Copertine e schede editoriali (361-370) – Costanzo Preve, Massimo Bontempelli, Maura Del Serra, Luca Grecchi, Giulia Angelini, Diego Lanza, Gherardo Ugolini, Marco Gallo, Vincenzo Brandi, Alberto Giovanni Biuso, Salvatore A. Bravo, Michele Di Febo, Alessandro Dignös, Lorenzo Dorato, Arianna Fermani, Alessandra Filannino Indelicato, Marco Guastavigna, Claudio Lucchini, Fernanda Mazzoli, Giancarlo Paciello, Franco Toscani, Sergio Rinaldelli.

361-370

361
Costanzo Preve, La fine dell’URSS. Dalla transizione mancata alla dissoluzione reale. Seconda Edizione.
ISBN 978-88-7588-300-3, 2020, pp. 64, formato 140×210 mm., Euro 10 – Collana “Divergenze” [20]. In copertina: Disegno di M. Vulcanescu.

362
Massimo Bontempelli, Filosofia e Realtà. Saggio sul concetto di realtà in Hegel e sul nichilismo contemporaneo. Seconda Edizione.
ISBN 978–88–7588-301-0, 2020, pp. 288, formato 140×225 mm, Euro 25 – Collana “Il giogo” [124]. In copertina: Albrecht Dürer, Civetta, 1525.

363
Maura Del Serra, In voce. 55 poesie lette dall’autrice. Il libro è in vendita con CD allegato.
ISBN 978-88-7588-302-7, 2020, pp. 64, formato 130×200 mm., Euro 12. In copertina: Foto di Maura Del Serra.

364
Costanzo Preve, Luca Grecchi, Marx e gli antichi Greci. Dialogo sulla progettualità, ovvero su come cambiare il mondo. Introduzione di Giulia Angelini. Seconda Edizione riveduta e ampliata.
ISBN 978–88–7588-299-0, 2020, pp. 320, formato 140×210 mm, Euro 27 – Collana “Il giogo” [125]. In copertina: Rilevo votivo di Atena pensosa, 460 a.C., marmo pario. Atene, Museo dell’Acropoli.

365
Diego Lanza, Il tiranno e il suo pubblico. Introduzione di Gherardo Ugolini: La tirannide come “ideologia” secondo Diego Lanza. ISBN 978–88–7588-303-4, 2020, pp. 400, formato 140×210 mm, Euro 30 – Collana “Il giogo” [126]. In copertina: Frammento di vaso attico a figure nere di Sophilos, VI sec. a.C., Museo Archeologico Nazionale di Atene.

366
Marco Gallo, Santiago Express. Appunti di viaggio. A cura di Ilaria Rabatti.
ISBN 978–88–7588-304-1, 2020, pp. 120, formato 130×200 mm, Euro 10. In copertina: Verso Santiago.

367
Costanzo Preve, Il Bombardamento Etico. Saggio sull’Interventismo Umanitario, sull’Embargo Terapeutico e sulla Menzogna Evidente. Seconda Edizione ISBN 978-88-7588-265-5, 2020, pp. 240, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “Divergenze” [70]. In copertina: Paul Klee, Maske der Furcht [Maschera di paura] (1932).

368
Vincenzo Brandi, Conoscenza, scienza e filosofia. Profili di scienziati e filosofi della scienzada Talete alla fisica contemporaneaISBN 978-88-7588-269-3, 2020, pp. 512, formato 170×240 mm., Euro 30 – Collana “Divergenze” [71]. In copertina: Costruttori di una cattedrale per l’uomo, metafora del lavoro di ricerca scientifica, rilievo in pietra (XII secolo) Santa Maria, Girona (Spagna).

369
Giulia Angelini, Alberto Giovanni Biuso, Salvatore A. Bravo, Michele Di Febo, Alessandro Dignös, Lorenzo Dorato, Arianna Fermani, Alessandra Filannino Indelicato, Marco Guastavigna, Claudio Lucchini, Fernanda Mazzoli, Giancarlo Paciello, Franco Toscani, Tempi covid moderni. A cura di Alessandro Dignös.
ISBN 978–88–7588-273-0, 2020, pp. 256, formato 170×240 mm, Euro 25 – Collana “Il giogo” [127]. In copertina: René Magritte, Golgonde, olio su tela, 1953, The Menil Collection, Houston.

370
Sergio Rinaldelli, Solo l’irraggiungibile. Frammenti di cronaca interiore.
ISBN 978-88-7588-277-8, 2021, pp. 208, formato 130×200 mm., Euro 15. In copertina: Sergio Rinaldelli, I fiori del silenzio, 2006, olio su tavola, 97,5 x 67,5.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Copertine e schede editoriali (341-350) – Arianna Fermani, Marino Gentile, Maurizio Migliori, Luca Grecchi, Rodolfo Mondolfo, Salvatore A. Bravo, Claudia Baracchi, Diego Lanza, Carmelo vigna, Gherardo Ugolini, Massimo Stella, Daniele Orlandi, Roberto Fumagalli.

341-350

341
Arianna Fermani, «Senza la speranza è impossibile trovare l’insperato». La speranza “antica”, tra páthos e areté.
ISBN 978-88-7588-258-7, 2020, pp. 48, formato 140×210 mm., Euro 7 – Collana “Il giogo” [113]. In copertina: Joan Miró, La speranza, 1946.

342
Marino Gentile, Il problema della filosofia moderna.
ISBN 978-88-7588-260-0, 2020, pp. 144, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [114]. In copertina: Maurits Cornelis Escher, Mano con sfera riflettente (Autoritratto nello specchio sferico), 1935.

343
Maurizio Migliori, Luca Grecchi, Tra teoria e prassi. Riflessioni su una corsa ad ostacoli. Introduzione di Carmelo Vigna.
ISBN 978-88-7588-262-4, 2020, pp. 144, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [115]. In copertina: Paul Klee, Revolution des Viaducts (Rivoluzione del viadotto), 1937. Hamburger Kunsthalle, Amburgo.

344
Rodolfo Mondolfo, Alle origini della filosofia della cultura. Introduzione di Renato Treves.
ISBN 978-88-7588-264-8, 2020, pp. 224, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “Il giogo” [116]. In copertina: La Metopa di Atlante del Tempio di Zeus a Olimpia (460-450 a.C. circa). Olimpia, Museo Archeologico.

345
Salvatore A. Bravo, L’umanesimo integrale di Massimo Bontempelli. Filosofia Storia Pedagogia.
ISBN 978-88-7588-176-4, 2020, pp. 128, formato 170×240 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [117]. In copertina: Paul Klee, Einst dem Grau der Nacht enttaucht … (Dapprima innalzatosi dal grigiore della notte …), 1918, Berna, Kunstmuseum.

346
Claudia Baracchi, Filosofia antica e vita effimera. Migrazioni, trasmigrazioni e laboratori della psiche.
ISBN 978-88-7588-245-7, 2020, pp. 112, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [111]. In copertina: Scultura Gandhara.

347
Diego Lanza, Lo stolto. Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune. Prefazione di M. Stella: La storia incantata. Diego Lanza narratore e antropologo dello ‘stolto’. Postfazione di G. Ugolini: Del ridere e del conoscere: la stultitia secondo Diego Lanza.
ISBN 978-88-7588-255-6, 2020, pp. 448, formato 140×210 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [118]. In copertina: Anonimo, Il mondo sotto il berretto del matto, 1600 ca. Norimberga, Germanisches Nationalmuseum.

348
Daniele Orlandi, Scrivere il risentimento. Su Jean Améry.
ISBN 978-88-7588-259-4, 2020, pp. 112, formato 130×200 mm., Euro 12. In copertina: Giuditta Tanese, Ritratto di Jean Améry, 2019.

349
Rodolfo Mondolfo, Moralisti greci. La coscienza morale da Omero a Epicuro.
ISBN 978-88-7588-266-2, 2020, pp. 192, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “Il giogo” [121]. In copertina: J.-L. David, La morte di Socrate (particolare), 1786-1787. New York, The Metropolitan Museum of Art.

350
Roberto Fumagalli, Carlo Michelstaedter. Filosofo, poeta e mistico.
ISBN 978-88-7588-232-7, 2020, pp. 344, formato 140×210 mm., Euro 30 – Collana “Il giogo” [119]. In copertina: Carlo Michelstaedter, Autoritratto.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Copertine e schede editoriali (331-340) – Diego Lanza, Enrico Berti, Luciano Canfora, Bruno Centrone, Franco Ferrari, Francesco Fronterotta, Silvia Gastaldi, Antonio Fiocco, Maura Del Serra, Jules Vallès, Giangiuseppe Pili, Sergio Rinaldelli, Carlo Carrara, Livio Rossetti, Giovanni Casertano, Lidia Palumbo, Anna Beltrametti, Fernanda Mazzoli, Silvano Tagliagambe

331-340*

331
Diego Lanza, La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca. Prefazione di Anna Beltrametti.
ISBN 978-88-7588-235-8, 2019, pp. 416, formato 140×210 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [107]. In copertina: Alcesti, i figli e altri personaggi, Loutrophòros apula vicina al Pittore di Laodamia, 340 a.C. circa., Basel, Antikenmuseum.

332
Enrico Berti, Luciano Canfora, Bruno Centrone, Franco Ferrari, Francesco Fronterotta, Silvia Gastaldi, La filosofia come esercizio di comprensione. Studi in onore di Mario Vegetti. Nota di Fiorinda Li Vigni. Prefazione di Giovanni Casertano e Lidia Palumbo.
ISBN 978-88-7588-237-2, 2019, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “Il giogo” [108]. In copertina: Mario Vegetti.

333
Antonio Fiocco, Ideare il futuro comunitario per viverne l’essenza nel presente.
ISBN 978-88-7588-239-6, 2019, pp. 80, formato 170×240 mm., Euro 10 – Collana “Divergenze” [64]. In copertina: V.V. Kandinskij, Giallo, rosso, blu (1925), Musée National d’art Moderne, Centre Georges Pompidou.

334
Enrico Berti, Scritti su Heidegger.
ISBN 978-88-7588-241-9, 2019, pp. 176, formato 140×210 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [109]. In copertina: Statua in bronzo di Aristotele, ingresso della Albert-Ludwigs-Universität di Friburgo, Germania. In quarta di copertina: Paul Klee, Die Zeit, 1933.

335
Maura Del Serra, Altro Teatro. Introduzione di Marco Beck.
ISBN 978-88-7588-243-3, 2019, pp. 208, formato 130×200 mm., Euro 18 – Collana di Teatro “Antigone” [12]. In copertina: Beato del San Andrés de Arroyo, El fuego de Babilonia, iluminación sobre pergamino. Folio 147, Paris, Bibliothèque Nationale de France.

336
Jules Vallès, L’insorto. Introduzione, traduzione e cura di Fernanda Mazzoli.
ISBN 978-88-7588-207-5, 2019, pp. 320, formato 140×210 mm., Euro 27. In copertina: Jules Vallès.

337
Giangiuseppe Pili, Anche Kant amava Arancia meccanica. La filosofia del cinema di Stanley Kubrick. Prefazione di Silvano Tagliagambe.
ISBN 978-88-7588-230-3, 2019, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [4]. In copertina: Stanley Kubrick sullo sfondo di una sequenza di 2001. Odissea nello spazio, con l’astronauta David Bowman (interpretato da Keir Dullea). In quarta: il monolito nero.

