Paul Valery (1871-1945) – L’anima e la danza: una donna che danza rende visibile l’istante. L’istante genera la forma e la forma rende visibile l’istante. È veramente un penetrare in un altro mondo …

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Degasb04   «[…] una donna che danza […] Luminose danzatrici! Le loro mani parlano e i loro piedi sembrano scrivere. […] si direbbe che la coscienza abbia trovato il proprio atto … In sé ella raccoglie ed assume una maestosità che in noi tutti era confusa… Quel che noi distrattamente spendiamo in volgare moneta di passi, quando per uno scopo qualsiasi camminiamo, ella sembra enumerare e contare in monete d’oro puro. C’insegna quel che noi facciamo mostrando chiaramente alle nostre anime quel che oscuramente compiono i nostri corpi. La danzatrice può insegnarci, in quanto ai passi, a conoscere un po’ meglio noi stessi. Guarda che bellezza, che completa sicurezza dell’anima risulta dall’estensione delle sue nobili falcate».

degas b02 «[…] una donna che danza […] rende visibile l’istanteL’istante genera la forma e la forma rende visibile l’istante […]. È veramente un penetrare in un altro mondo …».

 

Eipalinos

Eipalinos

«[…] una donna che danza e che divinamente cesserebbe d’essere donna se potesse assecondare fino alle nubi il balzo che ha eseguito. […]

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SOCRATE
Per gli dei, che luminose danzatrici! Che viva e graziosa introduzione dei più perfetti pensieri! Le loro mani parlano e i loro piedi sembrano scrivere. Che precisione in questi esseri che si studiano di usare così felicemente le proprie forze morbide! Tutte le mie difficoltà mi disertano e non c’è ora problema che mi travagli, tanta è la felicità con cui obbediscono alla mobilità di queste figure! Qui la certezza è un gioco; si direbbe che la coscienza abbia trovato il proprio atto e che di colpo l’intelligenza consenta alle grazie spontanee … Guardate costei!… La più tenue e la più assorta nella giustezza pura … Chi è ella mai? Così deliziosamente rigida, e ineffabilmente snodata … In modo così esatto ella cede, assume e restituisce la cadenza che, se chiudo gli occhi, la vedo esattamente per mezzo dell’udito. La seguo, la ritrovo, e non posso perderla mai; e se la guardo tenendo tappate le orecchie, ella è talmente ritmo e musica che mi è impossibile non udire le cetre.

 

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ERISSIMACO
L’altissima flautista dalle cosce affusolate e strettamente intrecciate, allunga il piede e le gambe seguendo il ritmo con l’alluce … Che te ne pare, o Socrate, della danzatrice?

SOCRATE
Quel piccolo essere dà da pensare, Erissimaco … In sé ella raccoglie ed assume una maestosità che in noi tutti era confusa… Un semplice moto, ed eccola dea! Un semplice moto, la più semplice concatenazione! Si direbbe che con atti belli ed assolutamente uguali ella paghi lo spazio e che vada coniando col tallone le sonore effigi del moto. Quel che noi distrattamente spendiamo in volgare moneta di passi, quando per uno scopo qualsiasi camminiamo, ella sembra enumerare e contare in monete d’oro puro.

 

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ERISSIMACO
C’insegna quel che noi facciamo, caro Socrate, mostrando chiaramente alle nostre anime quel che oscuramente compiono i nostri corpi. Alla luce delle sue gambe i nostri movimenti immediati ci appaiono miracolosi: ci stupiscono insomma in modo adeguato.

FEDRO
E in ciò, secondo te, la danzatrice può insegnarci, in quanto ai passi, a conoscere un po’ meglio noi stessi?

