr. MEOC XXII, 490-491).

L’unità nazionale e politica va garantita e organizzata attraverso la costituzione comunale e il contributo delle iniziative locali. La struttura del potere e dello stato va ricostituita e rifondata per assecondare e favorire il libero movimento e sviluppo della società.

Mettendo in discussione lo stato borghese, la Commune de Paris voleva contrastare e superare der rein unterdrückende Charakter der Staatsmacht (“il carattere puramente repressivo del potere dello stato”) e la Knechtung (asservimento) del lavoro al capitale, per trasformare il lavoro in un “lavoro libero e associato (freie und assoziierte Arbeit)” e restituire il suo libero movimento (freie Bewegung) alla società (cfr. MEOC, XXII, 294-295, 298, 300).

Essa – intesa come “la forma politica finalmente scoperta” (die endlich entdeckte politische Form) della “emancipazione economica del lavoro” (ökonomische Befreiung der Arbeit. Cfr. MEOC XXII, 299) – mirava concretamente a una rifondazione dei poteri istituzionali e statali su salde basi popolari e libertarie.

Marx prende in esame accuratamente le principali misure assunte durante il periodo di governo della Comune, come l’elettività, responsabilità e revocabilità – in qualunque momento – di tutti i funzionari pubblici e rappresentanti politici (legati a un mandat impératif dei loro elettori e remunerati con livelli salariali pari a quelli degli operai), l’abolizione dei privilegi economici previsti per il servizio pubblico, il controllo operaio della produzione (con l’attribuzione ai lavoratori delle fabbriche abbandonate o dismesse), la soppressione dell’esercito permanente e la sua sostituzione col popolo in armi, la separazione fra stato e chiesa, il carattere laico, popolare, gratuito, libero e aperto a tutti dell’istruzione, etc. .

Marx elenca minuziosamente, entrando nei dettagli, le ordinanze, i decreti, i provvedimenti di tipo economico-finanziario presi dalla Comune assediata (operante sotto gli occhi dei vincitori prussiani da una parte e dell’esercito francese agli ordini di Thiers dall’altra, con Bismarck e Thiers di fatto alleati e concordi nel tentativo di stroncarla) a favore delle classi popolari e nella direzione di una maggiore giustizia sociale; in particolare, l’autore di Das Kapital sottolinea il valore del decreto del 16 aprile 1871 (pubblicato sul “Journal officiel de la République française” il 17 aprile 1871 e ritenuto da Engels il più importante dell’intera esperienza rivoluzionaria comunarda), che sanciva la consegna alle cooperative operaie delle officine e delle manifatture che erano state chiuse o per la fuga dei capitalisti o per una sospensione da essi decisa del lavoro; tale decreto avviava la trasformazione effettiva in senso socialista della produzione (cfr. MEOC XXII, 304, 773, n. 454).

La Comune aveva anche cominciato a valorizzare concretamente la soggettività, il protagonismo e la dignità delle donne. In Der Bürgerkrieg in Frankreich Marx rileva con sollievo, letizia e calore che nella Parigi comunarda “sono ricomparse le vere donne di Parigi (die wirklichen Weiber von Paris) – eroiche, nobili e leali, come le donne dell’antichità (wie die Weiber des Altertums). Una Parigi che lavorava, pensava, lottava, dava il proprio sangue – quasi dimentica, nel suo portare in grembo una società nuova, dei cannibali alle sue porte -, radiosa nell’entusiasmo della sua storica iniziativa! (Paris, arbeitend, denkend, kämpfend, blutend, über seiner Vorberaitung einer neuen Gesellschaft fast vergessend der Kannibalen vor seinen Toren, strahlend in der Begeisterung seiner geschichtlichen Initiative!)” (MEOC XXII, 307). Perciò i comunardi furono concretamente – senza alcuna retorica – degli eroi e la loro testimonianza resta unica.

