«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
«[…] Con questo nuovo volume, Interpretare Platone. Saggi sul pensiero antico, apriamo una nuova fase nelle pubblicazioni della Collana,[1] giunta ora alla centoquarantaseiesima uscita, avendo ancora una volta in cantiere libri di grande respiro scientifico, in un orizzonte spiccatamente internazionale. Nel presente testo vengono pubblicati diversi saggi di ermeneutica platonica realizzati da autorevoli studiosi del pensiero antico, sulla scia del Seminario Internazionale di Filosofia Antica, da me inaugurato nel 2018 e concluso quest’anno, dedicato a Platone a al Platonismo, che ha visto la partecipazione di importanti autori su questi temi. Il volume non costituisce tuttavia gli atti del Seminario, ma intende essere una più ampia e ricca ricostruzione, grazie all’intervento secondo varie prospettive di studiosi di primo piano su queste problematiche. L’intento è, infatti, quello di mettere a fuoco la tradizione platonica in alcuni punti di grande rilevanza scientifica, riprendendo le interpretazioni degli antichi alla luce dell’apporto di autori contemporanei. L’interpretare Platone riguarda, infatti, da un lato i pensatori antichi successivi al grande maestro – senza trascurare le rivisitazioni che Platone stesso, a sua volta esegeta, ha dato di suoi predecessori come i Presocratici, avviando a partire da questi ultimi la sua rivoluzionaria revisione dei grandi problemi –, dall’altra i filosofi moderni e contemporanei e gli studiosi che si sono occupati di questa ricchissima corrente di pensiero. Le riletture degli interpreti che qui intervengono sono di ampio respiro. Non si è cercata un’univocità, ma una polivocità di apporti, che rispecchiano le varie sfaccettature della ricerca attuale sul Platonismo. Sono già stati fatti significativi bilanci e rassegne degli studi su Platone, sulle dottrine non scritte e sul Platonismo. Quest’opera si colloca in una fase ulteriore, nella varia e approfondita riflessione di autori attenti ai testi e alla letteratura scientifica, amanti di Platone, della tradizione platonica e del pensiero antico. In questo modo vengono offerti al vaglio degli studiosi dei contributi originali e aggiornati. Il volume è costituito da due Sezioni, dedicate rispettivamente a Platone e al Platonismo. La prima Parte riguarda specificamente il pensiero di Platone. Vengono qui presentati saggi che analizzano il rapporto fra la matematica pitagorica e la filosofia platonica; la dottrina del Bene, della Giustizia e delle virtù nel Cratilo; Alcibiade come laughter-maker nel Simposio; l’approccio multifocale alla metafisica di Platone; la problematica del Demiurgo platonico dal punto di vista del linguaggio, della cosmologia e dell’allegoresi; la dottrina della partecipazione nel Parmenide; e infine questioni fisiche, gnoseologiche ed escatologiche del Fedone legate al concetto di elpis. La seconda Parte affronta, nell’ambito del Platonismo, il problema dell’eudaimonia e della conoscenza in Plutarco; il conflitto delle interpretazioni sul Bene e il demiurgo nel Medioplatonismo e la questione della causalità divina in Apuleio […]».
Maria Luisa Gatti, Introduzione a Interpretare Platone. Saggi sul pensiero antico, a cura di Maria Luisa Gatti e Pia De Simone, Vita e pensiero, Milano, 2020, pp. 6-7.
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[1] La Collana «Temi metafisici e problemi del pensiero antico. Studi e ricerche» fondata da Giovanni Reale e attualmente diretta da Maria Luisa Gatti e Roberto Radice.
INDICE DELLA MATERIA TRATTATA
Introduzione di Maria Luisa Galli
PLATONE
GABRIELE CORNELLI La seconda navigazione “pitagorica” di Platone. La matematica pitagorica e il sistema di derivazione platonico
MARlA LUISA GATTI “Niente di giusto dopo il tramonto del sole”. Bene, sole, giustizia e virtù nel Cratilo di Platone
RlCHARD HUNTER Alcibiades the laughter-maker
MAURlZIO MIGLIORI Un approccio multifocale alla metafisica di Platone
ROBERTO RADICE Senza il Demiurgo niente sarebbe conoscibile del mondo naturale. Riflessioni sul concetto di creazione
FRANCO TRABATTONI La partecipazione nel Parmenide
CHRISTIAN VASSALLO Paradossi (pre)platonici della speranza nel Fedone: fisica, conoscenza, escatologia
IL PLATONISMO
PIA DE SIMONE “Gli uomini buoni sono amici degli dèi”. Il rapporto tra eudaimonia e conoscenza in Plutarco
FRANCO FERRARI Il Bene e il demiurgo: identità o gerarchia? Il conflitto delle interpretazioni nel medioplatonismo
FEDERICO M. PETRUCCI Un dio non artigiano? Apuleio e la divulgazione di una teologia medioplatonica
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
Emanuele Luzzati Pinocchio, il paese dei balocchi.
Salvatore Bravo
Pensare che t’eri messo in capo di tornartene a casa per perdere il tempo a studiare!…
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Capitalismo e menzogna
Il simbolo-metafora veicola il processo di emancipazione, il processo dialettico necessita di figure per fendere la contingenza resa ipostasi dall’ideologia imperante.