ERISSIMACO
Precisamente. Sono così facili e così familiari i nostri passi per noi, che non hanno mai l’onore di essere considerati in se stessi e in quanto atti estranei (a meno che, colpiti da infermità o da paralisi non siamo dalla privazione indotti ad ammirarli)… Essi dunque portano come possono noi che ingenuamente li ignoriamo; e, a seconda del terreno, della meta, dell’umore, dello stato dell’uomo, o addirittura dell’illuminazione della strada, essi sono quel che sono: li perdiamo senza pensarci. Ma considera il perfetto incedere della danzatrice Athikte sul suolo perfetto, libero, liscio e appena elastico: vedila disporre con simmetria su quello specchio delle sue forze i suoi appoggi alternati: tallone che riversa il corpo verso la punta, passaggio dell’altro piede che riceve il peso del corpo e lo riversa in anticipo; e così via, mentre la sommità adorabile del capo delinea nell’eterno presente la fronte di un’onda increspata. E giacché qui il suolo, accuratamente sgombro di tutte le cause di aritmia e di incertezza, è in certo qual modo assoluto, quell’incesso monumentale che solo in se stesso ha una meta e che non reca più traccia di mutevoli impurità, diventa un modello universale. Guarda che bellezza, che completa sicurezza dell’anima risulta dall’estensione delle sue nobili falcate. E l’ampiezza dei passi s’accorda col loro numero, diretta emanazione della musica. Ma numero ed estensione sono, d’altra parte, in segreta armonia con la statura …

 

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FEDRO
Guarda, ma guarda … Ella danza laggiù e dona agli occhi quel che tu tenti di dirci qui … Rende visibile l’istante … Per quali gemme ella passa! … Emana gesti come fulgori! … Estorce alla natura atteggiamenti impossibili sotto gli occhi stessi del Tempo! … E il Tempo si lascia ingannare … Mentre lei attraversa impunemente l’assurdo … E divina nell’instabilità, ne fa dono ai nostri sguardi!

ERISSIMACO
L’istante genera la forma e la forma rende visibile l’istante […]. Ma ecco Athikte presentarci ancora un’ultima figura, ecco il suo corpo spostarsi su quell’alluce possente.

FEDRO
L’alluce che intero pulsa sul suolo come il pollice sul tamburo. Che attenzione in quel dito; che volontà la irrigidisce e la mantiene sulla punta! Ma eccola girare su se stessa …

SOCRATE
Gira su se stessa – ecco, le cose eternamente congiunte cominciano a separarsi. Ed ella gira, gira …

ERISSIMACO
È veramente un penetrare in un altro mondo

SOCRATE

E il tentativo supremo … Ella gira e tutto ciò che è visibile si stacca dalla sua anima; tutta la melma della sua anima si separa finalmente dalla parte più pura … Guardate … Ella gira … Un corpo, con la sua semplice forza e con un suo atto, è abbastanza potente per alterare la natura delle cose, più profondo di quanto sia mai toccato allo spirito nelle sue speculazioni e nei suoi sogni!

FEDRO
Si è tentati di credere che ciò possa durare in eterno.

 

Paul Valery, L’Anima e la Danza, in Id., Eupalinos, Introduzione di Enzo Paci, Mondadori, 1947, pp. 37 ss.


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L’anima e la danza, Mimesis

La vita è una donna che danza. Così afferma Socrate, in questo dialogo del poeta che, dall’alleanza indefinibile di suono e senso, crea la musica per un corpo in continua trasformazione vitale. Paul Valéry arriva alla danza dalle parole. Quando danza si fa l’unico nome possibile per la “poiesi”, il gesto creatore diviene ritmo e materia inedita della carne. Danza è il suo continuo rinnovamento che accoglie il battito del cuore, del tempo e delle cose sempre ancora da amare.


P. Valéry, Degas Danza Disegno

P. Valéry, Degas Danza Disegno

“Come accade che un lettore un po’ distratto muova la matita sui margini d’un libro e tracci, a capriccio della punta e dell’assenza, piccole figure o vaghe ramificazioni di contro alle masse leggibili, così farò io, guidato dall’estro, tutt’intorno a questi studi di Edgar Degas. Accompagnerò le immagini di poco testo che non si possa leggere, o non leggere d’un fiato, e che non abbia coi disegni se non i legami più lenti e i rapporti meno stretti. Insomma, non sarà che una sorta di monologo, in cui riaffioreranno a loro piacimento i miei ricordi e le diverse idee che mi sono fatto di un personaggio singolare, grande e severo artista, essenzialmente volitivo, d’intelletto raro, vivo, sottile, inquieto; che nascondeva sotto l’assolutezza delle opinioni e il rigore dei giudizi non so qual dubbio su di sé, non so quale disperazione di esser soddisfatto: sentimenti amarissimi e nobilissimi, suscitati in lui dalla raffinata conoscenza dei maestri, dalla cupidigia dei segreti che attribuiva loro e dalla presenza perpetua, nella sua mente, delle loro contraddittorie perfezioni. Nell’arte egli non vedeva che problemi d’una certa matematica più raffinata dell’altra, che nessuno ha saputo rendere esplicita e di cui ben pochi possono sospettare l’esistenza. Parlava volentieri d’arte sapiente; diceva che un quadro è il risultato di una serie d’operazioni… Degas rifiutava la facilità, come rifiutava tutto quello che non fosse l’unico oggetto dei suoi pensieri.”