Quest’immagine vitale della Parigi comunarda, simbolica di un nuovo mondo (neue Welt) che stava sorgendo è da Marx duramente contrapposta a quella del vecchio mondo (alte Welt) marcio e decadente di Versailles: “La Parigi del signor Thiers (…) la Parigi ricca, capitalista, dorata, oziosa (…) si accalcava a Versailles, saint Denis, Rueil e Saint Germain con i suoi lacchè, i suoi furfanti, con la sua bohême di letterati e le sue cocottes (…), considerava la guerra civile come un gradevole diversivo, guardando lo svolgimento della battaglia attraverso i binocoli, contando i colpi di cannone, e giurando sul proprio onore e su quello delle sue prostitute che lo spettacolo (das Schauspiel) era allestito assai meglio di quello solito della Porte Saint Martin” (MEOC XXII, 308).

Accadde così che i francesi controrivoluzionari e i prussiani militaristi, cioè vinti e vincitori agirono di concerto per soffocare nel sangue la sollevazione del popolo parigino, alleati nell’organizzazione degli orrori (Schandtaten) e delle infamie (Niedertrachten), nello sterminio (Ausrottung) e nella carneficina (Blutbad) della Parigi rivoluzionaria (cfr. MEOC XXII, 313-314). Marx è durissimo anche nei confronti della Prussia bismarckiana, definita uno sgherro (Bravo), più precisamente uno sgherro codardo (feiger Bravo) e mercenario (gemieteter Bravo. Cfr. MEOC XXII, 319).

 

 

 

II.
Marx, l’ ‘esistenza operante’ e la lotta valorosa della Comune di Parigi

 

Ciò che importa maggiormente è comunque l’ “esistenza operante (arbeitendes Dasein)” della Comune nella direzione del superamento della vecchia società borghese (Bourgeoisgesellschaft): “Quale che sia il merito di ciascuna delle misure adottate dalla Comune, la sua misura più grande era la sua organizzazione, improvvisata col nemico straniero che premeva a una porta, e il nemico di classe dall’altra, dando prova con la propria vita della propria vitalità, confermando le sue tesi con la sua azione” (cfr. MEOC XXII, 304, 489).

La Comune non inseguì astratti ideali, ma cercò tenacemente e coraggiosamente di liberare gli elementi di una nuova società (neue Gesellschaft) dalla vecchia società borghese putrescente. La Pariser Kommune non pretendeva di poter agire secondo l’infallibilità (Unfehlbarkeit), come tutti i governi di vecchio stampo, ma operava nella totale trasparenza e pubblicità dei suoi atti e decreti, senza nascondere tutte le sue manchevolezze (Unvollkommenheiten); anche per questo essa aveva cominciato ad avviare una meravigliosa trasformazione (wunderbare Verwandlung. Cfr. MEOC XXII, 306) nella pratica del potere e nella concezione stessa del potere, inteso non come dominio, ma come servizio e poter-essere nella direzione di una vita degna e di una società più giusta e libera.

In generale, contro ogni tipo di centralizzazione dispotica e arbitraria, il vecchio sistema di potere centralistico avrebbe dovuto essere sostituito dall’ “autogoverno dei produttori” (Selbstregierung der Produzenten) e l’autorità avrebbe dovuto essere intesa come un servizio alla società, non come potere repressivo o dominio su di essa; al posto di una investitura gerarchica del potere, il suffragio universale doveva servire al popolo costituito in comuni.

Intenzione della Comune era di restituire “al corpo sociale tutte le forze fino allora assorbite dallo Stato parassita che si nutre della società e ne ostacola il libero movimento. Con questo solo atto avrebbe dato inizio alla rigenerazione della Francia (die Wiedergeburt Frankreichs)” (cfr. MEOC XII, 297-298).

Il contrario della Comune è lo stato borghese repressivo, il quale non è che l’apparenza spettrale dello stato concepito nella sua separazione dalla società. L’intenzione di Marx è dunque, nel riferimento concreto all’esperienza della Comune, quella di esaltare il “libero movimento” della società, la sua liberazione dalle catene e dai privilegi economico-politici esistenti, la relativa autonomia della società, sempre repressa, fino ad allora, dallo Stato parassita e vampiro che si nutre di tutte le forze sociali.

