Carmine Fiorillo – Delicatezza è sostantivo femminile. Lascia l’impronta con lo stile del proprio sentire in una scrittura capace di esprimere l’essenziale con la forza della gentilezza.

Delicatezza e stile

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Spirto gentil, che quelle membra reggi.

Francesco Petrarca

 

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Lo stilo è una piccola verghetta (di osso, di avorio, di legno duro e anche di metallo, ad una estremità appuntita, piatta e maneggevole dall’altra) con cui gli antichi scrivevano su tavolette cerate, trasferendo il segno eidetico nell’impronta materica.

La conoscenza di sé. Scritti e lettere (1939-41), Adelphi, 1986

Così René Daumal (1908-1944), giungeva a scrivere a proposito dello stile (in La conoscenza di sé. Scritti e lettere, Adelphi, 1986): «Lo stile è l’impronta di ciò che si è in ciò che si fa».

In effetti, nell’antichità, le due forme verbali – stile e stilo – venivano usate indifferentemente.

Dante scrivevà «Qual di pennel fu maestro o di stile Che ritraesse …?»; a lui si accompagnava Boccaccio parlando di Giotto: «Niuna cosa dà la natura … che egli [Giotto] con lo stile e con la penna o col pennello non dipignesse». E ancora Dante: «Deporrò giù lo mio soave stile, Ch’i’ ho tenuto nel trattar d’amore», con il Petrarca a parlar d’amore: «dir d’amore in stili alti et ornati».

«Lo stile è l’uomo», scriveva Georges-Louis Leclerc de Buffon (1707-1788) in Histoire naturelle de l’homme.

Delicatezza

Delicatezza

«Lo stile è la donna», io preferisco dire qui, in questi brevi appunti di diario, dedicati proprio ad una donna, al suo stile, e alla delicatezza con cui sa esprimersi, perché, come scriveva appunto Arthur Schopenhauer (1788-1860) in un suo libro che qui non è “galeotto” (Sul mestiere dello scrittore e sullo stile, La Vita Felice, 2008): «Lo stile è la fisionomia dello spirito».

Sul mestiere dello scrittore e sullo stile, La Vita Felice, 2008

Con tale «fisionomia» la persona di stile si manifesta agli altri nella sua delicatezza. Stile e delicatezza si uniscono a definire la personalità di chi ricerca la finezza (l’esprit de finesse del pensoso Pascal) e lascia l’impronta del proprio sentire in una scrittura capace di esprimere l’essenziale con la forza della gentilezza, in uno stile privo di ostentazioni, per niente affettato, o inutilmente ricercato.

Delicatezza è appunto sostantivo femminile.

Anche il maschile delicato, delicatus, è direi solo un derivato del femminile deliciae, «delizia».

La delicatezza denota finezza interiore, gentilezza di modi, capacità di nobili sentimenti, sensibilità per le più impercettibili finezze di suoni, profumi, luci, della bellezza in generale. Lo stile della delicatezza si esprime nella levità della carezza, e nell’intensa sua capacità di ascolto della parola: la forza della delicatezza rende il proprio stile invincibile, ammaliatrice di api. Conosce la lotta del quotidiano impegno il cui stile si manifesta per la correttezza e l’affidabilità nei rapporti umani.

Il vecchio e il mare, Mondadori, 2016

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Ernest Hemingway (1899-1961) scriveva «Lo stile non è un concetto vano, è la giusta maniera di fare», e con Santiago, il suo personaggio di Il vecchio e il mare, ci dice ancora: «L’uomo [e la donna] non sono fatti per la sconfitta. Un uomo [e una donna] possono essere distrutti, ma non possono essere sconfitti. È stupido non sperare. E credo che sia peccato».

Edward Hopper, Automat, olio su tela, 1927. Des Moines Art Center

Edward Hopper, Automat, olio su tela, 1927. Des Moines Art Center


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Daniele Orlandi – Attraverso il prisma dostoevskijano, Camilla Migliori ci invita a considerare l’espressione artistica come un mezzo d’elevazione dell’uomo al di sopra dei suoi limiti.

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Dostoevskj

Camilla Migliori, Dostoevskij. Il destino di uno scrittore, la libertà di una coscienza, Aracne, 2016, pp. 270, € 12.

