Karl Marx (1818-1883) – L’arcano della forma di merce. A prima vista, una merce sembra una cosa ovvia. Dalla sua analisi, risulta che è una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici. Ecco il feticismo che s’appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono prodotti come merci, e che quindi è inseparabile dalla produzione delle merci.

Marx e il feticismo delle merci

«Non a caso entrambe le grandi opere della maturità di Marx che si accingono a presentare la società capitalistica iniziano con l’analisi della merce. Infatti, non esiste problema che non rimandi in ultima analisi a questa questione e la cui soluzione non debba essere ricercata in quella dell’enigma della struttura della merce … L’essenza della struttura di merce consiste nel fatto che un rapporto, una relazione tra persone riceve il carattere della cosalità e quindi un’”oggettualità spettrale” che occulta nella sua legalità autonoma, rigorosa, apparentemente conclusa e razionale, ogni traccia della propria essenza fondamentale: il rapporto tra uomini … Questo trasformarsi in merce di una funzione umana rivela con la massima pregnanza il carattere disumanizzato e disumanizzante del rapporto di merce» (G. Lukács, Storia e Coscienza di classe, pp. 107-108, 1988).

A prima vista, una merce sembra una cosa triviale, ovvia. Dalla sua analisi, risulta che è una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici.

Finché è valore d’uso, non c’è nulla di misterioso in essa, sia che la si consideri dal punto di vista che soddisfa, con le sue qualità, bisogni umani, sia che riceva tali qualità soltanto come prodotto di lavoro umano. È chiaro come la luce del sole che l’uomo con la sua attività cambia in maniera utile a se stesso le forme dei materiali naturali. P. es. quando se ne fa un tavolo, la forma del legno viene trasformata. Ciò non di meno, il tavolo rimane legno, cosa sensibile e ordinaria.

Ma appena si presenta come merce, il tavolo si trasforma in una cosa sensibilmente sovrasensibile. Non solo sta coi piedi per terra, ma, di fronte a tutte le altre merci, si mette a testa in giù, e sgomitola dalla sua testa di legno dei grilli molto più mirabili che se cominciasse spontaneamente a ballare.

Dunque, il carattere mistico della merce non sorge dal suo valore d’uso. E nemmeno sorge dal contenuto delle determinazioni di valore. Poiché: in primo luogo, per quanto differenti possano essere i lavori utili o le operosità produttive, è verità fisiologica ch’essi sono funzioni dell’organismo umano, e che tutte tali funzioni, quale si sia il loro contenuto e la loro forma, sono essenzialmente dispendio di cervello, nervi, muscoli, organi sensoriali, ecc. umani. In secondo luogo, per quel che sta alla base della determinazione della grandezza di valore, cioè la durata temporale di quel dispendio, ossia la quantità del lavoro: la quantità del lavoro è distinguibile dalla qualità in maniera addirittura tangibile. In nessuna situazione il tempo di lavoro che costa la produzione dei mezzi di sussistenza ha potuto non interessare gli uomini, benché tale interessamento non sia uniforme nei vari gradi di sviluppo. Infine, appena gli uomini lavorano in una qualsiasi maniera l’uno per l’altro, il loro lavoro riceve anche una forma sociale.

Di dove sorge dunque il carattere enigmatico del prodotto di lavoro appena assume forma di merce? Evidentemente, proprio da tale forma. L’eguaglianza dei lavori umani riceve la forma reale di eguale oggettività di valore dei prodotti del lavoro, la misura del dispendio di forza-lavoro umana mediante la sua durata temporale riceve la forma di grandezza di valore dei prodotti del lavoro, ed infine i rapporti fra i produttori, nei quali si attuano quelle determinazioni sociali dei loro lavori, ricevono la forma d’un rapporto sociale dei prodotti del lavoro.

L’arcano della forma di merce consiste dunque semplicemente nel fatto che tale forma rimanda agli uomini come uno specchio i caratteri sociali del loro proprio lavoro trasformati in caratteri oggettivi dei prodotti di quel lavoro, in proprietà sociali naturali di quelle cose, e quindi rispecchia anche il rapporto sociale fra produttori e lavoro complessivo come un rapporto sociale di oggetti, avente esistenza al di fuori dei prodotti stessi.