Ciò è rimarchevole e particolarmente degno di nota in riferimento a quel che saranno nel XX secolo il totalitarismo comunista bolscevico, i regimi repressivi del Partito unico identificato con lo Stato, la vera e propria idolatria del Partito-Stato, che non ha nulla a che fare, evidentemente, con l’originaria proposta marxiana.

L’esistenza e la Costituzione della Comune implicano “la libertà municipale locale (die lokale Selbstregierung)”, l’esautoramento della monarchia (la quale in Europa è “il normale ingombro e l’indispensabile copertura del dominio di classe (Klassenherrschaft)”) e la fondazione delle istituzioni repubblicane su basi autenticamente democratiche (cfr. MEOC XXII, 299). La sua è una forma politica “espansiva”, come “governo della classe operaia” che pone fine al dominio borghese e all’asservimento sociale, operando in totale trasparenza e pubblicità.

Mirando all’ “espropriazione degli espropriatori” (quella Enteignung der Enteigner di cui Marx aveva già parlato in Das Kapital), la Comune intendeva realizzare l’emancipazione dei lavoratori, incentivare la produzione cooperativa secondo un piano comune (gemeinsamer Plan), porre fine alla moderna schiavitù del lavoro salariato e ridare un nuovo senso, una nuova dignità alla parola lavoro e ai lavoratori, considerando la terra e il capitale come “semplici strumenti di un lavoro libero e associato” (cfr. MEOC XXII, 300).

Rappresentando tutti gli elementi sani della società francese, come governo operaio e popolare, “audace campione dell’emancipazione del lavoro (der kühne Vorkämpfer der Befreiung der Arbeit)”, la Comune era il “vero governo nazionale” e aveva un forte carattere internazionale, aveva “annesso alla Francia gli operai di tutto il mondo” (cfr. MEOC XXII, 303-304), aveva cominciato a realizzare l’internazionalismo proletario, la solidarietà internazionale dei lavoratori, nominando ad esempio ministro del lavoro il tedesco Léo Frankel; essa era pienamente consapevole di iniziare una nuova era storica, ma non le fu concesso tempo.

Sapendo che la causa dei lavoratori è dovunque la stessa e che il nemico è dovunque lo stesso, la Comune fu così anche una grande e genuina espressione della solidarietà e dell’internazionalismo proletario e popolare contro ogni miope nazionalismo, contro ogni tipo di imperialismo militaristico e guerrafondaio.

Marx coglie con grande lucidità questo aspetto – ripreso con forza qualche decennio dopo da Rosa Luxemburg – e sembra quasi ammonire/presagire circa le immani sventure e i macelli umani preparati dai nazionalismi e dall’imperialismo che si manifesteranno anche e soprattutto nelle guerre mondiali del ventesimo secolo: “Lo sciovinismo della borghesia è soltanto la suprema vanità che dà una copertura nazionale a tutte le sue pretese. E’ un mezzo, grazie agli eserciti permanenti, per perpetuare lotte internazionali, per sottomettere in ogni paese i produttori scagliandoli contro i loro fratelli di ogni altro paese, un mezzo per ostacolare la collaborazione internazionale delle classi operaie, prima condizione della loro emancipazione” (MEOC XXII, 502).

L’anti-imperialismo, l’anti-militarismo, l’anti-nazionalismo e l’internazionalismo della Comune furono dimostrati concretamente il 16 maggio 1871 dall’abbattimento, tramite un decreto del 12 aprile, della colonna Vendôme, simbolo del militarismo (das kolossale Symbol des Kriegsruhms) e dei bourgeois chauvins (borghesi sciovinisti) francesi, eretta a Parigi tra il 1806 e il 1810 per celebrare le vittorie militari di Napoleone; per la precisione, il décret del 12 aprile decideva la demolizione della colonne Vendôme in quanto “monumento di barbarie, simbolo di forza bruta e di falsa gloria, affermazione del militarismo, negazione del diritto internazionale” (cfr. MEOC XXII, 304, 475, 503, 772, n. 451).

