«Nelle nostre antologie c’era la favola del vecchio che sul letto di morte dava a intendere ai figli che nella sua vigna era nascosto un tesoro. Dovevano solo scavare. Scavarono, ma del tesoro nessuna traccia. Ma poi, quando arriva l’autunno, ecco che la vigna produce come nessun’altra in tutto il paese. A quel punto si accorgono che il padre aveva lasciato loro un’esperienza: la messe non sta nell’oro ma nella sollecitudine. […] Dove è andato a finire tutto questo? Chi incontra oggi gente che possa narrare qualcosa per filo e per segno? Da quali moribondi, oggi, giungono parole così durevoli da poter passare, come un anello, di generazione in generazione? A chi, oggi, viene in soccorso un proverbio? Chi, oggi, vorrà anche solo tentare di aver a che fare con la gioventù rimandando alla sua esperienza?
No, una cosa è chiara: l’esperienza è in ribasso […].
Con questo impetuoso dispiegamento della tecnica, un’indigenza di nuova specie si è abbattuta sugli uomini. E di quest’indigenza il rovescio della medaglia è la soffocante ricchezza d’idee, che è venuta tra, o meglio, si è abbattuta sulla gente, col revival di astrologia e sapienza Yoga, Christian Science e chiromanzia, vegetarianismo e gnosi, scolastica e spiritismo. […] Ma qui si mostra nel modo più chiaro che la nostra povertà di esperienza è solo una parte della grande povertà che ha ottenuto di nuovo un volto […]. Sì, ammettiamolo: questa povertà di esperienza è povertà non solo di esperienze private, ma di esperienze umane in genere. E con ciò una nuova forma di barbarie.
Barbarie? Come no. Diciamo così per introdurre un nuovo, positivo concetto di barbarie. Perché, dove è condotto il barbaro dalla povertà di esperienza? Questa lo induce a cominciare daccapo; a cominciare dal nuovo; a cavarsela con poco; a costruire dal poco e con ciò a non guardare né a destra né a sinistra. […].
Da qualche parte, da tempo, le migliori menti hanno cominciato a fare il verso a questo dato. Il loro segno distintivo è la totale mancanza di illusioni sull’epoca […].
Povertà di esperienza: non bisogna intenderla come se gli uomini anelassero a una nuova esperienza. No, anelano a liberarsi delle esperienze, anelano a un ambiente in cui possano far risaltare la loro povertà, quella esteriore e alla fine anche quella interiore, con tanta purezza e nitore che ne esca fuori qualcosa di decente. Non sono sempre ignoranti o inesperti. Spesso si può dire il contrario: si sono “divorati” tutto, “la cultura” e l’”uomo”, se ne sono saziati e stancati. […] Alla stanchezza segue il sonno […]. Quest’esistenza trabocca di meraviglie che non soltanto oltrepassano quelle della tecnica, ma se ne prendono gioco. […] Natura e tecnica, primitività e comfort sono qui diventati compiutamente una cosa sola, e davanti agli occhi della gente che si è stancata delle infinite complicazioni del quotidiano e per cui lo scopo della vita sembra un mero, remotissimo punto di fuga in una prospettiva infinita di mezzi, appare redentrice un’esistenza che in ogni piega basta a se stessa nella maniera più semplice e al contempo confortevole, in cui un’automobile non pesa più di un cappello di paglia e la frutta sull’albero si fa rotonda con la stessa rapidità della navicella di un aerostato. […]
Siamo diventati poveri.
Abbiamo ceduto una fetta dopo l’altra dell’eredità dell’umanità, spesso per doverla depositare al monte di pietà a un centesimo del valore, per ricavarne, in anticipo, la monetina dell’”attuale”».
Walter Benjamin, Esperianza e povertà, traduzione e cura di Massimo Palma, Castelvecchi, 2018, pp. 52-58.
Nota al testo
Erfahrung und Armut (GS II, 1, pp. 213-219). Scritto nell’arco del 1933, pubblicato nella rivista diretta da Willy Haas, «Die Welt im Wort», anno 1, n. 10, Praga, 7 dicembre 1933.
Walter Benjamin (1892-1940) – «Esperienza» . Il giovane farà esperienza dello spirito e quanto più dovrà faticare per raggiungere qualcosa di grande, tanto più incontrerà lo spirito lungo il suo cammino e in tutti gli uomini. Quel giovane da uomo sarà indulgente. Il filisteo è intollerante.
Walter Benjamin (1892-1940) – Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera
Walter Benjamin (1892-1940) – La malinconia tradisce il mondo per amore di sapere. Ma la sua permanente meditazione abbraccia le cose morte nella propria contemplazione, per salvarle.
Walter Benjamin (1892-1940) – Che cos’erano per me i miei primi libri? Io non leggevo un libro, vi entravo, vivevo tra le sue righe; e quando lo riaprivo dopo un’interruzione, ritrovavo me stesso nel punto in cui ero rimasto.
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