«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
«Che i miei figli possano vivere liberi nella nobile città di Atene, ricchi della loro libertà di parola (parrhesía) […]. I malvagi presto o tardi sono fatalmente smascherati come fanciulle che amano vedersi allo specchio».
«Human rights è divenuta un’espressione molto ricorrente nel nostro linguaggio politico. Quando è stata introdotta essa si riferiva tendenzialmente al diritto di parlare liberamente, di avere l’opinione politica che si preferiva, di essere giudicati rapidamente e secondo le garanzie di legge qualora si fosse stati accusati di un delitto […]. Ma sotto la pressione di pratiche diffuse in tutto il mondo, il termine ha assunto un significato più umile. Al momento human rights si riferisce agli standard di trattamento che ci attendiamo di ricevere dal nostro oppressore dopo che egli ci abbia privato di tutti i nostri diritti […] il diritto a non essere torturati, mutilati, ridotti in schiavitù o messi a morte senza processo».
Edgar L. Doctorow,Onvell’s 1984, in Id., Jack London, Hemingway, and the Constitution. Selected essays, 1977-1992, Random House, New York 1993, p. 65. Cfr. Anche Richard Alexander Bauman, Human Rights in Ancient Rome, Routledge, London 2000.
Il nostro mondo è meccanocentrico. La macchina è la nostra fede, è il totem della nostra èra. Anormale e violenta è la vita fisica dell’uomo moderno. Ma più ci interessa la sua rovina mentale. Crisi, in tutti i campi, della persona umana, crisi tremenda come non si era mai verificata nella storia.
La Germania è stata la prima a slanciarsi sulla china della svalutazione completa della vita umana: fino a qual punto e con quali mezzi, tutti lo sappiamo. Ma la bomba atomica, che ha annientato in un momento migliaia e migliaia di «unità umane», persone, è un’invenzione dell’altro campo.
Chiaro è il nostro dovere. Noi dobbiamo tenere vigile la nostra angoscia, unica lampada rimasta accesa nelle nostre tenebre. Rifiutare l’acquiescenza, denunziare lo squilibrio che si nasconde sotto ogni equilibrio insano. Chiunque sente gridare dentro di sé una coscienza umana violentata, deve esternare, forte, questo grido.
Il mondo dominato dall’idea di Dio
Vi sono state epoche in cui l’uomo, nella sua vita individuale e collettiva, era dominato dall’idea di Dio. Tutto ciò che faceva e subiva era interpretato religiosamente. Le sue azioni erano considerate in base alla conformità a principi superiori. Le trasgressioni, quando accadevano, erano sempre sentite come tali: l’uomo peccava allora ad occhi aperti, responsabilmente, conservando con ciò una sorta di ribelle grandezza, o riscattandosi in parte nel metafisico strazio del rimorso di cui si investiva nell’atto stesso di peccare. Il peccatore sapeva volere e soffrire il suo peccato come il santo voleva e – diversamente – soffriva la sua santità. Il peccatore ed il santo, agli antipodi nella situazione morale si sentivano giudicati da una stessa legge, e ad essa cercavano, con la stessa spontaneità, riferimento, per «fare il punto» del loro itinerario spirituale. Liberi gli individui di deviare a Est o a Ovest, la società era concorde nel riconoscere un unico Nord. E questo Nord era Dio.
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L’uomo guidato dalla coscienza di se stesso
In altre epoche l’uomo si è fatto guidare dalla coscienza di se stesso. Dalla coscienza della bellezza e dignità del proprio corpo e della propria anima, dell’importanza e della perfezione dell’uno e dell’altra. Sono le epoche che chiamiamo antropocentriche. Nelle altre, che chiamiamo teocentriche, l’uomo considera specialmente il fatto di trovarsi sul più basso gradino del mondo invisibile, e volge lo sguardo verso il sommo della scala dove stanno i poteri superiori. Nelle epoche antropocentriche l’uomo si interessa soprattutto al fatto che questo limite inferiore dell’invisibile costituisce insieme il limite superiore del visibile e perciò da esso si rivolge indietro, a mirare il mondo della natura di cui si sente giustamente il vertice, e tende ad affermare in esso la sua signoria.
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Epoche teocentriche ed epoche antropocentriche
Ogni epoca civile è teocentrica o antropocentrica. La società ideale dovrebbe essere l’uno e l’altro insieme e nello stesso grado: i due aspetti dell’uomo – inferiorità al soprannaturale, superiorità alla natura – ungualmente sentiti e ugualmente tenuti presenti nella speculazione come nell’azione. Tale sarebbe la vera società cristiana: teocentrismo e antropocentrismo insieme: poiché Cristo è Dio e Uomo.