Quanto la Comune aveva messo in moto era troppo, era insopportabile, ” ‘impossibile’ comunismo” (‘unmöglicher’ Kommunismus) agli occhi delle sanguisughe e dei vampiri del proletariato, della camarilla reazionaria e dei suoi pennivendoli, del vecchio mondo borghese e aristocratico attaccato ai propri immensi privilegi, ricchezze e poteri, vizi e lussi, roso dalla rabbia e dal desiderio di vendetta alla vista della bandiera rossa (die rote Fahne…das Symbol der Republik der Arbeit) sventolante sull’Hôtel de Ville; la Comune stava dimostrando infatti la realizzabilità del ” ‘possibile’ comunismo” (‘möglicher’ Kommunismus. Cfr. MEOC XXII, 300-301).

Nessuno si aspettava miracoli (Wunder) dalla Comune, che portò avanti la rivoluzione in condizioni di enormi difficoltà, né essa aveva “utopie belle e pronte da introdurre par décret du peuple“; piuttosto, “nella piena coscienza della sua missione storica” (im vollen Bewuβtsein ihrer geschichtlichen Sendung), essa agiva con tenacia ed “eroica risoluzione” (Heldenentschluβ), senza alcuna inutile violenza e senza ferocia, con “modestia, coscienza ed efficienza”, con “moderazione” (βigung), “umanità” (Menschlichkeit) e “magnanimità” (Hochherzigkeit), come seppe dimostrare ad esempio Flourens (cfr. MEOC XXII, 291, 300-301, 315, 534).

L’unico vero errore della Comune fu, a parere di Marx, quello di non marciare immediatamente su Versailles, all’inizio ancora indifesa, per arginare le manovre di Thiers e dei Rurali (i “Ruraux”), per impedire la riorganizzazione della controrivoluzione, degli sciacalli ” ‘Ordungsmänner’, die Reaktionäre von Paris” (cfr. MEOC XXII, 289).

 

III.
La Comune di Parigi gravida di futuro e messaggera d’una nuova società

Il tono di Marx è giustamente commosso e pieno di indignazione, tutto il suo scritto è lucidissimo e, insieme, pervaso da una forte tonalità etico-politica che anche noi facciamo nostra ancor oggi, anzi, più che mai oggi, in questi nostri tempi così disincantati, grigi e fiacchi dal punto di vista della solidarietà e della tensione etico-politica.

Con l’eccezione dei più incalliti reazionari e dei ricchi capitalisti, perfino la grande maggioranza della classe media (bottegai, commercianti, artigiani) riconobbe la capacità di gestione sociale della Comune, che seppe impostare una efficace politica di alleanze fra il proletariato e i settori intermedi della società parigina e, ad esempio, con la “Loi sur les échéances” (un decreto del 17 aprile 1871 pubblicato sul “Journal officiel de la République française”), “stabilì che tutti i debiti fossero rateizzati in tre anni senza interessi, alleviando così la situazione della piccola borghesia e svantaggiando i creditori, i grandi capitalisti” (cfr. MEOC XXII, 301, 771, n. 440).

Nel primo abbozzo de La guerra civile in Francia Marx scrive a questo proposito: “Per la prima volta nella storia, la piccola e media borghesia si è apertamente stretta intorno alla Rivoluzione degli operai, e l’ha proclamata come il solo strumento della propria salvezza e di quella della Francia! Forma con loro la grande massa della Guardia nazionale, siede con loro nella Comune, e per loro media nell’Union républicaine! (…)

Di fronte ai disastri collezionati dalla Francia in questa guerra, alla sua crisi da collasso nazionale ed alla sua rovina finanziaria, questa classe media sente che non la classe corrotta di coloro che vogliono essere gli schiavisti della Francia, ma soltanto le virili aspirazioni ed il potere erculeo della classe operaia possono portarla in salvo!

Sente che solo la classe operaia può emanciparla dal dominio dei preti, convertire la scienza da strumento del dominio di classe in una forza popolare, trasformare gli stessi uomini di scienza da manutengoli del pregiudizio di classe, da parassiti dello Stato a caccia di posizioni, e da alleati del capitale, in liberi funzionari del pensiero! La scienza può interpretare la sua parte autentica solo nella Repubblica del Lavoro” (MEOC XXII, 496-497).