338
Sergio Rinaldelli, Vento di sogni. Note di pittura (1976-2018).
ISBN 978-88-7588-170-2, 2020, pp. 120, formato 130×200 mm., Euro 10. In copertina: Sergio Rinaldelli, Vento di sogni sulla parete antica, 2005, olio su faesite, 70×80.

339
Carlo Carrara, Essere e Dio in Heidegger.
ISBN 978-88-7588-234-1, 2020, pp. 200, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “Il giogo” [110]. In copertina: Robert Ryman, Twin (1965).

340
Livio Rossetti, Parmenide e Zenone, sophoi ad Elea. Presentazione di Mariana Gardella Hueso.
ISBN 978-88-7588-256-3, 2020, pp. 160, formato 130×200 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [112]. In copertina: Parmenide e Zenone alla porta di Elea.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Diego Lanza (1937-2018) – «Il tiranno e il suo pubblico» è il tentativo di definire la genesi, lo sviluppo e la fortuna di una figura ideologica, che sempre meglio si precisa nella letteratura ateniese tra la metà del V e la metà del IV secolo a.C.

Diego Lanza, Il tiranno e il suo pubblico

Diego Lanza

Il tiranno e il suo pubblico

Introduzione di Gherardo Ugolini:
La tirannide come “ideologia” secondo Diego Lanza

ISBN 978–88–7588-303-4, 2020, pp. 400,  Euro 30

indicepresentazioneautoresintesi

La paura del tiranno domina minacciosa la vita della democratica Atene; a dare volto ed espressione al nemico della città, a definirne sempre meglio i caratteri concorrono poeti, storici, oratori, filosofi. Personaggio storico di un recente passato, il tiranno si trasforma nella figura ideologica che finisce con l’assommare in sé ogni forma di devianza dalla norma sociale, che assurge a simbolo del vizio, dell’asocialità, della disumanità. Questo libro non si limita a ripercorrere i momenti della costruzione della figura del tiranno, ma indaga anche le attese sociali che la sua rappresentazione è chiamata a soddisfare. L’esame si estende quindi alla sopravvivenza del mito della tirannide fuori del mondo greco fino ai nostri giorni. Sopravvivenza che, pur nella varietà delle situazioni storiche, rivela il ricorrere di una medesima pratica ideologica: la mistificazione di ogni potere autoritario sotto il segno tutto psicologico del potere individuale, della follia che muove la sete di dominio, di Nerone come di Federico II, di Hitler come di Stalin. Il saggio si sviluppa nel vivace intreccio di diverse esperienze d’indagine, storiche, linguistiche, letterarie, tutte subordinate alla rigorosa definizione dell’organizzazione della cultura (ruolo sociale dei produttori, canali di trasmissione, pubblico) nella città greca.


Diego Lanza (1937-2018) – Di mio padre ricordo l’orgoglio tenace, la fedeltà alle proprie decisioni, l’energia necessaria a una silenziosa coerenza, il disprezzo per il mormorio del senso comune. Mi ha insegnato ad essere come chi amiamo si aspetta che noi siamo, perché non pesare su chi ci ama con le nostre sofferenze è amorosa accortezza.
Diego Lanza (1937-2018) – La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca. Prefazione di Anna Beltrametti
Diego Lanza (1937-2018) – Appassionato filologo e grecista, innovativo nella lettura interdisciplinare dei testi, sempre in tensione etica, morale, filosofica, che ci consegna quale suggello, testimonianza vivificante e forte dono.
Diego Lanza (1937-2018) – «Lo stolto. Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune». Prefazione di M. Stella. Postfazione di G. Ugolini.
Diego Lanza (1937-2018) – Euripide porta sulla scena lo spettatore, l’uomo della vita di ogni giorno.
Diego Lanza, Gherardo Ugolini – «Storia della filologia classica». Si è cercato di illustrare tutta la problematicità della filologia, mostrando al contempo quanto lo studio dell’antico abbia sempre interferito con i dibattiti che hanno via via segnato lo svolgersi della cultura europea negli ultimi due secoli.
Diego Lanza (1937-2018) – Il libro di A. Meillet ci offre un’immagine della lingua greca oltremodo ricca, nel costante riferimento a precise condizioni storiche. Il rapporto tra lingua e società si definisce con chiarezza come rapporto tra lingua e civiltà, cultura in senso antropologico.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Diego Lanza (1937-2018) – Il libro di A. Meillet ci offre un’immagine della lingua greca oltremodo ricca, nel costante riferimento a precise condizioni storiche. Il rapporto tra lingua e società si definisce con chiarezza come rapporto tra lingua e civiltà, cultura in senso antropologico.

Diego Lanza - Antoine Meillet

Antoine Meillet, in Lineamenti di storia della lingua greca, affronta subito il problema fondamentale dei rapporti tra lingua e società, non limitandosi a ribadire la necessità di un tale rapporto, ma tentando di definirne gli specifici caratteri, ed evitando fin dall’inizio ogni tentazione di spiegazioni meccanicistiche. «L’esperienza – egli scrive – dimostra che, se una lingua comune può sopravvivere al disgregarsi di un’unità nazionale, è però necessaria un’unità – politica e soprattutto culturale – per formare una lingua comune». Su queste righe non è inutile riflettere. Non soltanto perché l’autore vi ritornerà con incisiva brevità nell’introduzione alla terza edizione del libro, nel 1929, ma anche perché esse costituiscono la chiave teorica secondo cui è da leggere tutta la prima parte.
Nel 1929 Meillet sviluppa il rigo incidentale del brano citato, precisandone il significato: «Una lingua vale non perché sia l’organo di una nazione, ma in quanto è lo strumento di una civiltà». Il rapporto tra lingua e società si definisce così con chiarezza come rapporto tra lingua e civiltà, cultura in senso antropologico, evitando le facili scorciatoie di collegare la lingua alla nazione, al popolo, alla razza, di una sociologia d’accatto. La storicità della lingua non ha nulla a che fare con la mitologia nazionalistica o razzistica. La lingua non è la sensibile espressione dell’anima di un popolo (il mito della razza viene risolutamente rifiutato appena una pagina dopo), né rappresenta alcuna forma di autocoscienza dell’unità nazionale; per intenderne la storicità occorre riferirla ad una civiltà. La matrice antropologica della formulazione rivela immediatamente i parametri culturali della ricerca meilletiana. È secondo una tale prospettiva che Meillet adopera subito il principio teorico appena enunciato. Se un’unità o un’affinità linguistica presuppone che un’unità culturale ci sia o ci sia stata, partendo dalle affinità linguistiche accertabili in epoca storica è sempre possibile risalire ad affinità culturali preistoriche difficilmente accertabili altrimenti. È così che Meillet ricostruisce un’unità dei Greci […].
«Una lingua – scrive Meillet nel 1929 nel saggio Lo sviluppo delle lingue – è un sistema rigorosamente legato di mezzi d’espressione comuni ad un insieme di soggetti parlanti. Non ha esistenza al di fuori degli individui che parlano (o che scrivono) la lingua; tuttavia ha un’esistenza indipendente da ciascuno di essi perché ad essi s’impone, la sua realtà è quella di un’istituzione sociale, immanente agli individui, ma nello stesso tempo indipendente da ciascuno di essi[…]». […] Non soltanto Meillet dice che la lingua è un sistema inconcepibile al di fuori del complesso dei parlanti e tuttavia esterno perché superiore a ciascuno di essi, ma subito aggiunge che la conservazione del sistema non è garantita linguisticamente ma socialmente. […] Anche la sistemicità della lingua non è dunque carattere naturale, ma sociale; non è insito in tutti i parlanti, ma viene appreso.
[…] Al di là quindi del suo valore manualistico (non è difficile d’altra parte convenire che si tratta tuttora del più completo e articolato strumento per chi debba accostarsi alla storia della lingua greca), Lineamenti di storia della lingua greca merita di essere oggi riconsiderato anche per le sue prospettive di metodo storiografico e di teoria della lingua. La sua genesi è sì collocabile in un ambiente culturale molto chiaramente determinato, i fermenti di cui è nutrito appaiono di un’epoca conclusa, ma il libro anche se è, come si suoi dire, datato, non può considerarsi superato, perché non appaiono superati i problemi teorici che esso inconsapevolmente affronta. Questi problemi sono stati in parte rimossi, spesso aggirati, talvolta apertamente dichiarati non pertinenti alla linguistica, ma essi si riaffacciano tutte le volte che il linguista, accanto alla riflessione teorica e metodica, pretende di cimentarsi con la reale storia di una lingua. Si tratta della definizione del carattere sociale della lingua non affermata astrattamente, ma concretamente valutata nel rapporto specifico, e perciò mediato, tra una lingua e una società; si tratta della stessa sistemicità di una lingua, che non è eguale per tutti i parlanti, ma presuppone, per essere indagata, la considerazione delle articolazioni proprie della società e l’accertamento del gruppo o dei gruppi che esercitano una effettiva egemonia linguistica sull’intero corpo sociale; si tratta anche dell’accertamento analitico degli usi prevalenti della lingua, uso religioso, giuridico, scientifico, poetico, nella persuasione che tali usi non si presentano mai come il risultato di un’astratta opzione individuale, ma si possono riconoscere collettivamente imposti secondo la logica della stratificazione sociale. In questa prospettiva appare difficile convenire con il liquidatorio giudizio di marginalità espresso sulla riflessione linguistica di Meillet. Si può invece dire che il carattere che più colpisce nell’Aperçu, come nella maggior parte delle altre sue opere, è la tollerante pacatezza […]. La tolleranza non è soltanto dell’uomo, ma anche, soprattutto dello studioso, è un carattere essenziale del suo stesso lavoro scientifico. È anche questa la ragione per la quale un libro come l’Aperçu conserva intatta la propria apertura programmatica e può riuscire utile oggi forse come quando fu scritto. Esso offre coordinate culturali nelle quali non è difficile iscrivere una serie assai importante di studi, di ricerche, di riflessioni recenti sulla tradizione culturale greca, sulla tecnica di composizione e di comunicazione della poesia epica e lirica[…]. L’Aperçu resta anche importante perché il suo vasto disegno originario non esclude arricchimenti, anche assai diversi l’uno dall’altro e ispirati a diverse sollecitazioni. Sono recuperabili all’ampio quadro storiografico qui tracciato sia ricerche lessicografiche di carattere più tradizionale, come quelle pur fondamentali di Mugler; sia indagini ispirate al più rigoroso metodo strutturale, come quelle di Bartonek, o, sul piano semantico, di Lyons; sia infine saggi di ricostruzione insieme linguistica e stilistica come quella di Pavese. E si sono fatti soltanto pochi esempi.
Rileggere il libro di Meillet in questa nuova ottica può essere utile. Esso ci offre un’immagine della lingua greca oltremodo ricca, nel costante riferimento a precise condizioni storiche […] Il sistema linguistico resta sempre per Meillet funzione di un più ampio sistema, quello che egli identifica nella struttura della società, cui, evitando la tentazione di affrettate omologie, la ricerca del linguista deve sempre riferirsi, per tendere coerentemente all’obiettivo della globalità di conoscenza delle scienze sociali.

Diego Lanza, Introduzione a Antoine Meillet, Lineamenti di storia della lingua greca, Einaudi, Torino 1976, pp. IX-XXVIII.


