Josè Saramago (1922-2010) – Oggi gli ideali socialisti stanno attraversando il deserto, ma dire che l’idea socialista è morta significa cadere in una tentazione molto comune all’uomo che, avendo una vita breve, tende sempre a pensare che qualche altra cosa muoia prima di lui. Io sono ancora comunista. Certo che lo sono e non riesco a immaginare me stesso essere qualcosa di diverso.

José Saramago, Io sono comunista

«Oggi gli ideali socialisti stanno attraversando il deserto, ma dire che l’idea socialista è morta nel 1989 significa cadere in una tentazione molto comune all’uomo che, avendo una vita breve, tende sempre a pensare che qualche altra cosa muoia prima di lui».

«Qualche volta ho riflettuto sul fatto che io sono ancora comunista. Certo che lo sono e non riesco a immaginare me stesso essere qualcosa di diverso. Ma ho capito che avevo bisogno di aggiungere qualcosa a questo dire “io sono un comunista,” e quello che sto aggiungendo è che io sono un comunista libertario.
Il comunismo in Unione Sovietica è crollato per le stesse ragioni per cui crollerà la democrazia: perché non si può sopportare un sistema che si suppone sia democratico, che viene proclamato come un governo del popolo, che mette ogni giorno in bocca alla gente la parola democrazia, senza che nessuno si fermi per lo meno a chiedere se davvero quella che stiamo vivendo abbia qualcosa a che vedere con la realtà che avrebbe dovuto creare. Viviamo in un epoca in cui tutto può essere discusso, tranne la democrazia. Nessuno in questo mondo si domanda se davvero la democrazia sta facendo ciò che per sua stessa definizione è chiamata ad essere. Il nome della democrazia non si tocca, la sua fallacia non si disvela e rimaniamo con gli occhi bendati, riempiendo la bocca con una parola che funziona come una rappresentazione falsata di qualcosa che non ha cominciato a esistere. La democrazia non può essere limitata alla semplice sostituzione di un governo con un altro. Abbiamo una democrazia formale, abbiamo bisogno di una democrazia sostanziale.
Io ero ospite del programma di Bernard Pivot, il giornalista francese, e mi ha chiesto: “Come mai sei diventato un comunista?”. E io, che non ci avevo pensato, ho detto: “voglio lasciare un importante contributo al marxismo e alle idee di sinistra ed è che, come la barba o hanno alcuni tratti genetici attribuiti agli ormoni maschili, io sono un comunista ormonale “. Può essere attribuito agli ormoni, anche se senza dubbio, sarebbe meglio attribuirli alla coscienza. Ultimamente sto dicendo: comunista sì, però credo che si debba cambiare il qualificativo: sono un comunista libertario.
Marx ed Engels hanno scritto nella Sacra famiglia: «se l’uomo è formato dalle circostanze, allora bisogna formare le circostanze umanamente». Niente di più chiaro, niente di più eloquente, niente di più ricco di senso. Non avevo ancora trent’anni quando, per la prima volta, lessi quelle parole. Furono, per così dire, la mia via di Damasco. Capii che mi sarebbe stato impossibile tracciare una rotta per la mia vita al di fuori di quel principio e che solo un socialismo integralmente inteso (dunque, il comunismo) avrebbe potuto soddisfare i miei aneliti di