Massimo Bontempelli, «La conoscenza del bene e del male» (Seconda Ed.) Prefazione di Fernanda Mazzoli. In Appendice: «Premio di Filosofia Massimo Bontempelli» (XII ed.), con scritti di A. Pellegrino, P. Simoncini, F. Sodi, V. Antichi, A. Colomba, M.E. Giorgi, G. Liut, K. Makdir, B. Monicelli, G. Pasanisi, L. Bontempelli.

Massimo Bontempelli, La conoscenza del bene e del male. Seconda Ed. Prefazione di F. Mazzoli. In Appendice: «Prremio di Filosofia Massimo Bontempelli» (XIIa ed.), con scritti di A. Pellegrino, P. Simoncini, F. Sodi, V. Antichi, A. Colomba, M.E. Giorgi, G. Liut, K. Makdir, B. Monicelli, G. Pasanisi, L. Bontempelli.
ISBN 978-88-7588-435-2, 2025, pp. 192, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “il giogo” [206].
In copertina: Il mito biblico di Adamo ed Eva che nel “Giardino di Eden” sono tratti in tentazione dal serpente. Miniatura del X secolo



Prefazione di Fernanda Mazzoli

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Un libro pensato innanzitutto per gli studenti e gli insegnanti si espone al rischio di appiattirsi su un taglio manualistico prettamente informativo – opzione d’altronde assolutamente legittima, dato il contesto – che abbina alla proliferazione dei dati di varia natura la loro semplificazione concettuale e l’oscuramento della tela di fondo su cui essi si dispongono.

La finalità pedagogica, non sempre correttamente intesa, può spingere poi in direzione di un’attualizzazione brutale, cioè non opportunamente mediata sul piano culturale e storico, dei temi e problemi passati in rassegna, nell’illusorio per quanto comprensibile tentativo di rendere accattivanti argomenti indiscutibilmente ardui.

Ne risulta troppo spesso una  superficialità vanamente mascherata dalla quantità delle informazioni e dal sussiego della forma espositiva che cerca di coprire attraverso la profusione del lessico specialistico la mancanza di originalità. Sono libri destinati al consumo scolastico, numi tutelari per verifiche e punteggi per gli studenti, puntello alla memoria per i docenti. Strumenti sicuramente utili agli uni e agli altri, ma nulla di più.

Un libro insegna nella misura in cui segna, cioè lascia un segno nello spirito di chi lo legge e non semplicemente sul registro, a maggior ragione se si propone di affrontare questioni filosofiche, vale a dire questioni che investono la verità, il bene, il significato del nostro essere al mondo, la coraggiosa contemplazione delle cose al di là del loro apparire, per dirla con Eraclito cui non a caso Massimo Bontempelli ha dedicato uno studio, Eraclito e noi, di prossima ristampa.

Ora, questo suo testo  si inscrive a pieno titolo nella categoria dei libri che incidono, che cadono  con la lama affilata di una rigorosa riflessione e di un’inesausta passione intellettuale su una materia tanto primaria ed essenziale, quanto maltrattata e trascurata.

E squarciano il velo, o meglio il sudario, dentro il quale essa è stata occultata, ai fini di rimuoverla dal piano filosofico per lasciarla andare alla deriva del gusto individuale o di un’estemporanea esperienza privata. Ci troviamo dunque di fronte ad un libro coraggioso, proprio come Eraclito richiedeva alla filosofia di essere.

Evidentemente, si tratta di una materia pericolosa, se è stata sottratta agli sguardi dei più e privata della dignità di potersi avvalere di credenziali razionali e se il suo disseppellimento e successiva riabilitazione hanno richiesto una buona dose di audacia che mai, d’altra parte, ha difettato all’autore, specialista in operazioni filosofiche controcorrente, nel recupero e approfondimento di temi e problematiche rimosse, “relitti” di una sapienza millenaria che l’antica Grecia in primis ha regalato all’umanità e che l’era della post-verità ha relegato nel cantuccio delle curiosità erudite nel migliore dei casi, quando non ne ha decretato la morte per irrilevanza cognitiva e inutilità sociale.

Dunque, è a un percorso non rassicurante che Massimo Bontempelli chiama il lettore, sospinto dal suo argomentare pacato ma serrato, sostenuto da una lingua mirabilmente chiara anche quando si addentra in concetti complessi, ad abbandonare le false certezze incuneate nelle idee dominanti che hanno pervaso il corpo sociale, facendosi forti dell’autorevolezza scientifica in ambito accademico e dell’allineamento al sentire comune nell’ambito della vita quotidiana.

Basterebbe solo questo per raccomandare la lettura delle pagine che seguono, poiché ciò di cui c’è oggi disperato bisogno è di andare oltre uno specchio che rinvii sempre la stessa immagine, confermandoci che non vi è nessun’altra realtà, poiché tale oggetto «per mostrare tutto ciò che appare non rivela alcunché di ciò che non appare», come sottolinea icasticamente il filosofo.

E quel che non appare è, per esempio, che la distinzione fra bene e male è un oggetto di conoscenza  e che averlo estromesso come tale dal pensiero della modernità ha finito per oscurare gli stessi fondamenti etici del vivere umano e della convivenza sociale.

Quel frutto proibito – che è proprio la conoscenza del bene e del male – che i nostri progenitori gustarono nel giardino dell’Eden, acquisendo una sapienza che li ha strappati all’immediatezza della vita biologica e condannati contemporaneamente alla consapevolezza della mortalità sembra avere smarrito quell’aspetto invitante e quel sapore che persero loro e i loro discendenti, gettandoli nudi e tremanti nelle tempeste della vita e della storia. Insomma, il prezzo pagato per la conoscenza è stato alto, ma attraverso di esso l’umano è diventato pienamente tale. Questa capacità di discernimento così strettamente legata alla morte, ne costituisce anche un limite, un terreno in cui disputarle spazio: vita e morte si affrontano sotto le sembianze di Bene e Male, là dove il primo costituisce una presa di posizione per la vita contro la morte che avanza nel cuore stesso della vita, distruggendo quegli scopi – e la capacità di averne cura e di riconoscere quelli altrui – attraverso cui si esprime la vitalità.

L’estromissione dal terreno della ragione del Bene e del Male e il loro confinamento in una sfera residuale più o meno religiosa o mitica ha dunque aperto la strada al demone della distruzione che  divora la vita, alternando come in un gioco di maschere il guizzo feroce della pura malvagità al ghigno cinico e disperato del nichilismo o alla pacatezza levigata e fredda dell’homo economicus.

 Seguendo le vicissitudini del suo oggetto di ricerca, Bontempelli ci guida dall’antico mito biblico che in forma narrativa coglie una grande verità umana alla speculazione filosofica che, a partire dai Greci,  afferma l’oggettiva razionalità del Bene fino al punto di snodo cruciale situato fra XVII e XVIII secolo, in quella temperie culturale che vide imporsi la Rivoluzione scientifica, l’Illuminismo e il liberalismo.

 L’autore opera qui una scelta particolarmente felice, e di notevole rilievo didattico, approcciando il tema da un’angolazione abbastanza inusuale, ovvero mostrando l’enorme e misconosciuta influenza esercitata da pensatori considerati di secondo ordine e pertanto quasi sempre trascurati dalla manualistica scolastica: i fisiocratici – Quesnay, Sieyès, Condorcet –  e Benjamin Constant, più studiato a scuola (e più in un qualche corso monografico universitario che al Liceo) come autore romanticheggiante di Adolphe piuttosto che come teorico liberale.

Scelta felice e significativa più di quel che non appaia, visto che ci spinge a porre una problematica affatto secondaria: e se proprio gli autori “minori” fossero gli interpreti privilegiati dello spirito del tempo, capaci di accoglierne stimoli, domande e tendenze e di rielaborarli in modo da tematizzarli e strutturarli in una visione organica, capace di innalzarli sul senso comune?

Problematica non peregrina, se si considera l’impatto sulla nostra società dei think tanks, centri studi animati da intellettuali di non grande richiamo (e certamente di levatura culturale assai più modesta di quella dei filosofi francesi testé citati), potenti quanto poco noti canali di formazione – e de-formazione – dell’opinione pubblica.

 Trattandosi di gruppi organizzati e finanziati, l’analogia con i fisiocratici si arresta qui, ma induce ad una stimolante riflessione sul ruolo dirompente – sul medio-lungo periodo – esplicato da idee elaborate da pensatori considerati marginali rispetto ai grandi nomi consacrati dalla tradizione accademica, la cui trattazione, pertanto, viene trascurata nei programmi scolastici.

 È, inoltre, merito non secondario di questo libro di Bontempelli non solo avere magistralmente dimostrato come essi abbiano giocato un ruolo determinante nel mettere a punto quella razionalizzazione irrazionale che ha finito per essere la carta d’identità del mondo in cui viviamo, ma avere fornito al lettore una loro accurata scheda biografica, attenta particolarmente al loro rapporto con i circoli culturali dell’epoca e gli eventi pubblici.

 Un’antinomia difficile da leggere, quella della razionalizzazione irrazionale, perché vi sguazziamo – e vi affondiamo – come pesci nell’acqua, come se fosse il nostro ambiente naturale ed invece è l’esito solo apparentemente paradossale di una modernità che ha abbandonato le sue premesse – e promesse – emancipatrici.

 Il trionfo della capacità di calcolo, di previsione, di precisione, di una complessiva efficacia operativa ha prodotto l’universo tecnico in cui viviamo che non ha altri scopi se non il proprio incremento, finendo per fare coincidere il valore con l’efficacia stessa. Gli umani diventano una articolazione di questo razionalissimo apparato, con conseguente espropriazione delle proprie azioni che hanno valore unicamente se incorporate in tale apparato, macchina complessiva del comando sociale, nonché inevitabile compressione delle proprie potenzialità autenticamente creative, ovvero della libertà.

Condizione ben riassunta dalla bieca, anzi rivoltante, definizione di capitale umano di largo consumo nella scuola attuale, sempre più orientata attraverso la didattica delle competenze, la digitalizzazione ed i percorsi di Alternanza scuola-lavoro (ora Percorsi per le Competenze Trasversali) ed Orientamento ad addestrare rotelline per il suddetto apparato.

 Il divorzio fra ragione e valore degli scopi dell’esistenza umana consumato da fisiocrati e pensatori liberali fra XVII e XVIII secolo e perfezionato da Weber cento anni dopo, come ogni separazione non consensuale ha mietuto qualche vittima: una di esse è proprio la distinzione fra bene e male, vita e morte.

L’orizzonte della morte è stato rimosso o assorbito in un compiaciuto nichilismo, il bene è stato convertito in efficacia, oppure, nella sua versione più derisoria, in bene di consumo sul mercato della propaganda politica in cui coincide con l’adesione incondizionata a campagne di mobilitazione contro i “nemici” in agguato, identificati come “male assoluto”, specie quando non condividono l’entusiasmo per la democrazia  (il)liberale e l’economia capitalistica.  

Tutto quanto è fondamentale per l’uomo – è, per l’appunto, questione di vita o di morte – è stato estromesso dall’orizzonte storico attuale ed esiliato, se non negato, nella sfera privata dalla quale emerge spesso sotto forma di sofferenza esistenziale, né potrebbe essere diversamente: l’amputazione che l’essere umano ha subito sanguina come lacerazione sotterranea, al di sotto della soglia della consapevolezza.

Ed è nell’urgenza di favorire la maturazione di tale consapevolezza che l’elaborazione teoretica dello studioso si incontra con la sollecitudine del docente (Massimo Bontempelli ha affiancato all’attività di ricerca l’insegnamento liceale, vissuto da lui in chiave di impegno civile), particolarmente attento all’inquietudine, agli interrogativi, alle domande di senso di coloro che si affacciano alla vita adulta e alla necessità di fornire loro una strumentazione rigorosa ed autenticamente razionale, perché rispettosa della totalità del reale, per farvi fronte. Cassetta degli attrezzi utile quanto mai anche agli insegnanti, sempre più schiacciati tra acritica accettazione di una “innovazione” didattica  imposta dall’esterno e tutta giocata sul terreno delle nuove tecnologie ed un inerziale rimpianto della perdita dei valori da parte delle giovani generazioni.

Affrontare un tema dalle forti connotazioni etiche coinvolgenti nuclei vitali del presente comporta, infatti, il rischio di una rinuncia all’inquadramento esaustivo del problema per il più comodo approdo recriminatorio su tempora e mores.

I tempi, invece, qui sono ben messi a fuoco: sono i tempi lunghi – marcati, malgrado le contraddizioni interne, da un significativo filo conduttore – della gestazione e del parto di un modello di società puramente economica: dall’individuazione ad opera di Quesnay del Prodotto netto come autentica espressione delle risorse di cui una società dispone, alla fiducia di Condorcet che tutti i problemi lasciati irrisolti da religione,  filosofia e politica saranno chiariti dal sapere matematico e sperimentale, all’ipotesi di Sièyes di un futuro in cui la capacità di generare ricchezza supererà in importanza tutte le altre umane facoltà, alla coincidenza in Constant fra  bene sociale e libero scambio di risorse prodotte privatamente, al disincanto del mondo individuato da Weber come prodotto dello sviluppo industriale e scientifico con susseguente ripiegarsi della morale in una sfera residuale che pertiene alla singolarità della coscienza, emerge un orientamento comune.

Questi autori hanno cucito, pur con fili diversi, quel tessuto della razionalità strumentale che assume come proprio fondamento e al tempo stesso finalità calcolo e quantità, dimediando il campo di intervento della ragione stessa e, in tal modo, immiserendo l’esistenza sociale ed individuale.