Collodi,[1] con le avventure di Pinocchio, ci dona simboli e metafore con cui leggere il capitalismo. Collodi è stato profetico, perché ha decodificato il capitalismo che subentrava all’economia agricola nell’Italia di fine Ottocento cogliendolo nella sua sostanza: l’unica verità a cui il capitalismo risponde è il plusvalore. I mezzi per giungervi sono plurimi. Nelle avventure di Pinocchio, si descrive un mondo senza contraddizione. Gli appetiti smodati sono deregolamentati, poiché non vi è nessuna cultura critica, e specialmente, non vi è etica che contenga l’illimitato nella forma dell’entificazione di ogni esistente e vivente. Il sistema capitale è incorporato nella collettività, la quale ha smesso di essere comunità, per essere un vespaio, in cui ciascuno strumentalizza l’alterità. Collodi con il ”mondo dei balocchi” descrive l’antiumanesimo in grembo al capitalismo, e che oggi è completamente dispiegato. Nel paese del balocchi, nel paese del disimpegno edonistico, si assiste all’animalizzazione della persona.* Per poter estrarre plusvalore dai sudditi del capitale è necessario sottrarre loro la natura comunitaria e la razionalità critica. A tale operazione si giunge mediante un sistema organizzato sulla menzogna.
Menzogna e bugia Le istituzioni che Pinocchio incontra sono mosse dalla menzogna, ovvero difendono interessi oligarchici mediante apparati che agiscono per perpetuare il capitalismo con l’inganno perenne. Pinocchio reagisce alla menzogna con la bugia. La menzogna è diversa dalla bugia, quest’ultima è la difesa del suddito dinanzi ai poteri forti, è l’espressione di una minorità sociale causata dall’autopercepirsi come plebeo e suddito di un mondo che soverchia e schiaccia senza pietà alcuna.
Pinocchio è il popolo plebeizzato e precarizzato che non può che difendersi con la bugia, perché non concepisce di essere protagonista della storia. Il plebeo mente dinanzi alla violenza di un sistema che non lascia scampo. La bugia termina quando inizia la lotta verticale: con essa il plebeo diventa cittadino che afferma diritti e doveri e si sottrae al clientelismo che dispensa favori in nome di “oligarchiche superiorità”.
Nel paese dei balocchi Pinocchio ci racconta del presente, della plebeizzazione dei popoli mediante la società dello spettacolo. Il paese dei balocchi in cui Pinocchio rischia di perdere la sua umanità è un luogo in cui domina il chiasso. L’iperstimolazione uditiva impedisce l’ascolto e, quindi, la razionalità. L’industria del divertimento ha una doppia valenza, non solo produce plusvalore, ma specialmente struttura la sussunzione formale e materiale. I dominati si perdono nell’eccesso delle promesse edeniche con l’effetto di abdicare ad ogni attività politica per essere solo sudditi. L’intero sistema è organizzato per ridurre al silenzio intere generazioni nella violenza legalizzata del chiasso. Il circo mediatico, ed i pedagogisti all’ombra del potere, declamano la liberazione dal tempo della formazione per allungare il tempo dello sradicamento da ogni impegno, in modo da favorire le logiche di dominio. Il paese dei balocchi è il luogo di un esperimento antropologico: ridurre l’essere umano attraverso il principio di piacere ad animalità pura. Nel paese dei balocchi vi sono solo giovani, il divertimento è associato al godimento giovanile.
Nella trappola degli imbonitori
La distopia contemporanea è andata oltre: le generazioni sono equiparate in nome della giovinezza. Per essere giovani, padri e madri abdicano al ruolo genitoriale, i professori si liberano del ruolo di educatori per usare il linguaggio giovanile e diluiscono i contenuti in nome del successo formativo. L’applauso ingannatore e le parole buone per fare male sono profuse per sostenere la liberazione dai contenuti e dai valori classici. Il nichilismo avanza sulla punta della baionetta fatta di applausi e parole adulatorie. Pinocchio ci rammenta cosa accade all’umanità che cade nella trappola degli imbonitori. Il burattino dalle fattezze asinine non sa parlare, ma solo ragliare, con la perdita del linguaggio il pensiero si eclissa ed il potere si consolida:
«Questo paese non somigliava a nessun altro paese del mondo. La sua popolazione era tutta composta di ragazzi. I più vecchi avevano 14 anni: i più giovani ne avevano 8 appena. Nelle strade, un’allegria, un chiasso, uno strillìo da levar di cervello! Branchi di monelli da per tutto: chi giocava alle noci, chi alle piastrelle, chi alla palla, chi andava in velocipede, chi sopra un cavallino di legno: questi facevano a mosca-cieca, quegli altri si rincorrevano: altri, vestiti da pagliacci, mangiavano la stoppa accesa: chi recitava, chi cantava, chi faceva i salti mortali, chi si divertiva a camminare colle mani in terra e colle gambe in aria: chi mandava il cerchio, chi passeggiava vestito da generale coll’elmo di foglio e lo squadrone di cartapesta: chi rideva, chi urlava, chi chiamava, chi batteva le mani, chi fischiava, chi rifaceva il verso alla gallina quando ha fatto l’ovo: insomma un tal pandemonio, un tal passeraio, un tal baccano indiavolato, da doversi mettere il cotone negli orecchi per non rimanere assorditi. Su tutte le piazze si vedevano teatrini di tela, affollati di ragazzi dalla mattina alla sera, e su tutti i muri delle case si leggevano scritte col carbone delle bellissime cose come queste: viva i balocci! (invece di balocchi): non vogliamo più schole (invece di non vogliamo più scuole): abbasso Larin Metica (invece di l’aritmetica) e altri fiori consimili. Pinocchio, Lucignolo e tutti gli altri ragazzi, che avevano fatto il viaggio coll’Omino, appena ebbero messo il piede dentro la città, si ficcarono subito in mezzo alla gran baraonda, e in pochi minuti, com’è facile immaginarselo, diventarono gli amici di tutti. Chi più felice, chi più contento di loro? In mezzo ai continui spassi e agli svariati divertimenti, le ore, i giorni, le settimane passavano come tanti baleni.
— Oh! che bella vita! — diceva Pinocchio tutte le volte che per caso s’imbatteva in Lucignolo.