Diego Lanza (1937-2018) – Di mio padre ricordo l’orgoglio tenace, la fedeltà alle proprie decisioni, l’energia necessaria a una silenziosa coerenza, il disprezzo per il mormorio del senso comune. Mi ha insegnato ad essere come chi amiamo si aspetta che noi siamo, perché non pesare su chi ci ama con le nostre sofferenze è amorosa accortezza.
Diego Lanza (1937-2018) – La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca. Prefazione di Anna Beltrametti
Diego Lanza (1937-2018) – Appassionato filologo e grecista, innovativo nella lettura interdisciplinare dei testi, sempre in tensione etica, morale, filosofica, che ci consegna quale suggello, testimonianza vivificante e forte dono.
Diego Lanza (1937-2018) – «Lo stolto. Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune». Prefazione di M. Stella. Postfazione di G. Ugolini.
Diego Lanza (1937-2018) – Euripide porta sulla scena lo spettatore, l’uomo della vita di ogni giorno.
Diego Lanza, Gherardo Ugolini – «Storia della filologia classica». Si è cercato di illustrare tutta la problematicità della filologia, mostrando al contempo quanto lo studio dell’antico abbia sempre interferito con i dibattiti che hanno via via segnato lo svolgersi della cultura europea negli ultimi due secoli.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Mario Mancini – Lanza è stato un grande grecista, ma in questo libro scavalca ogni barriera accademica avventurandosi nel folklore, nel mondo delle fiabe e nei magnifici territori della letteratura universale. Un filo rosso, sottile ma tenace, è sotteso a tutte le sue analisi: lo statuto del soggetto e i confini della ragione.

Mario Mancini - Diego Lanza

Lo stolto

Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune
Prefazione di Massimo Stella: La storia incantata. Diego Lanza narratore e antropologo dello ‘stolto’
Postfazione di Gherardo Ugolini: Del ridere e del conoscere: la stultitia secondo Diego Lanza

ISBN 978-88-7588-255-6, 2020, pp. 448, Euro 35

indicepresentazioneautoresintesi

Pieter Holsteyn II, da Lucas van Leyden, «Till Eulenspiegel», 1520, Frankfurt am Main, Städel Museum.

«In mezzo a quelle anatre, era un uomo, ma non si capiva cosa diavolo facesse, camminava, accoccolato, le mani dietro la schiena, alzando i piedi di piatto come un palmipede, col collo teso e dicendo: “Quà … quà … quà …”. Le anatre non gli badavano nemmeno, come se lo riconoscessero per uno di loro». Lo sciocco Gurdulù – siamo nel Cavaliere inesistente di Calvino – si comporta come se non avesse percezione di sé e si identifica immediatamente con quello che vede. Lo stolto, che guarda il mondo da una prospettiva particolare, eccentrica e sconclusionata per i suoi interlocutori, è riconoscibile anche per i tratti del viso, per nulla nobili, piuttosto tendenti alla bruttezza, e indizio di lentezza, di inerzia, di stupidità. O anche dall’abito, come il «Matto» dei Tarocchi, quale ce lo descrive Matteo Maria Boiardo: «“Lo quale è dipinto a cavallo de uno asino, senza briglia, vestito de rosso, con un capuccio giallo in capo, e cum due campanelle rotonde atacate a due orechie che nel capuccio sono, una per banda; et ha questo capuccio una verde coda, si com’ sono le rechie, che, da le spalle drieto incominciando se rivolta inverso el capo suo». Sono tutte tessere, tra le tante, che ci offre Diego Lanza in un affascinante saggio in cui ricostruisce lo spirito di questa ambigua e conturbante figura, comica ma anche demoniaca: Lo stolto, apparso nei «Saggi» Einaudi nel 1997 e ora molto opportunamente riproposto (Editrice Petite Plaisance, pp. 436, € 35).


Originale studioso di Aristotele, della tragedia, della commedia di Aristofane, Lanza è stato un grande grecista, ma in questo libro scavalca ogni barriera accademica avventurandosi nel folklore, nel mondo delle fiabe e nei magnifici territori della letteratura universale, della Weltliteratur. Il sottotitolo, Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune, evidenzia la vertiginosa ampiezza dell’indagine, che tiene conto dei possibili tratti comuni della figura dello stolto, ma che soprattutto si interroga ogni volta sulla strategia narrativa dei testi, sull’«esprit du récit». L’impresa è audace e possiamo paragonarla, oggi, soltanto alla fenomenologia del «marginale», del distruttore del senso comune e delle regole stabilite, che ci propone Dieter Thomä in Puer robustus. Eine Philosophie des Störenfrieds (Suhrkamp, 2018).


Lanza non segue un percorso diacronico ma ci presenta, in quello che lui stesso definisce un «vagabondaggio», una galleria di personaggi e un arco di questioni. Lo stolto, nell’Antico Testamento, può manifestarsi come un «veggente invasato», come un profeta attraverso cui ci giunge la parola divina, ma anche – è il caso di Esaù – come un insensato che con un gesto empio baratta il suo diritto di primogenitura con un piatto di lenticchie. Può muoversi, nello spazio della corte, come una marionetta, come uno specchio deformato e deformante del cortigiano, e della figura stessa del re. Può, come il principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij, rovesciare le viete convenzioni sociali con incondizionata sincerità, con meraviglioso e pericoloso candore, recuperando tutti i tratti che la tradizione popolare attribuisce all’«innocente» illuminato da Dio. Può essere un bizzarro storico della musica, come Wendell Kretzschmar nel Doktor Faustus di Thomas Mann, l’unica persona che il genio solitario di Adrian Leverkühn riconosce come maestro: «Le sue conferenze sono seguite solo da pochi appassionati; come i discorsi di Socrate, esse sembrano promettere soltanto oziose banalità, e giungono invece sempre a porre questioni fondamentali. Anche il suo eloquio si potrebbe dire socratico, la sua balbuzie sollecita infatti l’intervento di chi lo ascolta, che non di rado è indotto ad assisterlo, talvolta persino a completargli la frase, quando l’inciampo nervoso lo blocca proprio alla conclusione di un ragionamento». Può, come Till Eulenspiegel, essere ossessivamente affascinato dal significato letterale delle parole, tanto che la maggior parte delle sue avventure partono da, o arrivano a, un gioco verbale: all’ordine di ungere la carrozza, ubbidisce ungendo l’interno, anziché soltanto le ruote; quando il padrone lo manda sulla forca, conduce il carro sotto il patibolo da cui pendono gli impiccati; all’ingiunzione di sgombrare la casa, fa trovare tutta la mobilia per strada.


Nella galleria dei personaggi spiccano due grandi figure, diversamente mitiche e ugualmente care a Lanza, Pinocchio e Socrate. L’immortale burattino è ingenuo e sciocco perché crede ciecamente al Gatto e alla Volpe, perché è convinto che gli zecchini possano riprodursi come i semi e i frutti delle piante, ma tutto il suo agire – ed è questa la grandezza di Collodi – evoca il gioco del magico potere che dà vita alle cose e parola agli animali. Prima di venire inserito nella convenzionale quotidianità degli umani, Pinocchio incarna la precaria pienezza dell’infanzia: «Del bambino, come del semplice, dello sciocco, si contempla l’ingenuità, ma si invidia una riposta onnipotenzialità, si sospetta la magica facoltà di un tramite con una condizione altra, con un mondo diverso».


Socrate. A partire dal famoso paragone di Alcibiade nel Simposio – Socrate è come una statuetta di Sileno, essere grottesco, ferino, sfrenato, che però, una volta aperta, mostra al suo interno immagini divine – Lanza analizza acutamente il suo sottile equilibrio tra buffoneria e passione filosofica, le modalità di sapore aristofanesco con cui decostruisce e sbeffeggia i sofisti come «incantatori di serpenti, tarantole, ragni», l’evocazione di Diotima che, come in un’iniziazione misterica, pone la generazione del pensiero sotto i segni di Eros. Con una mossa forte, Lanza invita a trasporre l’ironia di Socrate, così ricca di filosofia e insieme di umori da commedia, al pensiero stesso di Platone, che troppi interpreti leggono come un sistema chiuso, relegandolo in uno spazio «cipigliosamente dottrinario».


Un luogo privilegiato per i movimenti dello stolto, come osserva Massimo Stella nella lucida Introduzione al volume, è il mondo della fiaba, così sospeso tra oralità e letterarietà, così ricco di insegnamenti e di rovesciamenti. Molti esempi ci arrivano dalle antiche fiabe russe di Afanas’ev – dove spesso lo sciocco, caduto nei guai per la propria credulità, riesce a uscirne con l’astuzia e persino a guadagnare – dai racconti di Bertoldo di Giulio Cesare Croce, dalle storie che vedono protagonista Giufà, dalla raccolta dei fratelli Grimm.


 Colpisce lo splendido close reading che Lanza ci offre di una fiaba di questi ultimi, Storia di uno che andò in cerca della paura. Il protagonista è immune dalle paure della gente normale, attraversa, con una sciocca imperturbabilità, le situazioni più orride e terribili, colorate di tratti demoniaci. Messo a montare la guardia a sette impiccati in una notte fredda e ventosa, si preoccupa di disporli accanto al fuoco per riscaldarli, poi li invita a non avvicinarsi troppo alle fiamme e, davanti al loro silenzio, spazientito, li riattacca alle forche. Lanza collega questa sindrome, che è un solipsistico stato di mancanza, all’analisi che Aristotele fa della tragedia, dove la conoscenza della paura è un fatto fondamentale. Perché la paura «è un necessario atto di partecipazione alle credenze comuni e, in quanto tale, una garanzia di integrazione nella società in cui si vive, una garanzia di conquistata identità».


Un filo rosso, sottile ma tenace, è sotteso a tutte queste analisi: lo statuto del soggetto e i confini della ragione. Lanza ricorda che Bruno Snell, in La cultura greca e le origini del pensiero europeo, ha mostrato come la formula omerica «un dio gli gettò nell’animo …» non è soltanto un prezioso sintagma poetico, ma riflette una concezione dell’animo umano quale aperto all’intervento di presenze “esterne”, divine o demoniache, nell’ “interno” dell’uomo. Diversa è la concezione occidentale della persona come un mondo motivazionale e cognitivo armonico, e non è un caso che «la scoperta della precarietà dell’io nel mondo antico si vada attuando in un’epoca che già per proprio conto deve riconoscere la crisi di una troppo compatta soggettività individuale». Proprio per questo la razionalità ha avuto e ha costantemente bisogno della propria sospensione, «del conflitto con quel che poteva apparire volta a volta ingenuità, scherzo, gioco, follia».

Mario Mancini, Statuto del soggetto e confini della ragione, da Socrate ai Grimm. Una galleria di «trasgressori del senso comune»: L’Esaù biblico, il principe Miskin nell’Idiota, Till Eulenspiegel coi suoi giochi verbali, Pinocchio … , articolo comparso su «Alias», il manifesto, domenica 1 novembre 2020, p. 8.

 

Mario Mancini

Lettori e lettrici di romanzi

Uno dei tratti costitutivi della civiltà cortese, del mondo dei cavalieri e delle dame, è una forte coscienza di sé e dei propri valori, del proprio stile di vita. La nuova leisure class delle corti sviluppa un gusto naturale del fasto e della socialità, si compiace di creare e produrre forme belle, nell’ordine dei pensieri, dei sentimenti, dei comportamenti, nella scelta e nella produzione degli oggetti, vesti, gioielli, arazzi. La sua etica si fonda sulla generosità, sulla lealtà, sulla fedeltà, sulla discrezione, sul culto della dama, sul rifiuto di ogni bassezza e viltà (questo almeno nello specchio idealizzante in cui ama, compiaciuta, contemplarsi). Lo slancio del cuore è tutt’uno con il rituale, creando un linguaggio nuovo, fatto di eleganza, di sensibilità, di erotismo.

