Senofonte (430/425–355 a.C.) – «Apologia di Socrate». Introduzione, traduzione e note di Francesca Pentassuglio.

Senofonte, Apologia di Socrate - Francesca Pentassuglio

Senofonte

Apologia di Socrate

Introduzione, traduzione e note di Francesca Pentassuglio.

ISBN 978–88–7588-281-5, 2021, pp. 176, Euro 15

indicepresentazioneautoresintesi

L’interesse della moderna storiografia filosofica per le vicende del processo e della morte di Socrate, avvertiti come gli eventi cruciali della vita del filosofo e delle successive immagini che ne sono state trasmesse, è un’eredità degli antichi. Senofonte, come Platone e altri autori le cui opere sono andate perdute, scrive una difesa postuma per scagionare Socrate dalle accuse per cui, nel 399 a.C., il filosofo fu processato e condannato a morte dalla restaurata democrazia ateniese.

Con il proposito di dar conto delle vere ragioni di quella “superba fierezza” che a parere di molti animò i discorsi di Socrate in tribunale, Senofonte ci consegna dunque la sua Apologia, offrendo al contempo una propria interpretazione della filosofia e dell’etica socratiche. Quello che ne emerge è un ritratto composito, in cui elementi distintivi del Socrate senofonteo si uniscono a tratti che lo rendono riconoscibile ai lettori dei dialoghi platonici. Sulla base di una nuova traduzione del testo e mediante un confronto costante con l’Apologia di Platone, il saggio introduttivo mira a distinguere e a interpretare queste compo­nenti, indagando i principi etico-filosofici a cui il Socrate senofonteo si appella per costruire la propria difesa dalle accuse formali – empietà e corruzione dei giovani – ma anche, su un piano più generale, per giustificare il proprio insegnamento.

Con l’esplicita esaltazione di virtù quali l’autosufficienza e il dominio di sé, l’adesione alle pratiche cultuali della polis e il richiamo costante a una vita trascorsa senza commettere ingiustizia, il Socrate senofonteo si auto-rappresenta nell’Apologia come un filosofo (e cittadino) meno atopos rispetto alla sua controparte platonica, ma non per questo meno esemplare. E precisamente di un Socrate di esemplare giustizia, libero dai desideri del corpo e liberale nell’insegnamento, “utile” e saggio, Senofonte ci offre una testimonianza a cui vale la pena tornare.



Francesca Pentassuglio, Eschine di Sfetto. Tutte le testimonianze, Brepols, Thurnout 2017, p. 219.


Quarta di copertina

Di Eschine di Sfetto, come di tutti gli altri Socratici a eccezione di Platone e Senofonte, non è pervenuta alcuna opera completa. Abbiamo tuttavia testimonianza di sette dialoghi “socratici”, conservati in stato frammentario: l’Alcibiade, l’Aspasia, il Milziade, il Callia, il Telauge, l’Assioco e il Rinone.
Il presente studio sui Sokratikoi logoi di Eschine presenta una raccolta di tutte le testimonianze antiche sulla biografia e sugli scritti del Socratico, per la prima volta integralmente tradotte in italiano. Corredata da un ampio commentario storico-filologico, la raccolta include alcune nuove testimonianze che sono state aggiunte al corpus e che contribuiscono ad arricchire la comprensione dei dialoghi eschinei.          
I testi sono introdotti da uno studio di carattere storico-filosofico, volto ad approfondire la figura e la biografia di Eschine, nonché a definire il suo statuto come fonte sul pensiero di Socrate. Contestuale all’analisi dei singoli dialoghi, di cui sono ricostruiti per quanto possibile la struttura e l’argomento, è l’indagine sui principali motivi filosofici trattati, che costituiscono spesso veri e propri topoi della letteratura socratica: il ruolo della ricchezza e il valore della povertà, il rapporto tra virtù e conoscenza, la cura di sé e, soprattutto, il legame tra eros e paideia. A tal fine, una particolare attenzione è rivolta ai paralleli testuali e tematici che legano i dialoghi di Eschine alle opere di altri Socratici, analizzati mediante un’esegesi comparativa che miri a “riattivare” tutte le componenti dei dibattiti interni che attraversarono la letteratura socratica e a restituirne, in tal modo, la ricchezza e la profondità.


Sommario

Francesca Pentassuglio è attualmente Alexander von Humboldt Postdoctoral Fellow presso la Universität zu Köln. Si occupa di filo­sofia socratica, di etica antica e della ricezione di Socrate nel tardo platonismo. È autrice del volume Eschine di Sfetto. Tutte le testimonianze (Brepols, Thurnout 2017) e di diversi contributi dedicati alle fonti antiche sul pensiero socratico.




Aischines-Eschine di Sfetto, Attica (ca. 430-360 ca. a.C.)
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Carmine Fiorillo – Crisi è decisione vitale, giudizio totale

Il Pensatore

The Thinker, Musee RodinA. Rodin, Il pensatore.