giustizia sociale. Molti anni più tardi, in una intervista con Bernard Pivot, che voleva sapere perché continuassi a essere comunista dopo gli errori, i disastri e i crimini del sistema sovietico, risposi che, essendo un comunista «ormonale», mi era impossibile avere delle idee diverse: gli ormoni avevano deciso. La spiegazione è più seria di quanto sembri: e forse si capisce meglio se dico che, in qualche modo, ha un equivalente nel «non possumus» biblico. Recentemente, suscitando lo scandalo di certi compagni dediti alla più canonica ortodossia, ho osato scrivere che il socialismo – e a maggior ragione il comunismo – è uno stato dello spirito. Continuo a pensarlo. E la realtà si incarica giorno dopo giorno di darmi ragione.
Come è che dopo la caduta dell’Unione Sovietica, il crollo del muro di Berlino, i processi di Mosca, l’invasione dell’Ungheria, come si continua a essere comunista? Mi piacerebbe rispondere chiedendo: ‘Voi siete cattolica? Come è che siete ancora cattolica dopo l’Inquisizione? ‘ Io sono quello che si potrebbe chiamare un’ comunista ormonale ‘. Che cosa significa questo? Proprio come nel corpo ho un ormone che mi fa crescere la barba, c’è un altro ormone che mi obbliga che lo voglia o no , per una sorta di fatalità biologica, ad essere comunista. E’ molto semplice. Più tardi, ho cominciato a dire che essere un comunista è uno stato d’animo. E lo è. Potete leggere Marx, le opere più importanti che Lenin scrisse, ma in fondo, in fondo, è uno stato d’animo. (…) Marx non ha mai avuto tanta ragione come ora.
Nella mia vita ho capito che l’alienazione è uguale che provenga da un potere o da un altro, da un colore o un altro. Ecco perché sto dicendo che sono un comunista libertario. Forse si può credere che tra questi due termini vi sia una contraddizione, ma io l’ho piuttosto bene risolta. Io dico comunismo, sì, io dico che si può. Però non per ripetere quanto è stato fatto. Alcune cose sì. Quello che ho capito è che non si può, nel nome di qualsiasi cosa, cercare di imporre quella che si suppone sia la felicità senza ascoltare l’altro. Non sei più importante o migliore dell’altro. Lui potrebbe aver ragione.
Il socialismo non può essere costruito contro cittadini o senza i cittadini, e per non aver compreso questo che a sinistra c’è oggi un campo di rovine, dove, dopo tutto, alcuni ancora insistono a cercare e incollare i frammenti delle vecchie idee con la speranza di essere in grado di creare qualcosa di nuovo … ‘riusciranno a farlo?’, mi hanno chiesto, e ho detto, ‘Sì, un giorno, ma io già qui non ci sarò a vederlo …’
Come scrittore, credo di non essermi mai separato dalla mia coscienza di cittadino. Ritengo che dove va l’uno dovrà andare l’altro. Non rammento di aver scritto una sola parola che fosse in contraddizione con le convinzioni politiche che difendo, ma questo non significa che abbia mai messo la letteratura al servizio diretto dell’ideologia che è la mia. Vuol dire, questo sì, che quando scrivo cerco, in ogni parola di esprimere la totalità dell’uomo che sono. Lo ripeto: non separo la condizione di scrittore da quella di cittadino, ma non confondo la condizione di scrittore con quella del militante politico».