In questo stile di vita ha un ruolo determinante la “letteratura”, che entra come canzone, come racconto, come romanzo nella sfera pubblica e nella sfera privata di dame e cavalieri. Che media il rapporto con il passato, che fornisce le conoscenze, le motivazioni, gli scenari dei gesti e delle azioni.

[…] La cultura cortese ci consegna innumerevoli “scene di lettura”. Già nelle chansans de toile, arcaiche o arcaizzanti che siano, la giovane fanciulla innamorata, seduta alla finestra, «lit en un livre mais au cuer ne l’en tient (legge in un libro, ma il suo cuore è altrove)».

[…] Il libro, segno di distinzione e strumento di svago, assume anche una funzione, più o meno forte, di riferimento, di orientamento per i comportamenti: con i suoi personaggi e con le sue storie offre dei “modelli”. Nel prologo e nella chiusa dei romanzi cortesi compaiono spesso degli appelli al lettore perché entri nella strada dell’imitatio. […] Il libro, la letteratura, possono configurare addirittura, con funzione di guida, e in uno spazio immaginario sospeso tra il conscio e l’inconscio, una sorta di anticipazione di quanto verrà offerto nella vita. […] Nel famoso episodio di Paolo e Francesca, nel canto quinto dell’Inferno, Dante ha colto e fissato, in una icona indimenticabile, la forza del libro sulle emozioni e sui destini.

[…] L’ammirazione per dei personaggi letterari, immaginari, può trasformarsi nell’animo del lettore, se l’immedesimazione prevale sulla percezione del mondo che lo circonda, nella proiezione assoluta in un modello ideale. Egli diventa così prigioniero di un “desiderio mimetico”, se vogliamo seguire le riflessioni di René Girard, che ha indagato con grande acutezza teorica e con ben ragionati esempi – Paolo e Francesca, Don Chisciotte, Julien in Le Rouge et le Noir, il principe Miskin nell’Idiota di Dostoevskij, il personaggio-poeta della Recherche… – gli aspetti di fascino metafisico, di possessione e di illusione che possono acquisire degli eroi letterari, delle persone che vivono solo nei libri.


[…] L’illustrazione forse più impressionante – per l’intensità, per lo scavo psicologico e retorico, per il ritmo potentemente rallentato e onirico – della “chiusura” e della réverie in tutta la letteratura medievale, la dobbiamo a Boccaccio, nell’Elegia di madonna Fiammetta. […] Nell’animo di Fiammetta la passione si afferma come esclusiva, tanto più tenacemente quanto più la scelta adultera si presenta combattuta e rischiosa. Le convenienze morali e sociali – tutta la sua vicenda, in parallelo a quella dell’amante Panfilo, è lì a dimostrarlo – pesano più per lei che per l’uomo. […]

Nel quadro di queste riflessioni sull’atto della lettura, sul libro come mediatore, ci interessano in particolare le letture, i modelli di Fiammetta. Sì perché Fiammetta è una grande “lettrice di romanzi”. Per l’abbondante utilizzazione di temi e personaggi della classicità greco-romana, per il quasi completo travestimento classico della geografia e del costume trecentesco – non solo nella scrittura del narratore, ma anche negli atteggiamenti di Fiammetta e di Panfilo – Cesare Segre ha suggerito la felice formula di «firmamento di archetipi».

Mario Mancini, Lettori e lettrici di romanzi, in in AA. VV., Lo spazio letterario del medioevo. 2. Il medioevo volgare, vol. III: La recezione del testo, Salermo Editrice, Roma 2003, pp. 155-176.


Mario Mancini  è un filologo, saggista e accademico italiano. Con i suoi scritti, ha dato un forte contributo allo studio ed alla diffusione di opere letterarie provenzali, come per la poesia dell’occitano Bernard de Ventadorn e per il romanzo cortese Roman de Flamenca (della cui edizione italiana è curatore). Ha studiato a Padova, Vienna e Heidelberg. Dal 1976 fino al pensionamento è stato professore ordinario di Filologia romanza nell’Università di Bologna. Ha coordinato il lavoro di équipe di un’ampia Letteratura francese medievale (Bologna, Il Mulino 1997). È nella direzione della rivista “Medioevo romanzo” e nel comitato scientifico di “Critica del testo”. Condirige la collana “Biblioteca Medievale” (Roma, Carocci), dove sono stati pubblicati più di cento volumi. Ha curato, tra l’altro, l’edizione delle Canzoni di Bernart de Ventadorn (Roma, Carocci, 2003) e Roman de Flamenca, proponendo un’edizione italiana con testo in provenzale a fronte. Ha pubblicato saggi, in una prospettiva stilistica e di storia delle idee, principalmente sull’epica, sui trovatori, sul Roman d’Alexandre, sul Roman de la Rose, sull’impatto della letteratura medievale nella modernità. Fondamentale nella sua formazione fu l’incontro con Erich Köhler, che definì l’impronta dello studio sociologico dell’amor cortese nella letteratura, di cui ha tradotto e curato Sociologia della fin’amor: saggi trobadorici (Padova, Liviana, 1987).


Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di Mario Mancini …

Società feudale e ideologia nel «Charroi de Nîmes», Olschki, 1972


Metafora feudale. Per una storia dei trovatori, il Mulino, 1993


La gaia scienza dei trovatori


Canzoni/Bernart de Ventadorn, Carocci, 2003


Il “lai” di Narciso, Carocci, 2004


Il punto su I trovatori, Laterza, 2004


Lo spirito della Provenza. Da Guglielmo IX a Pound, Carocci, 2004


Flamenca, Carocci, 2006


Metafora medioevale. Il “libro degli amici” di Mario Mancini, Carocci, 2011


La letteratura francese medievale, 2014


Cahiers de Civilisation Médiévale


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Diego Lanza, Gherardo Ugolini – «Storia della filologia classica». Si è cercato di illustrare tutta la problematicità della filologia, mostrando al contempo quanto lo studio dell’antico abbia sempre interferito con i dibattiti che hanno via via segnato lo svolgersi della cultura europea negli ultimi due secoli.