Essi hanno contribuito ad una rilevante trasformazione della mentalità collettiva, in direzione dell’universalizzazione delle relazioni tecniche, con il suo corollario in termini di divisione del lavoro e di rapporti sociali.

Il culto fisiocratico del prodotto netto e dell’economia ha percorso in due secoli e mezzo una lunga strada che è sfociata nell’universo della merce che ben conosciamo: un universo il cui scopo è la crescita illimitata di denaro, cioè di un mezzo: esempio estremo e lampante della razionalizzazione irrazionale, esito controverso e paradossale di una modernità tradita, in quanto da tale processo è la ragione per prima ad uscirne umiliata.

Universo che rinvia l’immagine deformata di un maccheronico paradiso perduto nel Paese di Cuccagna, ove non esistono più frutti proibiti, perché basta tendere una mano per toccare l’oggetto del desiderio, in un’illusione di immediatezza e pienezza appena scalfita dal prezzo da pagare, solitamente assai più a buon mercato di quello che toccò saldare ai nostri progenitori e senza la remora di un serpente tentatore occhieggiante da dietro uno scaffale, perché lo abbiamo già ucciso e digerito e, in caso contrario, potremmo sempre valutare di comperarlo: un paradiso di cartapesta pronto a scivolare nell’Inferno dell’insignificanza.

Mettere a nudo con argomentazioni razionali piuttosto che con moralistiche denunce in un testo rivolto innanzitutto al mondo della scuola la tragica incongruenza di una società costruita sull’idolatria  del campo economico e sulla sua illimitata espansione a discapito degli altri (che esso dovrebbe servire) traduce una scelta educativa dal segno inequivocabile ed anche un invito ai docenti a non abbandonare il loro magistero critico, la cura della formazione di un essere umano e non del pezzo intercambiabile dell’ ingranaggio produttivo-tecnologico.

 La conoscenza del bene e del male è stato pubblicato una prima volta nel 1998: nel giro di venticinque anni – lo spazio di una generazione – la potenza e la pervasività dell’apparato tecnico- scientifico sono aumentate a dismisura, al punto da pretendere ad una sorta di naturalità che ne offusca genesi storico-filosofica e contestualizzazione nel modo di produzione capitalistico: insomma, una seconda natura che nelle distopie transumanistiche potrebbe addiruttura divenire una prima natura, o la sola. É diventato pienamente il nostro orizzonte storico di cui Weber affermava la intrascendibilità con la nota metafora della gabbia di acciaio.

Ora, la riflessione di Bontempelli aiuta a riportare in un ambito razionale un fenomeno – l’intelligenza artificiale – su cui attualmente sono appuntati i riflettori: per gli uni straordinaria risorsa che aprirà nuove strade all’umanità, forse oltre il concetto stesso di umano, per gli altri mostro tentacolare che ne sancirà il definitivo asservimento alla logica della macchina, fino alla sostituzione o all’ibridazione. In entrambi i casi, assistiamo ad una enfatizzazione di questo sistema di automazione che ne sottolinea il carattere di dirompente novità, di scoperta epocale in grado di imprimere una svolta senza precedenti alle nostre vite, al modo di studiare, lavorare, interagire con il mondo. In realtà, l’intelligenza artificiale rappresenta la realizzazione all’ennesima potenza di quella capacità previsionale e di calcolo nel quale siamo già immersi da molto tempo, l’apoteosi di quell’efficacia che già informa l’apparato scientifico-tecnologico, lo strumento più rifinito di una teleologia sociale puramente quantitativa, anzi finalità in sé, laddove il mezzo ha fagocitato tutto il resto.

L’individuazione di questa continuità assume particolare rilievo se additata criticamente agli studenti, se proposta da un docente desideroso lui per primo di comprendere quello che non si vede nello specchio come tema di riflessione capace di coniugare il passato di una secolare elaborazione filosofica con il presente di tecnologie, la cui potenza operativa si impone con tutto il prestigio di una complessa ed avveniristica intelaiatura, mentre la sua ratio riposa su operazioni intellettuali piuttosto semplici. E su un ossimoro che ci riporta ancora una volta al processo di restringimento della ragione, al suo abbandono di cruciali territori dell’umano.

Come rifiuta la facile invettiva moralistica, così Bontempelli offre una lezione di lucidità particolarmente preziosa in un momento in cui alla tracotanza del totalitarismo tecnico- scientifico, cuore pulsante del modo di produzione capitalistico, verrebbe, per istinto di ribellione e per disperazione di poter mai uscire dalla famosa gabbia, da rispondere con il vagheggiamento di un passato idealizzato, di epoche e luoghi portatori di spirituale ricchezza.

Il filosofo sottolinea quale formidabile balzo in avanti nello sviluppo dei procedimenti razionali, nel possesso raziocinante del mondo abbia rappresentato la Rivoluzione scientifica, a quali autentiche problematiche poste dalla convivenza sociale abbiano cercato di rispondere i filosofi del Settecento e un padre del pensiero liberale come Benjamin Constant: dunque, nessun ritorno all’indietro, nessuna critica antiscientifica, a meno che non ci si voglia condannare alla sterilità del rimpianto, ma, piuttosto, l’acuta consapevolezza della frattura  avvenuta e della conseguente amputazione, perché è indispensabile avere una lente non banale con cui leggere il funzionamento effettivo del mondo della tecnica e delle merci.

Consapevolezza anche della necessità di trascenderlo, quindi di aprire varchi attraverso il grimaldello di una nuova metafisica capace di misurarsi, diversamente dalle tradizionali, con lo scenario plasmato dalla razionalizzazione irrazionale, una metafisica immanentistica e razionale imperniata sulla centralità della qualità (determinazione che si sottrae alla contabilità) e del limite che si oppone al cattivo infinito quantitativo.

Questa parte conclusiva del lavoro di Bontempelli, con i suoi riferimenti ad Heidegger e ad Hegel, da un lato è sicuramente di approccio più arduo per un liceale ed un lettore non specialista della disciplina, dall’altro però suona come un’inderogabile affermazione di possibilità di resistenza all’universalizzazione di tecnica e merci che nutre la speranza di quanti non ritengono tale universo un destino.

Resistere ai richiami delle sirene delle ultime novità tecnologiche, interrompere il ciclo produzione-consumo,  adottare ritmi di vita lenti, rifiutare le manipolazioni sui corpi biologici rappresentano opzioni a favore di un ristabilimento di un equilibrio antropologico che si è smarrito in una deriva che da una parte esibisce i tratti della frenesia efficientistica, cumulativa ed utilitaria, dall’altro quelli della resa al nichilismo, facce apparentemente discordi di una stessa medaglia: una vita mutilata, circoscritta entro le regole dettate dai mezzi promossi a fini, privata di scopi intrinseci ed orizzonti di senso, di bene in definitiva.

Affermare la conoscibilità del bene, dunque la sua razionalità, riportare l’etica al centro del discorso filosofico per correggere le storture di una ragione impoverita che si identifica con il calcolo è operare una scelta per la vita, per tutto quanto promuove un progresso di umanità. È questo il dono – gravido di promesse, ma anche di tenace impegno – che Massimo Bontempelli ha lasciato a coloro che, sulle soglie dell’esistenza adulta, sono chiamati a fare il loro cammino di umani, a contribuire con le loro azioni ad accrescere la vita universale e ad averne cura.

Il progetto che ha coinvolto alcuni professori e studenti del Liceo Classico “Galileo Galilei”di Pisa, dove Bontempelli ha a lungo insegnato (con l’istituzione del «Premio di Filosofia Massimo Bontempelli» giunto alla sua XIIa edizione, le considerazioni delle insegnanti che hanno guidato l’esperienza, ed in particolare  – ciò che è davvero importante – quanto scrivono gli studenti nella loro recensione al libro, ed infine le espressioni di Lucio Bontempelli – figlio di Massimo), tutto ciò rappresenta un segnale incoraggiante in questa direzione, una prova tangibile che la sua voce divergente è capace di spezzare silenzi e di suscitare echi, corrispondenze e nuove suggestioni.


Le insegnanti Antonia Pellegrino, Paola Simoncini, Francesca Soldi

L’insegnamento di Massimo Bontempelli è ritornato a vivere,

non solo a livello “filologico”,

ma di prassi attiva

Testo a cura delle Insegnanti

Antonia Pellegrino

Paola Simoncini

Francesca Sodi

Dipartimento di Filosofia e Storia

del «Liceo Classico Galilei»

Massimo Bontempelli, ha insegnato per molti anni nella nostra scuola, il «Liceo Classico Galileo Galilei» di Pisa. Docente, filosofo e studioso, ha ispirato “generazioni” di studenti attraverso un insegnamento visto anche come attività di militanza civile e politica.

La nostra scuola ha sempre mantenuto vivo il ricordo del suo impegno nella scuola e nella società, non solo dedicandogli l’Aula Magna dell’istituto ma anche attraverso l’attivazione, supportata dalla famiglia Bontempelli, di un Premio filosofico a lui intitolato, che ha realizzato la prima edizione nel 2013.

Il Premio di Filosofia Massimo Bontempelli rappresenta un percorso di valorizzazione delle eccellenze della nostra scuola. Fino al 2024 ai partecipanti veniva chiesto di riflettere su questioni filosofiche di ampio respiro, esercitando liberamente le loro capacità analitiche e critiche, sulla scia di quella che era stata la cifra dell’insegnamento di Massimo.

A partire da quest’anno, 2024/2025, il Dipartimento di Filosofia e Storia del «Liceo Classico Galilei», in accordo con la famiglia, ha deciso di intraprendere un percorso diverso.

È sembrato opportuno promuovere, presso le studentesse e gli studenti, un confronto diretto con le opere di Massimo Bontempelli, per una duplice motivazione.

Da un lato, il riconoscimento di una intervenuta e inevitabile separazione temporale, una frattura nella trasmissione diretta nella memoria e della conoscenza.

Dall’altro, la convinzione ferma che l’opera di Massimo Bontempelli possa offrire ancora oggi, alle nuove generazioni, degli strumenti utili di analisi della realtà sociale, politica, economica e culturale dei nostri giorni.

Consci però del fatto che ormai gli studenti di questi ultimi anni sono molto lontani dagli anni di insegnamento di Bontempelli per averne ancora una memoria viva, quest’anno abbiamo deciso, sempre con il supporto della famiglia Bontempelli, di cimentarci in un percorso più lungo e complesso che riprendesse anche quanto suggerito, per esempio, nella Introduzione dell’autore a questo testo: «la sua migliore utilizzazione è quella di affidarla all’autonoma lettura degli studenti, e di farne poi seguire alcune discussioni tematiche in classe, sotto la guida dell’insegnante».

Nella convinzione che la lettura del testo filosofico sia un momento imprescindibile nel percorso didattico, ma soprattutto formativo, accettando la sfida lanciata da Bontempelli, abbiamo proposto ai partecipanti al Premio, studentesse e studenti delle classi quarte e quinte, la lettura personale dell’opera completa La conoscenza del bene e del male, affiancandola a due incontri di introduzione, confronto collettivo e discussione delle problematiche filosofiche suscitate dalla lettura del testo.

Questi due incontri si sono contraddistinti per il loro carattere aperto, per l’accuratezza e la profondità delle riflessioni sviluppate dalle ragazze e dai ragazzi coinvolti, per la molteplicità delle questioni affrontate, varie eppure coerenti fra di loro perché frutto di uno sforzo di comprensione della realtà complessa e contraddittoria di cui siamo parte.

Agli incontri è seguita infine la prova concorsuale che ha visto i partecipanti cimentarsi nella redazione di una recensione filosofica dell’opera che ha evidenziato la capacità di analisi del testo e la varietà delle riflessioni personali.

L’insegnamento di Massimo Bontempelli è ritornato a vivere, non solo a livello “filologico” di conservazione della memoria, ma di prassi attiva.


Gli studenti

Viviana Antichi, Maria Elena Giorgi, Karim Makdir, Bernardo Monicelli, Annalisa Colomba, Giulia Liut, Giulia Pasanisi

La nostra recensione

del libro

di Massimo Bontempelli

Testo di

Viviana Antichi, Maria Elena Giorgi,

Karim Makdir, Bernando Monicelli

(alunni di quarta),

Annalisa Colomba, Giulia Liut, Giulia Pasanisi (alunni di quinta)

Nel suo saggio La conoscenza del bene e del male, Massimo Bontempelli riflette sull’origine e lo statuto di verità di questi due concetti. Lo fa esordendo con il mito del giardino dell’Eden da cui Adamo ed Eva vengono cacciati proprio per aver mangiato il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, conoscenza che per Bontempelli non è affatto arbitraria: l’uomo è invece perfettamente in grado di comprenderla dandone una definizione vera e condivisa, nonostante varie teorie filosofiche e orientamenti culturali siano di avviso contrario.

In questa tesi, ribadita convintamente e sostenuta da argomentazioni diverse, risiede forse uno degli aspetti che rendono il libro assolutamente “controcorrente”.

La distinzione fra bene e male, secondo Bontempelli, è immediatamente derivabile dalla riflessione sulla vita e su ciò che può sostenerla e preservarla.

Dunque la vita e la morte non sono viste come qualcosa di fisico-biologico, ma come eventi che definiscono l’esistenza degli esseri umani: in assenza di una morte che ponga fine al raggiungimento dei nostri obiettivi, non avremmo neanche il bisogno di “scopi” che ci possano rendere vivi.