Praticando il realismo rivoluzionario, la Comune aveva cominciato a cercare alleanze pure nel mondo contadino, proclamando ad alta voce – in un appello del 10 aprile 1871 dei “lavoratori di Parigi” (“Les travailleurs de Paris”) “aux travailleurs des campagnes” – che la sua vittoria era “la sola speranza” anche dei contadini francesi (cfr. MEOC XXII, 302, 772, n. 445).

Con la sua politica saggia e lungimirante di alleanze già operante nelle prime settimane di vita della Comune attraverso le prime misure prese, era facile prevedere un effetto contagio e una larga diffusione anche nelle campagne e in tutto il paese del consenso popolare all’operato dei comunardi. Perciò la maggiore preoccupazione dei controrivoluzionari e della canaglia reazionaria capeggiata da Thiers fu quella di isolare la Parigi comunarda dal resto del paese, “in modo da bloccare la diffusione della peste bovina” (cfr. MEOC XXII, 303).

Nel secondo abbozzo de La guerra civile in Francia, Marx è giustamente durissimo nel sintetizzare il reale significato della reazione (Reaktion) di Versailles, della Paris des Verfalls (Parigi del declino): “Alla Parigi che combatte, che lavora, che pensa, elettrizzata dall’entusiasmo dell’iniziativa storica, piena di eroica realtà, la nuova società nel suo travaglio, si oppone a Versailles la vecchia società, un mondo di antiquate simulazioni e di menzogne accumulate. (…) Non c’è niente di reale in loro al di fuori della loro comune cospirazione contro la vita, il loro egoismo dettato dall’interesse di classe, il loro desiderio di nutrirsi della carcassa della società francese, i loro comuni interessi di schiavisti, il loro odio verso il presente, e la loro guerra contro Parigi” (MEOC XXII, 544).

Nelle ultime pagine di Der Bürgerkrieg in Frankreich Marx si sofferma con grande commozione, indignazione e amarezza – che avvertiamo pienamente anche noi oggi nel riferire e riflettere su quanto allora avvenne – sugli accordi fra Thiers e Bismarck (nemici nella guerra tra Francia e Prussia nel 1870, ma alleati nello stroncare l’esperienza rivoluzionaria comunarda del 1871) per pianificare la repressione e la carneficina della Comune, ossia l’ “indicibile infamia del 1871. L’eroismo sino al sacrificio di sé (der selbstopfernde Heldenmut) con cui la popolazione di Parigi – uomini, donne e ragazzi – ha combattuto per otto giorni dopo l’entrata dei versagliesi riflette tanto la grandezza della loro causa (die Gröβe ihrer Sache), quanto le azioni infernali della soldatesca riflettono lo spirito innato di questa civiltà di cui essi sono i vendicatori mercenari. Una civiltà gloriosa, invero, il cui grande problema è come riuscire a sbarazzarsi dei mucchi di cadaveri che ha prodotto, dopo la fine della battaglia!” (MEOC XXII, 314).

In tutto il suo scritto Marx non risparmia disprezzo e sarcasmo, ampiamente giustificati, nei confronti di quella che chiama la feccia (Bande), la Reaktion, i vari Thiers, Favre, Desmarets, Vinoy, Galliffet, etc., ossia i principali infami esponenti degli sterminatori della Comune, coloro che hanno posto fine all’esperienza e alla vita della “serena Parigi lavoratrice” (das heitere Arbeiter-Paris der Kommune, cfr. MEOC XXII, 315), che aveva osato combattere ogni Klassenherrschaft (dominio di classe), ogni statalismo repressivo e dispotico, per tendere alla rigenerazione (Wiedergeburt) dell’intera Francia.