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La nostra società non è teocentrica né antropocentrica
La nostra società non è teocentrica né antropocentrica. Tanto meno è cristiana, poiché il Cristianesimo esige tutti e due quegli elementi e noi non ne possediamo più neanche uno. Tanto meno è civile, se diamo ancora alla parola civiltà un contenuto positivo, e non ci rassegnamo ad umiliarla nella triste, derisoria inflazione che hanno già subíto altre grandi parole come libertà e giustizia.
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Gli antichi agivano in nome di Dio e in nome dell’uomo
Gli antichi oscillarono fra i valori divini e i valori umani, ora mettendo più forte l’accento sui primi, ora sui secondi. Ma noi abbiamo soppresso gli uni e gli altri. È in questo che consiste l’essenza mostruosa del mondo contemporaneo, la nostra orrenda novità. Poiché veramente nella nostra storia non si può parlare, nemmeno in senso lato, di ricorsi. Non c’è avvenimento passato che possa orientarci per scoprire la nostra probabile destinazione. Siamo in un mondo del tutto disancorato, di fronte ad una eaperienza ignota e imprevedibile, essendo le sue premesse, le sue condizioni stesse, assolutamente inedite,inedito il principio che ci governa ed al quale noi obbediamo.
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Il nostro mondo è meccanocentrico
Gli antichi agivano in nome di un Dio o in nome dell’uomo. Ma ad informare le nostre azioni c’è solo un principio meccanico che si contrappone ugualmente a Dio e all’uomo. Il nostro mondo è meccanocentrico. La macchina si è interposta tra noi e Dio, sostitutendo alle leggi divine, naturali e rivelate, le proprie leggi, basate solo sui concetti di materia, quantità e movimento. La macchina s’è interposta fra noi e la natura, falsando e deformando il suo volto ai nostri occhi, togliendoci familiarità con esso, rendendocelo incomprensibile. L’uomo moderno non si considera più l’anello di congiunzione tra il visibile e l’invisibile: è l’esecutore di leggi meccaniche in un mondo meccanico. La macchina non solo è il suo strumento ma è il suo modello e il suo fine. La vita umana tende sempre più a diventare, sul piano intellettivo come su quello pratico, nell’ambito dell’individuo come nell’ambito dello Stato, una perfetta imitazione della macchina. La macchina è la nostra fede, è il totem della nostra èra. Non siamo ormai lontani dal «Brave New Word» di Huxley!
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Il nostro corpo è minacciato quanto la nostra anima
Materialismo, senza dubbio, ma bisogna precisare di che specie di materialismo si tratta. La degradazione è più grande di quanto quel termine stesso faccia supporre. «Materialismo» può infatti far pensare che la nostra epoca veda lo sfogo spontaneo dell’animalità dell’uomo, l’esaltazione del suo corpo, come presso le tribù primitive. Ma le cose stanno per noi molto peggio. Stanno tanto peggio che un semplice materialismo alla maniera maori o malgascia rappresenterebbe, nella nostra situazione, un enorme miglioramento, forse un principio di salvezza. I feticci dei maori e dei malgasci sono più benigni dei nostri. Nella vita di quei popoli, cacciatori, pescatori o pastori, è almeno valorizzato il corpo, ed il corpo è l’uomo, anche se non è tutto l’uomo. Ma il nostro materialismo nega e distrugge anche il nostro corpo. La decadenza fisica dovuta al ritmo della vita moderna (quel ritmo che è determinato appunto dal progresso meccanico) e alle condizioni sempre più innaturali che formano l’ambiente dell’uomo, non è che troppo evidente. Si ricordi l’analisi che ne faceva, e i gridi di allarme che lanciava, già molti anni or sono, Alexis Carrell. Il nostro corpo è minacciato quanto la nostra anima, la sua resistenza è continuamente diminuita dagli attacchi ora subdoli ora violenti che ci vengono dall’esterno, subisce scosse e ferite profonde che non compensano, a cui anzi per negatività si sommano, le eccitazioni brutali che d’altro canto ci vengono offerte. Esclusi dalla civiltà come siamo, non abbiamo neanche i benefici fisici della barbarie. E la differenza fra la nostra e la barbarie primitiva sta proprio in questo: la nostra è una barbarie che non fa nemmeno bene alla salute.