Josè Saramago




Josè Saramago (1922-2010) – Mi lascia indifferente il concetto di felicità, ritengo più importanti la serenità e l’armonia
José Saramago (1922-2010) – Quanti anni ho, io? Ho l’età in cui le cose si osservano con più calma, ma con l’intento di continuare a crescere. Ho gli anni che servono per abbandonare la paura e fare ciò che voglio e sento. Per continuare senza timore il mio cammino, perché porto con me l’esperienza acquisita e la forza dei miei sogni.
Josè Saramago (1922-2010) – Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che, pur vedendo, non vedono.
Josè Saramago (1922-2010) – Marx ed Engels hanno scritto nella “Sacra famiglia”: «Se l’uomo è formato dalle circostanze, allora bisogna formare le circostanze umanamente». Il comunismo è per me uno stato dello spirito.
Josè Saramago (1922-2010) – Ecco cos’hanno di simpatico le parole semplici, non sanno ingannare.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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José Saramago Saggio sulla lucidità

Ecco cos’hanno di simpatico le parole semplici,

non sanno ingannare.

Josè Saramago, Saggio sulla lucidità, Feltrinelli, Milano 2013.


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Josè Saramago (1922-2010) – Marx ed Engels hanno scritto nella “Sacra famiglia”: «Se l’uomo è formato dalle circostanze, allora bisogna formare le circostanze umanamente». Il comunismo è per me uno stato dello spirito.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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José Saramago comunista

Josè Saramago

Di come il personaggio fu maestro e l’autore suo apprendista.
Discorsi di Stoccolma – 7 e 10 dicembre 1998.
Testo portoghese a fronte. Traduzione e cura di Simonetta Masin.
indicepresentazioneautoresintesi

Marx ed Engels hanno scritto nella Sacra famiglia: «Se l’uomo è formato dalle circostanze, allora bisogna formare le circostanze umanamente». Niente di più chiaro, niente di più eloquente, niente di più ricco di senso. Non avevo ancora trent’anni quando, per la prima volta, lessi quelle parole. Furono, per così dire, la mia via di Damasco. Capii che mi sarebbe stato impossibile tracciare una rotta per la mia vita al di fuori di quel principio e che solo un socialismo integralmente inteso (dunque, il comunismo) avrebbe potuto soddisfare i miei aneliti di giustizia sociale.

Molti anni più tardi, in una intervista con Bernard Pivot, che voleva sapere perché continuassi a essere comunista dopo gli errori, i disastri e i crimini del sistema sovietico, risposi che, essendo un comunista «ormonale», mi era impossibile avere delle idee diverse: gli ormoni avevano deciso.

La spiegazione è più seria di quanto sembri: e forse si capisce meglio se dico che, in qualche modo, ha un equivalente nel «non possumus» biblico.

Recentemente, suscitando lo scandalo di certi compagni dediti alla più canonica ortodossia, ho osato scrivere che il socialismo – e a maggior ragione il comunismo – è uno stato dello spirito. Continuo a pensarlo. E la realtà si incarica giorno dopo giorno di darmi ragione.

José Saramago, da «Comunista a chi?», numero speciale il manifesto, 17 dicembre 2009.

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Josè Saramago

Di come il personaggio fu maestro e l’autore suo apprendista.

Testo già edito da Editorial Caminho, nel 1999; si ringrazia la Fondazione José Saramago per averne autorizzato la pubblicazione; traduzione e cura di Simonetta Masin, pp. 40.

Josè Saramago (1922-2010) – Mi lascia indifferente il concetto di felicità, ritengo più importanti la serenità e l’armonia
José Saramago (1922-2010) – Quanti anni ho, io? Ho l’età in cui le cose si osservano con più calma, ma con l’intento di continuare a crescere. Ho gli anni che servono per abbandonare la paura e fare ciò che voglio e sento. Per continuare senza timore il mio cammino, perché porto con me l’esperienza acquisita e la forza dei miei sogni.
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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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José Saramago (1922-2010) – Quanti anni ho, io? Ho l’età in cui le cose si osservano con più calma, ma con l’intento di continuare a crescere. Ho gli anni che servono per abbandonare la paura e fare ciò che voglio e sento. Per continuare senza timore il mio cammino, perché porto con me l’esperienza acquisita e la forza dei miei sogni.

José Saramago 05a

 

Saramago J

 

Ho l’età in cui le cose si osservano con più calma, ma con l’intento di continuare a crescere. Ho gli anni in cui si cominciano ad accarezzare i sogni con le dita e le illusioni diventano speranza. Ho gli anni in cui l’amore, a volte, è una folle vampata, ansiosa di consumarsi nel fuoco di una passione attesa. E altre volte, è un angolo di pace, come un tramonto sulla spiaggia.

Quanti anni ho, io? Non ho bisogno di segnarli con un numero, perché i miei desideri avverati, le lacrime versate lungo il cammino al vedere le mie illusioni infrante valgono molto più di questo. Che importa se compio venti, quaranta o sessant’anni! Quel che importa è l’età che sento. Ho gli anni che mi servono per vivere libero e senza paure.

Per continuare senza timore il mio cammino, perché porto con me l’esperienza acquisita e la forza dei miei sogni.

Quanti anni ho, io? A chi importa! Ho gli anni che servono per abbandonare la paura e fare ciò che voglio e sento.