Mediante questo quid pro quo i prodotti del lavoro diventano merci, cose sensibilmente sovrasensibili cioè cose sociali. Proprio come l’impressione luminosa di una cosa sul nervo ottico non si presenta come stimolo soggettivo del nervo ottico stesso, ma quale forma oggettiva di una cosa al di fuori dell’occhio. Ma nel fenomeno della vista si ha realmente la proiezione di luce da una cosa, l’oggetto esterno, su un’altra cosa, l’occhio: è un rapporto fisico fra cose fisiche. Invece la forma di merce e il rapporto di valore dei prodotti di lavoro nel quale essa si presenta non ha assolutamente nulla a che fare con la loro natura fisica e con le relazioni fra cosa e cosa che ne derivano. Quel che qui assume per gli uomini la forma fantasmagorica di un rapporto fra cose è soltanto il rapporto sociale determinato fra gli uomini stessi. Quindi, per trovare un’analogia, dobbiamo involarci nella regione nebulosa del mondo religioso. Quivi, i prodotti del cervello umano paiono figure indipendenti, dotate di vita propria, che stanno in rapporto fra di loro e in rapporto con gli uomini.

Così, nel mondo delle merci, fanno i prodotti della mano umana. Questo io chiamo il feticismo che s’appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono prodotti come merci, e che quindi è inseparabile dalla produzione delle merci. Come l’analisi precedente ha già dimostrato, tale carattere feticistico del mondo delle merci sorge dal carattere sociale peculiare del lavoro che produce merci. Gli oggetti d’uso diventano merci, in genere, soltanto perché sono prodotti di lavori privati, eseguiti indipendentemente l’uno dall’altro. Il complesso di tali lavori privati costituisce il lavoro sociale complessivo. Poiché i produttori entrano in contatto sociale soltanto mediante lo scambio dei prodotti del loro lavoro, anche i caratteri specificamente sociali dei loro lavori privati appaiono soltanto all’interno di tale scambio. Ossia, i lavori privati effettuano di fatto la loro qualità di articolazioni del lavoro complessivo sociale mediante le relazioni nelle quali lo scambio pone i prodotti del lavoro e, attraverso i prodotti stessi, i produttori. Quindi a questi ultimi le relazioni sociali dei loro lavori privati appaiono come quel che sono, cioè, non come rapporti immediatamente sociali fra persone nei loro stessi lavori, ma anzi, come rapporti materiali fra persone e rapporti sociali fra le cose. Solo all’interno dello scambio reciproco i prodotti di lavoro ricevono un’oggettività di valore socialmente eguale, separata dalla loro oggettività d’uso, materialmente differente.

Questa scissione del prodotto del lavoro in cosa utile e cosa di valore si effettua praticamente soltanto appena lo scambio ha acquistato estensione e importanza sufficienti affinché cose utili vengano prodotte per lo scambio, vale a dire affinché nella loro stessa produzione venga tenuto conto del carattere di valore delle cose. Da questo momento in poi i lavori privati dei produttori ricevono di fatto un duplice carattere sociale. Da un lato, come lavori utili determinati, debbono soddisfare un determinato bisogno sociale, e far buona prova di sé come articolazioni del lavoro complessivo, del sistema naturale spontaneo della divisione sociale del lavoro; dall’altro lato, essi soddisfano soltanto i molteplici bisogni dei loro produttori, in quanto ogni lavoro privato, utile e particolare è scambiabile con ogni altro genere utile di lavoro privato, e quindi gli è equiparato. L’eguaglianza di lavori toto coelo differenti può consistere soltanto in un far astrazione dalla loro reale diseguaglianza, nel ridurli al carattere comune che essi posseggono, di dispendio di forza-lavoro umana, di lavoro astrattamente umano. Il cervello dei produttori privati rispecchia a sua volta questo duplice carattere sociale dei loro lavori privati, nelle forme che appaiono nel commercio pratico, nello scambio dei prodotti, quindi rispecchia il carattere socialmente utile dei loro lavori privati, in questa forma: il prodotto del lavoro deve essere utile, e utile per altri, e rispecchia il carattere sociale dell’eguaglianza dei lavori di genere differente nella forma del carattere comune di valore di quelle cose materialmente differenti che sono i prodotti del lavoro. Gli uomini dunque riferiscono l’uno all’altro i prodotti del loro lavoro come valori, non certo per il fatto che queste cose contino per loro soltanto come puri involucri materiali di lavoro umano omogeneo. Viceversa. Gli uomini equiparano l’un con l’altro i loro differenti lavori come lavoro umano, equiparando l’uno con l’altro, come valori, nello scambio, i loro prodotti eterogenei. Non sanno di far ciò, ma lo fanno.