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Anormale e violenta è la vita fisica dell’uomo moderno
Anormale e violenta è la vita fisica dell’uomo moderno. Ma più ci interessa la sua rovina mentale. Siamo in un tempo in cui il pensiero è un atto di coraggio e di ribellione. Non intendo parlare delle particolari coercizioni in cui ci siamo di recente trovati, né di determinate forme di pensiero a cui quelle coercizioni si applicavano e nuove coercizioni potrebbero applicarsi e si applicheranno. Tutto ciò è grave, ma più grave forse è la constatazione che la tendenza stessa, generale, del nostro tempo, l’oscura sotterranea corrente che lo pervade ed alla cui superficie galleggiano poi i vari fatti politici, va contro il Pensiero: non questo o quel pensiero, ma il Pensiero in se stesso, come attività. Se gli organi del pensiero fossero stati davvero acquistati dall’uomo durante un’evoluzione, verrebbe fatto di credere che egli subisca ora una nuova evoluzione per riperderli. Si pensi alla percentuale di umanità che nelle fabbriche – questi santuari del dio moderno – passa la vita nella ripetizione di un gesto meccanico, come alzare e abbassare una leva, o incastrare identiche ruote in identici ingranaggi; si pensi al numero parimenti infinito delle persone che negli organismi burocratici (dove il meccanicismo non è minore per il fatto di essere immateriale) lavorano asceticamente al proprio rincretinimento. Si può dire che due terzi delle azioni a cui l’uomo è attualmente costretto per procurarsi da vivere sono – considerate immediatamente e intrinsecamente – assurde: atte a paralizzare lo sviluppo della sua stessa personalità, spesso a disgregarla completamente.
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Crisi, in tutti i campi, della persona umana, crisi tremenda come non si era mai verificata nella storia
Lo sterminio perpetrato dalla Germania e la bomba atomica dell’altro campo
Crisi, in tutti i campi, della persona umana, crisi tremenda come non si era mai verificata nella storia. È questo il punto centrale intorno al quale gravitano tutti i mali del nostro tempo. Il meccanicismo pratico tende a fare dell’uomo una macchina, o un pezzo, un accessorio di macchina. Non diversamente agiscono i meccanicismi ideologici. Ho detto sopra che alle leggi religiose si sono sostituite leggi fondate esclusivamente sulla materia, la quantità e il movimento. La catastrofe mondiale di cui siamo stati attori e spettatori può illuminarci meglio di qualsiasi cosa sulla portata e le conseguenze di questa concezione. Abbiamo veduto masse di uomini e di armi lanciate contro altre masse di uomini e di armi come se in realtà non vi fosse nessuna differenza fra gli elementi animati e quelli inanimati, come se un individuo non fosse che un’arma meno efficace in se stessa ma necessaria per azionare le altre. E sarebbero avvenuti bombardamenti terroristici, sarebbero state distrutte tante città se a un agglomerato di persone fosse stata riconosciuta un’importanza superiore a quella di un agglomerato di macchine o di un deposito di carburante? La Germania, la nazione provocatrice, è stata la prima a slanciarsi sulla china della svalutazione completa della vita umana: fino a qual punto e con quali mezzi, tutti lo sappiamo. Ma la bomba atomica, che ha annientato in un momento migliaia e migliaia di «unità umane» che, malgrado la loro nazionalità e il loro colore noi ci ostiniamo a chiamare persone, è un’invenzione dell’altro campo. E dopo questo ci domandiamo se lo spirito che urgeva sconfiggere sia stato realmente sconfitto, o se piuttosto, alzatosi, come da un piedistallo, dalla Germania, non vada ora battendo le ali per tutto il mondo.
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Numero contro numero
«Io non ti odio, non ti conosco nemmeno, ma ti uccido perché tu sei parte di un insieme che si trova in urto con l’insieme di cui faccio parte io». Così sono stati compiuti la maggior parte dei delitti della guerra e dei partiti. Non il colpo diretto dell’uomo contro l’uomo. Ma numero contro numero, elemento di una serie contro elemento di un’altra serie, astrazione contro astrazione. In una sorta di innocenza bruta. Poiché la personalità umana è talmente disgregata che anche il peccato attuale – fino alla forma atroce dell’omicidio – sembra aver perduto i suoi caratteri distintivi, esser divenuto qualcosa di informe, di anonimo, di collettivo, di passivo. Avremo mai un ritorno – nella realtà, non a parole – a princípii di individualità e di responsabilità? Intanto, grazie ai princípii contrari, il sangue umano è stato versato con l’indifferenza di un lubrificante. Il sangue che renderà per noi o contro di noi una così arcana testimonianza! Poiché tre rendono testimonianza sulla terra: lo spirito, l’acqua e il sangue.
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Qualche sorso dell’acqua del Lete sarebbe certo la cura più efficace per l’umanità
Non sappiamo, abbiamo detto, dove il mondo moderno si avvii. Non ci preme neanche saperlo. Non ci preme indagare. È abbastanza, per noi, sapere cosa abbiamo perduto: abbiamo perduto Dio e l’uomo. Un’altra cosa importante sappiamo: che per ritrovarli non si può semplicemente rifare all’indietro i passi che abbiamo fatto in avanti (e che chiamiamo progresso, rallegrandoci al suono della parola come se ogni progresso fosse un bene, anche il progresso di un’infezione fosse un bene). Qualche sorso d’acqua del Lete sarebbe certo la cura più efficace per l’umanità. Ma è altrettanto certo che l’umanità non si sottoporrà mai a qusta cura, e continuerà invece a mordere fino al torsolo il frutto dell’albero della scienza. A quanto abbiamo perduto bisogna dunque tornare per altra strada, attualmente ignota. Chiaro, tuttavia, fin che essa si sveli, è il nostro dovere. Noi dobbiamo tenere vigile la nostra angoscia, unica lampada rimasta accesa nelle nostre tenebre; rifiutare l’acquiescenza, denunziare lo squilibrio che si nasconde sotto ogni equilibrio insano.