Bontempelli esemplifica questo con una situazione reale di vita quotidiana nella quale un giovane comprende di aver commesso qualcosa di male nel momento in cui ha negato ad una bambina un dono tanto desiderato.

Ciò che fa percepire l’azione come male è la delusione, lo spegnersi di uno scopo vitale della bambina, e il testo si sofferma proprio sulla parola “scopo”, e congiunge questo concetto con la vita stessa.

Avere “riguardo”, ovvero “cura”, nei confronti degli scopi altrui vuol dire quindi compiere il bene, mentre impedire la realizzazione altrui porta anche ad una nostra morte interiore.

Se il bene consiste nel preservare la vita dalla morte, anche la conoscenza e il confronto con la morte sono essenziali per conoscere e operare il bene.

Identificando il bene con la conoscenza della morte, nasce una nuova cognizione anche del concetto di male: esso, essendo il contrario del bene, sarà l’ignoranza della morte, che può condurre paradossalmente alla sua enfatizzazione.

È in particolare quest’ultima riflessione ad averci ricordato la visione lucreziana quale emerge dalle descrizione della della peste di Atene: qualsiasi morale si sgretola, insieme ad ogni legame sociale, dinanzi ad una situazione tragica, e dunque il tentativo disperato di allontanare la morte finisce per identificarsi con la morte stessa. In generale il timore, più o meno consapevole, di un’imminente cessazione della vita può portare alla nascita di un’oscura ossessione nei confronti della morte, rendendola perciò sempre più vicina.

Nella seconda parte l’autore, ripercorrendo le tappe filosofiche del pensiero moderno, descrive l’impatto sotterraneo che alcuni filosofi hanno avuto sull’analisi e la concezione della società, mettendo in evidenza il loro metodo razionale che allontana però, in modo del tutto irrazionale, la riflessione teleologica dalla società.

Le nostre forme di conoscenza infatti «si sono gradualmente ristrutturate in relazione alla ridefinizione dei loro oggetti teorici» isolandoli sempre di più dal loro contesto. Il processo di astrazione ed isolamento conferisce un maggior potere predittivo, ed è infatti tipico delle scienze moderne. Prendendo ad esempio la fisica, durante lo studio di un fenomeno, generalmente si crea un modello del fenomeno in studio che permette di analizzarlo in modo isolato rispetto alle diverse variabili.

«La costituzione di un oggetto teorico» afferma Bontempelli «dal significato più ristretto e maggiormente separato dagli altri […] rappresenta un progresso nel possesso razionale del mondo» e costituisce «un momento di razionalizzazione delle cose». Il restringimento e l’isolamento sono le fonti costitutive del processo di astrazione e in accordo con quanto affermato da Benedetto Croce «per distinguere occorre astrarre» e «ragionare è distinguere».

Questo accrescimento della comprensione razionale avviene quindi per mezzo di un processo di irrealizzazione della realtà, scindendo «la totalità in elementi teorici separati». L’elemento scisso e irreale si afferma certo come essenziale nello studio anche secondo una prospettiva hegeliana, nella quale però appare anche necessario ricollegare l’oggetto teorico alla complessità «mediante la congiunzione dialettica dei concetti separati».

Bontempelli fa propria questa prospettiva e arriva alla conclusione che la mancanza di un ricongiungimento dialettico comporta che oggi si raggiunga al contempo il massimo livello di razionalità, attraverso l’astrazione, e il massimo livello di irrazionalità.

In particolare nell’economia Bontempelli evidenzia con facilità la coesistenza di razionale e irrazionale: «Dove tutto è merce, tutto è quantificabile e […] tutto diventa calcolabile, prevedibile […]: la razionalità trionfa. Ma il movimento globale, frutto di innumerevoli astrazioni, diventa incontrollabile, e valori, visuali e sentimenti perdono qualsiasi visibilità: l’irrazionalità trionfa».

Bontempelli quindi non considera la razionalità irrazionale come una contraddizione in termini: si tratta invece di un «modello di razionalità» avente caratterizzazioni proprie della ragione «ma che non ha scopi, e che può avere tutte quelle caratterizzazioni in un orizzonte di irrazionalità». Il modello di una razionalità priva di scopi annienta però la possibilità di distinguere il bene dal male.

Alla luce della lettura del libro sono nate tra noi osservazioni di vario genere, e punti di vista anche molto diversi.

La razionalizzazione sempre più totalizzante ci ha condotto e ci sta tuttora guidando verso una progressiva perdita della capacità di considerare le finalità generali delle nostre azioni.

Ciò crea una società molto individualista e pragmatica la quale, riconducendo tutto a una ragione unicamente tecnica, distrugge la capacità umana di cogliere le intenzioni e gli obiettivi dietro le varie azioni senza necessariamente circoscriverle e ricondurle all’efficienza.

Se però alcuni di noi concordano con l’autore nel pensare che l’etica non sia intellegibile alla mentalità odierna, altri ritengono invece che la comprensione dell’etica non sia totalmente oscurata, ma che richieda semplicemente un maggiore sforzo di riflessione.

Anche l’identificazione della morte con il male non è stata da tutti condivisa. Abbracciando l’ideale epicureo la morte, proprio in quanto cessazione della vita, ci appare come una condizione che non possiamo sperimentare. L’associazione del male alla morte sarebbe quindi dovuta al dolore che si prova precedentemente alla morte e che provano, successivamente, coloro che restano. Non sarebbe dunque la morte in sé stessa il male, ma piuttosto la sofferenza e il dolore.


Una nota di Lucio Bontempelli

Nella viva relazione

con gli studenti,

si produce

nuova conoscenza

Una delle tesi fondamentali di questo libro è che ci sia un nesso profondo tra il tipo di conoscenza tecnologica e scientifica che la nostra civiltà ha saputo sviluppare, e la perdita di riferimenti etici che ci ha precipitato in una crisi dagli esiti ad oggi del tutto imprevedibili.

Abbiamo concentrato la nostra razionalità su realtà isolate dal loro contesto perché così, astraendole in modo artificiale dal più ampio equilibrio di cui fanno parte, acquistiamo su di loro un potere illimitato di manipolazione; tranne però scoprire che limiti ci sono e sono al di fuori del nostro controllo, perché è il senso complessivo della realtà e della nostra stessa esistenza ad esserci diventato incomprensibile.

Occorre allora ricomporre un sapere unitario, che vada al di là degli ambiti specialistici, che tocchi le finalità delle nostre azioni e la direzione complessiva della nostra civiltà.

Si collegano a questa esigenza tre idee cardine di questo libro: due esplicite ed evidenti; una terza più nascosta ma, a mio avviso, non meno importante.

La prima tesi è che occorra mettere in discussione l’idea, ormai fortemente connaturata all’orizzonte attuale di pensiero, che una valutazione del significato etico delle nostre azioni sia troppo intrecciata ad aspetti di percezione soggettiva per essere oggetto di un pensiero compiutamente razionale.

All’opposto, una ricomposizione unitaria del sapere è possibile solo assumendo un diverso punto di vista sulla conoscenza del bene e del male – di qui il titolo dell’opera – attraverso il difficile tracciato di una nuova metafisica tutto ancora da percorrere, e sul quale si tenta di muovere alcuni passi preliminari.

La seconda tesi è che sia necessario comprendere il percorso storico che ha portato a concentrare sempre di più la razionalità su ambiti specialistici, potenziando il controllo tecnico sulla realtà, ma facendo diventare incomprensibili i nessi che legano ciascuna parte al tutto di cui è parte.

E vengo alla terza tesi, non esplicita, ma per me in qualche modo ugualmente evidente.

Il libro si rivolge, fin dalla sua introduzione, agli studenti liceali e ai loro insegnanti.

Non si tratta di un caso, né di un’attenzione alla didattica a latere degli scopi principali dell’opera.

L’autore, che ha dedicato tutta la sua vita all’insegnamento, credeva infatti che nella scuola – e in particolare proprio nella scuola secondaria – si mantenesse quella connotazione unitaria del sapere che era necessaria in questo cammino etico e metafisico. Credeva che proprio nel dialogo con gli studenti si potesse misurare quanto una conoscenza riesce a parlare al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. Vedeva la didattica non come un’altra scienza specialistica, che si applica alle relazioni a scuola come una tecnica si applica al suo oggetto; piuttosto riteneva che nella relazione viva con gli studenti, in un’autenticità al di fuori da obiettivi misurabili e procedure standardizzate, si producesse nuova conoscenza.

Abbiamo allora provato a mettere alla prova questa tesi con un manipolo di studenti che hanno letto il libro e l’hanno discusso con i loro insegnanti, restituendo alla fine le loro impressioni in un tema finale. La descrizione di questo percorso la trovate nelle pagine precedenti.

Lucio Bontempelli




M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Massimo Bontempelli – «Eraclito e noi». Prefazione di Federica Piangerelli

Forse ciò che dapprima più affascina di Eraclito, è l’accorgersi che i frammenti che di lui ci rimangono sono come frammenti di uno specchio nel quale si trovi culturalmente riflessa la spiritualità di un’epoca intera. Omero ed Esiodo, Talete e Pitagora, sapienti delle acropoli e affaristi indipendenti, aristocratici e tiranni del mondo greco anteriore alle guerre persiane, traspaiono volta a volta nei vari frammenti come referenti dei loro ragionamenti e come termini di paragone delle loro sentenze. Ci si accorge, allora, che comporre i frammenti eraclitei in modo da enuclearvi una filosofia diventa, ad un tempo, un ricomporre i significati culturali di tutta la precedente tradizione spirituale, ed un essere costretti a ripensare tale tradizione alla luce delle nuove prospettive, delle nuove chiavi di lettura, delle nuove valutazioni e delle insospettate connessioni disegnate dalla potenza del pensiero di Eraclito. La suggestione, poi, può diventare ancora più profonda ed intensa qualora ci si interroghi se i frammenti della sapienza di Eraclito che noi possediamo siano frammenti di uno specchio in cui si rifletta soltanto una civiltà lontana, o non anche, invece, una problematica umana che riguardi profondamente anche noi. E se la decifrazione degli enigmi sapienziali contenuti in tali frammenti potesse indirettamente aiutarci a meglio riconoscere il volto dell’uomo moderno? Da questo pensiero mi è nata l’idea di un esperimento mentale: provare a leggere alcuni momenti essenziali della cultura non solo antica ma anche moderna, da Hegel a Nietzsche (entrambi, del resto, amarono Eraclito) all’individualismo ed allo psicologismo contemporanei, attraverso il prisma interpretativo di alcune frasi di Eraclito La loro traduzione si discosta talvolta da quella usuale sulla base di ragioni che sono spiegate in modo circostanziato. La trama del discorso è quella di un libero ripensamento filosofico.




M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Massimo Bontempelli e Costanzo Preve, due filosofi per una nuova Koinè




ISBN 978-88-7588-467-3 , 2025, pp. 256, Euro 25 .
In copertina: Gustav Klimt, Blumengarten
(Giardino fiorito), olio su tela, 1907.





M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Per ridare luce alle sue riflessioni in un periodo di buio inquietante illuminato solo da lampi di guerra, Salvatore Bravo ci parla di Massimo Bontempelli, filosofo e storico.

Salvatore Bravo

Massimo Bontempelli filosofo e storico

 

Il 31 luglio 2011 a Pisa Massimo Bontempelli filosofo, storico e docente veniva a mancare improvvisamente. Nel tempo del pensiero unico e del “capitalismo totale” Massimo Bontempelli osò divergere dalla “mediocrità imperante”. Tutta la sua opera è segnata dalla faticosa ricostruzione dell’universale. Il senso della filosofa è la verità con cui valutare la totalità del sistema socio-economico. La filosofia è nella storia, ma non si disperde in essa, poiché risponde ai problemi e ai drammi etici del proprio tempo. Le domande, i dubbi e le valutazioni onto-assiologiche devono portare a risposte fondate a livello teoretico. La filosofia non è l’anima bella che fugge dalla storia, ma la vive in ogni dimensione rischiando l’errore nell’elaborare soluzioni. Con il dialogo le risposte sono vagliate e gli errori in tal modo non divengono “violenza” e non si trasformano in “tragedia”. Massimo Bontempelli da hegelo-marxiano fu tutto questo. L’impegno politico si coniugò con la ricerca teoretica per trasformarsi in prassi. Fu educatore nei licei; in un’intervista nel 2012 Costanzo Preve nel ricordarlo affermò che egli fu un «professore di liceo felice» e che si occupò «sistematicamente di scuola»[1]. C. Preve ne riconobbe la profondità filosofica ostracizzata dal sistema.

La scuola in quanto istituzione etica fu sicuramente “il luogo di senso” in cui concentrò la sua azione sociale e politica. Ricordarlo come educatore significa rammentare il suo impegno per ricostruire nel tempo del capitalismo la “memoria etica” senza la quale la prassi è impossibile. La memoria etica è la storia degli uomini che hanno vissuto la storia, si sono confrontati con le sue contraddizioni e ne hanno colto le potenzialità per rendere il “progetto politico comunitario reale e razionale”.

Le condizioni storiche sono la miccia, ma senza gli uomini capaci di comprenderle e di usarle tatticamente nei tempi opportuni nulla è possibile. L’umanesimo di Massimo Bontempelli si rivela nella organica ricostruzione degli eventi storici nei quali le circostanze storiche diventano concetti per la prassi mediante il “pensiero agente” degli uomini. L’educazione storica è l’architrave fondamentale, in quanto la storia è il tempo degli uomini e delle donne nel quale l’umanità si rivela nella sua natura e nella sua progettualità politica. Da neoidealista di sinistra, mentre imperava lo specialismo, riaffermò la visione e la pratica olistica della cultura che forma alla ragione dialogante. Storia e filosofia non possono essere scisse, con tale pratica si degradono a meri strumenti senza profondità e senza visione della totalità sociale.