Paul Valéry (1871-1945) – Le livres ont le mêmes ennemis que l’homme: le feu, l’umide, les bêtes, le temps; et leur propre contenu. Possiamo tradurre «les bêtes» con «la stupidità».


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Salvatore A. Bravo – Il collare e le catene delle navi negriere, sono ora sostituiti dal controllo digitale, un panopticon che controlla per spezzare sul nascere la possibilità di un pensiero che voglia progettare un mondo altro.

Karl Marx 68

Il capitalismo si afferma grondante di sangue.

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S. EISENSTEIN.

Marx, per argomentare tale tesi, ricostruisce la genesi del capitale, l’accumulazione originaria del capitale. Tra le condizioni che hanno permesso lo sviluppo del capitalismo Marx enumera una serie di cause tra cui il commercio triangolare. Quest’ultimo denuncia la vera natura del capitalismo, ne smaschera la sostanza in modo inequivocabile. Il commercio triangolare tra Inghilterra, Africa (Guinea), e continente americano nel sedicesimo e diciasettesimo secolo, ha consentito una enorme eccedenza in denaro e la produzione del cotone a costo zero. Entrambe le variabili sono tra le precondizioni più importanti per l’affermarsi della prima Rivoluzione industriale. Se per mare il cattivo infinito del denaro – rompendo ogni legge della misura, della razionalità e dell’etica – imperversava e si concretizzava nelle navi negriere, in terra il capitale ungulato mostrava il suo volto con le recinzioni.

I campi recintati in Inghilterra (enclosures), raffigurati in questo dipinto del Settecento

Campi recintati in Inghilterra (enclosures),  dipinto del Settecento

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Sia nel caso delle navi negriere che nelle recinzioni in Inghilterra, si assisteva alla deportazione coatta e violenta di popoli e culture da un contesto in un altro al fine della produzione. Le recinzioni necessarie a trasformare il latifondo in azienda agricola, impedivano l’uso comune delle terre. Il latifondo conservava una parte comune delle terre nelle quali i contadini potevano procurarsi cibo, legna, coltivare orti o piccoli appezzamenti di terra per la famiglia o per la comunità. Con le recinzioni si assiste alla scomparsa di un popolo costretto a servire il capitale in città fumose e anonime. Con le recinzioni scompare l’abitudine a condividere, si afferma l’individualismo borghese sancito da Hobbes come da Locke. La volontà dei deportati non ha mai contato, la sopravvivenza li ha costretti a vivere l’esperienza distruttiva della fabbrica.
Se in terra il movimento coatto è dalla campagna alla città, o meglio alla fabbrica, in mare è da continente a continente. Le navi negriere sono l’espressione concreta e metaforica della “cultura” della fabbrica e del potere disciplinare. Nelle navi come nelle fabbriche, gli spazi erano organizzati secondo un calcolo razionale: legati l’un l’altro con catene, per poter accumulare più schiavi possibili, si calcolava per ciascun nero lo spazio e la quantità di cibo e d’acqua necessarie. Nel caso non sopravvivessero per le cattive condizioni igieniche, per le malattie e per il terrore, la merce umana era gettata in acqua. Le navi negriere erano munite di assicurazione qualora accadessero incidenti in mare e dunque il carico fosse perso. Marx, nel primo libro del Capitale, svela l’essenza mondana del capitale attraverso la ricostruzione storica e genealogica del fenomeno capitalismo:

 

 