José Saramago, Le poesie.

Le poesie

Le poesie


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Josè Saramago (1922-2010) – Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che, pur vedendo, non vedono.

Ensaio sobre a Cegueira, 1995

Ensaio sobre a Cegueira, 1995

 

Secondo me

non siamo diventati ciechi,

secondo me lo siamo,

ciechi che,

pur vedendo,

non vedono.

 

Cecità

Cecità

Josè Saramago, Cecità, Einaudi.


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Josè Saramago (1922-2010) – Mi lascia indifferente il concetto di felicità, ritengo più importanti la serenità e l’armonia

Saramago 01

 

«Mi lascia indifferente il concetto di felicità, ritengo più importanti la serenità e l’armonia. Il concetto di felicità presuppone che uno sia contentissimo, che se ne vada in giro ridendo, abbracciando tutti, dicendo sono felice, che meraviglia. È chiaro che anche un mal di denti gli toglierà la gioia e, quindi, la felicità.
Penso che la serenità sia una cosa diversa. La serenità ha molto dell’accettazione, ma include anche un certo autoriconoscimento dei propri limiti.
Vivere in armonia non significa non avere conflitti, ma poter convivere con gli stessi serenamente».

Josè Saramago

 


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Intervista a Maura Del Serra. A cura di Nuria Kanzian. «Mantenersi fedeli alla propria vocazione e all’onestà intellettuale, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico»

Maura Del Serra

INTERVISTA A MAURA DEL SERRA
SCRITTRICE, CRITICA, TRADUTTRICE, POETESSA.
QUALCHE RIGA PER AVVICINARCI AL SUO PENSIERO
DEL TESTO SCRITTO E LETTO

A cura di Nuria Kanzian

La Gazzetta di Istambul

 Intervista pubblicata su:
«La Gazzetta di Istambul» – Ottobre 2015 – Anno X – Rubrica “Scrittori & Scritti”

 

 

Quali sono gli autori (libri, scrittori o poeti) a cui si sente più affezionata?

Dovrei fare un elenco lunghissimo, ma posso rispondere in sintesi: i classici della tradizione occidentale, dai lirici greci a Dante agli Elisabettiani ai Romantici e ai Simbolisti, da Eliot a Proust a Simone Weill alla Szymborka … e a molti della tradizione orientale, specialmente quella sufi e taoista.


Preferisce gli autori italiani o quelli stranieri e perché?

È una distinzione che non mi corrisponde, mi è sempre stato naturale ricercare le voci salienti ed empatiche al di là di ogni barriera geografica o linguistica.


Quali sono i principali problemi che si incontrano nella traduzione e come risolverli?

Caratteristica fondamentale ne è appunto la sintonia, l’empatia con l’autore tradotto, nel senso che sia lui/lei a “sceglierti” come “pontifex” verso la tua lingua madre; i molti e complessi problemi tecnici si possono condensare nello sforzo di raggiungere una ossimorica “fedeltà infedele”, cioè nella capacità di restituire il senso e il ritmo profondo dell’originale trasponendolo in uno parallelo.


Cosa consiglierebbe a un giovane critico letterario per affermarsi oggi?

Più che consigliare, auguro ad un giovane studioso (critico o scrittore) di mantenersi fedele alla propria vocazione (parola insostituibile) e all’onestà intellettuale, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico o alla rassicurante ma snaturante appartenenza a consorterie di potere. Per fortuna – come rovescio della medaglia – gli strumenti informatici attuali consentono anche ad autori “fuori dal coro” di far sentire la loro voce.


Quale è la poesia di Clemente Rebora che preferisce?

La grandezza complessa della poesia di Rebora mi rende difficile estrapolare una singola poesia: tutti i Frammenti lirici e i Canti anonimi sono per me di vitale eccellenza spirituale e originalità linguistica.


Della sua carriera quale ricordo le rimane più impresso?