Quindi il valore non porta scritto in fronte quel che è. Anzi, il valore trasforma ogni prodotto di lavoro in un geroglifico sociale. In seguito, gli uomini cercano di decifrare il senso del geroglifico, cercano di penetrare l’arcano del loro proprio prodotto sociale, poichè la determinazione degli oggetti d’uso come valori è loro prodotto sociale quanto il linguaggio. La tarda scoperta scientifica che i prodotti di lavoro, in quanto son valori, sono soltanto espressioni materiali del lavoro umano speso nella loro produzione, fa epoca nella storia dello sviluppo dell’umanità, ma non disperde affatto la parvenza oggettiva dei carattere sociale del lavoro. Quel che è valido soltanto per questa particolare forma di produzione, la produzione delle merci, cioè che il carattere specificamente sociale dei lavori privati indipendenti l’uno dall’altro consiste nella loro eguaglianza come lavoro umano e assume la forma del carattere di valore dei prodotti di lavoro, appare cosa definitiva, tanto prima che dopo di quella scoperta, a coloro che rimangono impigliati nei rapporti della produzione di merci: cosa definitiva come il fatto che la scomposizione scientifica dell’aria nei suoi elementi ha lasciato sussistere nella fisica l’atmosfera come forma corporea. Quel che interessa praticamente in primo luogo coloro che scambiano prodotti, è il problema di quanti prodotti altrui riceveranno per il proprio prodotto, quindi, in quale proporzione si scambiano i prodotti. Appena queste proporzioni sono maturate raggiungendo una certa stabilità abituale, sembrano sgorgare dalla natura dei prodotti del lavoro, cosicché p. es. una tonnellata di ferro e due once d’oro sono di egual valore allo stesso modo che una libbra d’oro e una libbra di ferro sono di egual peso nonostante le loro differenti qualità chimiche e fisiche.

Di fatto, il carattere di valore dei prodotti del lavoro si consolida soltanto attraverso la loro attuazione come grandezze di valore. Le grandezze di valore variano continuamente, indipendentemente dalla volontà, della prescienza, e dall’azione dei permutanti, pei quali il loro proprio movimento sociale assume la forma d’un movimento di cose, sotto il cui controllo essi si trovano, invece che averle sotto il proprio controllo. Occorre che ci sia una produzione di merci completamente sviluppata, prima che dall’esperienza stessa nasca la cognizione scientifica che i lavori privati – compiuti indipendentemente l’uno dall’altro, ma dipendenti l’uno dall’altro da ogni parte come articolazioni naturali spontanee della divisione sociale del lavoro – vengono continuamente ridotti alla loro misura socialmente proporzionale. Perché nei rapporti di scambio dei loro prodotti, casuali e sempre oscillanti, trionfa con la forza, come legge naturale regolatrice, il tempo di lavoro socialmente necessario per la loro produzione, così come p. es. trionfa con la forza la legge della gravità, quando la casa ci capitombola sulla testa. La determinazione della grandezza di valore mediante il tempo di lavoro è quindi un arcano, celato sotto i movimenti appariscenti dei valori relativi delle merci. La sua scoperta elimina la parvenza della determínazione puramente casuale delle grandezze di valore dei prodotti del lavoro, ma non elimina affatto la sua forma oggettiva.

 Karl Marx, Il Capitale, Libro I.