Marx-IL-CAPITALE-volume-2-Newton-Compton   «I vari momenti dell’accumulazione originaria si distribuiscono ora, più o meno, in successione cronologica, specialmente fra Spagna, Portogallo, Olanda, Francia e Inghilterra. Alla fine del secolo XVII quei vari momenti vengono combinati sistematicamente in Inghilterra in sistema coloniale, sistema del debito pubblico, sistema tributario e protezionistico moderni. I metodi poggiano in parte sulla violenza più brutale, come per esempio il sistema coloniale. Ma tutti si servono del potere dello Stato, violenza concentrata e organizzata della società, per fomentare artificialmente il processo di trasformazione del modo di produzione feudale in modo di produzione capitalistico e per accorciare i passaggi. La violenza è la levatrice di ogni vecchia società, gravida di una società nuova. È essa stessa una potenza economica.
Un uomo famoso per il suo senso critiano, W. Howitt, così parla del sistema coloniale cristiano: “Gli atti di barbarie e le infami atrocità delle razze cosiddette cristiane in ogni regione del mondo e contro ogni popolo che sono riuscite a soggiogare, non trovano parallelo in nessun’altra epoca della storia della terra, in nessun’altra razza, per quanto selvaggia e incolta, spietata e spudorata”. La storia dell’amministrazione coloniale olandese e l’Olanda è stata la nazione capitalistica modello del secolo XVII — “mostra un quadro insuperabile di tradimenti, corruzioni, assassini e infamie”. Più caratteristico di tutto è il suo sistema del furto di uomini a Celebes per ottenere schiavi per Giava. I ladri di uomini venivano addestrati a questo scopo. Il ladro, l’interprete e il venditore erano gli agenti principali di questo traffico, e prìncipi indigeni erano i venditori principali. La gioventù rubata veniva nascosta nelle prigioni segrete di Celebes finché era matura ad essere spedita sulle navi negriere. Una relazione ufficiale dice: “Questa sola città di Makassar per esempio è piena di prigioni segrete, una più orrenda dell’altra, stipate di sciagurati, vittime della cupidigia e della tirannide, legati in catene, strappati con la violenza alle loro famiglie”. Per impadronirsi di Malacca gli olandesi corruppero il governatore portoghese, che nel 1641 li lasciò entrare nella Città; ed essi corsero subito da lui e l’assassinarono per “astenersi” dal pagamento della somma di 21.875 sterline, prezzo del tradimento. Dove gli olandesi mettevano piede, seguivano la devastazione e lo spopolamento. Banjuwangi, provincia di Giava, contava nel 1750 più di ottantamila abitanti, nel 1811 ne aveva ormai soltanto ottomila. Ecco il doux commerce!
La Compagnia inglese delle Indie Orientali aveva ottenuto, come si sa, oltre al dominio politico nelle Indie Orientali, il monopolio esclusivo del commercio del tè, del commercio con la Cina in genere e del trasporto delle merci dall’Europa e per l’Europa. Ma la navigazione costiera dell’India e fra le isole, come pure il commercio all’interno dell’India, erano divenuti monopolio degli alti funzionari della Compagnia. I monopoli del sale, dell’oppio, del betel e di altre merci erano miniere inesauribili di ricchezza. I funzionari stessi fissavano i prezzi e scorticavano a piacere l’infelice indù. Il governatore generale prendeva parte a questo commercio privato. I suoi favoriti ottenevano contratti a condizioni per le quali, più bravi degli alchimisti, essi potevano fare l’oro dal nulla» (K. Marx, Il Capitale, Libro primo, Genesi del capitalista industriale).

 

Come detto il capitalismo nasce già grondante di sangue; le condizioni di emergenza spiegano il fine e la sua evoluzione: lo sfruttamento, le merci che feticisticamente governano i soggetti, poiché padroni e servi sono due prospettive della stessa sostanza. Le due dimensioni da terra e dal mare sono spiegabili con la stessa teleologia: il plus valore ed il plus lavoro. I soggetti che divengono religiosi servitori della produzione fine a se stessa, in cui il valore d’uso è sostituito dal valore di scambio, vera struttura portante della forma mentis del capitale.