— Vedi, dunque, se avevo ragione? — ripigliava quest’ultimo. — E dire che tu non volevi partire! E pensare che t’eri messo in capo di tornartene a casa dalla tua Fata, per perdere il tempo a studiare!… Se oggi ti sei liberato dalla noia dei libri e delle scuole, lo devi a me, ai miei consigli, alle mie premure, ne convieni? Non vi sono che i veri amici che sappiano rendere di questi grandi favori.
— È vero, Lucignolo! Se oggi io sono un ragazzo veramente contento, è tutto merito tuo. E il maestro, invece, sai che cosa mi diceva, parlando di te? Mi diceva sempre: — Non praticare quella birba di Lucignolo, perché Lucignolo è un cattivo compagno e non può consigliarti altro che a far del male!…».[2]
Distopia mascherata da utopia Presto svela la distopia: Pinocchio è venduto per la società dello spettacolo, ma un incidente gli impedisce di essere utilizzato nel circo. È venduto ad un compratore che vorrebbe farne pelle da tamburo. Il massimo del profitto deve arrivare con il minimo investimento è il sogno di ogni capitalista piccolo e grande; pertanto, per poterne estrarre la pelle si tenta di affogarlo. In una realtà dove ci sono solo compratori e venditori i deboli sono solo enti da usare. Pinocchio non è guardato da nessuno, è solo un oggetto da cui ciascuno cerca di trarre il proprio piacere e tornaconto: gli spettatori si divertivano per i numeri del ciuchino, l’omino che lo ha condotto nel paese dei balocchi soppesava il guadagno che avrebbe ricavato dalla vendita del ragazzo-ciuchino, e l’ultimo compratore non vede che la pelle del ciuchino da usare per un buon tamburo. Avvoltoi di diversa stazza si lanciano sulla vittima, ciascuno con un proprio “piano d’investimento”. Il paese dei balocchi è la società-azienda in cui vi sono solo compratori e venditori che si muovono tra merci da capitalizzare:
«Quando si rizzò, era azzoppito, e a malapena poté ritornare alla scuderia. — Fuori Pinocchio! Vogliamo il ciuchino! Fuori il ciuchino! — gridavano i ragazzi dalla platea, impietositi e commossi al tristissimo caso. Ma il ciuchino per quella sera non si fece più rivedere.
La mattina dopo il veterinario, ossia il medico delle bestie, quando l’ebbe visitato, dichiarò che sarebbe rimasto zoppo per tutta la vita. Allora il Direttore disse al suo garzone di stalla: — Che vuoi tu che mi faccia d’un somaro zoppo? Sarebbe un mangiapane a ufo. Portalo dunque in piazza e rivendilo. Arrivati in piazza, trovarono subito il compratore, il quale domandò al garzone di stalla: — Quanto vuoi di codesto ciuchino zoppo? — Venti lire. — Io ti do venti soldi. Non credere che io lo compri per servirmene: lo compro unicamente per la sua pelle. Vedo che ha la pelle molto dura, e con la sua pelle voglio fare un tamburo per la banda musicale del mio paese. Lascio pensare a voi, ragazzi, il bel piacere che fu per il povero Pinocchio, quando sentì che era destinato a diventare un tamburo! Fatto sta che il compratore, appena pagati i venti soldi, condusse il ciuchino sulla riva del mare; e messogli un sasso al collo e legatolo per una zampa con una fune che teneva in mano, gli diè improvvisamente uno spintone e lo gettò nell’acqua».[3]
Rileggere Pinocchio è leggere il presente con le sue brutture dinanzi alle quali, non si fa che ripetere che non c’è alternativa. Collodi è ottimista, Pinocchio alla fine riuscirà ad emanciparsi dalle caverne, in cui è caduto. Sembra dirci che la storia, anche quando sembra sotto scacco di forze invisibili continua il suo carsico lavoro. Le autocoscienze non sono enti, ma conservano la possibilità della prassi. Il burattino diventerà essere umano, quando ritroverà il coraggio della prassi alimentata dalla ricerca delle sue radici: Geppetto.
Il capitale, oggi, è ostile ad ogni radicamento, poiché la motivazione alla lotta si materializza solo nell’appartenenza ad una comunità. Uomini e donne anonimi senza patria, lingua e cultura sono maggiormente esposti ai pericoli del “paese dei balocchi”. Le avventure di Pinocchio sono un monito: la motivazione alla lotta emerge dalla consapevolezza che non si è “atomi”, ma ciascuno è parte di una storia collettiva senza la quale non siamo che il nulla tra le forze invisibili della storia. Non ci saranno “fate turchine” a salvarci dalla distopia del presente, solo l’impegno individuale per la comunità può mantenere viva la speranza che indica un futuro diverso dal presente e dal recente passato.
Salvatore Bravo
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[1]Carlo Collodi, pseudonimo di Carlo Lorenzini (Firenze, 24 novembre 1826– Firenze, 26 ottobre 1890).
[2] Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino. Testo tratto dall’Edizione Critica edita dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi in occasione del Centenario di Pinocchio (1983), a cura di Ornella Castellani Pollidori con il patrocinio dell’Accademia della Crusca, pag. 72
011 Margherita Guidacci, La voce dell’acqua.Quaderno di traduzioni [autori tradotti: William Blake, Hilda Doolitle, Thomas S. Eliot, Gabriela Mistral, Richard Eberhart, Robert Frost, Archibald MacLeish, Ezra Pound, Tu Fu, Mao Tse-tung, Federico García Lorca, Vicente Aleixandre, Jorge Guillén, Cristopher Smart, Marie Under, Kathleen Raine, Henrik Visnapuu, Francis Thompson, Czeslaw Milosz, Elizabeth Bishop, John Keats], a cura di Giancarlo Battaglia e Ilaria Rabatti. ISBN 88-87296-42-1, 2202, pp. 152, formato 120×180 mm., Euro 10 – Collana “Filo di perle”. In copertina: Gustav Klimt, Fanciulle con oleandro (1890-1891).