Insegnare storia significa ritrovarsi e trarre dall’esperienza di coloro che ci hanno preceduto la forza plastica per riprendere il cammino. La storia è materia viva da trasmettere, è il punto di mediazione e di contatto tra le generazioni e le dimensioni temporali del tempo.

 

Cultura della cancellazione e Rivoluzione russa

La storia è oggetto dei processi di cancellazione: il capitalismo totale deve espellerla dall’orizzonte comunitario per ipostatizzarsi. Alla guerra ideologica del capitalismo contro la storia Massimo Bontempelli “agì” facendo di essa uno dei capisaldi della sua riflessione. La sua produzione intellettuale annovera anche manuali di storia con i quali denunciò il graduale svuotamento dei contenuti e della ricostruzione degli eventi sostituiti dall’esemplificazione ideologica. Si disimpara così a pensare e, di conseguenza, il capitalismo totale può continuare la sua bruciante corsa nichilistica. La narrazione storica in Massimo Bontempelli è complessità che si delinea all’interno di innumerevoli variabili, le quali sono da contemplare-pensare per decodificare gli avvenimenti.

La rivoluzione russa del 1917, ne è un esempio, essa è trattata inanellando e coordinando tra di loro una serie di circostanze che prendono forma mediante i protagonisti della stessa. La rivoluzione non è mai necessaria, ma è umanesimo nella storia. Lenin potè innescare il processo rivoluzionario, in quanto comprese che gli eventi storici si disponevano ad uno scontro fatale dal quale poteva scaturire la rivoluzione. Pensò gli eventi che si presentavano a lui e al partito bolscevico per padroneggiarli e orientarli verso la rivoluzione:

 

«Nel settembre 1917, nella provoncia di Tambov si verificarono numerosi episodi di saccheggi e incendi di tenute nobiliari ad opera di torme di contadini che ne avevano occupato le terre, con ferimenti e omicidi di proprietari ed amministratori. […] Ma la contingenza decisiva è il ritorno nelle campagne di numerosissimi soldati congedati, o disertori, o appartenenti a reparti discioltosi, che portano l’abitudine alla violenza omicida acquisita in guerra nelle loro famiglie, indirizzandole a prendersi di forza le risorse di cui hanno bisogno. L’eccezionale genialità dispiegata da Lenin nel 1917 si rivela soprattutto nel settembre di quell’anno, quando egli solo comprende rapidamente che sta montando in Russia una gigantesca sollevazione contadina, e che le prospettive sociali e politiche del paese risultano radicalmente mutate: o le masse rurali in rivolta vedono le loro esigenze soddisfatte e incanalate in una nuova legalità da una rivoluzione proletaria, oppure creeranno un caos sociale contro il quale si leverà una dittatura repressiva. Kerenskij si sta già preparando al ruolo di repressore»[2].

 

Lenin soltanto comprese che la rabbia, la fame, l’inflazione e le stragi della Grande Guerra rimaste inascoltate dal governo Kerensky erano possibilità storiche irripetibili e che avrebbero condotto ad una radicalizzazione favorevole alla rivoluzione. Alla repressione e al disincanto del governo borghese bisognava dare, dunque, una forma progettuale rivoluzionaria e una speranza all’alteza dei tempi. La storia muta velocemente, pertanto nelle situazioni di crisi bisogna disporsi ad adattare i mezzi per raggiungere lo scopo:

 

«Lenin ritiene che la situazione russa si sia drammaticamente semplificata fino ad una alternativa secca: o dittatura borghese o dittatura proletaria. Con la rivolta contadina, con il rifiuto dei menscevichi e socialrivoluzionari di lottare per soddisfarne le esigenze, e con la scelta esplicitamente repressiva di Kerenskij, la prospettiva di uno sviluppo pacifico della rivoluzione, da lui ardentemente sostenuta qualche settimana prima, si è a suo avviso chiusa: un’opposizione puramente legalitaria dei bolscevichi non sarebbe ormai, in assenza di un governo democratico fondato sui soviet, e in presenza di una rivolta contadina, che una copertura della dittatura borghese»[3].

 

Il linguaggio che utilizza Massimo Bontempelli non lascia spazio a dubbi. La cultura del pensiero si trasmette con un linguaggio fruibile a un pubblico vasto pur conservando la qualità della ricostruzione genealogica della storia. Qualità e quantità si armonizzano nello stile vivace finalizzato a far entrare il lettore nel turbinio storico. Riprendiamo la dinamica rivoluzionaria. Lenin ha compreso che la rivoluzione è nella storia, ma necessita di essere resa atto reale e razionale. Al comitato del partito bolscevico Lenin dimostra che la “grande occasione” è dinanzi a loro. Il popolo non è ancora pronto per l’isurrezione che sarà condotta da un manipolo di esperti. La precisione con cui Massimo Bontempelli descrive i momenti nodali si fa tagliente: indica il giorno esatto alla fine del testo, in modo che il lettore viva il magma della rivoluzione che prende forma nel tempo e mentre legge e può immergersi in esso:

 

«La fatica maggiore che Lenin deve compiere è infatti paradossalmente quella di convincere il comitato centrale del partitio bolscevico ad intraprenndere l’insurrezione. L’insurrezione, poi, affidata a un comitato militare rivoluzionario istituito dai soviet di Pietroburgo sotto la guida di Trotzskij, si compie facilmente in un solo giorno con la fuga di Kerenskij e la vittoria degli insorti. Il giorno è il 7 novembre 1917»[4].

 

Il Comitato generale dei soviet nel 1918 entra direttamento in contraddizione con l’Assemblea costituente. Il comitato generale dei soviet approva i decreti per rendere la Russia uno Stato comunista, ma l’Assemblea costituente rifiuta di convalidare i decreti. I due poteri si confontano ed entrano in conflitto. La rivoluzione accelera, ma rischia di arenarsi dinanzi all’Assemblea costituente. Le elezioni dell’Assemblea costituente si tennero la domenica del 25 novembre 1917 col sistema proporzionale, la maggioranza relativa era dei socialrivoluzionari. Ancora una volta solo una iniziativa veloce ed efficace consente a Lenin di superare lo scoglio della Costituente. L’Assemblea eletta a suffragio universale respinse la limitazione dei suoi poteri, per cui il conflitto si risolse con la chiusura dell’Assemblea e con l’instaurarsi nei fatti della dittatura comunista leninista:

 

«Così l’Assemblea costituente è stata privata, prima ancora di aver cominciato le sedute, di gran parte degli effettivi poteri costituenti, in quanto la configurazione essenziale dei rapporti economici e sociali è stata disegnata dai decreti governativi seguiti alla rivoluzione d’Ottobre, e punti fondamentali del’assetto dello Stato sono stati predisposti dall’accordo tra socialrivoluzionari e bolscevichi. Nella sua prima riunione, tenutasi venerdì 18 gennaio 1918 il palazzo di Tauride a Pietroburgo, l’Assemblea costituente respinge ogni limitazione ai suoi poteri»[5].

 

Nella storia

Il 19 gennaio 1918, un sabato, il capo delle guardie rosse Anatolij Zeleznjakov[6] chiuse l’Assemblea costituente. Massimo Bontempelli riporta il giorno della settimana e i nomi degli uomini che furono protagonisti. La storia per renderla concreta e poterla pensare ha bisogno di dettagli che favoriscono la sua visione nel pensiero. Logica, documenti e analisi del contesto devono ritrovarsi nella rappresentazione della medesima. Filologia e filosofia sono sempre in relazione proficua.

Lo scioglimento dell’Assemblea non suscitò grandi reazioni, poiché i decreti per la ridistribuzione delle terre e la statalizzazione dei mezzi di produzione erano stati emanati dal Comitato centrale del partito bolscevico e incontrarono l’approvazione di contadini poveri e degli operai. Ora incombeva il pericolo tedesco. Anche in questo caso Lenin comprese che non c’era alternativa alla “pace oscena” come lui l’aveva denominata. Per salvare la rivoluzione bisognava accettare la pace tedesca. I bolscevichi erano ostili alla “pace oscena”, ancora una volta il suo genio solitario vide prima dei suoi compagni che non c’era alternativa. I tedeschi ripresero l’offensiva che avrebbe potuto far crollare la rivoluzione, e dunque ci si convinse che la scelta di Lenin era l’unica praticabile:

 

“La Germania , però, rifiutando la richiesta bolscevica di una pace generale senza annessioni, pretende proprio ciò che i bolscevichi avevano escluso, vale a dire una pace separata e annessionistica fino alla rapina. Lenin ritiene tuttavia tragicamente necessario accettare la pace voluta dai tedeschi, essendo impensabile la continuazione della guerra con un esercito in disfacimento, con soldati che non vogliono più assolutamente combatterla, con la produzione delle armi ridotta, con una drammatica penuria di viveri che non consentirebbe l’approviggionamento alimentare di milioni di armati, e dopo aver vinto la rivoluzione agitando la parola d’ordine pace ad ogni costo. Il comintato centrale bolscevico respinge ripetutamente la proposta di Lenin di sottoscrivere quella che lui stesso definisce “la pace oscena”, e la accetta soltanto quando i tedeschi, ripresa l’offesnsiva militare, travolgono facilmente ogni tentativo di resistenza, devastano territori, e minacciano la capitale. La pace stipulata a Brest Litovsk tra la Russia e gli imperi centrali domenica 3 marzo 1918 impone alla Russia la rinuncia della Polonia, della Lituania, della Volinia, della Podolia, della Lettonia, dell’Estonia e dell’Ucraina»[7].

 

Ancora una volta per dare rilevanza e materialità all’evento Massimo Bontempelli indica il giorno della settimana in cui cade l’evento che salva la rivoluzione, i cui costi sono evidenti. Tra il 6 e il 9 marzo al settimo congresso del partito bolscevico si approvò il trattato di pace e il partito bolscevico divenne “partito comunista”. Si deliberò il passaggio della capitale da Pietroburgo a Mosca, in quanto Pietroburgo era troppo vicina all’area del conflitto e si decise l’istituzione di squadre annonarie con il compito di prelevare le risorse alimentari da ridistribuire nelle città. La rivoluzione non poteva che sopravvivere che con la svolta autoritaria, poiché era sotto assedio.

 

Psicologia e storia

Massimo Bontempelli procede con il profilo psicologico di Lenin, in modo da comunicare al lettore che la storia vive non solo nelle relazioni strutturali ma anche nella biografia dei suoi attori.

La famiglia reale è sterminata il 17 luglio 1918. Nicola II con la zarina Alessandra e i cinque figli concludono la loro esistenza fucilati, mentre le truppe bianche erano in procinto di liberare la città in cui sono prigionieri. Il comitato centrale decise per la strage in modo da impedire che diventassero una forza catalizzatrice della reazione. Dietro tale decisione non ci sono solo ragioni di carattere storico e di opportunità politica. Il fratello di Lenin fu impiccato nel 1887 per aver partecipato all’attentato contro lo zar Alessandro III. La famiglia Lenin subì la marginalizzazione del governo zarista. La cicatrice non era mai stata superata da parte di Lenin che colse l’occasione per vendicarsi.

Egli ormai era parte di un contesto di violenza, sempre più si identificava con il Partito, unica ancora di salvezza, in una realtà instabile e aggressiva. La dittatura si configurava in un clima feroce. Le potenza capitalistiche attaccarono la Russia da ogni parte. Il 26 maggio 1918 con l’occupazione della città di Celiabinsk negli Urali iniziò la guerra civile. Tutto era violenza e la rivoluzione non poteva che usare la stessa per difendersi e sopravvivere:

 

«Si è anche scoperto che l’eccidio di Ekaterininburg, è stato invece deciso dal comitato centrale del partito, da tempo impegnato a discuterne l’opportunità o meno, e dotato di una linea diretta di comunicazione con i dirigenti degli Urali. Lenin ha voluto l’eccidio non soltanto per eliminare il polo di influenza controrivoluzionaria rappresentato dalla famiglia reale, ma anche per vendicarsi dell’uomo che gli aveva sconvolto l’adolescenza facendo impiccare il suo venerato fratello maggiore, e, in lui, anche tutto l’ambiente monarchico che aveva emarginato la sua famiglia dopo l’esecuzione di suo fratello, costringendolo ad abbandonare la sua città natale. La violenza da cui Lenin si lascia prendere nasce in un contesto storico di feroci scontri sociali, di totale instabilità dei rapporti di potere, e di gravissime minacce armate alla rivoluzione. In questo contesto egli non ha alcun altro punto d’appoggio, per fronteggiare difficoltà inaudite e respingere attacchi tremendi, che il partito comunista, e ciò lo induce ad identificare la salvezza della rivoluzione con la conservazione del potere da parte del partito comunista»[8].