Karl Marx – Cristalli di denaro: “auri sacra fames”
Karl Marx – Il denaro è stato fatto signore del mondo
Karl Marx – Il denaro uccide l’uomo. Se presupponi l’uomo come uomo e il suo rapporto col mondo come un rapporto umano, potrai scambiare amore soltanto con amore
Karl Marx – La natura non produce denaro
Karl Marx (1818-1883) – A 17 anni, nel 1835, già ben sapeva quale sarebbe stata la carriera prescelta: agire a favore dell’umanità.
Karl Marx (1818-1883) – Il capitale, per sua natura, nega il tempo per una educazione da uomini, per lo sviluppo intellettuale, per adempiere a funzioni sociali, per le relazioni con gli altri, per il libero gioco delle forze del corpo e della mente.
Karl Marx (1818-1883) – La patologia industriale. La suddivisione del lavoro è l’assassinio di un popolo
Karl Marx (1818-1883) – Sviluppo storico del senso artistico e umanesimo comunista. La soppressione della proprietà privata è la completa emancipazione di tutti i sensi umani e di tutte le qualità umane. Il comunismo è effettiva soppressione della proprietà privata quale autoalienazione dell’uomo, è reale appropriazione dell’umana essenza da parte dell’uomo e per l’uomo
Karl Marx (1818-1883) – Il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità.
Karl Marx (1818-1883) – Gli economisti assomigliano ai teologi, vogliono spacciare per naturali e quindi eterni gli attuali rapporti di produzione.
Karl Marx (1818-1883) – Per sopprimere il pensiero della proprietà privata basta e avanza il comunismo pensato. Per sopprimere la reale proprietà privata ci vuole una reale azione comunista.
Karl Marx (1818-1883) – Noi non siamo dei comunisti che vogliono abolire la libertà personale. In nessuna società la libertà personale può essere più grande che in quella fondata sulla comunità.
Karl Marx (1818-1883) – La sensibilità soggettiva si realizza solo attraverso la ricchezza oggettivamente dispiegata dell’essenza umana.
Karl Marx (1818-1883) – Vi sono momenti della vita, che si pongono come regioni di confine rispetto ad un tempo andato, ma nel contempo indicano con chiarezza una nuova direzione.
Karl Marx (1818-1883) – Quando il ragionamento si discosta dai binari consueti, si va sempre incontro a un iniziale “boicottaggio”

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Koinè – Quale progettualità? Cerchiamo di percorrere, in maniera umanisticamente fondata, l’orizzonte progettuale per delineare le strutture di base di un futuro modo di produzione comunitario non più incentrato sulla privatezza e sulla mercificazione dei rapporti umani.

Quale progettualità invito

Lorenzo Dorato, Antonio Fiocco, Luca Grecchi,  Claudio Lucchini, Alessandro Monchietto,
Alessandro Pallassini, Giacomo Pezzano


Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo,
che dunque vogliano pure pensare da sé.
Karl Marx

 

Quale progettualità

Quale progettualità?

indicepresentazioneautoresintesi


Koiné, Periodico culturale, Anno XXIII – NN° 1-4 Gennaio-Dicembre 2016, Reg. Trib. di Pistoia n° 2/93 del 16/2/93. Direttore responsabile: Carmine Fiorillo. Direttore: Luca Grecchi.


Hanno contribuito e reso possibile la pubblicazione di questo numero di Koiné:

Olivia Campana, Francisco Canepa, Stella Maria Congiu, Lorenzo Dorato, Antonio Fiocco, Carmine Fiorillo, Luca Grecchi, Claudio Lucchini, Alessandro Monchietto, Alessandro Pallassini, Giacomo Pezzano, Giancarlo Paciello, Ilaria Rabatti, Emilia Savi


Intenzioni

Questo numero della rivista Koinè si occupa di affrontare il tema oggi più importante sul piano filosofico politico: il tema della progettualità. Da oltre un secolo a questa parte la critica all’attuale modo di produzione sociale, pur nelle sue molteplici e mutevoli modalità, è stata nella sostanza effettuata. Ciò che resta ancora da fare è cercare di percorrere, in maniera umanisticamente fondata (ossia basandosi sulla natura umana), l’orizzonte progettuale, ossia delineare le strutture di base di un futuro modo di produzione comunitario finalizzato alla buona vita di tutti, non più incentrato sulla privatezza e sulla mercificazione dei rapporti umani. Senza uno sguardo realistico su come il nostro mondo può essere, difficilmente, infatti, si potranno condividere modifiche radicali delle nostre modalità di vita. Ciò richiede, oltre a competenze specifiche, educazione filosofica e capacità dialettica: quanto questo numero della rivista vorrebbe contribuire a formare.