Come è naturale, l’intensa e quasi meravigliata emozione avuta alla pubblicazione del mio primo libro su Campana, L’immagine aperta, uscito nel 1973 nella prestigiosa “Biblioteca di Cultura” della Nuova Italia di Firenze; ero ancora fresca di laurea, e l’emozione era accentuata dalla presenza, in quella stessa collana, di opere dei più autorevoli critici e studiosi del tempo. Nei decenni successivi sono state numerose le occasioni che ricordo con gioia, come quando nel 1992 ricevetti il Premio Internazionale “Flaiano” per la scrittura teatrale; in quella stessa edizione furono premiati anche José Saramago e Peter Handke per la narrativa, Alberto Sordi per il cinema e Tino Carraro come attore scenico. Mi sentii molto onorata dal Premio della Cultura conferitomi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 2000; anche a Barcellona nel 1997 fu un’esperienza molto emozionante leggere i miei versi nel Palau de la Mùsica Catalana, davanti a un pubblico attento di 1800 spettatori, un’emozione condivisa con poeti di tutto il mondo. Ma fu tale anche la lettura più “privata” che tenni in quei giorni in un piccolo centro della Catalogna insieme al poeta polacco Adam Zagajewski. L’ultimo evento particolarmente intenso è stata l’uscita, nel 2014, dell’antologia poetica Canti e pietre (Sanger och Stenar) nell’edizione bilingue italiano-svedese, presso l’editore Tranan di Stoccolma, con le belle immagini delle sculture di Staffan Nihlén, gli interventi critici di Olle Granath e di André Ughetto e l’altrettanto bella traduzione di Julian Birbrajer.


Come è riuscita a conciliare lavoro e famiglia e a costo di quali rinunce?

È una domanda ancora inevitabile, topica, rivolta all”’altra metà del cielo” impegnata nella creazione artistica. La conciliazione mi ha richiesto ovviamente il massimo impegno e l’uso della nota capacità “simultanea” femminile. Fortunatamente non mi appartiene l’idea di “tempo libero” o mondano, perciò le rinunce (viaggi o “presenzialismi”, specie quando mia figlia era piccola) sono state accettabili, ed ampiamente compensate in seguito.


Sta lavorando a qualche nuovo progetto? Se sì quale?

Ho vari progetti in corso; adesso sto terminando la revisione del mio ultimo testo teatrale, la tragicommedia La torre di Iperione, che chiuderà il ponderoso volume collettaneo del mio Teatro di imminente pubblicazione (le accludo la copertina). Sto anche concludendo la revisione del mio libro di poesie Scala dei giuramenti, che uscirà ne 2016 presso l’ed. Contra Mundum Press (New York-Berlino) in edizione bilingue italiano-inglese, tradotto da Dominic Siracusa.


Dato che è sensibile ai diritti umani, cosa ne pensa del transito di tanti migranti in Turchia?

Le drammatiche, spesso tragiche, grandi migrazioni di questi ultimi anni sono un fenomeno umano, culturale e socio-politico molto grave e preoccupante, giacché sono migrazioni forzate, causate per lo più da guerre, dittature, carestie o comunque da condizioni di sopravvivenza disperanti. La Turchia, cruciale paese-ponte fra l’Europa e le zone “calde” del Medio Oriente, ha le sue peculiarità etniche, culturali e religiose, che costituiscono una ricchezza anti-omologante, ma anche un aspetto che può acuire le problematiche nel far fronte a questo imponente fenomeno che coinvolge tutta la zona del Mediterraneo fino al Nord Europa. È importante, direi vitale, che ogni artista e ogni persona di buona volontà si senta coinvolta eticamente e che, al di là delle forze istituzionali, si adoperi per perseguire la pace, il rispetto dei diritti umani e di tutti i viventi.

