«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
Dans ce temps si limité, nous avons nos joies, nos douleurs; que du moins elles nous appartiennent, que nos manifestations en soient les témoignages et ne ressemblent qu’à nous – mêmes. C’est dans ce désir que je présente mes oeuvres à ceux dont la pensée est proche de la mienne. Je leur dois compte de mes efforts et je les leur soumets. Je vois les autres hommes en moi et je me retrouve en eux, ce qui me passionne leur est cher.
Eugène Carrière, Écrits Et Lettres Choisies [Mercure de France, Paris (1907)], 2019.
In questo tempo così limitato, abbiamo le nostre gioie, i nostri dolori; che almeno ci appartengono, che le nostre manifestazioni ne sono testimonianza e assomigliano solo a noi stessi. È in questo desiderio che presento le mie opere a coloro il cui pensiero è vicino al mio. Devo loro il resoconto dei miei sforzi e a loro li sottopongo. Vedo gli altri uomini in me stesso e mi ritrovo in loro, ciò che mi affascina è loro caro.
«Dio ci ha dato la musica così che soprattutto ci possa portare verso l’alto. La musica unisce tutte le qualità: può esaltarci, divertirci, rallegrarci o rompere il più duro dei cuori con i più dolci dei suoi toni malinconici. Ma la sua funzione principale è di condurre i nostri pensieri verso cose più alte, elevarli, anche a costo di farci tremare […] L’arte musicale spesso si esprime in suoni più penetranti delle parole della poesia e penetra nelle fessure più nascoste del cuore. […] La canzone eleva il nostro essere e ci porta verso il buono e il vero. Se tuttavia la musica serve solo come un diversivo o come una specie di vana ostentazione è peccaminosa e dannosa».
Friedrich Wilhelm Nietzsche, cittato in: Julian Young, A Philosophical Biography Friedrich Nietzsche, Cambridge University Presse, London, 2010.
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«Nel Tristan, fra la nostra più alta emozione musicale e la musica s’insinuano il mito tragico e l’eroe tragico, quale simboli delle verità più universali, di cui la musica sola può parlare per via diretta. Quale simbolo tuttavia il mito resterebbe inefficace. […] L’apollineo ci strappa all’universalità dionisiaca e ci attrae verso gli individui».
Friedrich Wilhelm Nietzsche, La nascita della tragedia, in La polemica sull’arte tragica, Sansoni, Firenze 1972, pp. 168, 169, poi 160.
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«Forse, non c’è mai stato un filosofo che fosse, au fond, musicista quanto lo sono io […] non conosco più nulla, non sento più nulla, non leggo più nulla: e malgrado tutto ciò non c’è niente che, propriamente, mi interessi di più del destino della musica».
Friedrich Wilhelm Nietzsche, Lettera al direttore d’orchestra Hermann Levi del 20 ottobre 1887.
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«Possa la mia musica dimostrare che si può essere dimentichi del proprio tempo e che in ciò v’è qualcosa di ideale!” […] per me resta sempre un fatto straordinario come nella musica si riveli l’immutabilità del carattere; ciò che vi esprime un fanciullo è così chiaramente il linguaggio essenziale della sua intera natura, che anche l’adulto non ritrova nulla da cambiare”.
Friedrich Wilhelm Nietzsche, Lettera del 20 marzo 1875 all’amica Malwida von Meysenbug.
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«Le mie improvvisazioni al pianoforte hanno non poco successo, e fui solennemente festeggiato con un brindisi in mio onore. Ernst ne è assolutamente incantato, come direbbe Lisabeth; dovunque io mi trovi debbo suonare e vengo applaudito: è ridicolo. Ieri, nel pomeriggio, ci recammo a Schwelm, […] la sera, in un ristorante, suonai, senza saperlo, alla presenza di un rinomato direttore d’orchestra, il quale rimase a bocca aperta e mi fece ogni sorta di complimenti, scongiurandomi di far parte, la sera, della sua società corale.».
Friedrich Wilhelm Nietzsche, Lettere alla amdre e alla sorella, Franziska ed Elisabeth, del dicembre 1864 e del 18 febbraio 1865.