Koinè


Indice

 

Luca Grecchi, Sulla progettualità

Alessandro Monchietto, Quale progettualità? A partire da alcune considerazioni di Luca Grecchi

Claudio Lucchini, La progettualità comunista tra utopia concreta e necessità di funzionamento quotidiano

Antonio Fiocco, Difendere in tutti i modi la progettualità

Alessandro Pallassini, Note marginali per la progettazione di un comunismo della finitezza a partire da Spinoza

Luca Grecchi,, Perché la progettualità

Claudio Lucchini, Annotazioni sulla progettabilità del bene etico-sociale e sulla determinatezza materiale-naturale dell’uomo

Lorenzo Dorato,, La progettualità come necessaria riflessione

sui destini collettivi e sociali

Giacomo Pezzano,, Commento all’articolo di Luca Grecchi “Sulla progettualità”

Commento all’articolo di Luca Grecchi “Perché la progettualità?”

Luca Grecchi, Nel merito dei commenti di Giacomo Pezzano

Giacomo Pezzano, Il vero punto filosofico da scavare è che cosa si voglia intendere con “progettualità”

Luca Grecchi, Una prima conclusione sulla progettualità


Una rivista ha bisogno di tempo per nascere e per crescere

Ha bisogno soprattutto di un particolare complesso di elementi spirituali, culturali, sociali nel cui seno l’idea stessa possa germinare e trovare alimento per il suo sviluppo. Occore poi uno stimolo, un impulso capace di attivare sensibilità intelletuali, offrendo prospettive culturali capaci di intercettare le autentiche domande di senso e di tentare risposte originali e pertinenti. Per cercare di costruire nuovi orizzonti di senso occorre in primo luogo non accettare quanto sostengono i profeti dell’avvento di un mondo senza Spirito, un mondo cioè di individui non più formati dalla memoria di tradizioni e culture anteriori, e perciò in totale balìa dell’immediatezza degli eventi, senza un’identità etica e sociale ed una struttura morale a cui riferirli. Mentre lavoriamo intorno alla definizione di ogni numero di Koinè, impariamo abbastanza da trovarla insufficiente. Impariamo quanto sia inadeguato oggi anche il più vasto sapere se rimane esclusivamente specialistico. In ogni libro è racchiusa una scommessa contro l’oblio, una sfida contro il silenzio.


Il bisogno di progettare, nell’uomo,

non è un fatto accidentale, ma essenziale,

in quanto corrisponde alla sua originaria natura

«Il bisogno di progettare, nell’uomo, non è un fatto accidentale, ma essenziale, in quanto corrisponde alla sua originaria natura. Il progettare è possibile ed ha senso solo in presenza e in vista del futuro. La “fame di futuro” è fame di progettualità […] L’uomo è un essere progettuale. Il progetto spinge a impegnarsi per cambiare lo stato di cose presente. La carenza di progettazione sociale è segno di fuga dalla vita, perché realizzare il fine richiede impegno, dedizione, pazienza, sofferenza, sacrificio. […] Non può costruirsi una società comunitaria senza un’azione parallela mirante a trasformare contemporaneamente le condizioni esterne e le coscienze. Perché vi sia autentica comunità occorre sviluppare una coscienza comunitaria. Il principio fondamentale che regge l’intero edificio comunitario […] è proprio l’humanitas, ossia la coscienza del valore e della dignità degli uomini, di tutti gli uomini, e del loro comune destino».

Cosimo Quarta

 


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Ferruccio Rossi-Landi (1921-1985) – Pensiero come ragione creatrice di realtà. Realizzare tale pensiero e rendere permanenti quelle esperienze per mezzo di progettazioni sociali vuol dire costruire un futuro affatto diverso dal passato e dal presente che ci opprimono. Ma allora non c’è scelta: bisogna costruirlo; ed è questo il senso della rivoluzione.

Ferruccio Rossi-Landi 02

«Io me la rido degli uomini cosiddetti “pratici” e della loro saggezza.
Se si vuol essere un bue,
naturalmente si può voltar la schiena ai tormenti dell’umanità
e badare solo alla propria pelle».

Karl Marx a Siegfried Meyer, 30 aprile 1867.