Ai vertici della letteratura universale si incontra l’opera di Fëdor Dostoevskij (1821-1881). Una letteratura tanto grande quanto enormi sono i temi – il tema, a ben vedere – che essa affronta: l’indagine spietata sul senso dell’esistenza, dal “sottosuolo” dell’animo umano fino all’eventualità (e, talvolta, al rimpianto) di Dio. I frutti della strenua ricerca vengono declinati in romanzi filosofici imperituri – da Povera gente (1846) a I fratelli Karamazov (1880), passando per Memorie dal sottosuolo (1864) e Delitto e castigo (1866), solo per citarne alcuni – dove il grandangolo dello scrittore russo si allarga via via ad inglobare l’intero enigma-uomo. Chiavi d’accesso ne sono la povertà e la ricchezza, la colpa e l’espiazione, la fede e l’ateismo, perenni irrisolvibili dicotomie.
Se fosse possibile comporre in un’unica degna citazione le molte anime che formano il «magma dostevskiano» (p. 181), sceglieremmo senza dubbio alcuno un luogo dell’intercessione di San Bernardo alla Vergine: «[…] Questi, che da l’infima lacuna/ de l’universo infin qui ha vedute/ le vite spiritali ad una ad una» (Dante, Par., XXIII 22-24).
Dopodiché, per pudore, più non diremmo.
Siamo invece chiamati a parlare di Camilla Migliori – regista teatrale, drammaturga e pittrice, con una quarantennale carriera alle spalle – e del suo coraggioso e appassionato confrontarsi con il creatore di Ivan Karamazov. Un dialogo ininterrotto che approda, per ora, a questa raccolta di tre testi teatrali basati sulla biografia e sulla poetica dell’autore. «Ne sono stata influenzata», confessa l’autrice, «coinvolta, a volte perseguitata e in ogni mio lavoro c’è una traccia che rimanda al pensiero del grande scrittore» (p. 5).
Dostoevskij. Il destino di uno scrittore, la libertà di una coscienza. Si tratta, ripercorrendolo di propria mano, del tentativo di illuminare il percorso spirituale dell’uomo Dostevskij riverso nelle opere fino a coincidere con esse. Vorremmo dire, fin da subito, che si è altresì davanti a un esempio pregevole non solo di costruzioni dialogiche da parte di Camilla Migliori ma anche di un’immersiva investigazione e trasposizione dell’autrice nell’autore, sia pure sotto le mentite spoglie di un narratore-personaggio. In questo senso, si potrebbe affermare che il contributo di Camilla Migliori alla comprensione del messaggio dostevskiano sia anche questo: Fëdor è destinato a divenire il doppio autobiografico di ogni artista che abbia un altissimo concetto dell’arte, impossibile da svilire in mere indagini di mercato.
Non è la prima volta che l’autrice va ingaggiando un corpo a corpo con classici che hanno scoraggiato (e spesso sconfitto) molti suoi colleghi. Abbiamo già avuto l’onorevole occasione di parlarne e di apprezzare la profondità dello scavo nonché l’eleganza del suo tocco prefando La carriera di Edipo (2015), mise en abyme della tragedia sofoclea. Allora parlammo di gioiello letterario. Nel presente caso rinnoviamo convintamente l’impressione.
Fotogrammi di una vita è il primo e più cospicuo capitolo di questa trilogia. Vi sono rappresentate, con fluido montaggio, le più significative stazioni della vicenda biografica dello scrittore, inesauribili fonti d’ispirazione per le sue opere. I lutti genitoriali in tenera età, le prime letture di Puškin e Turgenev, il tormento dell’epilessia, le difficoltà economiche, la morte di due adorati figli, il primo romanzo e l’avvicinamento – mai acritico – al socialismo utopistico di marca fourieriana, fino all’arresto e alla condanna a morte per attentato allo Stato poi commutata in quattro anni di lavori forzati nelle lande siberiane e cinque di esilio. Nasce in tal grembo quel grande affresco dell’universo concentrazionario che è Memorie di una casa di morti (1861-1862). Esperienza, quest’ultima, che costituisce uno spartiacque nella vita dell’autore, nell’esatto momento in cui il plotone d’esecuzione lo sta consegnando al nulla: «La consapevolezza che ciò è inevitabile. Questa è la coscienza del vero dolore» (p. 188).
Particolarmente pregnante è la messa in scena della differenza tra i due maggiori scrittori russi del tempo, Dostoevskij e Lev Tolstoj. Per l’autore di Anna Karenina, lo scontro tra Bene e Male può essere descritto solo oggettivamente, come frutto dei conflitti interni alle società mentre per Dostoevskij è il cuore umano l’unico vero «campo di battaglia» (p. 212) della guerra tra Dio e Satana. Siamo davanti a un Dostoevskij che ha abbandonato la poetica del realismo puro in favore di uno sguardo introspettivo nel pozzo della psicologia umana, «capace di riunire in sé tutti i possibili contrasti e di contemplare a un tempo i due abissi» (p. 216) dell’ideale e della degradazione.
In Dostoevskij. Un uomo, una moltitudine, secondo tempo del trittico, protagonisti sono lo scrittore e i suoi personaggi, in un momento scenico onirico e metaletterario di grande suggestione. Qui emergono in straordinaria sequenza i nuclei tematici maggiori del suo pensiero. Colpisce particolarmente l’interrogarsi sul problema del Male e segnatamente nei confronti degli innocenti, che sembra sconfessare o di certo mettere in discussione i disegni divini. E non può non venire in mente la domanda principe che Primo Levi pone al mondo, quasi al termine della sua lunga riflessione su Auschwitz, nel capitolo Vanadio del Sistema periodico: «Perché i bambini in gas?».
Infine, in Conversazione. Da Dostoevskij a Tarkovskij, Camilla Migliori mette in scena un dialogo tra un editore affarista e uno scrittore iconoclasta di se stesso e dedito alla difesa del supremo senso dell’arte e non sarà casuale il riferimento a Tarkoskij, regista inviso al regime stalinista per la scelta di seguire la libera ispirazione contro il diktat di un’arte asservita alla costruzione dell’uomo nuovo sovietico. Il cerchio dunque va chiudendosi dove l’abbiamo aperto seguendo la medesima circonferenza tracciata da Camilla Migliori. Attraverso il prisma dostoevskijano, l’autrice ci invita a considerare l’espressione artistica come un mezzo d’elevazione dell’uomo al di sopra dei suoi limiti, nel senso più nobile del termine. Se non negli abissi del cielo e della terra, certamente in quello della complessa, mutevole personalità di Fëdor Dostoevskij, luogo nel quale l’opera di Camilla Migliori fa, ancora una volta, da affidabile guida e lucerna.