«La musica oltrepassa le idee, è del tutto indipendente anche dal mondo fenomenico, lo ignora, in un certo modo potrebbe continuare ad esistere anche se il mondo non esistesse più: cosa che non si può dire delle arti. La musica è infatti oggettivazione e immagine dell’intera volontà, tanto immediata quanto il mondo, anzi, quanto le idee, la cui pluralità fenomenica costituisce il mondo degli oggetti particolari».
Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, [1819l, ed. it. a cura di Ada Vigliani, Mondadori, Milano 1995.
Una sera che ero uscito a spasso, a spasso in Bristol Street, sul lastrico le folle erano campi di grano pronto per la mietitura.
E lungo il fiume in piena udii un innamorato che cantava sotto un’arcata della ferrovia: «L’amore non ha fine.
«Io ti amerò, mia cara, ti amerò finché la Cina e l’Africa s’incontrino, e il fiume schizzi sopra la montagna e per la strada cantino i salmoni.
«Io ti amerò finché l’oceano sia ripiegato e steso ad asciugare, e vadano le sette stelle urlando come oche in giro per il cielo.
«Come conigli correranno gli anni perché io tengo stretto fra le braccia il Fiore delle Età, e il primo amore al mondo».
Ma tutti gli orologi di città si misero a vibrare e rintoccare: «Oh, non lasciarti illudere dal Tempo, non puoi vincere il Tempo.
«Nelle tane dell’Incubo, dove Giustizia è nuda, dall’ombra il Tempo vigila e tossisce se hai voglia di baciare.
«Tra emicranie e in ansia vagamente la vita cola via, e il Tempo avrà vinto la partita domani o ancora oggi.
«In molte verdi valli si accumula la neve spaventosa; il Tempo spezza le danze intrecciate e dell’atleta lo stupendo tuffo.
«Oh, immergi nell’acqua le tue mani, giù fino al polso immergile; e guarda, guarda bene nel catino e chiediti che cosa hai perduto.
«Nella credenza scricchiola il ghiacciaio, il deserto sospira dentro il letto, e nella tazza la crepa dischiude un sentiero alla terra dei defunti.
«Dove i barboni vincono bei soldi e il Gigante fa le moine a Jack, e l’Angioletto è un nuovo Sacripante, e Jill finisce giù lunga distesa.
«Oh, guarda, guarda bene nello specchio, guarda nella tua ambascia; la vita è ancora una benedizione anche se benedire tu non puoi.
«Oh, rimani, rimani alla finestra mentre bruciano e sgorgano le lacrime; tu amerai il prossimo tuo storto con il tuo storto cuore».
Era tardi, già tardi quella sera, loro, gli amanti, se n’erano andati; tutti i rintocchi erano cessati, e il gran fiume correva come sempre.
Wystan Hugh Auden, Un altro tempo, a cura di Nicola Gardini, Adelphi, Milano, 1997.
Descrizione
Tra le raccolte di poesie di Auden un posto molto particolare spetta senza dubbio a Un altro tempo: e per più ragioni, a cominciare dalla sua collocazione cronologica, che ne fa in un certo senso un libro di storia. Il periodo della composizione abbraccia la vigilia e gli inizi della seconda guerra mondiale, e comprende i giorni di una svolta drammatica nella vita del poeta: la decisione di lasciare l’Inghilterra e di stabilirsi negli Stati Uniti. Abituato a vivere intensamente e da vicino gli eventi pubblici, dalla guerra di Spagna alla crisi europea, Auden interpreta da poeta non solo l’invasione tedesca della Polonia, ma anche la scomparsa di figure come Yeats e Freud. Intanto entra in un «altro tempo» con un esilio che lo accomuna a schiere innumerevoli di profughi (ai quali dedica Refugee Blues e altri versi) e lo avvia alla cittadinanza americana, senza mai attenuare i ricordi dell’Inghilterra e dell’Europa (Oxford, il Vallo Romano, il Musée des Beaux-Arts di Bruxelles). Un altro tempo è tipicamente audeniano anche perché alterna liriche metafisiche ad altre cosiddette light (come Funeral Blues e Calypso), che sono tra le sue più famose o addirittura popolari; e perché l’omaggio ai grandi del passato (Melville, Rimbaud, Voltaire) non esclude un’attenzione commossa o sarcastica per piccole creature del presente (la povera Miss Gee o il chimico che con la sua passione per gli esplosivi contribuirà a distruggere la propria casa). Mai pubblicato in Italia nella sua integrità, Un altro tempo è infine una testimonianza delle esperienze americane di Auden già dalla poesia d’apertura, con la dedica a Chester Kallman – dedica che è quasi l’annuncio pubblico di un sodalizio destinato a durare una vita.