Il linguaggio come lavoro e come mercato

Il linguaggio come lavoro e come mercato

«Penetriamo nel mezzo delle cose. Gli atteggiamenti di coloro che scelgono di non essere buoi si possono classificare secondo alcuni criteri strettamente interconnessi: (i) la misura
in cui gli aspetti negativi, che ognuno avverte nella situazione umana, vengono considerati costitutivi della natura stessa dell’uomo; (ii) la misura in cui si ritiene che il negativo possa venir eliminato per opera dell’uomo stesso; e (iii) la misura in cui la fonte della capacità di giudicarne viene considerata estranea alla storia o alla natura. La posizione da cui si prendono . qui le mosse è che una natura umana separata dalla storia semplicemente non esiste; da ciò segue, da un lato, che tutto ciò che vi è di negativo nella storia “fa parte” della natura umana, ma che ne fa parte anche la capacità di giudicarne […]. È rivoluzionaria l’azione che tende a ricongiungere coscienza e praxis; è conservatrice l’azione che in un modo qualsiasi ostacola tale ricongiungimento. […] Siamo così giunti a formulare un tipo di privilegiamento del discorso ideologico radicalmente diverso da quello prima esaminato. È l’ideologia come progettazione sociale fondata su di un privilegiamento dinamico anziché statico, nel futuro anziché nel passato, infra-storicamente anziché extra-storicamente.
La realtà cui essa si riferisce non la vincola se non nel senso in cui l’oggetto da costruirsi vincola il costruttore.
Questa progettazione dà pertanto luogo non già a una scienza del già fatto, bensl a una scienza del da farsi, che esclude il soltanto-naturale e il sovra-naturale perché è proprio e soltanto come scienza appartenente per intero alla storia che si costituisce. In essa si esprime l’esigenza di ricongiungere la praxis e il pensiero cioè di essere una scienza generale dell’uomo. […] Si spera di superare la falsità della coscienza in quanto si progetta una situazione nuova, finora non mai verificatasi storicamente, nella quale tale falsità si formi sempre meno, fin verso la meta ideale di non formarsi affatto. È un’ideologia innovatrice anziché conservatrice, che comporta una rivalutazione volontaristica del pensiero come ragione creatrice di realtà.
La coscienza e la praxis che si tratta di ricongiungeré stanno insieme solo nel futuro. Ciò vuoi dire che in questo momento esse stanno insieme solo nel pensiero – o in quelle rare esperienze di libera integrità che tutti i rivoluzionari ci descrivono come tipiche dell’azione storica felice e che la società richiudendosi su se stessa a guisa di mare sporco immediatamente inghiotte e cancella. Realizzare tale pensiero e rendere permanenti quelle esperienze per mezzo di progettazioni sociali vuol dire costruire un futuro affatto diverso dal passato e dal presente che ci opprimono.
Ma allora non c’è scelta: bisogna costruirlo; ed è questo il senso della rivoluzione.
Milano, aprile 1967».

Ferruccio Rossi-Landi, Ideologia come progettazione sociale, saggio apparso in Ideologie, 1967, I, 1°, pp. 1-25, poi in Id., Il linguaggio come lavoro e come mercato, Bompiani, 1968, pp. 161.131-

 


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Karl Marx (1818-1883) – Quando il ragionamento si discosta dai binari consueti, si va sempre incontro a un iniziale “boicottaggio”

Marx e i routinari

 

Lettere Marx-Engels

«Quando il ragionamento
si discosta dai binari consueti,
si va sempre incontro a un iniziale “boicottaggio”;

è l’unica arma di difesa che i routinari
sanno maneggiare
nel loro primo sconcerto».

 

Karl Marx a Ferdinand Nieuwenhuis, 22 febbraio 1881, in Marx-Engels, Lettere 1880-1883 (marzo), Lotta comunista, Milano 2008, p. 50.



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Friedrich Engels (1820-1895) – Tutti gli eventi che accadono per necessità naturale recano in sé la propria consolazione, per quanto possano essere terribili (in morte di K. Marx).

La morte di Kal Marx

 