012 Margherita Guidacci, Prose e interviste, a cura di Ilaria Rabatti. ISBN 88-87296-62-6, 1999, pp. 160, formato 140×210 mm., Euro 10 – Collana “Egeria” [4]. In copertina: il volto di Margherita Guidacci.
013 Maura Del Serra, Dialogo di Natura e Anima. ISBN 88-87296-39-1, 1999, pp. 32, formato 140×210 mm., Euro 5 – Collana “Teatro”. In copertina: Edward Munch, Due donne sulla spiaggia, 1888 c.
014 Roberto Signorini, Arte del fotografico. I confini della fotografia e la riflessione teorica degli ultimi venti anni. ISBN 88-87296-85-5, 2001, pp. 256, formato 170×240 mm., Euro 20 – Collana “Fotografia”. In copertina: Emilio De Tullio, Il corpo, il segno, 1997; l’immagine è stata realizzata fotografando l’impronta prodotta da un corpo su un tessuto elastico, teso e illuminato in modo radente.
015 Amedeo Anelli, Novanta. Verso un’arte di pensiero [Scritti su: Edgardo Abbozzo – Giovanni Bai – Sauro Cardinali – Alberto Cavalieri – Andrea Cesari – Franco De Bernardi – Fernanda Fedi – Gino Gini – Staffan Nihén – Claudio Rosi – Fabio Scatoli – Manuela Traini – William Xerra]. ISBN 88-87296-36-7, 1999, pp. 96, formato 140×210 mm., Euro 12 – Collana “Egeria” [3]. In copertina: Giordano Bruno, De Triplice Minimo, Diagramma ermetico.
016
AA.VV. [Karin Boye – Else Lasker-Schüler – Gianna Manzini – Virginia Woolf – Simone Weil – Marina Cvetaeva] (a cura di Moreno Fabbri), Scrittrici del Novecento europeo [Interventi di: Daniela Marcheschi – Uta Treder – Margherita Ghilardi – Maura Del Serra – Gabriella Fiori – Caterina Graziadei]. ISBN 88-87296-04-9, 1998, pp. 96, formato 140×210 mm., Euro 12 – Collana “Egeria” [1]. In copertina: Foto di K. Boye [a], E. Lasker-Schüler [b], G. Manzini [c], V. Woolf [d], S. Weil [e], M. Cvetaeva [f].
017 Maura Del Serra, La Minima [con una nota di Daniela Marcheschi]. ISBN 88-87296-03-0, 1998, pp. 48, formato 140×210 mm., Euro 7 – Collana “Egeria” [2]. In copertina: Margherita Caiani.
018 Simone Weil, Le Poesie [con nota preliminare, Introduzione e traduzione di Maura Del Serra]. ISBN 88-87296-82-0, 2000, pp. 56, formato 140×210 mm., Euro 7 – Collana “Egeria” [6]. In copertina: foto di Simone Weil scattata a Baden-Baden nel 1921.
019 Giuseppe Giusti, Il Gingillino [a cura di Giampiero Giampieri e Luigi Angeli]. ISBN 88-87296-76-6, 2000, pp. 64, formato 140×210 mm., E 5,16. In copertina: Giuseppe Giusti in una foto pubblicata su “Scena illustrata”, anno 65, n. 5, maggio 1950, p. 8.
020 Daniela Marcheschi, Destino e sorpresa;. Per Giuseppe Pontiggia, con i suoi primo scritti sul “verri”. ISBN 88-87296-97-9, 2000, pp. 160, formato 130×200 mm., Euro 10,33 – Collana “L’Olmo” [1]. In copertina: foto di Giuseppe Pontiggia [a] e foto di Daniela Marcheschi [b].
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
001 Maura Del Serra, Congiunzioni. Ventiquattro poesie inedite. ISBN 88-7588-096-4, 2004, pp. 32, formato 115×167 mm, Euro 5. In copertina: Matrimonio dell’acqua e del fuoco, antica raffigurazione indiana.
004 Luca Grecchi, L’anima umana come fondamento della verità. ISBN 88-87296-46-4, 2002, pp. 112, formato 140×225 mm, Euro 12 – Collana “La ziqqurat” [4]. In copertina: Juseppe de Ribera, detto lo Spagnoletto, I saltimbanchi, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid.
005 Luca Grecchi, Karl Marx nel sentiero della verità. ISBN 88-87172-37-8, 2003, pp. 176, formato 140×225 mm, Euro 15 – Collana “La ziqqurat” [5]. In copertina: Leonardo da Vinci, Canone di proporzioni.
007 Costanzo Preve,Le contraddizioni di Norberto Bobbio. Per una critica del bobbianesimo cerimoniale. ISBN 88-87172-20-3, 2004, pp. 160, formato 140×210 mm, Euro 12 – Collana “Divergenze” [37]. In copertina: Alchimisti al lavoro intorno ad un alambicco di distillazione; illustrazione xilografica dal De Secretis Naturae (1544) di Philip Ulstadt.
008 Giancarlo Paciello, La conquista della Palestina. Le origini della tragedia palestinese. Con testi di Henry Laurens, Francis Jennings, Zeev Sternhell, Norman Finkelstein, Gherson Shafir. ISBN 88-87172-19-X, 2004, pp. 304, formato 170×240 mm, Euro 20 – Collana “Divergenze” [38]. In copertina: Una rifugiata palestinese separata – con il filo spinato – dalla sua casa dalla “Linea Verde”, la linea armistiziale definita dopo la guerra arabo-israeliana del 1948. Oggi si costruisce IL MURO.
009 Ain Zara Magno, Parole d’amore, a cura di Ilaria Rabatti. ISBN 88-88172-03-3, 2001, pp. 64, formato 120×180 mm., Euro 8,00 – Collana “Filo di perle”. In copertina: Amedeo Modigliani, Jeanne Hébuterne seduta in fronte, 1918.