 

Per leggere la storia è necessario lo spirito di finesse; il lettore degli eventi storici deve entrare nella psicologia degli attori storici. Si impara così a decentrarsi e ad entrare in una cornice storica altra e nel contempo ci si conosce. Massimo Bontempelli accompagna sempre le sue analisi degli eventi storici con l’esame delle motivazioni psicologiche delle azioni nei contesti storici. Nel testo sulla resistenza italiana si sofferma sulle motivazioni che condussero Mussolini ad accettare la dipendenza da Hitler dopo la sua liberazione:

 

«Ma perché, allora, Mussolini sceglie di rientrare nella grande politica al servizio di Hitler come suscitatore di guerra civile, quando non soltanto è un uomo stanco e avvilito che sente un gran bisogno di tranquillità, ma viene subito messo al corrente del terribile prezzo personale che dovrà pagare per tale scelta, quello cioè di farsi assassino di suo genero? La risposta giusta l’ha data Giorgio Bocca nel suo bel libro La Repubblica di Mussolini e cioè che Mussolini ha una necessità interiore di recitare una parte nella grande politica, di vivere da politico nella politica, per sopravvivenza identitaria, essendo, come uomo normale, troppo inconsistente e vuoto»[9].

 

La storia invoca i “nostri perché” senza i quali siamo solo delle comparse sul palcoscenico della storia. Il potere, spesso, ha la sua ragion d’essere in circostanze storiche nelle quali personalità “di superficie” trovano le condizioni per esprimere massimamente il vuoto. La loro tragedia personale diventa la sofferenza di interi popoli condotti al macello da menti irrazionali. Riconoscere il pericolo di tali personalità è fondamentale; la studio della storia è un valido ausilio per i popoli, i quali imparano a difendersi con analogie critiche ed analisi.

 

Perché studiare la storia?

Studiare la storia è uno dei modi per umanizzarsi. Conoscere la storia favorisce la consapevolezza individuale e collettiva di ciò che è stato e ciò non può che chiarire il percorso da intraprendere verso una società a misura d’uomo. Massimo Bontempelli così definisce il senso dello studio della storia rimosso dal capitalismo totale:

 

«Perché viviamo in una società che, interamente dominata e incessantemente riplasmata dagli automatismi di mercato e della tecnica, non ha più alcun baricentro che la preservi da mutamenti umanamente devastanti. Perché, quindi, l’educazione di cui la società ha oggettivo bisogno è un’educazione all’autonomia di pensiero e al valore della personalità spirituale dell’uomo. Perché l’asse culturale più congruo a questa finalità educativa è rappresentato dalla conoscenza storica, in quanto si tratta di una conoscenza particolarmente in grado di far emergere possibilità antropologiche cancellate dall’attuale sviluppo sociale, ma custodite nella memoria del passato»[10].

 

Nell’introduzione a Il respiro del Novecento Massimo Bontempelli ribadisce tre criteri per pensare e produrre la storia: la narratività, l’organicità e l’espressione sociale. La narratività è il racconto degli eventi storici “presentandoli con il colore della concretezza vissuta”. Si evita, così, l’effetto estraniante. L’organicità si occupa della ricostruzione degli eventi secondo una “concatenazione significativa”, mentre l’espressività sociale riporta il singolo episodio al contesto di cui è espressione, esso è “una tappa” di un processo dinamico.

 

Rileggere Massimo Bontempelli è il modo migliore per far rivivere un filosofo e uno storico di spessore indigesto al tempo della mediocrità che prepara la barbarie. Quest’ultima non è inevitabile, possiamo trarre energia etica dall’impegno di coloro che non sono passati invano. Gli esseri umani sono intessuti di storia, sono storia vivente, essi possono pensare la storia,e questa è la libertà che la storia ci insegna faticosamente a riconquistare e a cui, se rinunciamo, non siamo dissimili dagli enti che subiscono l’azione meccanica del caso. Massimo Bontempelli ci invita a ripensare il nostro rapporto con la storia e non possiamo che disporci ad ascoltare la sua passione politica e filosofica che continua a dialogare con noi nei suoi testi. Il capitalismo totale è una visione del mondo, non è solo pratica economica e crematistica. Ad esso è necessario opporre un modello culturale radicale e altro che possa palesare “la miseria etica del capitalismo”. Il neoidealismo di Massimo Bontempelli si presta a tale operazione di verità e da ciò deduciamo le ragioni dell’ostracismo che grava sul suo pensiero. A noi il compito di ridare luce alle sue riflessioni in un periodo di buio inquietante illuminato solo da lampi di guerra.

[1] https://youtu.be/4iJiXBuLzig

[2] Massimo Bontempelli, Il respiro del Novecento, Percorso di storia del XX secolo, Volume I (1914-1945), C.R.T. 2002 Pistoia, pp. 118-119.

[3] Ibidem, p. 119.

[4] Ibidem, p. 121.

[5] Ibidem, p. 129.

[6] Ibidem, p. 130

[7] Ibidem, pp. 130 131.

[8] Ibidem, pp. 131 132.

[9] Massimo Bontempelli, La Resistenza italiana Dall’8 settembre al 25 aprile Storia della guerra di liberazione, CUEC Cagliari 2009, p. 39.

[10] Massimo Bontempelli, Il respiro del Novecento, Percorso di storia del XX secolo, Volume I (1914-1945), C.R.T. 2002 Pistoia p. 5.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Massimo Bontempelli – «Tempo e memoria. La filosofia del tempo tra memoria del passato, identità del presente e progetto del futuro». Per ricordare Massimo Bontempelli e la sua passione durevole per la filosofia.




Luca Grecchi, Ricordo filosofico di Massimo BontempelliScarica


Libri di Massimo Bontempelli


Storia:

  • Il senso della storia antica. Itinerari e ipotesi di studio. (2 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1978.
  • Antiche strutture sociali mediterranee. (2 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1979.
  • Storia e coscienza storica (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1983.
  • Storia (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1984. [Per il triennio]
  • Civiltà e strutture sociali dall’antichità al medioevo (2 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1984.
  • Antiche civiltà e loro documenti (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1993.
  • Civiltà storiche e loro documenti (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1994
  • Storia e coscienza storica. (nuova edizione, 3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1998. [Per il triennio]

Filosofia:

  • Il senso dell’essere nelle culture occidentali (3 voll.), con Fabio Bentivoglio, Milano, Trevisini, 1992.
  • Il tempo della filosofia (3 voll.), con Fabio Bentivoglio, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici PRESS, 2011. [riedito nel 2016 in versione aggiornata dalle edizioni Accademia Vivarium Novum]

Saggi e monografie:

  • Eraclito e noi, Milazzo, Spes, 1989.
  • Percorsi di verità della dialettica antica, con Fabio Bentivoglio, Milazzo, Spes, 1996.
  • Nichilismo, verità, storia, con Costanzo Preve, Pistoia, CRT, 1997.
  • Gesù. Uomo nella storia, Dio nel pensiero, con Costanzo Preve, Pistoia, CRT, 1997.
  • La conoscenza del bene e del male, Pistoia, CRT, 1998.
  • La disgregazione futura del capitalismo mondializzato, Pistoia, CRT, 1998.
  • Tempo e memoria, Pistoia, CRT, 1999.
  • Filosofia e realtà. Saggio sul concetto di realtà in Hegel e sul nichilismo contemporaneo, con prefazione di Costanzo Preve, Pistoia, CRT, 2000. [ristampato nel 2020 dalla casa editrice Petite Plaisance]
  • L’agonia della scuola italiana, Pistoia, CRT, 2000.
  • Per conoscere Hegel. Un sentiero attraverso la foresta del pensiero hegeliano, Pistoia, CRT, 2000.
  • Eraclito e noi. La modernità attraverso il prisma interpretativo eracliteo, CRT, 2000.
  • Diciamoci la verità, “Koiné” n.6, Pistoia, CRT, 2000.
  • Le sinistre nel capitalismo globalizzato, Pistoia, CRT, 2001.
  • Un nuovo asse culturale per la scuola italiana, CRT, Pistoia 2001.
  • L’arbitrarismo della circolazione autoveicolare, Pistoia, CRT, 2001.
  • Il sintomo e la malattia. Una riflessione sull’ambiente di Bin Laden e su quello di Bush, con Carmine Fiorillo, Pistoia, CRT, 2001 [ristampato nel 2017 dalla casa editrice Petite Plaisance]
  • Diciamoci la verità, CRT, Pistoia 2001.
  • Il respiro del Novecento. Percorso di storia del XX secolo. 1914-1945, Pistoia, CRT, 2002.
  • Il mistero della sinistra, con Marino Badiale, Genova, Graphos, 2005.
  • La Resistenza Italiana. Dall’8 settembre al 25 aprile. Storia della guerra di liberazione, Cagliari, CUEC, 2006.
  • La sinistra rivelata, con Marino Badiale, Bolsena, Massari, 2007.
  • Il Sessantotto. Un anno ancora da scoprire, Cagliari, CUEC, 2008. [ristampato nel 2018]
  • Civiltà occidentale, con Marino Badiale, prefazione di Franco Cardini, Genova, Il Canneto, 2010.
  • Marx e la decrescita, con Marino Badiale, Trieste, Abiblio, 2011.
  • Platone e i preplatonici. Morale e paideia in Grecia, con Fabio Bentivoglio, introduzione di Antonio Gargano, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici PRESS, 2011.
  • Un pensiero presente. 1999-2010: scritti di Massimo Bontempelli su Indipendenza, Roma, Indipendenza – Editore Francesco Labonia, 2014.
  • Capitalismo globalizzato e scuola, con Fabio Bentivoglio, Roma, Indipendenza – Editore Francesco Labonia, 2014.
  • La sfida politica della decrescita, con Marino Badiale, prefazione di Serge Latouche, Roma, Aracne, 2014.
  • Gesù di Nazareth, con prefazione di Marco Vannini, Pistoia, Petite Plaisance, 2017.

Saggi in opere collettanee:

  • Il respiro del Novecento, “Koiné” n. 6, Pistoia, CRT, 1999
  • Metamorfosi della scuola italiana, “Koiné” n. 4, Pistoia, CRT, 2000
  • (Visioni di scuola. Buoni e cattivi maestri, “Koiné” n. 5, Pistoia, CRT, 2000
  • Scienza, cultura, filosofia, “Koiné” n. 8, con Lucio Russo e Marino Badiale, Pistoia, CRT, 2002.
  • I cattivi maestri, in I Forchettoni Rossi, a cura di Roberto Massari, Bolsena, Massari, 2007.
  • Diciamoci la verità, “Koiné” n. 6, Pistoia, CRT, 2000.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Salvatore Bravo – Per ricordare Massimo Bontempelli attraverso alcune parole-concetto che hanno segnato la sua elaborazione filosofica.

Bontempelli Massimo 2021

Salvatore Bravo

Per ricordare Massimo Bontempelli
attraverso alcune parole-concetto che hanno segnato
la sua elaborazione filosofica

 

 

Impegno ed esilio interiore
Il 31 luglio del 2011 veniva a mancare Massimo Bontempelli[1] nella sua città d’origine: Pisa. Non è un dettaglio secondario. Massimo Bontempelli ha vissuto la sua esistenza nella sua comunità, l’ha servita da docente e da filosofo. Il filosofo è funzionario dell’umanità, ma lo può essere solo nella concretezza dell’universale, ovvero radicandosi nella comunità nella quale si è deciso di vivere per partecipare all’universale. In Bontempelli hanno convissuto due realtà parallele: l’impegno e l’esilio. La sua filosofia ha guardato la notte del nichilismo, l’ha ricostruita all’interno della storia della filosofia ed ha elaborato un percorso d’uscita. Il suo esilio interiore ed intellettuale è stato segnato dall’aver deviato dalla filosofia accademica e di sistema: filosofia nichilistica e di sostegno al capitale; ha pagato la sua scelta con la marginalità che ha trasformato in un mezzo per capire il presente. La sofferenza può diventare concetto, ma lascia sul suo fondo asprezze che faticosamente bisogna poi gestire. La vita di un filosofo è attraversata da una pluralità di tonalità emotive, la ricerca filosofica è totalità del logos, non è razionalità astratta, ma l’intera vita che si sublima in logos. Massimo Bontempelli con lo sguardo della civetta filosofica ha attraversato il buio dell’irrazionale e dell’ideologia per donare uno sguardo nuovo al mondo. Era consapevole che la critica al capitalismo rischia di essere vuota parola, se non coinvolge il problema dei fondamenti veritativi. Ogni proposta alternativa deve confrontarsi con il problema dei fondamenti, la critica dev’essere radicale, deve toccare e ripensare il problema nella sua “vastità” metafisica, altrimenti il cambiamento è solo epidermico, ed è esposto a facili regressioni. Per poter pensare il presente è necessario comprendere il passato in cui siamo situati. Siamo parlati dal passato nel presente. La filosofia deve condividere processi di consapevolezza per trascendere la trappola del contingente senza speranza. È stato un filosofo che ha cercato di riattualizzare la metafisica in un clima di avversione ideologica che tuttora persiste. Il suo esilio è stato, si può certo supporre aspro, ma proficuo. Al momento è poco conosciuto, benché abbia numerosi estimatori, e una notevole e qualitativamente valida e varia produzione filosofica. Ma il tempo è un grande scultore, ed eliminerà ciò che abbaglia, ma che non ha profondità, per lasciare emergere il valore dell’essenziale e dei pensatori che hanno saputo camminare sulla linea dell’orizzonte. Si spera, dunque, che il tempo storico possa riconoscere la profondità del suo lavoro, e che tutti possano confrontarsi con i suoi concetti. L’azione del tempo non avviene fatalmente, ma vive del contributo piccolo e grande dei cercatori della verità.