Questa Pariser Kommune, in mezzo ai misfatti e ai tradimenti delle classi dominanti (herrschende Klassen), fu agli occhi di queste ultime una vera Sphinx (sfinge) capace di tormentare l’angusto Bourgeoisverstand (intelletto borghese); essa fu die proletarische Revolution, l’avvio del governo dell’Arbeiterklasse, la cui opera fu interrotta tragicamente dalle “prodezze cannibalesche dei banditi di Versailles” (kannibalische Taten der Versailler Banditen. Cfr. MEOC XXII, 291, 293).

In Der Bürgerkrieg in Frankreich sferzante e costante è il sarcasmo di Marx sull’ipocrisia e sul conformismo borghesi, sulla Zivilisation und Gerechtigkeit der Bourgeoisordnung (civiltà e giustizia dell’ordine borghese), il cui vero volto – essendo una “civiltà nefasta” (schmäliche Zivilisation) fondata sull’ “asservimento del lavoro” (Knechtung der Arbeit) – si mostra, specialmente nel momento delle violenze e del massacro finali, sotto l’aspetto di “aperta barbarie e vendetta senza legge” (unverhüllte Wildheit und gesetzlose Rache. Cfr. MEOC XXII, 314-315).

Nella brutale repressione della Comune, di quella che fu un’autentica rivoluzione proletaria, la società borghese mostrò il suo volto più rivoltante e rivelatore, il suo spirito di vendetta e la sua ferocia di classe: “La sua guerra contro Parigi non è nient’altro che una pusillanime chouannerie sotto la protezione delle baionette prussiane. E’ una spregevole cospirazione per assassinare la Francia, per salvaguardare i privilegi, i monopoli ed il lusso delle classi degenerate, svigorite e putrefatte che l’hanno trascinata in un abisso dal quale può essere salvata solo dalla mano erculea di una vera rivoluzione sociale” (Primo abbozzo, in MEOC XXII, 449).

La conclusione di Der Bürgerkrieg in Frankreich è amara: “La cospirazione della classe dominante per abbattere la Rivoluzione mediante una guerra civile portata avanti sotto il patrocinio dell’invasore straniero (…) è culminata nella carneficina di Parigi. Bismarck gongola (schaut) di fronte alle rovine di Parigi, (…) di fronte ai cadaveri del proletariato di Parigi” (MEOC XXII, 318).

Da parte di Marx l’interpretazione degli avvenimenti parigini del 1871 è cruda e realistica, non lascia spazio a edulcorazioni e a facili consolazioni. La sconfitta della Comune è un fatto, la tragedia immensa, ma, nonostante quest’esito così indubbio e doloroso, la Comune – questo evento straordinario – è incontestabilmente esistita, anzi annuncia la rovina futura della Bourgeoisgesellschaft e il prossimo avvento d’una nuova società.

La sveglia è stata comunque data a tutti i popoli europei e al proletariato internazionale; l’ “eroico sacrificio di sé” (seine heroische Selbstopferung, cfr. MEOC XXII, 315) dei comunardi non è avvenuto invano, per chi sappia trarre un insegnamento da quanto accaduto: un nuovo mondo è possibile.

Si tratta ora, per Marx e per l’Internazionale, di proseguire la lotta; non vi sono per lui dubbi su chi alla fine vincerà, se “i pochi sfruttatori o l’immensa maggioranza lavoratrice” (cfr. MEOC, XXII, 319).

Il messaggio della Comune resta dunque un grande e permanente messaggio di solidarietà internazionale del proletariato e dei popoli nella lotta per l’emancipazione sociale, per giungere – attraverso lunghe e difficili lotte e tutte le contraddizioni della storia – alla Befreiung, a una nuova società senza dominio di classe e a una “repubblica sociale” (come leggiamo nel primo abbozzo, cfr. MEOC XXII, 497).

Così Marx conclude – con parole che, mutatis mutandis, ancor oggi rimangono per noi valide e stimolanti – l’Indirizzo del Consiglio generale dell’Associazione internazionale dei lavoratori, Der Bürgerkrieg in Frankreich: “La Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata per sempre come la gloriosa messaggera di una nuova società. I suoi martiri hanno per urna il grande cuore della classe operaia (Das Paris der Arbeiter, mit seiner Kommune, wird ewig gefeiert werden als der ruhmvolle Vorbote einer neuen Gesellschaft. Seine Märtyrer sind eingeschreint in dem groβen Herzen der Arbeiterklasse). I suoi sterminatori, la storia li ha già inchiodati a quella gogna eterna, dalla quale non riusciranno a riscattarli tutte le preghiere dei loro preti” (MEOC XXII, 320).