010 Luisa Giaconi, Dalla mia notte lontana, a cura di Ilaria Rabatti. ISBN 88-88172-02-5, 2001, pp. 64, formato 120×180 mm., Euro 8,00 – Collana “Filo di perle”. In copertina: D. G. Rossetti, Sogno a occhi aperti (1878), Oxford, Asmolean Museum.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
Meglio scrivere un libro importante nel deserto che diventare celebri per equivoco. Il poeta che non ha mai somigliato a una sorgente che dal profondo soltanto deriva il suo riso e le lacrime, perché non si è messo piuttosto un berretto di piume di gallo, non regge un uovo sul naso e non danza sui bicchieri?
Margherita Guidacci
La seconda edizione, riveduta e accresciuta, di questo volume che integra definitivamente l’opera poetica di Margherita Guidacci, riunisce con cura filologica e bio-bibliografica l’intero corpus poetico della poetessa fiorentina: dalle acerbe ma già personali Prime del 1939-40, maturate nell’ambiente “ermetico” di formazione, al folgorante esordio del 1946 con La sabbia e l’angelo, alla tragica “discesa agli Inferi” di Neurosuite (1970) e all’epifania amorosa dell’Inno alla gioia (1983), fino al postumo e testamentario Anelli del tempo (1993). Dall’arco cinquantennale delle raccolte e delle molte “disperse” ritrovate e riunite, balza con singolare e scolpita coerenza una delle figure più alte e limpide del nostro Novecento poetico, intrisa di vaste e profonde consonanze europee (Guidacci fu traduttrice empatica ed eclettica, soprattutto dai prediletti Donne, Dickinson ed Eliot, ma anche da Guillén e da poeti slavi e cinesi). Si staglia qui con assolutezza la voce oggettiva, austera e tenera a un tempo, di una “Sibilla” classica e cristiana, dall’ethos intimamente civile e religioso ma non confessionale né omologabile a ortodossie ideologiche o letterarie, fedele solo alla sua “crescita” interiore e cosmica.
351 Arianna Fermani, Daniele Guastini, Alberto Jori, Giulio A. Lucchetta, Maurizio Migliori, Angelo Tonelli, Il futuro dell’antico. Filosofia antica e mondo contemporaneo. ISBN 978-88-7588-263-1, 2020, pp. 272, formato 140×210 mm., Euro 30 – Collana “Il giogo” [120]. A cura di Elena Bartolini, Andrea Ignazio Daddi, Alessandra Filannino Indelicato. Atti del Convegno di Studi «Il futuro dell’antico. Filosofia antica e mondo contemporaneo», Università degli studi di Milano Bicocca, 27-28 Marzo 2019. Moderatori: Claudia Baracchi, Luca Grecchi.
352 Giancarlo Paciello, Piccola storia dell’Irlanda. ISBN 978-88-7588-270-9, 2020, pp. 112, formato 140×210 mm., Euro 12, Collana “Divergenze” [63]. In copertina: Arpa irlandese. Emblema della Society of United Irishmen.
354 David Ciolli, Le porte del silenzio. Il libro degli insegnamenti di Imdah. ISBN 978-88-7588-272-3, 2020, pp. 104, formato 105×155 mm., Euro 8 – Collana “lo spazio della vita” [4]. In copertina: Giovanna Incoronata Ghini, Selon que … (particolare), 2018
355 Salvatore A. Bravo, L’animalizzazione dell’essere umano nel capitalismo. ISBN 978-88-7588-274-7, 2020, pp. 192, formato 170×240 mm., Euro 20 – Collana “Divergenze” [66]. In copertina: Hieronymus Bosch, Giardino delle delizie, trittico a olio su tavola, 1480-1490, particolare dell’Inferno, Museo del Prado di Madrid.
356 Fernanda Mazzoli, Di argini e strade. Un racconto di pianura. ISBN 978-88-7588-276-1, 2020, pp. 128, formato 130×200 mm., Euro 12. In copertina: Marc Chagall, La passeggiata, olio su tela, 1917-1918, Museo di San Pietroburgo.
342 Marino Gentile, Il problema della filosofia moderna. ISBN 978-88-7588-260-0, 2020, pp. 144, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [114]. In copertina: Maurits Cornelis Escher, Mano con sfera riflettente (Autoritratto nello specchio sferico), 1935.
343 Maurizio Migliori, Luca Grecchi, Tra teoria e prassi. Riflessioni su una corsa ad ostacoli. Introduzione di Carmelo Vigna. ISBN 978-88-7588-262-4, 2020, pp. 144, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [115]. In copertina: Paul Klee, Revolution des Viaducts (Rivoluzione del viadotto), 1937. Hamburger Kunsthalle, Amburgo.
344 Rodolfo Mondolfo, Alle origini della filosofia della cultura. Introduzione di Renato Treves. ISBN 978-88-7588-264-8, 2020, pp. 224, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “Il giogo” [116]. In copertina: La Metopa di Atlante del Tempio di Zeus a Olimpia (460-450 a.C. circa). Olimpia, Museo Archeologico.
345 Salvatore A. Bravo, L’umanesimo integrale di Massimo Bontempelli. Filosofia Storia Pedagogia. ISBN 978-88-7588-176-4, 2020, pp. 128, formato 170×240 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [117]. In copertina: Paul Klee, Einst dem Grau der Nacht enttaucht … (Dapprima innalzatosi dal grigiore della notte …), 1918, Berna, Kunstmuseum.
347 Diego Lanza, Lo stolto. Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune. Prefazione di M. Stella: La storia incantata. Diego Lanza narratore e antropologo dello ‘stolto’. Postfazione di G. Ugolini: Del ridere e del conoscere: la stultitia secondo Diego Lanza. ISBN 978-88-7588-255-6, 2020, pp. 448, formato 140×210 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [118]. In copertina: Anonimo, Il mondo sotto il berretto del matto, 1600 ca. Norimberga, Germanisches Nationalmuseum.