Lettere Marx-Engels

«Tutti gli eventi che accadono per necessità naturale recano in sé la propria consolazione, per quanto possano essere terribili. […] Forse, l’abilità dei medici gli avrebbe potuto assicurare ancora qualche anno di esistenza vegetativa; la vita di un essere impotente, il quale, per il trionfo della medicina, non muore d’un sol colpo, ma soccombe a poco a poco. Tuttavia, il nostro Marx non lo avrebbe mai sopportato. Vivere con tutti quei lavori incompiuti davanti a sé, anelando, come Tantalo, a portarli a termine senza poterlo fare, sarebbe stato per lui mille volte più amaro della dolce morte che lo ha sorpreso. “La morte non è una disgrazia per colui che muore, ma per chi rimane”, egli soleva dire con Epicuro. E vedere quest’uomo geniale vegetare come un rudere a maggior gloria della medicina e per lo scherno dei filistei che lui, quando era nel pieno delle sue forze, aveva tanto spesso stroncato … no, mille volte meglio le cose così come sono andate. Mille volte meglio che dopodomani lo porteremo nella tomba dove riposa sua moglie. […]
Sia come sia. L’umanità ora possiede una mente in meno, quella più importante che poteva vantare oggi. Il movimento proletario prosegue il proprio cammino, ma è venuto a mancare il suo punto centrale, quello verso il quale francesi, russi, americani e tedeschi si volgevano automaticamente nei momenti decisivi, per ricevere quel chiaro e inconfutabile consiglio che solo il genio e la completa cognizione di causa potevano offrire loro. I parrucconi locali, i piccoli luminari e forse anche gli impostori si troveranno ad avere mano libera. […] Bene, dovremo cavarcela. Altrimenti che cosa ci stiamo a fare? E, comunque, siamo ben lontani dal perdere il nostro coraggio».

Friedrich Engels a Friedrich Sorge, 15 marzo 1883, in Marx-Engels, Lettere 1880-1883 (marzo), Lotta comunista, Milano 2008, pp. 360-361.



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Ernst Bloch (1885-1977) – È la filosofia la scienza in cui è viva, ha da esser viva, la consapevolezza del tutto. La filosofia ha a cuore soprattutto l’unità del sapere. La filosofia sta sul fronte.

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«Perché vi sia lavoro comunitario dei ricercatori e insegnanti, occorre che vi sia una reale comunità; da essa esiste l’università, l’universitas literarum, la totalità istituzionale delle scienze, per cui soltanto la denominazione universitas, originariamente di natura corporativa, può indicare una presenza benefica, luminosa. Ma in essa un ruolo non inessenziale è senz’altro toccato alla filosofia; ché questa si sente da sempre obbligata ad essere la coscienza dell’universitas. È la filosofia la scienza in cui è viva, ha da esser viva, la consapevolezza del tutto. Derivante da tempi in cui erano ancora ignote l’avanzata divisione capitalistica del lavoro e, di conseguenza, la specializzazione delle singole branche del sapere, radicatasi poi in misura crescente e a poco a poco divenuta anarchica, la filosofia ha a cuore soprattutto l’unità del sapere. La tonalità comune, la sostanziale coloritura che tutto pervade è affar suo particolare ed è qualcosa d’essenziale del suo metodo e del suo oggetto. La filosofia, se serve a qualcosa, contiene in sé quel mosso cantus firmus che dà sostegno e orientamento, quello in cui e attorno a cui rotea la polifonia del sapere. Totum relucet in omnibus, omnia ubique: il tutto riluce in tutte le cose, tutte le cose sono dovunque, dice Nicola Cusano, collegandosi ai filosofi arabi; e tanto Leibniz quando Hegel hanno reso indimenticabile lo stesso principio. La filosofia che si vuole marxista ha un ulteriore e particolare obbligo da osservare: quello di rendere nota la voce possente della direzione e dello scopo, la voce finale, senza di cui l’unità si congela. È la stessa voce del sapere, intrinseco ad ogni tradizione e cooperazione; è quasi una necessaria presenza ai problemi di confine: la filosofia sta sul fronte. Sta scientemente attiva sul fronte dell’odierno processo di trasformazione, che è una parte dello stesso processo universale. Vi sta con il nuovo, col novum, quale fondamentale categoria a tutt’oggi ancora pressoché inesplorata, e con l’utopia concreta, quale determinatezza dell’oggetto, determinatezza della realtà».

Ernst Bloch, Università, marxismo, filosofia, in Id., Karl Marx, Il Mulino, 1972, p.168.



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Karl Marx (1818-1883) – Vi sono momenti della vita, che si pongono come regioni di confine rispetto ad un tempo andato, ma nel contempo indicano con chiarezza una nuova direzione.