Totalitarismo della quantità
Vorrei ricordarlo attraverso alcune parole concetto che hanno segnato la sua produzione. Le parole per un filosofo non sono flatus vocis, ma concetti vivi di cui bisogna esplorare la profondità. L’opera di Massimo Bontempelli ha ricostruito la genetica del nichilismo nella sua forma crematistica. Il capitalismo è trionfo dell’integralismo della quantità, è linguaggio unico e pervasivo, in cui la quantità è divenuta paradigma unico ed irrazionale. Dietro la maschera razionale della tecnocrazia vi è l’irrazionale, poiché la quantità non dà misura a se stessa, si nutre del suo accrescimento illimitato. Le risorse del pianeta sono limitate, mentre la quantità senza fondamento veritativo spinge verso l’infinita crescita. Massimo Bontempelli ha pensato il problema nella sua radicalità e nella consapevolezza che bisogna rifondare la logica con cui si ricostruiscono le esperienze storiche ed individuali nella loro fatticità complessa. Da studioso della Scienza della logica di Hegel, ha analizzato la logica hegeliana per capire la crisi in cui siamo implicati per una nuova teoretica dei fondamenti[2]:

 

«Quantità, dice Hegel, significa qualità tolta, ovvero indica l’essere reso indifferente alle sue determinazioni. Grandezza significa quantità limitata dal limite qualitativamente indifferente, ripetizione identica di una medesima identità astratta. La matematica è la conoscenza delle relazioni necessarie della grandezza, secondo una necessità puramente tautologica nei suoi gradi più elementari, e secondo la necessità della mediazione sintetica costruita tra diversi elementi di un oggetto quantitativo nei suoi gradi superiori. Essa ha dunque una base obiettiva universale nella logica della quantità, mediante la quale elabora le sue costruzioni. Le scoperte matematiche sono indipendenti dalle contingenze storiche semplicemente perché l’oggetto del lavoro matematico è dato da entità astratte da ogni qualità contingente. La matematica è dunque una scienza. Ma la quantità, nella cui logica essa ha la sua base ontologica, è soltanto una delle sfere logico-ontologiche che il pensiero possiede nella sua interna strutturazione. Essa non può quindi avere in se stessa la misura della propria verità, perché la verità della quantità si compie soltanto nella sua connessione dialettica con tutte le altre sfere della realtà. L’isolamento della sfera logico ontologica della quantità è la ragione per cui la matematica non può fondare se stessa. Negli spazi vuoti delle pure grandezze quantitative tace, scrive Hegel, ogni esigenza che possa ricollegarsi all’individualità vivente: qui sta la mancanza di verità della matematica».

 

La sola quantità non può dare misura al vivente, essa necessita della razionalità filosofica che possa tracciare il confine del limite all’interno dei fini e del bene, in modo che la quantità possa essere riportata “al servizio” della storia e dell’umanità. La sola quantità è l’astratto che fagocita il concreto con le sue risorse e specialmente nei suoi bisogni autentici. Senza il soggetto che astrae dalla contingenza la sua verità, la quantità non può che essere una tirannica presenza che minaccia la vita e la sua qualità. Da tale perverso cammino si può deviare con il soggetto che razionalizza la vita economica e sociale pensandola nella sua realtà. L’essere umano è pensante, per cui la coscienza è condizionata, ma mai determinata dalle condizioni materiali. Il totalitarismo della quantità vorrebbe sottrarre la qualità del pensiero per favorire il solo calcolo immediato. Senza pensiero teoretico e con la sola capacità calcolante l’essere umano è oggetto delle forze fatali e letali del modo di produzione capitalistico. L’umanità pone le condizioni per la trasformazione della natura, determina i modi di produzione, la coscienza si forma nell’interazione della trasformazione della natura, ma può pensare la sua attività poietica, determinandone i fini[3]:

 

«Il lavoro, infatti, trasforma il modo di essere di chi lo esplica, e determina, data la sua natura intrinsecamente cooperativa, i rapporti tra gli uomini. Nasce cosi il modo di produzione, cioè il modo con cui gruppi sociali si sono organizzati in funzione della produzione economica per garantire la riproduzione biologica del gruppo stesso. Essendo per sua natura sociale, il lavoro implica la comunicazione tra gli uomini, quindi il linguaggio, e perciò la coscienza: “il linguaggio, come la coscienza, sorge soltanto dal bisogno, dalla necessità di rapporti con gli altri uomini”. La coscienza, però, perviene a uno sviluppo e a un perfezionamento ulteriore in virtù dell’accresciuta produttività, dell’aumento dei bisogni e dell’aumento della popolazione».

 

Il regno della sola quantità è l’irrazionale che avanza, in essa la realtà è dispersa ed incompresa. La quantità è il feticcio effetto della destrutturazione della verità. L’urgenza è riportare l’essere umano al fondamento veritativo, al logos con cui stabilisce i fini buoni e mette in atto la “buona vita”. Nel regno della quantità non vi è qualità di vita, poiché gli scopi sono stabiliti dal dominio e dalle oligarchie. L’umanità è estraniata da se stessa, in modo che possa essere abilmente usata dall’ideologia dell’impero della sola quantità. Senza la cura per i buoni fini l’edonismo acquisitivo si ribalta in cultura della morte, della soggettività senza vincoli[4]:

 

«L’essenza del bene sta nella cura della capacità di avere scopi, cioè nella protezione dalla morte di quella vita che è più propriamente mortale, in quanto si rappresenta se stessa, e alle altre vite simile ad essa, come destinata alla scomparsa. Soltanto, quindi, attraverso la conoscenza della morte si entra nella conoscenza del bene e del male. Come infatti concepire il bene, che è la protezione degli scopi della vita dalla morte che li sovrasta, senza sapere appunto che la morte sovrasta ogni vita che tesse i suoi scopi? La cura, di cui il bene consiste, ha dunque senso solo di fronte alla morte».

 

Arbitrarismo – intercosalità
L’arbitrarismo è la concretizzazione del nichilismo, se il soggetto non ha vincoli etici, se persegue la sola logica quantitativa ed acquisitiva rompe ogni ormeggio dalla sua umanità per essere preda del delirio acquisitivo. Ogni spazio pubblico, soglia di incontro e di manifestazione del logos, è acquisito all’uso privato. La cancellazione degli spazi pubblici coincide con la sostituzione del logos con il semplice calcolo acquisitivo. La libertà diviene aggressività mercantile legalmente riconosciuta, in cui il male (irrazionale) governa le sorti dell’umanità e del pianeta. L’analisi del traffico veicolare con l‘occupazione dello spazio pubblico offre ai lettori di Bontempelli un saggio della sua capacità di problematizzare, “il noto è sconosciuto” come affermava Hegel, per farne strumento di verità[5]:

 

«Basta ragionare, per capire quale sia questo presupposto: è quella forma di nichilismo che abbiamo chiamato arbitrarismo, qui espressa nella concezione secondo cui è un diritto della persona libera quello di usare a piacere lo spazio pubblico per spostarvisi con un proprio privato abitacolo semovente».

L’irrazionalità dell’arbitrarismo diviene intercosalità, neologismo di Massimo Bontempelli: le relazioni umane senza qualità e fini decadono in semplice transazione, in strumentalizzazione reciproca, ed ogni contatto comunicativo è sostituito dal plusvalore che diviene un’autentica barriera tra le persone, ne determina l’isolamento per debilitare il senso critico e la capacità progettante.

Massimo Bontempelli ha vissuto la filosofia come esperienza veritativa umanizzante. Al totalitarismo crematistico e dello spettacolo ha opposto l’esperienza filosofica quale attività di riflessione sul “bene”, perché senza fini buoni non vi è comunità umanizzante, ma il regno dell’intercosalità nel quale a nessuno è dato vivere secondo la natura comunitaria e razionale dell’umanità.

Derealizzare
Lo scopo ultimo e primo del potere è derealizzare, ovvero scindere la relazione tra razionalità filosofica e realtà, in tal modo il soggetto si derealizza, si astrae dalla realtà storica. Il dominio si perpetua nella derealizzazione nella quale il soggetto è solo parte di un immenso automatismo[6]:

 

«Ma se non si capiscono le zone ormai ontooccultanti dell’esperienza, non si può neanche capire attraverso quali esperienze sia oggi possibile manifestare la realtà, e costruire quindi un cammino di uscita dalla derealizzazione umana del sentiero della notte».

La notte oscura in cui siamo, è la notte della realizzazione, nella quale il soggetto perde se stesso, e si disperde in un’esistenza inautentica. I processi di derealizzazione sono le punte avanzate dei processi di dominio e negazione dell’umanità. La derealizzazione inibisce la prassi per eternizzare l’attuale modo di produzione. La derealizzazione è nell’aziendalizzazione della vita, in cui il soggetto si autopercepisce come un’azienda, si sfrutta in nome di obiettivi stabiliti dalle oligarchie: si derealizza, costruisce una falsa immagine di sé e della storia. Uscire dalla derealizzazione significa ricostruire la complessa genesi in cui il soggetto è ingabbiato con il calcolo, l’arbitrarismo e l’intercosalità. Massimo Bontempelli è il filo d’Arianna che consente di uscire dalla prigione del “politicamente corretto”. Leggere e cercare le opere di Massimo Bontempelli è un gesto di consapevolezza e specialmente è un atto che ha in sé la potenza di pensare la realtà nei suoi tragici fondamenti per poter uscire dal sentiero della sola quantità.

Salvatore Bravo

 

[1] Massimo Bontempelli (Pisa, 26 gennaio1946– Pisa, 31 luglio 2011)

[2] Massimo Bontempelli, Il pregiudizio antimetafisico della scienza contemporanea, Petite Plaisance Pistoia, 2018, p. 15

[3] Massimo Bontempelli, introduzione a Marx (ed Engels), in Associazione Culturale Punto rosso, Libera università popolare, p. 32

[4] Massimo Bontempelli, La conoscenza del bene e del male, edizione C.R.T., Pistoia 1998, p. 26.

[5] Massimo Bontempelli, L’arbitrarismo della circolazione autoveicolare ,C.R.T., Pistoia  2001, p. 7.

6] Massimo Bontempelli, Filosofia e Realtà, Petite Plaisance. Pistoia 2020, p. 225.

 



Libri di Massimo Bontempelli


Storia:

  • Il senso della storia antica. Itinerari e ipotesi di studio. (2 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1978.
  • Antiche strutture sociali mediterranee. (2 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1979.
  • Storia e coscienza storica (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1983.
  • Storia (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1984. [Per il triennio]
  • Civiltà e strutture sociali dall’antichità al medioevo (2 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1984.
  • Antiche civiltà e loro documenti (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1993.
  • Civiltà storiche e loro documenti (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1994
  • Storia e coscienza storica. (nuova edizione, 3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1998. [Per il triennio]

Filosofia:

  • Il senso dell’essere nelle culture occidentali (3 voll.), con Fabio Bentivoglio, Milano, Trevisini, 1992.
  • Il tempo della filosofia (3 voll.), con Fabio Bentivoglio, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici PRESS, 2011. [riedito nel 2016 in versione aggiornata dalle edizioni Accademia Vivarium Novum]

 

Saggi e monografie:

  • Eraclito e noi, Milazzo, Spes, 1989.
  • Percorsi di verità della dialettica antica, con Fabio Bentivoglio, Milazzo, Spes, 1996.
  • Nichilismo, verità, storia, con Costanzo Preve, Pistoia, CRT, 1997.
  • Gesù. Uomo nella storia, Dio nel pensiero, con Costanzo Preve, Pistoia, CRT, 1997.
  • La conoscenza del bene e del male, Pistoia, CRT, 1998.
  • La disgregazione futura del capitalismo mondializzato, Pistoia, CRT, 1998.
  • Tempo e memoria, Pistoia, CRT, 1999.
  • Filosofia e realtà. Saggio sul concetto di realtà in Hegel e sul nichilismo contemporaneo, con prefazione di Costanzo Preve, Pistoia, CRT, 2000. [ristampato nel 2020 dalla casa editrice Petite Plaisance]
  • L’agonia della scuola italiana, Pistoia, CRT, 2000.
  • Per conoscere Hegel. Un sentiero attraverso la foresta del pensiero hegeliano, Pistoia, CRT, 2000.
  • Eraclito e noi. La modernità attraverso il prisma interpretativo eracliteo, CRT, 2000.
  • Diciamoci la verità, “Koiné” n.6, Pistoia, CRT, 2000.
  • Le sinistre nel capitalismo globalizzato, Pistoia, CRT, 2001.
  • Un nuovo asse culturale per la scuola italiana, CRT, Pistoia 2001.
  • L’arbitrarismo della circolazione autoveicolare, Pistoia, CRT, 2001.
  • Il sintomo e la malattia. Una riflessione sull’ambiente di Bin Laden e su quello di Bush, con Carmine Fiorillo, Pistoia, CRT, 2001 [ristampato nel 2017 dalla casa editrice Petite Plaisance]
  • Diciamoci la verità, CRT, Pistoia 2001.
  • Il respiro del Novecento. Percorso di storia del XX secolo. 1914-1945, Pistoia, CRT, 2002.
  • Il mistero della sinistra, con Marino Badiale, Genova, Graphos, 2005.
  • La Resistenza Italiana. Dall’8 settembre al 25 aprile. Storia della guerra di liberazione, Cagliari, CUEC, 2006.
  • La sinistra rivelata, con Marino Badiale, Bolsena, Massari, 2007.
  • Il Sessantotto. Un anno ancora da scoprire, Cagliari, CUEC, 2008. [ristampato nel 2018]
  • Civiltà occidentale, con Marino Badiale, prefazione di Franco Cardini, Genova, Il Canneto, 2010.
  • Marx e la decrescita, con Marino Badiale, Trieste, Abiblio, 2011.
  • Platone e i preplatonici. Morale e paideia in Grecia, con Fabio Bentivoglio, introduzione di Antonio Gargano, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici PRESS, 2011.
  • Un pensiero presente. 1999-2010: scritti di Massimo Bontempelli su Indipendenza, Roma, Indipendenza – Editore Francesco Labonia, 2014.
  • Capitalismo globalizzato e scuola, con Fabio Bentivoglio, Roma, Indipendenza – Editore Francesco Labonia, 2014.
  • La sfida politica della decrescita, con Marino Badiale, prefazione di Serge Latouche, Roma, Aracne, 2014.
  • Gesù di Nazareth, con prefazione di Marco Vannini, Pistoia, Petite Plaisance, 2017.