348 Daniele Orlandi, Scrivere il risentimento. Su Jean Améry. ISBN 978-88-7588-259-4, 2020, pp. 112, formato 130×200 mm., Euro 12. In copertina: Giuditta Tanese, Ritratto di Jean Améry, 2019.
349 Rodolfo Mondolfo, Moralisti greci. La coscienza morale da Omero a Epicuro. ISBN 978-88-7588-266-2, 2020, pp. 192, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “Il giogo” [121]. In copertina: J.-L. David, La morte di Socrate (particolare), 1786-1787. New York, The Metropolitan Museum of Art.
350 Roberto Fumagalli, Carlo Michelstaedter. Filosofo, poeta e mistico. ISBN 978-88-7588-232-7, 2020, pp. 344, formato 140×210 mm., Euro 30 – Collana “Il giogo” [119]. In copertina: Carlo Michelstaedter, Autoritratto.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
331 Diego Lanza, La disciplina dell’emozione.Un’introduzione alla tragedia greca. Prefazione di Anna Beltrametti. ISBN 978-88-7588-235-8, 2019, pp. 416, formato 140×210 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [107]. In copertina: Alcesti, i figli e altri personaggi, Loutrophòros apula vicina al Pittore di Laodamia, 340 a.C. circa., Basel, Antikenmuseum.
332 Enrico Berti, Luciano Canfora, Bruno Centrone, Franco Ferrari, Francesco Fronterotta, Silvia Gastaldi, La filosofia come esercizio di comprensione. Studi in onore di Mario Vegetti. Nota di Fiorinda Li Vigni. Prefazione di Giovanni Casertano e Lidia Palumbo. ISBN 978-88-7588-237-2, 2019, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “Il giogo” [108]. In copertina: Mario Vegetti.
333 Antonio Fiocco, Ideare il futuro comunitario per viverne l’essenza nel presente. ISBN 978-88-7588-239-6, 2019, pp. 80, formato 170×240 mm., Euro 10 – Collana “Divergenze” [64]. In copertina: V.V. Kandinskij, Giallo, rosso, blu (1925), Musée National d’art Moderne, Centre Georges Pompidou.
334 Enrico Berti, Scritti su Heidegger. ISBN 978-88-7588-241-9, 2019, pp. 176, formato 140×210 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [109]. In copertina: Statua in bronzo di Aristotele, ingresso della Albert-Ludwigs-Universität di Friburgo, Germania. In quarta di copertina: Paul Klee, Die Zeit, 1933.
335 Maura Del Serra, Altro Teatro. Introduzione di Marco Beck. ISBN 978-88-7588-243-3, 2019, pp. 208, formato 130×200 mm., Euro 18 – Collana di Teatro “Antigone” [12]. In copertina: Beato del San Andrés de Arroyo, El fuego de Babilonia, iluminación sobre pergamino. Folio 147, Paris, Bibliothèque Nationale de France.
336 Jules Vallès, L’insorto. Introduzione, traduzione e cura di Fernanda Mazzoli. ISBN 978-88-7588-207-5, 2019, pp. 320, formato 140×210 mm., Euro 27. In copertina: Jules Vallès.
337 Giangiuseppe Pili, Anche Kant amava Arancia meccanica. La filosofia del cinema di Stanley Kubrick. Prefazione di Silvano Tagliagambe. ISBN 978-88-7588-230-3, 2019, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [4]. In copertina: Stanley Kubrick sullo sfondo di una sequenza di 2001. Odissea nello spazio, con l’astronauta David Bowman (interpretato da Keir Dullea). In quarta: il monolito nero.
338 Sergio Rinaldelli, Vento di sogni. Note di pittura (1976-2018). ISBN 978-88-7588-170-2, 2020, pp. 120, formato 130×200 mm., Euro 10. In copertina: Sergio Rinaldelli, Vento di sogni sulla parete antica, 2005, olio su faesite, 70×80.
339 Carlo Carrara, Essere e Dio in Heidegger. ISBN 978-88-7588-234-1, 2020, pp. 200, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “Il giogo” [110]. In copertina: Robert Ryman, Twin (1965).
340 Livio Rossetti, Parmenide e Zenone, sophoi ad Elea. Presentazione di Mariana Gardella Hueso. ISBN 978-88-7588-256-3, 2020, pp. 160, formato 130×200 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [112]. In copertina: Parmenide e Zenone alla porta di Elea.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
Solo l’esito infelice della Comune e il successivo esilio a Londra fecero di Jules Vallès uno scrittore e, anzi, uno dei più singolari del suo tempo. Prima era stato un giornalista di estrema sinistra sotto Napoleone III detto il Piccolo, collaboratore di fogli più o meno effimeri quali La Rue e poi fondatore di un giornale, Le Cri du peuple (chiaro omaggio all’archetipo di Jean-Paul Marat), che della Comune sarebbe divenuto l’emblema. Alverniate di origine, allevato in una famiglia piccolo-borghese che in realtà è un universo concentrazionario (suo padre insegnante contegnoso, ligio al governo, sua madre contadina prodiga di castighi e di pregiudizi), Vallès fa parte della generazione che esce dalla sconfitta del 1848 e dalle barricate parigine di giugno di cui dicono le pagine più tese di Herzen in Passato e pensieri. Nella capitale fin dal 1851, che è l’anno del 18 brumaio di Luigi Bonaparte, non ha un preciso apprendistato politico se non quello che gli viene dalla inquietudine degli studenti e, in clandestinità, dai propositi rivoltosi di taluni circoli operai: Vallès è un libertario o in sostanza un socialista rivoluzionario (e, va anche detto, un anti-marxista dichiarato), i suoi autori sono Proudhon e lo storico Jules Michelet di cui è assiduo alle lezioni di storia nel Collège de France. Quella che appare già sua, viceversa, è una scrittura che gli deriva dagli autori di un tribolatissimo baccalaureato, specie Sallustio e Tacito, una scrittura rapida, ritmica, scandita da inversioni, impennate, brucianti aforismi e perciò lontana dalla tipica retorica umanitaria con accenti calligrafici degli autori della II Internazionale.