Karl Marx al padre

giovane+marx

Karl Marx studente (1834),
in una litografia di N. Ponsart (Museo Marx-Engels di Mosca)

 

Non è vero che la linea piu breve
sia sempre la piu dritta.
G. E. Lessing

Non basta rappresentare l’esistente, è necessario
pensare all’auspicabile e al possibile.
M. Gorki

 

 

«Vi sono momenti della vita, che si pongono come regioni di confine rispetto ad un tempo andato, ma nel contempo indicano con chiarezza una nuova direzione. In un siffatto punto di passaggio ci sentiamo spinti, necessitati a considerare con l’aquilino occhio del pensiero e il passato e il presente per raggiungere la piena consapevolezza della nostra reale posizione. E invero la storia universale medesima predilige tale sguardo retrospettivo e si esamina, il che le imprime spesso l’apparenza della retrocessione e dell’arresto, mentre essa si sprofonda nella poltrona solo per penetrare spiritualmente l’azione dello Spirito, cioè l’azione sua propria».

«Ogni metamorfosi è in parte un canto del cigno, in parte il preludio d’un gran nuovo poema, che tende a rivestirsi di colori splendidi, ma ancora evanescenti».

Karl Marx, Lettera al padre del 10 novembre 1837 [Marx ha diciannove anni]; cfr. Marx·Engels, Historiscb-kritische Gesamtausgabe (MEGA), Frankfurt-Berlin-Moskau, Marx-Engels Archiv, 1927-1932, vol. I, sez. I, pp. 213-221.

 



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Karl Marx (1818-1883) – La sensibilità soggettiva si realizza solo attraverso la ricchezza oggettivamente dispiegata dell’essenza umana.

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Opere filosofiche giovanili

Opere filosofiche giovanili

«Soltanto attraverso la ricchezza oggettivamente dispiegata dell’essenza umana vi è la ricchezza della umana sensibilità soggettiva (l’orecchio musicale, l’occhio per la bellezza della forma – in breve, i sensi capaci di umana gratificazione, sensi che affermano se stessi come poteri essenziali dell’uomo) sia essa coltivata o prodotta».

Karl Marx, Manoscritti economico-filsoflci del 1844, tr. il. G. Della Volpe, in Opere filosofiche giovanili, Editori Riuniti, Roma 1963, p. 229.


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Karl Marx (1818-1883) – Per sopprimere il pensiero della proprietà privata basta e avanza il comunismo pensato. Per sopprimere la reale proprietà privata ci vuole una reale azione comunista.

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Opere filosofiche giovanili

Opere filosofiche giovanili

 

«L’alienazione della vita umana resta […] un’alienazione tanto più grande quanto più si abbia coscienza di essa come tale: se può esser consumata, lo è solo mediante il comunismo messo in opera.
Per sopprimere il pensiero della proprietà privata basta e avanza il comunismo pensato.
Per sopprimere la reale proprietà privata ci vuole una reale azione comunista».

Karl Marx, Opere filosofiche giovanili,
a cura di Galvano della Volpe,
Editori Riuni, 1969.

 


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Karl Marx (1818-1883) – Gli economisti assomigliano ai teologi, vogliono spacciare per naturali e quindi eterni gli attuali rapporti di produzione.

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Miseria della filosofia

K. Marx, Miseria della filosofia

«Gli economisti hanno un singolare modo di procedere. Non esistono per essi che due tipi di istituzioni, quelle dell’arte e quelle della natura. Le istituzioni del feudalesimo sono istituzioni artificiali, quelle della borghesia sono istituzioni naturali. E in questo gli economisti assomigliano ai teologi, i quali pure distinguono due tipi di religioni. Ogni religione che non sia la loro è un’invenzione degli uomini, mentre la loro è un’emanazione di Dio. Dicendo che i rapporti attuali – i rapporti della produzione borghese – sono naturali, gli economisti fanno intendere che si tratta di rapporti entro i quali si crea la ricchezza e si sviluppano le forze produttive conformemente alle leggi della natura. Per cui questi stessi rapporti sono leggi naturali indipendenti dall’influeza del tempo. Sono leggi eterne che debbono sempre reggere la società. Così c’è stata storia, ma ormai non ce n’è più. C’è stata storia perché sono esistite istituzioni feudali e perché in queste istituzioni feudali si trovano rapporti di produzione del tutto differente da quelli della società borghese, che gli economisti vogliono spacciare per naturali e quindi eterni»

Karl Marx, Miseria della filosofia (dicembre 1846- giugno 1847), Editori Riuniti, 1993.

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