Diego Lanza - Gherardo Ugolini, Storia della filologia classica

Introduzione
di Diego Lanza e Gherardo Ugolini

L’aneddoto è certamente falso, tuttavia ben inventato, perché atto a suggerire uno scenario simbolicamente significativo: nelle terre orientali – in Persia, in Armenia – si narrava che il conquistatore Alessandro, giunto in Assiria e condotto ad ammirare la grande biblioteca di Assurbanipal a Ninive, fosse rimasto affascinato dal grandioso progetto di riunire in un solo edificio tutto lo scibile del mondo e avesse deciso di costruire egli pure nella sua nuova capitale una grande biblioteca per raccogliervi tutti i libri esistenti e creare il nuovo tempio del sapere universale.
Sappiamo che in realtà la biblioteca di Alessandria fu fondata dal suo successore Tolomeo di Lago, anche se non mancano testimonianze che fu proprio Alessandro a richiedere le prime traduzioni in greco degli antichi testi caldei (Canfora, 1993). Dietro la costituzione della grande biblioteca s’intrecciavano due desideri: da una parte di eguagliare e di superare le grandi biblioteche del Vicino Oriente antico – Ninive, Edfu, Sippar –, dall’ altra di raccogliere e conservare il patrimonio dei libri greci, divenuti nel nuovo mondo ellenistico lo strumento primario della comunicazione culturale.
La biblioteca sorse nel contesto architettonico del palazzo, perché chi vi lavorava faceva parte integrante della corte, anche se la sua posizione e le sue funzioni erano assai diverse da quelle dello scriba orientale. La grande raccolta fu realizzata in tempi relativamente brevi e si ricorse a ogni mezzo per entrare in possesso di un patrimonio vario e disperso; ma raccogliere, schedare ed eventualmente copiare non era sufficiente. I testi con i quali ebbero a che fare i primi dotti bibliotecari alessandrini potevano spesso essere trascrizioni di esecuzioni orali, alcune con non piccole varianti tra le diverse copie, perché fissati sì nella scrittura, ma sostanzialmente estranee alla sua logica.
Talvolta la traduzione in veri e propri libri delle trascrizioni dei canti comportava una serie di questioni, la prima delle quali era la riorganizzazione del materiale. Ogni produzione poetica era funzionale a una specifica circostanza della vita dell’individuo e della città: l’invocazione alla divinità, la celebrazione delle vittorie adetiche, i cori tragici, i canti simposiaci. A questa classificazione, per così dire implicita, dei modi del poetare, si sovrappone, nell’ordinamento della biblioteca, una classificazione esplicita dei generi poetici, che trovano per lo più nel dialetto e nel metro i propri criteri definitori. Il metro tuttavia, anche per l’inesistenza di una notazione musicale, è misurato sulla parola scritta non più modulata dalla melodia, e soltanto sullo scritto era anche considerata ogni variante dialettale. A chi considerava attentamente i testi non potevano perciò non risultare evidenti le numerose irregolarità epiche e liriche che i rapsodi e i cantori oscuravano nell’esecuzione, come pure le incongruità fonetiche dissimulate dalla lingua d’arte dei poeti.
I nuovi generi sono letterari, atti cioè a essere definiti da leggi scritte, ma, proprio per questo, più esposti alla volontaria infrazione soggettiva, in una sperimentazione che non deve più rispondere a nessuna specifica esigenza sociale, ma che anzi è volta a dimostrare l’autonoma originalità dello scrittore (Rossi, 1971; Fantuzzi, 1980). Certo, la conservazione di testi poetici scritti esisteva già nella Grecia classica e gli archivi di Atene conservavano i testi delle tragedie e delle commedie rappresentate nei concorsi dionisiaci; un buon numero di libri dovette possedere Euripide – seppur non si tratta di una leggenda per rafforzarne simbolicamente la fama di poeta difficile e allusivo – e una biblioteca sicuramente organizzò Aristotele nel suo Liceo, ma l’operato degli Alessandrini concorse a mutare radicalmente, in armonia con i nuovi orizzonti e la nuova configurazione del potere, il carattere stesso della poesia e i modi della sua fruizione (Fraser, 197 2., I, pp. 303-812.; Pfeiffer, 1973).
Fu un lavoro imponente di raccolta, scelta, confronto, classificazione, attribuzione di un materiale multiforme, un lavoro che seppe trasformare una tradizione affidata alla precari età della memoria sociale in patrimonio stabilmente fruibile pur nella discontinuità delle mode, che concorse in modo rilevante a costruire una letteratura nel senso che oggi noi diamo alla parola.
Al nuovo modello di cultura corrispondono nuovi modelli di produttore e di destinatario. il poeta letterato e il pubblico letterato, che non di rado s’identificano, vivono un rapporto tale con la società cui appartengono che si è potuto giustamente parlare di uno spiccato carattere elitario della cultura ellenistica, di un sostanziale distacco di questa dalle quotidiane pratiche sociali, dalla vita degli uomini comuni (Cavallo, 1998). I bibliotecari di Alessandria tuttavia, raccogliendo i testi degli antichi, compirono una straordinaria opera di omogeneizzazione e, correggendoli e classificandoli, avviarono anche quel lavoro di riflessione che fu poi definito filologia. Si può dire che il letterato e il filologo nacquero dal bibliotecario e che furono al principio la stessa persona; così almeno ci appare Callimaco, il maggior poeta della prima stagione alessandrina. Soltanto nel secolo successivo lo studio dei testi antichi si rese autonomo dalla produzione dei nuovi e cominciò a esistere il filologo, il grammatikos; philólogos mantenne infatti in greco diverso significato, designando l’uomo propenso al dialogo o addirittura alla vuota chiacchiera.
I grammatikoi sviluppano un intenso lavoro di revisione formale dei testi introducendo l’interpunzione e l’accentuazione e stabilendo la colometria dei versi lirici; essi forniscono anche un ricco corredo informativo e strumentale di cataloghi, lessici, grammatiche, biografie, ed elaborano veri e propri trattati specialistici e preziosi commenti interpretativi. A questa intensa attività si deve non solo la costituzione dei testi e gran parte delle informazioni di cui sugli stessi testi e sui loro autori dispongono i moderni filologi, ma spesso anche l’ottica secondo la quale noi conosciamo e valutiamo l’ingente patrimonio che essi hanno saputo salvare e scrupolosamente indagare. Spesso dunque risalgono ai grammatikoi ellenistici le regole di lettura dei grandi poeti classici ancor oggi considerate valide.
È un’attività che, attraverso varie vicende, si protrae per tutto il Medioevo; pur se differentemente a causa delle diverse circostanze storiche in Occidente e in Oriente, le biblioteche rimasero il luogo, spesso l’unico, nel quale si esercitasse lo studio e la copiatura dei testi antichi. La fabbricazione della carta, diffusasi in Europa nel corso del XIII secolo, favorisce dapprima l’intenso sviluppo degli scriptoria e porta poi, nel XV, all’invenzione della stampa con caratteri mobili. Con l’affermarsi della stampa al filologo bibliotecario subentra il filologo editore e diffusore. La nuova tecnologia porta fin dai suoi inizi a un approccio assai più vasto e agevole ai testi antichi: Cicerone è, subito dopo la Bibbia, uno dei primi autori ad apparire in volumi stampati. Né occorre aspettare molto tempo per avere a stampa i testi degli autori greci che l’arrivo di illustri letterati fuggiti da Bisanzio dopo la caduta dell’ impero aveva contribuito a far conoscere.
L’antico appare ora come la migliore arma contro il vecchio, rappresentato dalla persistenza dell’eredità medievale. La stampa ne moltiplica una più diretta conoscenza, ma richiede agli studiosi nuove necessarie competenze professionali, perché alla correttezza della costituzione dei testi editi si aggiunge quella della loro resa tipografica. Alcuni grandi stampatori come Aldo Manuzio, Robert e Henri Estienne sono particolarmente importanti per la storia della filologia, e i loro nomi si aggiungono e si confondono con quelli dei più illustri traduttori e commentatori di testi classici, avendo contribuito in modo determinante alla riscoperta degli antichi, se riscoperta si può definire la diversità di approccio degli umanisti nei riguardi della classicità.
Un esempio significativo di tale diversità ce lo offre il nuovo uso del latino: gli umanisti rifiutano una lingua comunemente praticata, ma ormai logorata dal consumo, per ripristinare il classico dettato ciceroniano. Questa operazione di restauro ci induce a una necessaria considerazione: se da una parte essa evidenzia la distanza dell’ antico in ragione della radicale differenza dall’ imbarbarimento dell’uso medievale, dall’altra indica la volontà di un’imitazione che, scavalcando i secoli, riporti l’uomo rinascimentale al modello originario. Erasmo da Rotterdam intende scrivere come Cicerone, rifarsi ai remoti maestri senza l’ingombro di mediazioni fuorvianti. Su questa ambiguità – consapevolezza di una profondità temporale e immediatezza mimetica dell’oggetto – si sviluppa anche tutto il percorso successivo della filologia, disciplina di indagine storica dell’antico e insieme pretesa di appropriazione immediata indotta dal ripristinato possesso della lingua, fondamento di ogni indagine. Robert e Henri Estienne producono così gli strumenti indispensabili a questa conoscenza che va progressivamente estendendosi e affermandosi come l’ausilio principale della pedagogia.
La conoscenza delle opere degli antichi diventa il fondamento del nuovo sistema educativo e al filologo editore si affianca il filologo pedagogo che trova nell’insegnamento il proprio specifico habitat. Nell’Europa moderna la storia della filologia s’intreccia perciò sempre più strettamente con la storia della scuola, dei modelli d’istruzione, ne subisce gli orientamenti, risentendo, seppur per lo più indirettamente, del mutare delle esigenze della società.
Ma l’ambiguità erasmiana permane, anche quando il diverso quadro culturale alla fine del XVIII secolo porta alla costituzione di una vera e propria scienza dell’antichità classica, nella quale la conoscenza della lingua mantiene un indiscusso primato. Della scienza la filologia ritiene di possedere la sicurezza del metodo e l’insieme di conoscenze storiche necessarie, e tuttavia il filologo, nell’esercizio del suo mestiere, non sa rinunciare all’intuito mimetico che lo porta ad annullare le distanze e a porsi in diretto, familiare dialogo con l’autore studiato, a conoscerlo cosi intimamente da riuscire a ripristinarne il dettato corroso dal tempo e guastato dagli amanuensi. La congettura pretende allora di essere la più alta espressione dell’arte filologica.
Molti tra i più illustri maestri della filologia tra Otto e Novecento si sono misurati con i problemi dell’insegnamento, considerando la loro disciplina struttura portante del sistema educativo, e non è difficile notare come nelle loro riflessioni pedagogiche prevalga un atteggiamento per cosi dire difensivo, di chi vede progressivamente eroso il proprio dominio culturale e vuole arginare l’invadenza dei nuovi saperi, la causa di tale erosione. Di qui spesso la diffidenza per l’affermarsi delle scienze umane, il sospetto per ciò che appare nuovo, la collocazione politica conservatrice di gran parte della corporazione. Eppure delle nuove scienze nate e sviluppatesi nel clima dell’ottimismo positivista l’antichistica condivide l’entusiasmo; anch’essa si pretende scienza positiva, fondata sull’acquisizione di dati esatti e verificabili, su una conoscenza sempre più precisa del proprio oggetto.
Ma è un oggetto, o meglio una pluralità di oggetti, che comporta una pluralità di approcci. Di tale pluralità si mostra ben consapevole, ma non disorientato, Giorgio Pasquali, il maggiore dei filologi italiani della prima metà del Novecento, quando scrive:

lo non mi soglio commuovere, quando mi si dimostra a fil di logica (ed è assunto facile) che la disciplina della quale fo professione, la filologia classica, è, se non un’accozzaglia, un’accolta di studi vari tenuti insieme solo da una relativa unità dell’oggetto, l’antichità classica (Pasquali, 1929, p. 751).

Ma un periodo storico, sia pur geograficamente determinato, può essere veramente considerato un oggetto unitario di studio? La questione teorica è stata prudentemente accantonata nella seconda metà del Novecento, nella quale non pochi antichisti si sono mostrati utilmente curiosi alle molte e forti sollecitazioni che giungevano loro da altre discipline antiche e nuove – la psicoanalisi, l’antropologia, la semiotica, la storia delle religioni –, restituendo al mondo antico quella vivacità talvolta contraddittoria che il filologismo aveva spesso oscurato.
Eredi di tale vivacità di approcci, gli autori di questo libro non hanno inteso descrivere la storia specialistica di una disciplina che ha pure amato per molto tempo presentarsi come scienza positiva, né pretendono di offrirne una soddisfacente compiuta definizione. Si è cercato piuttosto di illustrarne tutta la problematicità, mostrando al contempo quanto lo studio dell’antico abbia sempre interferito con i dibattiti che hanno via via segnato lo svolgersi della cultura europea negli ultimi due secoli, quanto ne abbia rispecchiato esigenze e mode, quanto abbia, non di rado, concorso a determinarle. A sottolineare la partecipazione dei più importanti antichisti al dibattito culturale del loro tempo stanno le polemiche anche aspre che hanno fin dall’inizio diviso la corporazione. Sono proprio i diversi modi di come intendere la filologia e di quale ruolo assegnarle – i contrasti tra Heyne e Wolf, tra Hermann e Boeckh, tra Nietzsche e Wilamowitz, tra Pasquali e Romagnoli – che, ciascuno nella propria specificità, segnano un percorso straordinariamente vivace, sempre attento a cogliere i termini essenziali di ciò che va svolgendosi nel quadro culturale del tempo.

Diego Lanza, Gherardo Ugolini (a cura di), Storia della filologia classica, Carocci editore – Aulamagna, Roma 2020, pp. 13-18.


Quarta di copertina

Il volume traccia un profilo storico della filologia classica negli ultimi due secoli e mezzo, da quando cioè si è venuta definendo come disciplina autonoma, focalizzando l’attenzione sugli snodi teorici e metodologici attraverso cui si è sviluppata, sulle figure degli studiosi più significativi, sulle discussioni e le polemiche che ne hanno segnato il procedere, sui nessi con lo sfondo istituzionale e il contesto storico in cui ha operato. Il percorso diacronico è scandito in tre parti. Nella prima si parte dal modello della filologia anglosassone di Richard Bentley per arrivare all’istituzionalizzazione della disciplina nel mondo accademico tedesco (Heyne e soprattutto Wolf) e nella realtà scolastica (Wilhelm von Humboldt). Nella seconda si analizzano i contributi teorici e le principali dispute metodologiche che hanno avuto come protagonisti, tra gli altri, Lachmann, Hermann, Boeckh, Nietzsche e Wilamowitz. La terza e ultima parte è dedicata alla ridefinizione degli studi classici in Germania (Jaeger) e in Italia (Pasquali), all’apporto della papirologia, alle nuove immagini dell’antichità venute a delinearsi nelle opere di scrittori, narratori, registi e traduttori del nostro tempo, e infine ai personaggi più significativi degli ultimi decenni: Snell, Dodds, Vernant, Gentili, Loraux.


Indice del volume

Introduzione di Diego Lanza e Gherardo Ugolini

Riferimenti bibliografici

***

Parte prima
Verso una scienza dell’antichità

1. Richard Bentley e la filologia come arte della congettura di Francesco Lupi
Bentley e i suoi predecessori/L’Epistola ad Joannem Millium/La Dissertazione sulle Lettere di Falaride/Tradizione e congettura: dagli studi greci alle grandi edizioni latine/Tra Omero e Nuovo Testamento/Filologia tra ratio e ingenium/Riferimenti bibliografici

2. Christian Gottlob Heyne: le nuove vie dello studio degli antichi di Sotera Fornaro
Da bibliotecario a professore/Sull’importanza del “bello” antico/Lo studio degli antichi e i suoi strumenti/L’immaginario delle società antiche: il mito/I Greci senza miracolo/Inattualità di Heyne/Confronti ineguali e la questione omerica/Heyne e Wilhelm von Humboldt/Heyne e Friedrich Schlegel/Uno schizzo di storia degli studi classici tra Settecento e Ottocento/Un maestro della Germania/Riferimenti bibliografici

3. Friedrich August Wolf e la nascita dell’Altertumswissenschaft di Gherardo Ugolini
Eroe eponimo della filologia classica/L’università di Halle e il Seminario filologico/La questione omerica e i Prolegomena/Gli anni berlinesi e la dedica del “Museum der Althertums-Wissenschaft” a Goethe/I presupposti culturali del modello wolfiano/Il primato dei Greci sugli altri popoli antichi/L’enciclopedia wolfiana e le sue discipline/Il primato della lingua e il potenziale formativo del classico/Riferimenti bibliografici

4. Humboldt, il Ginnasio umanistico e l’università di Berlino di Gherardo Ugolini
Lo studio dei Greci/La fondazione dell’università di Berlino/La riforma del sistema educativo e il Ginnasio umanistico/Centralità delle lingue classiche/Il Ginnasio umanistico dopo Humboldt/Riferimenti bibliografici