Poesie, introduzione, versione e note di Carlo Izzo, Guanda, 1952
Per il tempo presente : oratorio di Natale, traduzione di Aurora Ciliberti, All’insegna del pesce d’oro, 1964
L’età dell’ansia : egloga barocca, traduzione di Lina Dessì e Antonio Rinaldi, Mondadori, 1966
Opere poetiche, traduzione di Aurora Ciliberti, 2 voll., Lerici, 1966-1969
Saggi, trad. G. Fiori Andreini, Garzanti, 1968
Il jolly nel mazzo : saggi su Shakespeare, D. H. Lawrence, Marianne Moore, Frost, Byron, Dickens, Ibsen, Stravinsky, Garzanti, 1972
Grazie nebbia!, a cura di Aurora Ciliberti, Guanda, 1977; TEA, 1998
Città senza mura e altre poesie, a cura di Aurora Ciliberti ; introduzione di Marisa Bulgheroni, Mondadori, 1981
Poesie, a cura di Aurora Ciliberti, Mondadori, 1981
Riti della parola, Vita e Pensiero, Milano, 1985
Horae canonicae, traduzione di Aurora Ciliberti ; note di Maria Vailati, SE, 1986
Gli irati flutti, a cura di Gilberto Sacerdoti, Arsenale, 1987; poi Fazi, 1995
Il mare e lo specchio : commentario a “La tempesta” di Shakespeare, a cura di Aurora Ciliberti, SE, 1987
Lettere dall’Islanda, a cura di Aurora Ciliberti, Archinto, 1993
(con Christopher Isherwood) Viaggio in una guerra, traduzioni di Aurora Ciliberti e Lucia Corradini, SE, 1993; poi Adelphi, 2007
L’eta dell’ansia : egloga barocca, traduzione di Lina Dessi, Antonio Rinaldi, introduzione di Valerio Magrelli, Il melangolo, 1994.
La verità, vi prego, sull’amore, trad. di Gilberto Forti, Adelphi, 1994
Shorts, trad. di Gilberto Forti, Adelphi, 1995
Un altro tempo, a cura di Nicola Gardini, Adelphi, 1997
La mano del tintore, trad. di Gabriella Fiori, Adelphi, 1999
Lo scudo di Perseo, trad. di Gabriella Fiori, Adelphi, 2000
Lezioni su Shakespeare, a cura di Arthur Kirsch ; traduzione di Giovanni Luciani, Adelphi, 2006
Grazie, nebbia : ultime poesie, a cura di Alessandro Gallenzi, Adelphi, 2011
Oratorio di Natale, traduzione di Vanni Bianconi, Transeuropa, 2011
Poesie scelte, A cura di Edward Mendelson, trad. di Massimo Bocchiola e Ottavio Fatica, Adelphi, 2016
«Perché ciò che è propriamente storico non è il fatto resuscitato con tutti i suoi componenti, fantasma della sua realtà, né tanto meno la visione arbitraria che elude il fatto, bensì la visione di quel che sopravvive ai fatti, il senso che sopravvive assumendoli come corpo. Non gli avvenimenti così come furono, ma ciò che ne è rimasto: le rovine. Le rovine sono la cosa più viva della storia, perché vive storicamente soltanto ciò che è sopravvissuto alla sua distruzione, ciò che è rimasto sotto forma di rovine. In tal modo le rovine ci darebbero il punto di identità tra il vivere personale – la storia personale – e la storia. Persona è colui che nella vita è sopravvissuto alla distruzione di ogni cosa, e ancora lascia intravedere, con la sua stessa vita, che un senso superiore ai fatti fa acquisire ad essi significato configurandoli in un’immagine: affermazione di una libertà imperitura pur nell’imporsi delle circostanze, nella prigione delle situazioni».