Le inchieste nei «Refrattari» Argomento pressoché esclusivo di Vallès giornalista (che non ama la politica politicante e malvolentieri, durante la Comune, accetta la elezione a deputato del XV arrondissement) è l’esistenza quotidiana degli individui marginali e reietti, la folla di umiliati e offesi di cui la dittatura fondiaria e/o bancaria dell’Impero sta affollando le strade di Parigi: nel 1865 (l’ultima edizione italiana, da SugarCo, risale invece al 1980) riunisce le sue inchieste in un volume dal titolo programmatico e persino autobiografico, I refrattati, che chiude virtualmente la vicenda di giornalista. Testimone fino all’ultimo della Comune nella cosiddetta «settimana di sangue», sottrattosi rocambolescamente alla caccia all’uomo dei versagliesi di Thiers, poco incline alle diatribe dei reduci e alla frequentazione degli altri comunardi in esilio, è dunque a Londra che Vallès progetta qualcosa che combini il suo tracciato autobiografico, insomma un memoir, con il meccanismo di un romanzo di formazione scritto da chi peraltro non si vuole un letterato à la page ma solo un fervente lettore di Balzac, di Victor Hugo e di Charles Dickens. Titolo complessivo è un nome assonante con il suo, ]acques Vingtras, e si tratta di una trilogia aperta da L’enfant (1879) che prosegue con Le bachelier (1881) e si conclude con L’insurgé (1886) immediatamente postumo. Ora, dopo una assenza lunghissima, escono in contemporanea, grazie a due appassionati studiosi e a due piccoli benemeriti editori, Il diplomato (a cura di Enrico Zanette, edizionispartaco, «Dissensi», pp. 309, € 16.50) che è una princeps italiana in assoluto, e L’insorto (a cura di Fernanda Mazzoli, Petite Plaisance pp. 318, € 27.00) la cui versione precedente di Giacomo Cantoni uscì nel 1953 per la Universale Economica, libretti dalla copertina gialla o arancione immancabili nelle sezioni dei partiti operai. Nel primo, Vingtras è già a Parigi e vive la vita di bohème che Henri Murger, ai propri occhi, ha edulcorato e di fatto ha tradito. Tra infime bettole e sottotetti di fortuna, egli è alla ricerca disperata di un impiego da scritturale, da insegnante o da giornalista, ma quando lo ottiene (e al quotidiano Le Figaro, addirittura) se lo gioca rifiutando di piegare la schiena e di adattarsi, parlando d’altro, ai tabù del regime napoleonico: epicentro è il Quartiere Latino, che il protagonista draga nel suo dedalo di miseri ritrovi come un uomo di continuo risucchiato tra la folla di reietti come lui ma nel frattempo delegato a loro portavoce nella clandestinità di quanti si oppongono, ancora mutamente, alla dittatura. Romanzo della miseria piccoloborghese e della etimologica viltà di un ceto che la lotta di classe sta per annientare, Il diplomato è il luogo di fermentazione di «un’opera di lotta», così la definisce Enrico Zanette, che culmina nella partitura oramai polifonica de L’Insorto. Vallès qui ripercorre la parabola della Comune, il suo sguardo è al solito portato dal basso e il luogo del protagonista è collocato a latere: chi dice «io» in effetti dice «noi», senza doverlo proclamare con enfasi perché qui la scrittura – nota puntualmente Fernanda Mazzoli – è un «riconoscimento di sé che, per realizzarsi pienamente, passa attraverso il riconoscimento della propria gente».
Il «ragazzo» latitante Infatti lo scrittore può persino permettersi un finale avventuroso, da racconto picaresco. E qui va detto che è un peccato continui a latitare dal 1973 (catalogo di Feltrinelli, versione magnifica di Lisli Basso) l’incipit della trilogia, Il ragazzo, un autentico capolavoro. Scritto stavolta al chiuso di una monodìa della sofferenza adolescente e nello stile esplosivo di quella che Vallès chiamava langue verte (cioè gergale ma anche ruvida, acerba), il romanzo rappresenta un atto di accusa contro la famiglia tradizionale e le altre istituzioni, a partire dalla scuola, che assortiscono l’universo disciplinare dell’infanzia. Ambientato nei borghi della Alvernia nativa, il piccolo Jacques Vingtras vi conosce la pedagogia delle gifles, le sberle, le atroci penombre di una provincia ignorante e bigotta, infine il sussiego di una piccola borghesia che si immola per imitare, vanamente, le grandigie della classe superiore; ma Vingtras qui può anche vivere, almeno a momenti, l’estasi di un contatto carnale con la natura, errando per i boschi e le vaste praterie lontano dalla ferula dei suoi istitutori. Memore di Hugo (in particolare di Gavroche, le gamin, il monello de I Miserabili) e anche dell’Oliver Twist di Dickens, Il ragazzo ha ispirato espressamente il personaggio di Bardamu ne il Viaggio al termine della notte (e Céline, di solito avaro di riconoscimenti, ranunenta Vallès ancora nelle tarde interviste di Meudon) ma ha influenzato anche un paio di capolavori della cinematografia francese, Zéro de conduite (1933) di Jean Vigo, piccola bibbia della ribellione impubere, e il folgorante esordio di Francois Truffaut, Les Quatre Cents Coups (1959) il cui protagonista Antoine Doinel è quasi un redivivo Jacques Vingtras, una vittima sacrificale della famiglia e della scuola. «Vi si vedrà come il pane, il denaro, l’habitat, la promozione sociale, i valori borghesi e rivoluzionari, la ricchezza e la povertà, l’oppressione e la rivolta, le classi sociali siano solo investimenti in cui i genitori hanno il ruolo di agenti di produzione e di antiproduzione particolari, sempre là a prendersi per l bavero con altri agenti che essi esprimono tanto meno in quanto sono alle prese con loro nel cielo e nell’inferno del bambino. E il bambino dice: perché?»: sono parole tratte da un libro molto amato dalla generazione antagonista, L’anti-Edipo (Einaudi 1975) di Gilles Deleuze e Félix Guattari, e sono scritte giusto a proposito del capolavoro di Jules Vallès.