Parte seconda
L’illusione dell’archetipo. Gli studi classici nella Germania dell’Ottocento

5. Karl Lachmann: il metodo e la scienza di Sotera Fornaro
Il metodo del Lachmann/Ciò che davvero appartiene al Lachmann/Heyne, Wolf, Hermann/Alla ricerca del vero Omero/Costruire una scienza/Le parole e le cose/Inchinarsi a Lachmann/Riferimenti bibliografici

6. Hermann contra Boeckh: filologia formale e filologia storica di Gherardo Ugolini
Gottfried Hermann e la filologia formale/August Boeckh e la filologia storica/La polemica sulla metrica di Pindaro/La polemica sull’edizione delle epigrafi greche/L’Enciclopedia delle scienze filologiche/Hermann contra Müller: la polemica sulle Eumenidi di Eschilo/Riferimenti bibliografici

7. Nietzsche e la polemica sul tragico di Gherardo Ugolini
Nietzsche e la filologia classica/La polemica sul tragico: il giudizio di Ritschl e la recensionedi Rohde/Filologia dell’avvenire! La stroncatura di Wilamowitz/La lettera aperta di Wagner/Filologia deretana. La replica di Rohde/Il secondo intervento di Wilamowitz/L’influsso della Nascita della tragedia sugli studi di antichistica/Riferimenti bibliografici

8. Wilamowitz: la filologia come totalità di Gherardo Ugolini
Filologia classica come “totalità”/Il commento all’Eracle di Euripide/Tragedia greca e filologia storica/Wilamowitz e la traduzione dei testi tragici/Riferimenti bibliografici

Parte terza
La filologia classica del Novecento

9. Werner Jaeger e il Terzo umanesimo di Gherardo Ugolini
Da Lobberich alla cattedra di Berlino/Gli anni berlinesi e il programma del Terzo umanesimo/Il rapporto col nazismo/Paideia e la nuova immagine di Platone/Gli anni americani e la paideia cristiana/Riferimenti bibliografici

10. Giorgio Pasquali e la filologia come scienza storica di Luciano Bossina
Italia, Germania e ritorno/Guerra di Stati e guerra di filologi/Orazio lirico ed ellenismo/Dell’uso di Schwartz contro Maas/Roma arcaica e “arte allusiva”/Riferimenti bibliografici

11. Nuove antichità: i papiri di Pasquale Massimo Pinto
Il papiro come supporto di scrittura/Gli esordi/Grandi recuperi e nascita di un nuovo sapere/Scavi, edizioni e scuole nazionali/La papirologia tra le scienze dell’antichità/Il contributo dei papiri/Riferimenti bibliografici

12. Rinarrare l’antico: parole e immagini di Andrea Rodighiero
La tradizione classica/Filologia e ideologia: il caso Medea/Dal testo all’immagine/Tradizione e traduzione/Riferimenti bibliografici

13. La filologia dopo la guerra: nuove prospettive di Diego Lanza
Che significa scoprire?/Il cavaliere e il cavallo/Il piacere dell’ambiguità/A viva voce/I giochi dell’identità/Intorno allo stagno/Riferimenti bibliografici

Opere della filologia classica: un percorso bibliografico


Gherardo Ugolini – Ricordo di Diego Lanza. Gli amici, gli allievi, i colleghi che ne portano avanti l’eredità intellettuale gli sono debitori di molti insegnamenti.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

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Diego Lanza (1937-2018) – Euripide porta sulla scena lo spettatore, l’uomo della vita di ogni giorno. Si delinea la figura del nuovo saggio.

Diego Lanza, lo spettatore sulla scena

Al critico della cultura non va a genio quella cultura alla quale sola egli deve il disagio che prova di fronte ad essa.

Theodor W.  Adorno


In Euripide non si fa tanto questione di giusta ricchezza, di mezzi modesti ma necessari per non cadere nell’accattonaggio e nella miseria sregolata; la preoccupazione principale appare un’altra: delineare la figura del nuovo saggio, del sophron che non pretende di fondare i valori del proprio comportamento morale su improbabili rapporti con la divinità, sulla disciplina della polis, ma piuttosto si scopre alla ricerca di un nuovo equilibrio. È questa figura che infrange gli schemi tradizionali dell’eroe del mito.


«Euripide porta sulla scena lo spettatore; l’uomo della vita di ogni giorno, e non soltanto vestendolo dei panni solenni degli eroi epici, ma addirittura con le sue proprie vesti. Euripide porta sulla scena gente comune, anonima, e non soltanto in ruoli tradizionalmente consentiti e riconosciuti: il pedagogo, la guardia, la nutrice. Il contadino dell’Elettra e l’altro contadino, questo soltanto evocato, in un logos angelikos ma non per questo di minore importanza, dell’Oreste, non sono personaggi al seguito degli eroi, né semplici elementi di comodo nello svolgersi della vicenda drammatica. La loro introduzione nelle tragedie è un fatto nuovo, reso possibile dal nuovo carattere che la tragedia è venuta assumendo. […]
Negli ultimi quarant’anni del V secolo a.C. si trasforma profondamente lo stesso valore semantico di termini come sophron, sophrosyne, sophronein. Come per altri termini, quali philos, eusebes, eleutheros, si attua per sophron un processo di interiorizzazione: una definizione sociale si trasforma in definizione psicologica, sì che la mente e l’anima dell’uomo possono essere esplorate con gli stessi strumenti che servono a descrivere la comunità sociale. Il platonico “l’uomo è simile alla città” non è che l’approdo teoricamente consapevole di una lunga pratica analogica, che ha trovato il suo costante presupposto non solo dei trattati di retorica, ma anche della invenzione e dell’elaborazione dei personaggi tragici.
Il personaggio della tragedia acquista in profondità e in complessità a misura che si rende esplicita la sua analogia di microcosmo col macrocosmo della città: le parti dell’anima tendono a riprodurre le parti della città e a riprodurne l’interna dinamica. Un siffatto processo sposta oggettivamente l’attenzione dello spettatore dai conflitti tra le persone ai conflitti interni all’anima del singolo personaggio, e avvia una dialettica che ha sempre meno riferimento con la realtà sociale della città.
Giunta a consapevolezza l’analogia tra città e uomo sortisce un doppio effetto: da una parte la corrispondenza di microcosmo psichico e di macrocosmo politico assicura immediatamente un ampio e fecondo sviluppo all’indagine psicologica e ne garantisce la validità, dall’altra parte rafforza il presupposto ideologico della concezione politica su cui riposa: che la polis sia un tutto organico e non un agglomerato di individui o di gruppi sociali. Si enfatizza in questo modo l’aspetto unitario ed organico della città offrendone una certezza intuitiva e trasparente. Le parti dell’anima sono la proiezione su un piano parallelo delle parti della città, ma la loro indiscutibile unità organica si riproietta a sua volta sul piano della città, e ne garantisce definitivamente la coesione. Così l’ideologia della città come di un tutto organico e indisgiungibile è oggettivamente rafforzata proprio nello spettacolo teatrale, e grazie all’invenzione del personaggio tragico, anche in assenza di una tematica direttamente politica.
Tuttavia il trasferimento della legge dell’equilibrio e della concordia sociale nell’individuo finiscono col comporre un modello di uomo autosufficiente che nel proprio intimo realizza i valori della città, ma con la quale paradossalmente non può non riconoscersi in conflitto, dalla quale finisce con l’apparire anche spazialmente separato. Il contadino che abita lontano dal centro della città, che frequenta poco il mercato e l’assemblea è chiamato a incarnare questa nuova figura ideologica, in lui si vuole riconoscere il più geloso custode dei valori patrii, l’unica parte sana di una città corrotta. Ciò è diverso dalla collocazione dei contadini come forza intermedia tra ricchi e poveri, come invece talvolta si è stati tentati di interpretare sotto l’evidente suggestione di Aristotele. In Euripide non si fa tanto questione di giusta ricchezza, di mezzi modesti ma necessari per non cadere nell’accattonaggio e nella miseria sregolata; la preoccupazione principale appare un’altra: delineare la figura del nuovo saggio, del sophron che non pretende di fondare i valori del proprio comportamento morale su improbabili rapporti con la divinità, sulla disciplina della polis, ma piuttosto si scopre alla ricerca di un nuovo equilibrio. È questa figura che infrange gli schemi tradizionali dell’eroe del mito. Dapprima essa si presenta ancora sulla scena sotto panni eroici, poi osa comparire con gli abiti della vita quotidiana, quelli appunto del contadino. È l’uomo della vita di ogni giorno, il contadino non il borghese, lo spettatore che si affaccia sulla scena. […]».

Diego Lanza, Lo spettatore sulla scena, in AA.VV., L’ideologia della città, Liguori Editore, Napoli 1977, pp. 57, 71-72.

Diego Lanza

Lo stolto

Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune.

Prefazione di M. Stella: La storia incantata. Diego Lanza narratore e antropologo dello ‘stolto’. Postfazione di G. Ugolini: Del ridere e del conoscere: la stultitia secondo Diego Lanza.

indicepresentazioneautoresintesi

ISBN 978-88-7588-255-6, 2020, pp. 448, , Euro 35 – Collana “Il giogo” [118].


Socrate, Till Eulenspiegel, Pinocchio, ma anche Solone, Bruto, i profeti di Israele, Bertoldo, Giufà, i «santi folli» di Bisanzio … Sono innumerevoli i personaggi che trasgrediscono il senso comune; figure spesso ridicole, ma portatrici tutte di verità inquietanti di cui la ragione dominante diffida, delle quali tuttavia non può fare a meno. Ciò che si mantiene nella fiaba, nel romanzo, nella letteratura filosofica e religiosa non è tanto la fisionomia dell’insensatezza quanto il suo rapporto conflittuale di esclusione/complementarietà con la ragione, con il sistema dei valori etici e affettivi accettati come fondamentale norma di convivenza. Lo stolto e la stoltezza non costituiscono un elemento chiaramente definibile e persistente della tradizione culturale europea, un topos, ma piuttosto un’incognita alla quale ogni volta si attribuisce ciò che disturba il senso comune. È il senso comune, cioè la razionalità riconosciuta da ciascun assetto sociale come sua propria, che stabilisce quel che deve apparire ripugnante, ridicolo, riprovevole. La figura dello stolto e l’immagine della stoltezza mutano perciò a misura dei cambiamenti del senso comune e della razionalità che le definiscono, serbando tuttavia, di mutamento in mutamento, importanti tratti del passato. Il viaggio intrapreso alla riscoperta delle molte e molto differenti raffigurazioni dello stolto conduce a interrogarci sul difficile ma tenace equilibrio che governa il gioco tra verità e riso, scherzo e ragione.


Diego Lanza, Lo stolto. Scheda editoriale

Si possono scaricare le 13 pp. in formato PDF.

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Un tuffo …

… tra alcune pubblicazioni di Diego Lanza …


Diego Lanza (1937-2018) – Di mio padre ricordo l’orgoglio tenace, la fedeltà alle proprie decisioni, l’energia necessaria a una silenziosa coerenza, il disprezzo per il mormorio del senso comune. Mi ha insegnato ad essere come chi amiamo si aspetta che noi siamo, perché non pesare su chi ci ama con le nostre sofferenze è amorosa accortezza.
Diego Lanza (1937-2018) – La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca. Prefazione di Anna Beltrametti
Diego Lanza (1937-2018) – Appassionato filologo e grecista, innovativo nella lettura interdisciplinare dei testi, sempre in tensione etica, morale, filosofica, che ci consegna quale suggello, testimonianza vivificante e forte dono.