 

Saggi in opere collettanee:

  • Il respiro del Novecento, “Koiné” n. 6, Pistoia, CRT, 1999
  • Metamorfosi della scuola italiana, “Koiné” n. 4, Pistoia, CRT, 2000
  • (Visioni di scuola. Buoni e cattivi maestri, “Koiné” n. 5, Pistoia, CRT, 2000
  • Scienza, cultura, filosofia, “Koiné” n. 8, con Lucio Russo e Marino Badiale, Pistoia, CRT, 2002.
  • I cattivi maestri, in I Forchettoni Rossi, a cura di Roberto Massari, Bolsena, Massari, 2007.
  • Diciamoci la verità, “Koiné” n. 6, Pistoia, CRT, 2000.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Massimo Bontempelli (1946-2011) – Di lui Salvatore Bravo propone lo studio di «Filosofia e realtà». Ripensare la metafisica come percorso per ritornare alla realtà, “sinolo dinamico di esistenza e sostanza”: la sostanza non vive fuori della storia, ma si svela nel visibile empirico dando ad esso senso e concretezza.

Massimo Bontempelli - Salvatore Bravo

Massimo Bontempelli

Filosofia e Realtà. Saggio sul concetto di realtà in Hegel e sul nichilismo contemporaneo. IIa Edizione.

ISBN 978–88–7588-301-0, 2020, pp. 288, Euro 25

indicepresentazioneautoresintesi

Salvatore Bravo

Ripensare la metafisica come percorso per ritornare alla realtà
“sinolo dinamico di esistenza e sostanza”:
la sostanza non vive fuori della storia, ma si svela nel visibile empirico dando ad esso senso e concretezza.

Storia e concetto
La contemporaneità è regressiva, perché manca di pensiero autoriflettente. L’espulsione della metafisica e di ogni prospettiva teoretica è la verità dei nostri giorni. È in atto un processo di conservazione del sistema mediante l’inoculazione di automatismi che sostituiscono il tempo del pensiero. I processi di derealizzazione si consolidano con il tempo dell’immediatezza. Il soggetto rispecchia la rappresentazione senza mediarne il concetto. Il semplice rispecchiamento produce vite anonime: il soggetto riproduce l’immediatezza e dispone le “datità empiriche” nel tempo semplice e lineare della successione, le accoglie con “spontaneità”, abdica, così, alla sua attività razionale. In tal modo ogni pensiero critico e divergente tace, al suo posto vige l’irrealtà, in quanto l’esistenza del dato senza l’essenza lo riduce ad accadimento instabile che viene dal nulla per ritornare nel nulla. L’instabilità nichilistica non consente ai dati di configurarsi nella forma stabile dell’esperienza consapevole. Senza esperienza mediata dalla ragione e dal concetto il movimento della storia è annichilito. Vi è un parallelismo di relazione tra movimento della storia e movimento teoretico del pensiero. La storia accade, devia dal suo percorso solo se il concetto con i suoi processi di astrazione è patrimonio comune della comunità. Se c’è il concetto che attraverso il movimento astrae l’essenza (il negativo) ritornando a se stesso non vi può che essere la storia in atto. La storia divergente e progettuale non è che un’evoluzione che porta verso la realtà. Il concetto è la storia che diviene concreta realizzazione dell’umanizzazione dell’essere umano. Massimo Bontempelli[1] storico e filosofo nel suo commento alla Scienza della logica di Hegel evidenzia la necessità di ripensare la metafisica come percorso per ritornare alla realtà “sinolo dinamico di esistenza e sostanza”: la sostanza non vive fuori della storia, ma si svela nel visibile empirico dando ad esso senso e concretezza:

“L’esistenza reale è quell’esistenza che, passando nell’essenza, non perde il proprio essere, ma attraverso essa vi ritorna[2]”.

Con processo di astrazione il soggetto è strappato dagli automatismi per essere soggetto e non oggetto del reale storico. Ci si umanizza in tale gesto della mente, poiché l’essere umano non è semplice ente tra gli enti, ma attività concettualizzante che dispone il soggetto ad essere attore responsabile della storia. Il concetto è il negativo, perché non coincide con il dato, ma lo inserisce con l’invisibilità dell’astrazione all’interno di una complessità capace di decodificare il dato. Senza la decodifica teoretica il dato storico è ossificato nel presente, è paragonabile ad un dato naturale su cui non si ha margine d’intervento. Il negativo riporta l’esistenza alla sua essenza fondando il concetto:

“L’esistenza ha piena intellegibilità razionale in quanto ha realtà razionale, ed ha realtà soltanto in quanto è in unità con l’essenza, ed ha realtà soltanto in quanto è in unità con l’essenza, ossia in quanto la negatività che dissolve il suo essere, cioè appunto l’essenza, la riporta nondimeno al suo essere.

Ma come è possibile questo? Come può l’essenza, che nella terminologia hegeliana è la negatività che dissolve ogni positiva determinazione, riducendola a non poter essere ciò che è e ad apparire soltanto quale labile parvenza, trovarsi unita all’esistenza, riconsegnandole la positività dell’essere?[3]”.

La ragione teoretica unisce, è totalità storica pensante, ovvero l’esistenza trova la sua ragion d’essere nell’unità con la sostanza- realtà, non è scissione, frammento che si impone nella disintegrazione della totalità, ma unità del concetto capace di riconfigurare il tessuto storico, identificandolo nella sua verità. È un atto di significazione intenzionale dinamico nel quale emerge la verità dell’essere umano come agente del pensiero senza il quale è consegnato all’entificazione, all’automatismo che si estende in una coazione a ripetere senza limiti e nel contempo rivela la verità storica di cui è partecipe senza esserne assimilato:

“La loro verità sta nella realtà che le unisce, e che, rendendole entrambe reali nella loro unità, le trasforma entrambe. L’essenza inconfigurata, diventata reale, preserva le configurazioni dell’esistenza, e il suo sussistere indeterminato ne fa sussistere le molteplici determinazioni. L’esistenza, diventa reale, non si vede più togliere dall’essenza stabilità e permanenza, perché l’essenza viene ad identificarsi con la sua positività[4]”.

Irreale è la separazione, la divisione che spinge l’essere umano ad essere oggetto dell’immediato e determinato dalla sola logica del fabbricare che agisce sulla parte funzionale alla produzione oscurando la totalità con le sue relazioni interne. L’attività diviene esecuzione motoria, nel silenzio del concetto.

 

Fondamento e maieutica del ritorno
La prassi storica si rende visibile nella contingenza, ma ha la sua origine nella mediazione razionale del soggetto. Il fondamento (der Grund) non è fissa positività, ma atto riflessivo, su cui il pensiero può ritornare una pluralità di volte per far emergere fortemente il reale-razionale. La positività empirica è povertà del pensiero, depotenziamento esistenziale, poiché cade nel rispecchiamento automatico senza autoriflessione. Il fondamento ha la stabilità del concetto su cui si può agire, è attività maieutica, poiché il concetto non è verità definitiva, ma maieutica del ritorno, profondità della riflessione senza la quale l’essere umano è consegnato alla tragedia dell’irriflesso:

“Hegel, invece, concettualizzando il fondamento come categoria dell’essenza, vale a dire della negatività intrinseca all’essere, lo pensa come un movimento negativo, non come una positiva fissità, come un’astrazione, non come un sostegno concreto simile ad un suolo, ad un pavimento[5]”.

L’avanzamento dialettico è il percorso verso la realtà, è il filo d’Arianna senza il quale il soggetto è nel mondo senza riconoscerlo, si estranea per alienarsi nel mito crematistico e dell’ esteriorità senza concetto:

“La sostanza si rende presente nell’esistenza solo dopo un lungo avanzamento dialettico nella considerazione dell’esistenza stessa, quando essa è pensata come aderente al funzionamento di un mondo, e nello stesso tempo, come mantenente il suo essere nel suo venire coinvolta in tale funzionamento. Se è pensata fuori da qualsiasi mondo, l’esistenza non può avere alcuna sostanza, perché fuori di essa, senza mondo, non ci sono che alterità destrutturate, in cui il suo essere si perde[6]”.

La Scienza della Logica non è un semplice strumento, ma è la verità profonda dell’umanità, il logos che ricompone la struttura della realtà e crea il mondo con la dialettica. Senza la ragione metafisica il mondo resta muto, è solo lo scorrere delle rappresentazioni, ma l’umano è assente, perché è solo lo spettatore di un gioco deciso da altri. La denuncia dei processi di derealizzazione sono il sintomo che l’umanità sopravvive, malgrado l’avanzare del deserto, in un climax sempre più evidente ed ascendente: tanto più il deserto avanza tanto più è necessario riportare il pensiero alla sua condizione ontologica. La denuncia, a volte solitaria, trascende il tempo dell’immediato per offrirsi alla comunità. La filosofia necessita di eroi nel tempo della tecnica, Massimo Bontempelli lo è stato.
La “cultura intensiva” della tecnica avanza, poiché non trova l’opposizione della ragione metafisica e dialettica dalla quale scaturisce l’esigenza di un nuovo ordine etico contro l’anarchia dei tecno-mercati. Il mercato e la tecnica sono gli elementi passivi che limitano l’esplicarsi della libertà dell’essere umano. Libertà, per Hegel, ci rammenta Massimo Bontempelli è azione reciproca[7] tra sostanze umane, il “bene” presuppone il logos e l’astrazione per cogliere le trame di significato che intercorrono tra i segmenti del sapere. Il fare poietico non può sostituire la conoscenza ed il bene. La conoscenza non è manipolazione, ma riflessione sul valore dell’agire e ciò non può che concretizzarsi mediante il pensiero logico e dialettico. Nell’azione reciproca si genera la libertà che si materializza nella storia e nelle istituzioni nella forma del bene (universale). La libertà è l’interrogarsi comunitario per ritrovare i nessi che ricostruiscono il testo del mondo. Realtà e razionalità sono un sinolo che trascendono il pericolo della passività e dell’alienazione estraniante:

“Sono un soggetto libero, perché sono capace di sottrarmi alla passività dell’immediatezza della mia singolarità, scegliendo fuori di me stesso il mio essere[8]”.

 La passione etica di Massimo Bontempelli per la logica hegeliana è stata prassi e giudizio critico verso la tirannia dei mercati e del potere che trasformano la libertà in acquisizione violenta e proprietaria. Ha pagato e, paga ancora, il suo impegno per il fondamento veritativo con il silenzio dell’azienda della cultura. Il suo impegno continua carsicamente a vivere e a germogliare. Il filosofo pisano aveva la chiarezza del nemico, ed anche tale lucidità può essere un’indicazione da cui riprendere il cammino interrotto della storia:

“Ebbene: la storia umana è ormai occupata da qualcosa di simile ad un esercito che è nemico del suo carattere umano. Questo esercito è il meccanismo economico autoreferenziale. Esso è volto a sterminare ogni aspetto del genere umano ancora radicato nella sua autentica realtà. L’artiglieria di cui si avvale è la pura accumulazione quantitativa di valore di scambio, che depaupera l’uomo della sua realtà[9]”.

L’esercito d’occupazione è la categoria della quantità e della dismisura che occupano le menti ed offuscano il pensiero, contro gli invasori siamo chiamati a testimoniare l’emancipazione dall’economicismo in nome di un umanesimo dell’impegno.

Salvatore Bravo

***

[1] Massimo Bontempelli (Pisa, 26 gennaio 1946 –Pisa, 31 luglio 2011) .

[2] Massimo Bontempelli, Filosofia e realtà. Saggio sul concetto di realtà in Hegel e sul nichilismo contemporaneo, Petite Plaisance Pistoia 2000, nuova ed. 2020, p. 70.

[3] Ibidem, p. 71.

[4] Ibidem, pp. 72 -73.

[5] Ibidem, p. 73.

[6] Ibidem, p. 114.

[7] Ibidem, p.157.

[8] Ibidem, p. 159.

[9] Ibidem, pp. 242-243.


Massimo Bontempelli – IL PREGIUDIZIO ANTIMETAFISICO DELLA SCIENZA CONTEMPORANEA
Massimo Bontempelli (1946-2011) – Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana?
Massimo Bontempelli – La convergenza del centrosinistra e del centrodestra nella distruzione della scuola italiana.
Massimo Bontempelli – In cammino verso la realtà. La realtà non è la semplice esistenza, ma è l’esistenza che si inscrive nelle condizioni dell’azione reciproca tra gli esseri umani, diventando così sostanza possibile del loro mutuo riconoscimento.
Massimo Bontempelli – Il pensiero nichilista contemporaneo. Lettura critica del libro di Umberto Galimberti « Psiche e tecne».
Massimo Bontempelli (1946-2011) – L’EPILOGO DELLA RAZIONALIZZAZIONE IRRAZIONALE: demente rinuncia alla razionalità degli orizzonti di senso, e perdita della conoscenza del bene e del male. L’universalizzazione delle relazioni tecniche ha plasmato la razionalizzazione irrazionale, razionalità che non ha scopi, che è cioè irrazionale.
Massimo Bontempelli (1946-2011) – L’unico luogo in cui è possibile custodire la memoria del passato è la progettazione del futuro, così come l’unico modo per progettare un futuro ricco di essere è quello di costruirne il progetto con le memorie del passato.
Massimo Bontempelli (1946-2011) – C’è un filo teoretico nichilistico che unisce Heidegger, Galimberti e Severino: l’oscuramento del capitalismo nello scenario della tecnica. Per Galimberti non c’è varco pensabile nell’orizzonte dell’epoca presente ed offre solo una filosofia dell’impotenza e dell’adattamento.
 