La sua testimonianza, il suo patrimonio e la sua eredità risiedono essenzialmente nella “sovrabbondanza di umanità dalla parte degli oppressi” (MEOC XXII, 537).

Per quanto feroci, nessuna carneficina e nessuna repressione potranno cancellare il fatto incontestabile che la Comune parigina è stata (come leggiamo nel secondo abbozzo de La guerra civile in Francia) una “rivoluzionaria rivendicazione del futuro (…). La Comune di Parigi può cadere, ma la Rivoluzione sociale a cui ha dato inizio trionferà. Il suo luogo di nascita è ovunque” (MEOC XXII, 546-547).

La lotta di classe (Klassenkampf) sempre risorgerà dal suo terreno sorgivo che è la stessa società moderna. Come ha rilevato giustamente Lelio Basso, il saggio marxiano sulla Comune non ha soltanto “un valore di elogio funebre per la posterità”.[4]

Noi oggi non abbiamo e non possiamo avere alcuna certezza di “trionfo”, né possiamo rivendicare in alcun modo il futuro, ma indubbiamente la testimonianza luminosa della Comune, “gravida di un mondo nuovo” (cfr. il primo abbozzo di Der Bürgerkrieg in Frankreich, MEOC XXII, 481), non cessa ancora di risplendere per noi e di indicarci il difficile cammino della civiltà planetaria, pure nell’epoca per tanti aspetti tenebrosa e rischiosa dell’attuale cosiddetta “globalizzazione”.

Franco Toscani

Piacenza, autunno 2017


[1] Cfr. K. Marx, Die Klassenkämpfe in Frankreich (1850), trad. it. di P. Togliatti, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, in K. Marx-F. Engels, Opere complete, vol. X, a cura di A. Aiello, Editori Riuniti, Roma 1977, p. 121.

[2]Nelle pagine seguenti faremo riferimento alla seguente edizione italiana in cui sono compresi (insieme ad altri scritti) sia Der Bürgerkrieg in Frankreich (La guerra civile in Francia, 1871, pp. 275-321) sia i due abbozzi preparatori sopra citati (pp. 433-518, 519-558): K. Marx-F. Engels, Opere complete, vol. XXII (d’ora in poi cit. con la sigla MEOC XXII), trad. it. di S. Bracaletti, V. Morfino, M. Vanzulli, F. Vidoni, a cura di M. Vanzulli, La Città del Sole-Editori Riuniti, Napoli 2008. Per i vent’anni della Comune, nel 1991 Engels curò una rilevante edizione tedesca in cui, oltre a Der Bürgerkrieg in Frankreich, pubblicò i due abbozzi preparatori, assieme al primo e al secondo Indirizzo del Consiglio generale dell’Internazionale sulla guerra franco-prussiana del 1870. Si tenga presente pure una pregevole edizione italiana degli scritti marxiani sul tema: K. Marx, Scritti sulla Comune di Parigi, a cura di P. Flores d’Arcais, Samonà e Savelli, Roma 1971.

[3] L. Basso, Socialismo e rivoluzione, Feltrinelli, Milano 1980, p. 195. In questo libro di Lelio Basso le pagine 192-197 sono dedicate in modo esplicito e assai stimolante all’interpretazione marxiana della Comune.

[4] L. Basso, Socialismo e rivoluzione, Feltrinelli, Milano 1980, p. 193.


Franco Toscani – Il rapporto etica-politica e il tema dell’amicizia in Aristotele.
Franco Toscani – L’antropologia culturale e il sogno dell’universalità umana concreta
Franco Toscani – Il filosofo e le Muse. La filosofia come “musica altissima” e “sinfonia dell’anima”-

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

1 34 35 36 37 38 253