Anna Beltrametti – Scritti per onorare la memoria di Diego Lanza e Mario Vegetti
Massimo Stella – Scritti per onorare la memoria di Diego Lanza e Mario Vegetti
Gherardo Ugolini – Ricordo di Diego Lanza. Gli amici, gli allievi, i colleghi che ne portano avanti l’eredità intellettuale gli sono debitori di molti insegnamenti.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Franco Marcoaldi – Torna alla luce il libro «Lo stolto» di Diego Lanza, grande classicista mosso da inesausta curiosità conoscitiva che varca ogni orto disciplinare. Ed ecco Bertoldo, Arlecchino, Pinocchio e il brutto anatroccolo, ma anche, e soprattutto, Socrate. In testa e in coda al libro due testi esemplari di Massimo Stella e Gherardo Ugolini.

Franco Marcoaldi 01
Diego Lanza

Lo stolto

Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune.

Prefazione di M. Stella: La storia incantata. Diego Lanza narratore e antropologo dello ‘stolto’. Postfazione di G. Ugolini: Del ridere e del conoscere: la stultitia secondo Diego Lanza.

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Dobbiamo esser grati alla casa editrice petit plaisance per aver riportato alla luce Lo stolto, specialissimo libro del grecista Diego Lanza, da tempo assente dalle nostre librerie, che ora rivive in una nuova veste, infiocchettato in testa e in coda da due testi esemplari di Massimo Stella e Gherardo Ugolini. Scomparso nel 2018, in questo saggio del 1997 Lanza mostra tutto il rigore del grande classicista, che con fare ardito e mosso da inesausta curiosità conoscitiva varca ogni orto disciplinare per inoltrarsi nell’inestricabile selva dei mille “stolti”, veri o fantastici, che nel corso dei secoli hanno messo a soqquadro il senso comune. Ecco così comparire Bertoldo, Arlecchino, Pinocchio e il brutto anatroccolo, ma anche, e direi soprattutto, Socrate. Proprio lui: il padre del pensiero filosofico occidentale. Non è però è il Socrate addomesticato di certe «riletture liberali» che lo presentano quale «prototipo di civile confronto». Al contrario, qui si rivela «sempre aggressivamente incalzante, non lascia spazio al dissenso: gli interlocutori o sono costretti a contraddire le loro stesse affermazioni oppure finiscono isolati nella loro ridicola presupponenza». Il «sapere di non sapere» di quest’uomo brutto e trascurato, che ama bere e ha i tratti del satiro, incarna la mina vagante di ogni ratio pacificata. La compenetrazione profonda di clownerie e pensiero abissale è per lui una costante, e il demoniaco che lo anima dimostra come il principium sapientiae abbia assoluto bisogno del principium stultitiae.

Ce lo rammenta con chiarezza l’ultima pagina del saggio: «La risata, che si accompagnava alla stultitia, la risata dello stolto e sullo stolto, poté apparire per molto tempo segno di pluralità pericolose per l’identità della ragione». E tuttavia «il conflitto di ragione e sragione era il segno della loro reciproca complementarietà, del perenne rigenerarsi della ragione da quel che essa avvertiva altro da sé». Il problema, semmai, subentrerà dopo, nel nostro più puerile presente: «Sotto la luccicante policromia del pluralismo postmodemo, sotto il futile moltiplicarsi delle sue ragionevoli irragionevolezze, pare invece consumarsi una più potente omologazione, segnata dall’irrevocabile scomparsa di ogni efficace stultitia». E lo stolto eversivo e drop-out lascerà spazio allo stupido di massa, «che sembra guidare il riso dei suoi simili», mentre ne è soltanto lo specchio fedele.

Franco Marcoaldi, Da Arlecchino a Bertoldo ode agli stolti, «Robinson Libri», la Repubblica, 11-07-2020, p. 12


Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di Franco Marcoaldi…

A mosca cieca, Einaudi 1992


Voci rubate, Einaudi, 1993


Celibi al limbo, Einaudi, 1995

Un poemetto che, in tono malinconico, ironico, apparentemente svagato e minimalista, intende toccare invece i grandi temi dell’uomo contemporaneo. Fra intimismo e riflessione filosofica.


Il vergine, Bompiani, 1998


L’isola celeste, Einaudi 2000

La raccolta poetica prosegue, da un lato, la congiunzione tra ordinario e straordinario, tra alto e basso, tra quotidianità e letteratura, già percorsa dall’autore; dall’altro, la visione poetica si fa sempre più ampia e profonda. Anche il linguaggio si pone come una ripresa e al contempo come un superamento di quello già sperimentato: rimangono la leggerezza melodica, la felicità narrativa, il folgorante lavoro su rime e ritmi, la convivenza tra lingua parlata e lingua poetica, ma qui il poeta ha compiuto un ulteriore lavoro in direzione della cantabilità, di un perfetto amalgama tra ironia ed emozioni.


Patanella dreams, con Giosetta Fioroni, Lubrina-Leb 2001


Teatro di pietra. Carlo Leidi e i calvaires bretoni, Lubrina-Leb 2002


Benjaminowo: padre e figlio, Bompiani, 2004

Ritrovandone i diari, un uomo inizia un dialogo con il passato del padre. Rileggendo il racconto della resa dell’8 settembre, della deportazione in un campo di concentramento, il figlio risponde, dal presente, alla memoria del padre, riscoprendone i ricordi e, con essi, la propria infanzia. Mentre i diari rievocano la paura e le privazioni del campo, fino alla liberazione da parte delle forze alleate e al ritorno a casa, il figlio ricostruisce i tasselli dell’identità del padre e, di conseguenza, della propria, in un percorso di formazione alla fine del quale potrà pronunciare, insieme al diario, “dalle rovine si nasce”, un verso corale che esprime la forza del rinnovato legame con il padre.


Gaetano Cipolla. Carte a proposito di Seneca, Lubrina-Leb, 2005


Animali in versi, Einaudi 2006

Franco Marcoaldi evoca la tradizione esopiana e dei bestiari medievali, che sapevano cogliere negli animali i segni di verità spirituali e insegnamenti morali, e le prove novecentesche di Apollinaire e Marianne Moore. Costruisce un bestiario in versi in cui compaiono cani e gatti, ma anche fringuelli, lucertole, cicale e tanti altri esseri viventi che, a differenza degli uomini, vivono un’esistenza piena e sapiente.


Il tempo ormai breve, Einaudi 2008

Al centro della nuova raccolta di Franco Marcoaldi non ci sono piú gli animali e il loro modo istintivo di capire l’universo. C’è il tempo, in tutte le sue sfaccettature: quello da vivere, sempre piú corto man mano che gli anni passano; quello delle discussioni dei filosofi, a partire da Agostino; quello frenetico dei commerci quotidiani, che non consente né pause di riflessione né quei vuoti, quelle assenze che permettono di cogliere il respiro pieno di ciò che sta intorno a noi e di cui facciamo parte.


Grazianio Gregori. Ecce Homo. Bassorilievi e sculture, con Daniele Abbado, Lubrina-Leb 2009


Sconcerto, Bompiani, 2010

La recita sociale, il consumismo compulsivo, le morti sul lavoro, la sete di potere della classe dirigente, gli oscuri meccanismi della finanza, l’immigrazione, una lingua sempre più astratta e irrelata… Com’è possibile orientarsi in un mondo così confuso? Dov’è il senso? Da queste domande è travolto un direttore d’orchestra, che quasi dimentica di dirigere i suoi strumentisti. Fra pause, dubbi, incertezze, interrogativi enormi e piccole verità, il musicista riscopre come proprio la musica possa essere il mezzo per passare dal caos al cosmo, per ritornare al cuore semplice della vita. Dall’incontro eccezionale di tre artisti, un libro che è anche uno spettacolo teatrale diretto e interpretato da Toni Servillo con l’Orchestra del Teatro San Carlo, musica di Giorgio Battistelli, testo di Marcoaldi.


Baldo. I cani ci guardano, Einaudi, 2011

Baldo è un cane tra gli altri, che attende il suo padrone. Ed ecco che in una frizzante mattina di settembre arrivano Uomo e Donna. E lo scelgono. E una scelta affidata al caso, frettolosa e superficiale, eppure in ballo c’è un’intera vita da trascorrere insieme. Così Baldo inizia a fare esperienza del mondo umano, pieno di ossessioni e di meccanismi astrusi e lambiccati. Poco alla volta comprende che gli uomini sono prigionieri di catene invisibili che li riportano sempre al punto di partenza. La dimensione da cui ci osserva, con occhio ironico e compassionevole, è quella di un presente assoluto, dei piccoli gesti che si ripetono, delle meravigliose scoperte legate alla semplicità dei sensi. Ma nella naturale accettazione del mondo per come è si nascondono considerazioni venate di profonda e involontaria saggezza che Baldo suggerisce al padrone, Uomo, invitandolo a disfarsi degli inutili fantasmi che accompagnano le sue giornate. Col passare degli anni, la speciale sintonia che li unisce produce un desiderio di sconfinamento l’uno nell’altro, un rapporto privilegiato, fatto di silenzi e dialoghi che si affidano all’ambiguo “gioco degli occhi”, e che si realizza in uno spazio nuovo, a mezza via: quello della “felice confusione tra specie diverse”.


La trappola, Einaudi, 2012

“Compattezza tematica, potenza e duttilità della metafora, ritmo e sonorità a scatti, con accelerazioni e rallentamenti, ribattute e controtempi. Le caratteristiche tipiche della poesia di Marcoaldi risultano potenziate al massimo in questa sua nuova raccolta in cui la tradizione poetica europea si sposa con l’influenza della sapienza orientale e delle sue forme. Le trappole della vita sono ovunque, nelle leggi della natura, nella politica e anche nell’economia, che oggi più che mai domina il mondo. Ma sono soprattutto dentro la mente degli uomini. Hanno la forma di regole, meccanismi, abitudini, falsi obiettivi che provocano angoscia e allontanano dalle gioie più autentiche. Quasi componendo una piccola guida dei perplessi, i versi di questo libro smontano l’insieme degli artifici sociali con interrogazioni continue, epigrammi sospesi nel silenzio a catturare frammenti di energia da cui ripartire.”


Il mondo sia lodato, Einaudi, 2015

Soltanto un poeta poteva compiere oggi l’azzardo di una lode del mondo, basata sull’immaginazione e sulla sensibilità. Tornando alla forma già sperimentata del poemetto, Franco Marcoaldi sviluppa un flusso verbale dal ritmo incalzante che orchestra i temi della vita quotidiana e dello spirito in un rimando continuo dall’universo naturale al mondo storico, dall’autobiografia alla letteratura in una libera e viva scorribanda nei territori del pensiero analogico. All’apparenza “II mondo sia lodato” è una preghiera laica di intonazione francescana sulla bellezza e la meraviglia del creato. In realtà Marcoaldi loda il mondo nonostante gli infiniti turbamenti in cui incorre chi lo abita, e proprio quel nonostante è l’anima nascosta del libro. Nel suo procedere, il poemetto attraversa l’amarezza delle cose umane nella loro vicissitudine di violenza, malattia, depressione, morte, ma incontra anche il demone erotico, e con esso il sogno, la fantasia, e i libri e le figure del passato che illuminano il presente. Se l’invocazione di lode resiste come un mantra è per lo sforzo generoso di una pietas consapevole e di un’attenzione costante alle pieghe infinite e alle corrispondenze sotterranee dell’esistenza. Così il poemetto che loda il mondo si fa mondo, e convoca in coro altre voci, altri poeti, altri pensatori, in una ridda di rimandi e citazioni che immancabilmente si accordano nell’antifona ricorrente: “Mondo, ti devo lodare”. Espressione di umiltà e gratitudine nei confronti della vita.