Massimo Raffaeli, Vallès. Ruvida lingua di un io che parla per gli infelici noi, «Alias», il manifesto, 27-12-2020, pp. 3-4.
Nei giorni eroici e tragici della Comune un giornalista squattrinato ed insofferente all’ordine costituito fa sua la causa degli insorti, condividendone speranze, battaglie, sofferenze, entusiasmi ed errori fino alla sanguinosa sconfitta. Storia collettiva e destino individuale si incontrano, si confondono e si alimentano reciprocamente in una narrazione serrata dal ritmo incalzante, capace di restituire lo spirito di un tempo grande e terribile e l’umana verità di quanti, vittime dell’ingiustizia sociale, osarono sperare e progettare un mondo diverso.
Libro della Comune e nella Comune, espressione di una profonda fedeltà alle sue ragioni, e per questo relegato ai margini della letteratura, L’insurgé trova nella sua apparente inattualità il punto di forza del suo incontro con il lettore di oggi, costringendolo ad uscire dal perimetro del “migliore dei mondi possibili” tracciato dal pensiero dominante per confrontarsi con la passione durevole per una prassi di emancipazione comunitaria. «Rendere coscienti le tendenze incoscienti della Comune» (F. Engels) è opera di cui non si è detta l’ultima parola.
Massimo Raffaeli, filologo e critico letterario, è nato a Chiaravalle nel 1957. Scrive su quotidiani (La Stampa, il manifesto) e collabora con le riviste Nuovi Argomenti, Il Caffè illustrato. Ha scritto testi per programmi radiofonici di Rai Radio 3 e della Radio Svizzera Italiana (RSI). Ha curato testi di autori del Novecento (fra cui Primo Levi e Paolo Volponi) e ha tradotto opere di Antonin Artaud, René Crevel, Louis-Ferdinand Céline, Jean Genet, Roger Nimier e Tony Duvert. Si è interessato dell’intreccio tra calcio e letteratura in L’angelo più malinconico (2005) e Sivori, un vizio (2011). Parte della sua produzione è raccolta, da ultimo, nei volumi I fascisti di sinistra e altri scritti sulla prosa (Aragno 2014), Il pane della poesia. Epicedi 1994-2013 (Cadmo 2015) e L’amore primordiale. Scritti sui poeti (Gaffi 2016). Nel 2019 è uscito Marca francese, frutto di un ventennale confronto con gli autori e le pagine più belle della letteratura francese moderna e contemporanea.
Più passa il tempo e più mi convinco che sarebbe utile abbandonare questa presunta coppia dialettica, Oeriente/Occidente, a favore di una definizione di ovest/est, qualcosa che si limiti a parlare soltanto di coordinate geografiche e non di altro. Questo perché si tratta di termini così profondamente segnati dall’eco di una visione orientalista, propria dell’età coloniale, che porta con sé la fascinazione per l’esotico ma anche l’idea di dominio. In realtà, quando si mettono in contrapposizione questi elementi si rompe in modo artificiale una linea di continuità che esiste da sempre, pur se tra rotture e passaggi. Un esempio? Quando Antoine Galland tradusse per la prima volta dall’arabo nel 1704 l’opera di origine persiana Le mille e una notte, aggiunse la figura del marinaio Sinbad alla raccolta di racconti che possedeva e che sarebbe stata usata nelle edizioni arabe del Cairo negli anni Ottanta del XIX secolo. Le prime versioni turche saranno poi tradotte dal francese, riprendendo questa versione che era stata scritta a Parigi.
La frontiera può rappresentare qualcosa di molto violento, quando si chiude di fronte al desiderio e al bisogno di attraversarla – pensiamo alle politiche dell’Unione europea che provocano decine di morti in mare ogni giorno – ma, al tempo stesso, può incarnare una possibilità, un’occasione offerta al cambiamento, al passaggio, all’incontro. C’è una sorta di contraddizione in termini nell’idea stessa di frontiera come limite, perché è un luogo che separa e che unisce allo stesso tempo. Per questo la nozione di frontiera non si limita soltanto ad una linea tracciata su una carta geografica, ma può essere più o meno profonda, iscritta in un orizzonte più largo di confronto, più essere la condizione formale di una scoperta. Del resto, nel momento in cui la frontiera definisce un’idea di limite, contribuisce a costruire la figura del contrabbandiere. E sul piano letterario un contrabbandiere è colui che fa passare dei testi da una parte all’altra, dall’uno all’altro. La frontiera crea la necessità della traduzione. In lingua basca c’è una bella espressione per definire il contrabbando, lo chiamano «il lavoro della notte». E il mestiere dello scrittore assomiglia un po’ a questo: non solo il lavorare la notte, come diceva Marcel Proust, ma il trasportare da un luogo all’altro, da un contesto all’altro dei racconti, delle storie, delle narrazioni.
Mathias Énard, “Letteratura e poesia come strumenti diviaggio che intrecciano le culture e interrogano le memorie”, il manifesto, 6-12-2020, p. 10.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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