MAURA DEL SERRA
È nata il 2 Giugno del 1948. Ha una figlia e due nipotini. Sostiene le cause per la difesa delle libertà della persona umana ed è attiva anche in iniziative ambientaliste e per la difesa degli animali. Ha pubblicato nove raccolte poetiche, l’antologia Corale. Ha dedicato volumi critici a Dino Campana, Giovanni Pascoli, Giuseppe Ungaretti, Clemente Rebora, Piero Jahier, Margherita Guidacci e saggi a numerosi poeti e scrittori italiani ed europei.
Ha curato alcune antologie, fra le quali: Kore. Iniziazioni femminili. Antologia di racconti contemporanei, Firenze, Le Lettere, 1997; Margherita Guidacci, Le poesie, Firenze, Le Lettere, 1999; Egle Marini. La parola scolpita, Pistoia; Artout, Maschietto e Musolino, 2001; Poesia e lavoro nella cultura occidentale, Roma, Edizione del Giano, 2007.
Ha pubblicato venti testi teatrali e fra gli autori da lei tradotti dal latino, tedesco, inglese, francese e spagnolo: Quinto Tullio Cicerone, William Shakespeare, George Herbert, Francis Thompson, Virginia Woolf, Katherine Mansfield, Dorothy Parker, Rabindranath Tagore, Marcel Proust, Simone Weil, Victoria Ocampo, Jorge Luis Borges.
Per la sua attività ha ricevuto numerosi riconoscimenti nazionali ed internazionali, fra i quali: il premio “Montale” per la poesia, il premio “Flaiano” per il teatro e il premio “Betocchi” per la traduzione.
Nell’anno 2000 le è stato assegnato il premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei ministri.

 

L'opera del vento

Tentativi di certezza

Maura Del Serra, Teatro

 

Il teatro di Maura Del Serra, qui riunito nella molteplice complessità del suo arco cronologico trentennale, abbraccia una pluralità di forme sceniche, ora corali ora dialogiche ora monologanti, che spaziano con incisiva e vivace profondità dall’“affresco” epocale alla fulminea microcellula drammatica e a forme singolari di teatro-danza sempre sorrette da un inventivo simbolismo di luci, colori, voci fuoriscena e suggestioni scenografiche. L’organon di questa scrittura – in versi e in prosa – fonde il nitore visionario con un senso vivace e concreto del phatos quotidiano, spesso nutrito da uno humour tipicamente affidato a personaggi “terrestri” fino al farsesco, secondo la tradizione della commedia antica. Il teatro decisamente anti-minimalista della Del Serra mostra infatti il suo grato debito creativo verso i classici della tradizione drammaturgica e poetico-letteraria europea, dai tragici e lirici greci al barocco inglese e ispanico, al decandentismo e alle avanguardie artistiche del Novecento.
I suoi personaggi, a vario titolo esemplari fino all’archetipo, sono scolpiti e dominati da una solitudine “eroica” non astratta bensì coerentemente testimoniale, tormentati e salvati dalla grandezza antistorica e metastorica del loro dono “eretico” che si oppone geneticamente alla forza oppressiva del potere nelle sue varie espressioni, da quelle canoniche politico-sociali a quelle suasive dell’intelletto, fino a quelle della “sapienza senza nome” della vita. Ed è perciò sempre agonico il rapporto fra la certezza di una verità ultima e inattingibile e l’illusione soggettiva, mediante l’utopia salvifica affidata all’ardore dei protagonisti. Motore e forma privilegiata di queste compresenze è l’eros generatore e multiforme, espresso in tutte le sue pulsioni, dall’amicizia alle polarità maschili e femminili, fino ad una complessa androginia psicologica e spirituale.
In questa straordinaria galleria evocativa di presenze, che spaziano dall’ellenismo alla contemporaneità al futuro, le voci interiori dell’autrice si incarnano di volta in volta, come la poesia ed ogni arte, per “sognare la verità del mondo”.

Maura Del Serra – Wikipedia

Pagine di Maura Del Serra

ANTOLOGIA POETICA

Maura Del Serra, aforismi

Parole in coincidenza 8: Maura Del Serra tradotta da Dominique Sorrente

Maura Del Serra e Cristina Campo

Maura Del Serra, “Tentativi di certezza. Poesie 1999-2009”

Silvio Ramat: L’opera del vento, di Maura del Serra