Vincitore Premio Internazionale Capalbio 2016 – Sezione Poesia


Di bestie e animali, con Ferdinandio Scianna, Contrasto, 2017


Tutto qui, Einaudi, 2017

Dopo l’importante punto di arrivo raggiunto col poemetto Il mondo sia lodato, la nuova raccolta di Franco Marcoaldi prosegue nel percorso interiore dell’autore tra ricerca sapienziale e piccoli gesti salvifici, mentre il mondo esterno sembra sempre piú dominato dalla brutalità.
Il libro si apre con una scena di “perdita di tempo”: l’imbucarsi in un cinema semivuoto per vedere un vecchio film, «due ore | rubate al lavoro, una sposa tradita». Il tema del perdere tempo, ripreso in altre poesie («Perdo il mio tempo guardando | il gatto che fissa l’infinito | come nessuno di noi saprebbe fare?»), è uno dei fili conduttori della raccolta: perdere tempo per trovare se stessi, lasciar cadere le maschere, far tacere i tamburi del narcisismo quotidiano, conquistare uno spazio di silenzio. Questo tipo di esercizi zen richiede prima di tutto professione di umiltà. Ai potenti, agli arroganti, ai troppo sicuri è preclusa qualsiasi via che porti a un momento di autenticità. Umiltà e arroganza però possono presentarsi fuse insieme, e dunque: «Come tenere a bada quella metà | avariata di me stesso che reclama | di continuo voce e combina | di continuo danni?» Quest’ultimo di Marcoaldi è un libro di “esercizi spirituali” per laici, un prezioso breviario per attraversare i dissidi interiori alla ricerca di una piú umana armonia con la natura.


Una certa idea di letteratura. Dieci scrittori per amici, Donzelli, 2018

Nella pericolosa confusione dei nostri giorni, non sarà proprio la letteratura a offrirci la lingua per una nuova, possibile amicizia tra gli uomini? Se oggi la vita interiore di ogni singola creatura è minacciata come mai prima nella sua potenzialità espressiva, la letteratura ne rivendica la costitutiva irriducibilità davanti a ogni imposizione, ogni norma preconfezionata. Il poeta Franco Marcoaldi elegge a numi tutelari di un letterario viaggio dell’anima dieci grandi figure del Novecento: Svevo, Zanzotto, Musil, Szymborska, Canetti, Caproni, Brodskij, Hrabal, Unamuno, Meneghello. Con ciascuno di loro intrattiene un dialogo stretto, serrato; a volte reale, concreto, diretto; altre volte fantastico, maturato soltanto attraverso la pagina scritta. In quegli amici e maestri ritrova le medesime questioni che angustiano la sua esistenza e ricerca: lo scarto incomponibile tra sentimento e ragione; l’inafferrabilità angosciosa del tempo; il mistero invadente della sessualità; il rovesciamento ironico come strategia di difesa; la dialettica potere-libertà; l’enigma del mondo animale; l’inesausta ricerca di un senso anche là dove non si riesca a rintracciarlo. I dieci autori prescelti sono quanto mai diversi tra loro, e tuttavia Marcoaldi riesce a raccoglierli idealmente nell’ascolto delle stesse, imprescindibili domande. Bene lo si intuisce nelle pagine finali del libro, dedicate a Luigi Meneghello. Se sbirciamo nella sua specialissima «bottega», lo troveremo intento a lavorare da solo al tornio delle parole, per compiere il suo piccolo «capolavoro». E lì che lo scrittore, ogni scrittore, incontra una fatica che a volte si converte in sconforto. Eppure non può smettere, perché ubbidisce all’urgenza di cogliere la vitrea sostanza che sta dietro alle cose del mondo. E per perseguire tale risultato ha bisogno tanto della propria caparbia convinzione, quanto di un costante e nutriente scambio con l’esterno. Nasce così quella «certa idea di letteratura» come amicizia, come condivisione di esperienze, che l’autore ci propone in queste pagine preziose.


Il padre, la madre, con Marilù Eustachio, Le farfalle, 2019

«In modo mirabile questo specialissimo libro rinverdisce l’antico detto “ut pictura, poesis” – che sta all’inizio dell'”affair” tra pittura e poesia. La nostra tradizione crede nella relazione tra le arti sorelle e seguendo tale fede nei secoli i pittori si sono ispirati a motivi letterari per le loro composizioni; mentre i poeti hanno cercato di evocare immagini a cui soltanto le arti plastiche potevano rendere giustizia. L'”affair” si ripete tra i versi di Franco Marcoaldi e i segni di Marilù Eustachio». (Dal risvolto di copertina di Nadia Fusini).


Amore con Amore. Cento poesie, La nave di Teseo, 2019

In cento poesie, per buona parte inedite, Franco Marcoaldi indaga questa fantasmatica e concretissima passione universale affidandosi a una tastiera dai toni e timbri i più diversi: tenerezza incantata e accensioni sanguigne, impeto romantico e un’ironia beffarda che a volte sconfina nel sarcasmo.
Una divinità capricciosa e imprevedibile governa le nostre esistenze. Si chiama Amore ed è capace di farci perdere la testa per un’altra creatura in un crescendo di febbrile erotismo e impagabili dolcezze. Ma quella stessa divinità, grazie alla sua multiforme e inafferrabile natura, può prendere anche direzioni diverse. Spingendoci a stravedere per un animale, a dialogare con i morti, a esprimere piena gratitudine verso il regno del vivente. Quando invece prevale il lato d’ombra dell’Amore, quell’incontenibile slancio si converte all’improvviso in chiusura, noia, insofferenza, feroce sete distruttiva. Franco Marcoaldi riprende qui il filo di un suo fortunato canzoniere di vent’anni fa. E in cento poesie, per buona parte inedite, indaga questa fantasmatica e concretissima passione universale affidandosi a una tastiera dai toni e timbri i più diversi: tenerezza incantata e accensioni sanguigne, impeto romantico e un’ironia beffarda che a volte sconfina nel sarcasmo. Perché Amore convive sempre con il suo contrario.

Diego Lanza, Lo stolto

Diego Lanza

Lo stolto

Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune.

Prefazione di M. Stella: La storia incantata. Diego Lanza narratore e antropologo dello ‘stolto’. Postfazione di G. Ugolini: Del ridere e del conoscere: la stultitia secondo Diego Lanza.

indicepresentazioneautoresintesi

ISBN 978-88-7588-255-6, 2020, pp. 448, , Euro 35 – Collana “Il giogo” [118].


Socrate, Till Eulenspiegel, Pinocchio, ma anche Solone, Bruto, i profeti di Israele, Bertoldo, Giufà, i «santi folli» di Bisanzio … Sono innumerevoli i personaggi che trasgrediscono il senso comune; figure spesso ridicole, ma portatrici tutte di verità inquietanti di cui la ragione dominante diffida, delle quali tuttavia non può fare a meno. Ciò che si mantiene nella fiaba, nel romanzo, nella letteratura filosofica e religiosa non è tanto la fisionomia dell’insensatezza quanto il suo rapporto conflittuale di esclusione/complementarietà con la ragione, con il sistema dei valori etici e affettivi accettati come fondamentale norma di convivenza. Lo stolto e la stoltezza non costituiscono un elemento chiaramente definibile e persistente della tradizione culturale europea, un topos, ma piuttosto un’incognita alla quale ogni volta si attribuisce ciò che disturba il senso comune. È il senso comune, cioè la razionalità riconosciuta da ciascun assetto sociale come sua propria, che stabilisce quel che deve apparire ripugnante, ridicolo, riprovevole. La figura dello stolto e l’immagine della stoltezza mutano perciò a misura dei cambiamenti del senso comune e della razionalità che le definiscono, serbando tuttavia, di mutamento in mutamento, importanti tratti del passato. Il viaggio intrapreso alla riscoperta delle molte e molto differenti raffigurazioni dello stolto conduce a interrogarci sul difficile ma tenace equilibrio che governa il gioco tra verità e riso, scherzo e ragione.


Diego Lanza, Lo stolto. Scheda editoriale

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Diego Lanza (1937-2018) – «Lo stolto. Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune». Prefazione di M. Stella. Postfazione di G. Ugolini.

Diego Lanza, Lo stolto
Diego Lanza

Lo stolto

Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune.

Prefazione di M. Stella: La storia incantata. Diego Lanza narratore e antropologo dello ‘stolto’. Postfazione di G. Ugolini: Del ridere e del conoscere: la stultitia secondo Diego Lanza.

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ISBN 978-88-7588-255-6, 2020, pp. 448, , Euro 35 – Collana “Il giogo” [118].


Socrate, Till Eulenspiegel, Pinocchio, ma anche Solone, Bruto, i profeti di Israele, Bertoldo, Giufà, i «santi folli» di Bisanzio … Sono innumerevoli i personaggi che trasgrediscono il senso comune; figure spesso ridicole, ma portatrici tutte di verità inquietanti di cui la ragione dominante diffida, delle quali tuttavia non può fare a meno. Ciò che si mantiene nella fiaba, nel romanzo, nella letteratura filosofica e religiosa non è tanto la fisionomia dell’insensatezza quanto il suo rapporto conflittuale di esclusione/complementarietà con la ragione, con il sistema dei valori etici e affettivi accettati come fondamentale norma di convivenza. Lo stolto e la stoltezza non costituiscono un elemento chiaramente definibile e persistente della tradizione culturale europea, un topos, ma piuttosto un’incognita alla quale ogni volta si attribuisce ciò che disturba il senso comune. È il senso comune, cioè la razionalità riconosciuta da ciascun assetto sociale come sua propria, che stabilisce quel che deve apparire ripugnante, ridicolo, riprovevole. La figura dello stolto e l’immagine della stoltezza mutano perciò a misura dei cambiamenti del senso comune e della razionalità che le definiscono, serbando tuttavia, di mutamento in mutamento, importanti tratti del passato. Il viaggio intrapreso alla riscoperta delle molte e molto differenti raffigurazioni dello stolto conduce a interrogarci sul difficile ma tenace equilibrio che governa il gioco tra verità e riso, scherzo e ragione.


Diego Lanza, Lo stolto. Scheda editoriale

Si possono scaricare le 13 pp. in formato PDF.

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Un tuffo …

… tra alcune pubblicazioni di Diego Lanza …


Diego Lanza (1937-2018) – Di mio padre ricordo l’orgoglio tenace, la fedeltà alle proprie decisioni, l’energia necessaria a una silenziosa coerenza, il disprezzo per il mormorio del senso comune. Mi ha insegnato ad essere come chi amiamo si aspetta che noi siamo, perché non pesare su chi ci ama con le nostre sofferenze è amorosa accortezza.
Diego Lanza (1937-2018) – La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca. Prefazione di Anna Beltrametti
Diego Lanza (1937-2018) – Appassionato filologo e grecista, innovativo nella lettura interdisciplinare dei testi, sempre in tensione etica, morale, filosofica, che ci consegna quale suggello, testimonianza vivificante e forte dono.

Anna Beltrametti – Scritti per onorare la memoria di Diego Lanza e Mario Vegetti
Massimo Stella – Scritti per onorare la memoria di Diego Lanza e Mario Vegetti
Gherardo Ugolini – Ricordo di Diego Lanza. Gli amici, gli allievi, i colleghi che ne portano avanti l’eredità intellettuale gli sono debitori di molti insegnamenti.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

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