Massimo Bontempelli (1946-2011) – L’uomo, proprio perché elevato al di sopra della vita meramente biologica da una divina capacità di conoscenza, deve mantenere tale elevazione con il distacco dall’immediatezza vitale che è costituito dalla coscienza della certezza della morte. Sapere il bene e il male e sapere la morte sono due lati indisgiungibili di una stessa realtà, che non è né animale né divina, ma specificamente umana.
Massimo Bontempelli – Gesù di Nazareth, uomo nella storia, Dio nel pensiero, ci ha dato la simultanea figurazione metastorica della forza creatrice dell’amore, del valore universale dell’individualità, della priorità assiologica della giustizia, del principio della speranza, che sono, filosoficamente parlando, le dimensioni di esistenza della libertà, e le articolazioni concettuali della verità logico-ontologica.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Copertine e schede editoriali (281-290) – Valeria Biagi, Giampaolo Abbate, Claudia Baracchi, Enrico Berti, Barbara Botter, Matteo Cosci, Annabella D’Atri, Andrea Falcon, Arianna Fermani, Luca Grecchi, Alberto Jori, Diana Quarantotto, Monica Ugaglia, Carmelo Vigna, Marcello Zanatta, Luigi Ruggiu, Massimo Bontempelli, Marco Vannini, Maura Del Serra, Daniele Orlandi, José Jorge Letria, Mario Vegetti, Lapo Ferrarese.

281
Valeria Biagi, La Valle Bianca. Appunti per una rilettura del romanzo di Sirio Giannini. ISBN 978-88-7588-194-8, 2017, pp. 64, formato 130×200 mm., Euro 8. In copertina: Cava, foto di Antonio Silenzi.

282
Giampaolo Abbate, Claudia Baracchi, Enrico Berti, Barbara Botter, Matteo Cosci, Annabella D’Atri, Andrea Falcon, Arianna Fermani, Luca Grecchi, Alberto Jori, Diana Quarantotto, Monica Ugaglia, Carmelo Vigna, Marcello Zanatta, a cura di Luca Grecchi, Immanenza e trascendenza in Aristotele.
ISBN 978-88-7588-190-0, 2017, pp. 384, formato 140×210 mm., Euro 25 – Collana “Il giogo” [79]. In copertina: Statua in bronzo di Aristotele collocata nel cuore di Piazza Aristotele nella città di Salonicco in Grecia.

283
Luigi Ruggiu, Tempo Coscienza e Essere nella filosofia di Aristotele. Saggio sulle origini del nichilismo. Prefazione di Emanuele Severino.
ISBN 978-88-7588-186-3, 2017, pp. 496, formato 170×240 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [80]. In copertina: Mosaico dello zodiaco e delle Quattro Stagioni. Ostia Antica, Magazzini. Dalla Necropoli di Porto all’Isola Sacra, Tomba 101.

284
Massimo Bontempelli, Gesù di Nazareth. Uomo nella storia. Dio nel pensiero. Prefazione di Marco Vannini. Postfazione di Giancarlo Paciello. ISBN 978-88-7588-188-7, 2017, pp. 160, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [81]. In copertina: Henri Matisse, Icaro, tavola a pochoir, pubblicata nel 1947 sulla rivista Jazz.

285
Maura Del Serra, L’albero delle parole. Con uno scritto di Domenico Segna: Lettera ad una professoressa delle scuole medie. ISBN 978-88-7588-184-9, 2017, pp. 64, formato 130×200 mm., Euro 10. In copertina: Elaborazione grafica del fotogramma di Andreas Kassel, 3XTonino, dedicato a Tonino Guerra.

286
Daniele Orlandi, T. Lettera ad una madre sul primo amore. Disegni di Sara Prebottoni.
ISBN 978-88-7588-180-1, 2017, pp. 432, formato 140×210 mm., Euro 20. In copertina: Sara Prebottoni, Afonie emotive. Disegno e composizione fotografica, 2017. Elaborazione grafica di Sara Bolletta.

287
Giorgio Mazzanti, Edi Natali, Diego Pancaldo, Roberto Presilla, Francesco Ricci, Antonella Spitaleri, Fausto Tardelli, La città tra idealità e realtà. A cura di Edi Natali.
ISBN 978-88-7588-182-5, 2017, pp. 160, formato 140×210 mm., Euro 15. In copertina: Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo, ciclo di affreschi di Ambrogio Lorenzetti (1338-1339), Palazzo Pubblico di Siena.

288
José Jorge Letria, Il deserto innominabile. Poesie. Testo portoghese a fronte. Cura e traduzione di Simonetta Masin.
ISBN 978-88-7588-192-4, 2017, pp. 96, formato 130×200 mm., Euro 10. In copertina: Salin de Giraud, Camargue. Fotografia di Simonetta Masin.

289
Mario Vegetti, Il coltello e lo stilo. Animali, schiavi, barbari e donne alle origini della razionalità scientifica. ISBN 978-88-7588-228-0, 2018, pp. 192, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “Il giogo” [82]. In copertina: Affresco raffigurante gli Istrumenta sciptoria. In quarta: bassorilievo del tempio di Esculapio di Atene.

 290
Lapo Ferrarese, Progresso scientifico e naturalismo nella concezione di Larry Laudan.
ISBN 978-88-7588-226-6, 2018, pp. 208, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “Il giogo” [83]. In copertina: Disegno di Leonardo da Vinci.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Copertine e schede editoriali (301-310) – Mario Vegetti, Fabio Acerbi, Jean Bricmont, Massimo Bontempelli, Marcello Cini, Marcella Continanza, Arianna Fermani, Marino Gentile, Giancarlo Paciello, Salvatore A. Bravo.

301-310

301
Mario Vegetti, Scritti sulla medicina galenica. ISBN 978-88-7588-215-0, 2018, pp. 464, formato 140×210 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [89]. In copertina: Galeno e Ippocrate. Affresco del XIII secolo. Anagni, Cripta del Duomo.

302
Fabio Acerbi, Concetto e uso dei modelli nella scienza greca antica. ISBN 978-88-7588-214-3, 2018, pp. 92, formato 140×210 mm. [liberamente scaricabile in PDF] – Collana “Il giogo” [90]. In copertina: Particolare di un manoscritto del X Secolo; pagina dell’opera di Aristarco di Samo Sulle dimensioni e distanze del Sole e della Luna.

303
Jean Bricmont, Contro la filosofia della meccanica quantistica. Traduzione dal francese di Fabio Acerbi. ISBN 978-88-7588-217-4, 2018, pp. 51, formato 140×210 mm. [liberamente scaricabile in PDF] – Collana “Il giogo” [91]. In copertina: Campo relazionale.

304
Massimo Bontempelli, Il pregiudizio antimetafisico della scienza contemporanea. ISBN 978-88-7588-212-9, 2018, pp. 58, formato 140×210 mm. [liberamente scaricabile in PDF] – Collana “Il giogo” [92]. In copertina: Pregiudizio.

305
Marcello Cini, C’è ancora bisogno della filosofia per capire il mondo? ISBN 978-88-7588-210-5, 2018, pp. 50, formato 140×210 mm. [liberamente scaricabile in PDF] – Collana “Il giogo” [93]. In copertina: Marcello Cini.

306
Marcella Continanza, La rosa di Goethe. Poesie. ISBN 978-88-7588-219-8, 2018, pp. 80, formato 130×200 mm., Euro 10. In copertina: Salvador Dalí, Rosa Meditativa, 1958.

307
Arianna Fermani, L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano. Riflessioni sulla paideia in Aristotele. ISBN 978-88-7588-206-8, 2018, pp. 64, formato 140×210 mm., Euro 7 – Collana “Il giogo” [94]. In copertina: La coppa (kúlix) del ceramografo Duride (inizi del V a.C.).

308
Marino Gentile, Umanesimo e tecnica. Tutto ritorna all’uomo. Introduzione di Mario Quaranta. ISBN 978-88-7588-208-2, 2018, pp. 208, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “Il giogo” [85]. In copertina: Auguste Rodin, La Mano di Dio, 1896. Musée Rodin, Parigi.

309
Giancarlo Paciello, Elogio sì, ma di quale democrazia? La rivolta o forse la rivincita del demos. ISBN 978-88-7588-178-8, 2018, pp. 176, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Divergenze” [61]. In copertina: Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buon Governo nella città (1338-1339), “La gioia nella danza”, particolare. Palazzo Pubblico di Siena.

310
Salvatore A. Bravo, Le metafore nella filosofia. ISBN 978-88-7588-174-0, 2018, pp. 288, formato 140×210 mm., Euro 25 – Collana “Il giogo” [97]. In copertina: René Magritte, La firma in bianco, 1965.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Copertine e schede editoriali (071-080) – Massimo Bontempelli, Fabio Bentivoglio, Giancarlo Paciello, Luca Grecchi, Carmine Fiorillo, Gianfranco La Grassa, Giuseppe Bailone, Nello De Bellis, Enrico Berti, Alberto G. Biuso, Domenico Losurdo, Michele Marolla, Costanzo Preve, Giovanni Stelli, Mario Vegetti, Antonella Lumini.

071-080

071
Massimo Bontempelli, Tempo e Memoria. La filosofia del tempo tra memoria del passato, identità del presente e progetto del futuro.  ISBN 88-87296-69-3, 1999, pp. 112, formato 140×210 mm., Euro 10. In copertina: M. Chagall, Il giocoliere (1943). Chicago, The Art Institute.

072
Fabio Bentivoglio, Giustizia conoscenza e felicità. Idee, miti e attualità ne La Repubblica di Platone.
ISBN 88-87296-29-4, 1998, pp. 112, formato 140×210 mm., Euro 10 – Collana “Le passioni dell’anima” [1]. In copertina: Platone, Musei Vaticani.

073
Giancarlo Paciello, Quale processo di pace? Cinquant’anni di espulsioni e di espropriazioni di terre ai palestinesi.
ISBN 88-87296-65-0, 1999, pp. 144, formato 140×210 mm., Euro 10 – Collana “Divergenze” [18]. In copertina: Il ponte di Allenby, simbolo della guerra del 1967.

074
Luca Grecchi, Il necessario fondamento umanistico della metafisica.
ISBN 978-88-7588-093-4, 2005, pp. 64, formato 140×210 mm., Euro 10 – Collana “Il giogo” [6]. In copertina: Auguste Rodin, La cattedrale. 1908. Pietra, cm. 64×29,5×31,8. Meudon, Musée Rodin.

075
Fabio Bentivoglio, Aristotele: Metafisica. Scienza, natura e destino dell’uomo.
ISBN 88-88172-12-2, 2002, pp. 104, formato 140×210 mm., Euro 10 – Collana “Le passioni dell’anima” [2]. In copertina: Ritratto di Aristotele, da Aristoteles cum Leonardi Aretini commentario.

076
Costanzo Preve, Verità filosofica e critica sociale. Religione, filosofia, marxismoISBN 88-88172-22-X, 2004, pp. 112, formato 170×240 mm., Euro 12. In copertina: René Magritte, Les vacances de Hegel, olio su tela, Galerie Isy Brachot.

077
Massimo Bontempelli Carmine Fiorillo, Il sintomo e la malattia. Una riflessione sull’ambiente di Bin Laden e su quello di Bush.  ISBN 88-87296-50-2, 2001, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 10. In copertina: F. Goya, Il sonno della ragione genera mostri, foglio 43 dei Capricci, 1799. Fondazione Antonio Mazzotta, Milano.

078
Gianfranco La Grassa, Considerazioni del dopoguerra. Insegnamenti dell’aggressione USA (e NATO) alla Jugoslavia.
ISBN 88-87296-60-X, 1999, pp. 80, formato 140×210 mm., Euro 8 – Collana “Divergenze” [29]. In copertina: P. Klee, Luogo colpito, 1922.

079
Giuseppe Bailone Nello De Bellis Enrico Berti Alberto Giovanni Biuso Luca Grecchi – Domenico Losurdo – Michele Marolla – Costanzo Preve – Giovanni Stelli – Mario Vegetti, Dialettica oggi.
“Koiné”. Anno XII – NN° 3-4 / Settembre – Dicembre 2005.
ISBN 978-88-7588-094-1, 2005, pp. 240, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [8]. In copertina: Antonio di Jacopo Benci, detto il Pollaiolo, La Dialettica. Roma, S. Pietro, Grotte Vaticane.

080
Antonella Lumini, Caino. Dramma del buio e della luce. Con uno scritto di Paolo Coccheri. ISBN 978-88-7588-087-3, 2005, pp. 96, formato 120×180 mm., Euro 10 – Collana di teatro, “Antigone” [10]. In copertina: Amalia Ciardi Duprè, La morte di Abele,1980.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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