Crisi viene dalla parola greca – eminentemente polisemica – krísis,[1]  la cui radice è collegata al verbo kríno, anch’esso ricco di molteplici significati.[2]
È ben vero che crisi, anche in greco antico, connota un significativo e improvviso cambiamento, in senso favorevole o sfavorevole, che avviene nel decorso di una malattia. Individua altresì un accesso improvviso, un fenomeno violento, per lo più di breve durata (crisi isterica, crisi nervosa, crisi di pianto; anche: crisi di rigetto). In senso figurato, con riferimento alla singola persona, si dice appunto essere in crisi, di chi viva un momento difficile (crisi di coscienza, crisi spirituale, crisi religiosa, crisi adolescenziale, crisi matrimoniale); con riferimento alla vita di una collettività (crisi sociale), il turbamento vasto e profondo di una società (si pensi, tra gli altri, a testo di Huizinga La crisi della civiltà). L’espressione crisi economica è ormai diventata nell’uso corrente semplicemente crisi. Si parla anche di crisi parlamentare, crisi ministeriale, crisi politica, crisi costituzionale, crisi istituzionale, crisi sindacale, crisi energetica, crisi ecologica, crisi culturale. È parola davvero inflazionata.
Domandiamoci perché nel tempo si è andata perdendo la consapevolezza del senso originario più pregnante di crisi, come decisione e giudizio, come «decisione vitale» e «giudizio totale»? Forse proprio perché la filosofia, come la poesia,[3] vorrebbe essere ridotta alla stregua di mera «comunicazione», una «informazione» come un’altra. Preferiamo, anche per la parola crisi, tornare alle radici e rifarci a Eschilo,[4]  a Sofocle,[5] a Platone: kríno tò aletés te kaì me,[6] a Omero,[7] a Senofonte .[8]
A chi le domandava se oggi si può parlare di “poesia in crisi” e di “poesia della crisi”, una delle più profonde voci poetiche del Novecento, M. Guidacci, rispondeva: «Per me ogni clausola determinativa aggiunta al nome “poesia” è fortemente riduttiva. Bisognerebbe accostare questi due termini: poesia e crisi; facendo sentire che è solo un accostamento nel tempo (con innegabili rispecchiamenti), ma non una fusione, la poesia resta crisi. A meno che non si ricorra, anche questa volta, al senso greco, crisi=decisione, giudizio; nel qual caso l’idea di poesia-crisi mi piace moltissimo: la poesia è una decisione vitale e un giudizio totale, tridimensionale sull’universo, poiché costituisce essa stessa un accrescimento di tutto ciò che esiste» (in: “Riscontri”, n. 3, luglio-settembre 1980, pp. 117-119).
Chi si pone delle domande e si interroga sui criteri di valore della filosofia e della poesia (momento valutativo della critica) oggi  è fatto oggetto di scherno. Crisi della filosofia? Crisi della poesia? Meglio parlare di cedimento catastrofico, a partire dagli intellettuali. Per la filosofia come per la poesia continua ad essere valido lo Stirb und Werde, il «muori e diventa» goetiano. Crisi è per me decisione, giudizio: la filosofia è decisione vitale, giudizio totale.

Carmine Fiorillo

Note

1  forza distintiva, separazione; scelta; elezione; giudizio, decisione, sentenza; esito, risoluzione, evento, riuscita.
2  distinguo, scevero, secerno, separo; scelgo, preferisco;  decido, giudico; fo entrare in fase decisiva o critica; stimo, penso, credo, giudico, dichiaro.
poíesis è l’arte poetica, la poesia, come ci dice Platone (Gorgia 502); poiéo significa: fo, fabbrico, costruisco, lavoro, fo con arte, compongo, scrivo in versi. In latino i versi erano chiamati carmina e la parola carmen è assimilabile al sanscrito karma. La radice sanscrita kri, da cui viene karma, si ritrova nel verbo latino creare e ha lo stesso significato del verbo greco poiéin, cioé fare, lavoro in cui si racchiude ad un tempo l’umano e l’arte, e da cui deriva poíhsis, poesia, un “fare” operoso che è conoscenza di sé e del mondo, canto “cultuale” che è una ri-creazione del cosmo.
4  «Nel giudizio degli Dei»; Eschilo, Agamennone 1288]; k. aftonon olbon [preferisco una felicità che non desta invidia; Eschilo, Agamennone 471].
5  «Quando si tratta di scegliere fra uomini giusti e virtuosi»; Sofocle, Filottete 1050].
6 «Distinguo il vero e ciò che non è tale»; Platone, Teeteto 150.
7 «Sceverare al soffio dei venti il grano e la pula»; Omero, Iliade 5, 501.
8«Distinguere i buoni dai cattivi»; Senofonte, Memorabilia 3, 1, 9.