DANIELE ORLANDI


I libri di Camilla Miglori

Un cuore che non trema

Un cuore che non trema

Noie, paranoie, piccole manie

Noie, paranoie, piccole manie

Narrativa in scena

Narrativa in scena

Le donne e il loro dòimon

Le donne e il loro dòimon

L'era del granchio

L’era del granchio

Effetto Mozart

Effetto Mozart

Crimini, finzioni, misfatti

Crimini, finzioni, misfatti

Coperta 233_ISBN

La carriera di Edipo

indicepresentazioneautoresintesi


Daniele Orlandi – Costanzo Preve sulla «zona grigia» di Primo Levi
Daniele Orlandi – Nostalgie semiserie di un medievista senza Eco
Daniele Orlandi – Quell’amore di Dino Buzzati

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Maura Del Serra – Al popolo della pace.

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Al popolo della pace

Maura Del Serra

Al popolo della pace

***

Il mondo attonito respira guerra

insensata, battente dentro le linfe emerse

a dorarsi dal cielo sulla terra…

Oh di nuovo, di nuovo

uncinandosi vorticano croce e mezzaluna –

non ne resta che l’ombra unica di un capestro

sulla piazza molteplice del mondo:

l’alta ragione che ispirò Al Ghazãli

e San Francesco e Rūmi e Dante e Buddha e Shakespeare

                                 ricerca inizio nei cuori innocenti

d’ogni razza, che sono popolo, non più folle

anonime e disperse. Popolo della pace,

volga con te la ruota la celeste Fortuna!

 

 

 

Maura Del Serra, in Congiunzioni, Pistoia, Petite Plaisance, 2004, p. 20; poi ne L’opera del vento. Poesie 1965-2005, Venezia, Marsilio, 2006, p. 312.

 

***

 

Al popolo della pace, testo e voce di Maura del Serra

video di Gerardo Paoletti,
in 25 TV PER 25 GUERRE
Curated by “World march” associazione marcia mondiale per la pace, 2009


Maura Del Serra, Franca Nuti – Voce di Voci. Franca Nuti legge Maura Del Serra.

Intervista a Maura Del Serra. A cura di Nuria Kanzian. «Mantenersi fedeli alla propria vocazione e all’onestà intellettuale, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico»

Maura Del Serra – Il lavoro impossibile dell’artigiano di parole

Maura Del Serra – La parola della poesia: un “coro a bocca chiusa”

Maura Del Serra, «Teatro», 2015, pp. 864

Maura Del Serra – Quadrifoglio in onore di Dino Campana

Maura Del Serra – I LIBRI ed altro

Maura Del Serra – Miklós Szentkuthy, il manierista enciclopedico della Weltliteratur: verso l’unica e sola metafora



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