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Lo storico francese Olivier Pétré-Grenouilleau (Les Traites négrières. Essai d’histoire globale, 2004) ha documentato e quantificato il numero delle vittime. Ha distinto per aree geografiche e rotte le tre tratte principali. La tratta orientale ha causato 17 milioni di persone scomparse. La tratta intra africana ha causato 14 milioni di vittime, mentre la tratta atlantica, tra il 1519 ed il 1867, 12 milioni. Durante l’attraversata circa un sesto degli schiavi moriva, per cui l’Atlantico era di fatto un cimitero liquido. Un vero genocidio non riconosciuto. Si consideri che gli effetti della tratta sono stati devastanti per le popolazioni africane: la forza lavoro impiegata coattamente che il capitale ha utilizzato, naturalmente, ha vampirizzato le energie migliori dell’Africa, ha privato il continente di generazioni che avrebbero potuto contribuire allo sviluppo dell’Africa.

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Milioni di uomini, donne e bambini sono stati trasformati in energia per la produzione e lo sviluppo degli Stati Uniti e dell’Inghilterra. Solo nel 1807 la schiavitù in Inghilterra è stata abolita, mentre in Mauritania solo nel 1980. Capire la genesi del Capitalismo è fondamentale per ricostruire il senso dei nostri giorni. La storia ama i corsi ed i ricorsi storici, come affermava Vico, i quali si ripetono in modo mai uguale ma simile. Oggi assistiamo all’affermarsi e al riaffermarsi di un’esperienza già vissuta.

La storia, affermava Gramsci, è maestra di vita ma non ha scolari: forse è il nostro caso. Dall’Africa e dall’Asia giungono schiavi per il turbocapitalismo: degli sradicati, che fuggono dalle miserie, come dalle guerre, di cui l’Occidente è un comprimario in quanto a responsabilità. I nuovi schiavi che vengono per così dire “accolti”, in nome di “diritti universali”, servono come manovalanza a costo minimo per la valorizzazione del capitale; l’aspetto più inquietante che non viene messo in evidenza è che tale massiccia esportazione di lavoro neo-schiavile annichilisce il futuro delle nazioni africane, in quanto uomini e donne spesso con competenze altissime sono utilizzati dal nostra sistema a decremento dei luoghi di origine, i quali in tal modo divengono dei non luoghi molto affollati, dove manca tutto, specialmente la prassi che orienta verso il futuro. La massiccia e costrittiva “accoglienza” condanna interi continenti al sottosviluppo perenne. Il Mediterraneo diventa spesso il loro cimitero. Naturalmente una volta approdati il loro futuro è segnato dallo sfruttamento e dalla cancellazione dell’identità culturale (in nome della così detta “integrazione” da realizzarsi come prezzo dovuto). La situazione congiunturale favorisce, legalmente lo sfruttamento e la condizione neo-servile mascherata dalla legalità “buonista”. La controriforma del lavoro del sign. Renzi ha introdotto – con l’articolo quattro –, la possibilità del controllo digitale del lavoratore, favorendo la forma mentis et agendi finalizzata alla totale riduzione dei lavoratori ad oggetti da controllare sullo stesso piano delle merci. L’articolo così recita, e il termine articolo mai è stato tanto appropriato: «Esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale».

 

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Mandatory Credit: Photo by Newscast/REX/Shutterstock (5840707pt) the website of Amazon VARIOUS

Naturalmente il collare e le catene delle navi negriere, sono ora sostituiti dal controllo digitale, un panopticon che controlla per spezzare sul nascere la possibilità di un pensiero che voglia progettare un mondo altro. Si vuole con la fermezza del controllo introiettato, col ricatto e con l’abitudine ad essere strumento e mai soggetto, impedire ogni riorganizzazione dei popoli come dei lavoratori, ma in quanto uomini. Si devia da tale condizione con espressioni retoriche per evitare che si guardi il volto meduseo della trappola in cui stiamo cadendo. Ripensare con Marx il presente ci può dare dei validi strumenti, delle categorie di comprensione che possono far cadere il velo di Maya della falsa rappresentazione della realtà. La prassi necessita della teoria, i due piani se scissi producono o semplice azione poietica o asfittica teoria. La prassi di cui urge la presenza, dunque, necessita che si ritorni a pensare per capire come orientarsi tra le ipostasi del nuovo ordine/disordine globale.

 

 

 


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