María Zambrano, L’uomo e il divino, trad. it. di G. Ferraro, Roma, Edizioni Lavoro, 2008, p. 228.
«La funzione dello scrittore è sempre quella di porsi come critico della società cui appartiene, non in senso negativo, ma come portatore di una confliettualità interna alla società che dovrebbe essere vivificante e creativa e servire a migliorarla. […] Pensiamo per esempio a Pasolini che per primo ha avvertito i segnali di una catastrofe ambientale e antropologica, visibile in modo violento soprattutto nelle perieferie della città […] sempre più alterata dall’avvento di una modernità male assimilata e dal consumismo che ha devastato l’Italia».
Raffaele La Capria, Il fallimento della consapepolezza, Mondadori, Milano 2019.
«L’emergere degli esseri umani come “specie” – uomini e donne capaci di vivere in quella comunità di libertà che è il potenziale della specie – questa è la base soggettiva di una società senza classi. La sua realizzazione presuppone una trasformazione radicale degli impulsi e dei bisogni degli individui: uno sviluppo organico all’interno della realtà storica e sociale. La solidarietà si troverebbe su un terreno molto incerto se non fosse radicata nella struttura istintuale degli individui. In questa dimensione gli uomini e le donne si confrontano con le forze psico-fisiche che devono fare proprie senza poterne sconfiggere la naturalità. Questa è la sfera degli impulsi primari: dell’energia libidica e distruttiva. La solidarietà e la comunità si basano sulla subordinazione dell’energia distruttiva e aggressiva all’emancipazione sociale degli istinti vitali. Il marxismo ha trascurato troppo a lungo il potenziale politico radicale di questa dimensione, sebbene il sovvertimento della struttura istintuale sia un prerequisito per un cambiamento nel sistema dei bisogni, il segno di una società socialista come differenza qualitativa».
Herbert Marcuse, La dimensione estetica. Un’educazione politica tra rivolta e trascendenza, a cura di Paolo Perticari, Guerini e Associati, 2002, pp. 22-23.
«La storia delle donne e di genere ha mostrato come il problema del potere, che resta centrale nella riflessione storiografica generale tutt’ora più attenta alla dimensione politica che a quella sociale e culturale, non possa ridursi quanto alle donne al solo rapporto asimmetrico fra i sessi, fatto di dominio o oppressione. In tal modo si ignorano interdipendenze, condizionamenti reciproci, complementarità tali da far emergere spazi e dimensioni del ruolo autonomo e perfino autorevole femminile».
Marina Caffiero, Profetesse a giudizio. Donne, religione e potere in età moderna, Introduzione, Morcelliana, Brescia 2020
«I libri per bambini non servono a introdurre direttamente nel mondo degli oggetti, degli animali e degli uomini, nella cosiddetta vita, coloro che li considerano. Essi si ritrovano nel mondo esterno in modo del tutto graduale, e solo nella misura in cui esso diventa loro familiare come un’interiorità a loro adeguata. L’interiorità di questa visione risiede nel colore, e nell’elemento colore si svolge la vita onirica che le cose conducono nella mente del bambino, I bambini imparano dal variopinto. Poiché la contemplazione sensibile appagata ha la sua sede naturale nel colore più che in ogni altra cosa».
Walter Benjamin, Orbis pictus. Scritti sulla letteratura infantile, Giacometti & Antonello, Macerata, 2020.
«Ogni libro, ogni volume possiede un anima, l’anima di chi lo ha scritto e l’anima di coloro che lo hanno letto, di chi ha vissuto e di chi ha sognato grazie ad esso».
«Scrivi dei libri […] E conserva i tuoi sogni».
«Viviamo in un mondo di ombre, Daniel, e la fantasia è un bene raro».
«La tradizione vuole che chi viene per la prima volta deve scegliere un libro e adottarlo, impegnandosi a conservarlo per sempre, a mantenerlo in vita».
«Bea sostiene che leggere è un’arte in via di estinzione e che i libri sono specchi in cui troviamo solo ciò che abbiamo dentro di noi e che la lettura coinvolge mente e cuore, due elementi sempre più rari»
Carlos Ruiz Zafón, L’ombra del vento (La sombra del viento), 2002, trad. di Lia Sezzi, Mondadori, Milano, 2004.
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