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Rifiutare l’acquiescenza, denunziare lo squilibrio che si nasconde sotto ogni equilibrio insano Di fronte alla Verità occorre gridare dal profondo
Chiunque sente gridare dentro di sé una coscienza umana violentata, deve esternare, forte, questo grido. Forse giungerà ad altri e sveglierà in essi l’identico disagio. E quando la coscienza di essere uomini, con tutto ciò che questa parola significa, dalla creta al suggello divino, e di esserci offesi e traditi da noi stessi, sarà diventata universale, sarà già cominciata la nostra lenta resurrezione. Ma anche se il nostro grido fosse destinato a morire senza echi, noi dobbiamo ugualmente innalzarlo – perché sia stato innalzato, perché di fronte alla Verità qualcuno abbia gridato dal profondo. E in questo senso avrà peso, non sarà perduto, anche se fossimo perduti noi e ormai incapaci di operare altro che la nostra condanna – e solo per forza o per sorpresa Dio potesse ricondurci, secondo i suoi occulti disegni, a qualcuna delle realtà che ci sono patria.
Margherita Guidacci, Il nostro mondo, in «Rassegna», a. I, n. 5, settembre 1945, pp. 40-44.
Per tutto il tempo in cui rimasi in compagnia delle Sibille, le sentii sempre come delle presenze oggettive; erano per me delle persone reali, in carne ed ossa. Naturalmente, sono completamente disposta ad ammettere che esse non erano che delle proiezioni del mio inconscio. […] Come poeta, poco m’importa di obbedire a impulsi razionali o irrazionali – e meno che mai di compilarne un catalogo – purché essi siano vitali e si traducano in un’opera. È il poiein, il fare che interessa al poeta e non il sottile scandaglio sul come o il perché del poiein. Razionale o irrazionale, ciò che l’aiuta ad ottenere un risultato è sempre il benvenuto. Se l’inconscio mi ha aiutata a scrivere le Sibille, io gli sono grata: ha dimostrato di possedere immaginazione, memoria e passione. Spero bene che vorrà darmene altre prove in futuro. Che lo faccia lui o la parte razionale del mio essere, certamente non sarà in ogni caso nelle forme già sperimentate: se contassi sul loro ripetersi, mi sbaglierei totalmente. Gli esseri umani, e soprattutto gli artisti, possono sempre riservare nuove sorprese.
In questo senso, ancora oggi, mi apro fiduciosa al futuro.
Margherita Guidacci
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Cominciando dalla fine
di Ilaria Rabatti
L’incontro con un libro racchiude sempre una storia. Ripubblicare oggi Sibille, dopo trent’anni dalla loro prima uscita in volume presso Garzanti nel 1989, è per me come chiudere un cerchio. Alle Sibille sono infatti profondamente legata perché quelle poesie – le ultime pubblicate dalla poetessa ancora in vita – sono state anche le prime che ho letto di Margherita Guidacci. Ho conosciuto infatti la sua poesia cominciando dalla fine, risalendo solo successivamente alla sorgente limpida della sua prima raccolta, La sabbia e l’Angelo, accorgendomi così, man mano che andavo avanti nella lettura, di quanto quella voce, profonda e potente nella sua apparente semplicità, dentro le parole mi parlasse.
Alla fine dei miei studi universitari a Firenze, nel 1996, io non sapevo nulla di Margherita Guidacci. Sapevo solo che quello era il titolo della mia tesi di laurea in letteratura italiana moderna e contemporanea, assegnatomi da Maura Del Serra dopo la bocciatura della mia prima scelta, Alda Merini, per cui nutrivo allora una specie d’incantata venerazione. Ricordo che dopo il colloquio con la mia professoressa, uscii dal dipartimento di italianistica un po’ disorientata, con in testa il nome di Margherita a caratteri cubitali, il suo volto sconosciuto e il buio immenso intorno. Tuffarsi subito nella lettura, pensavo, mi avrebbe aiutato a fare luce ed allora, ingenuamente, mi venne l’immediato impulso di avviarmi dritta e veloce in libreria. Allora, ripeto, ingenuamente, pensavo che la letteratura fosse custodita anche nelle librerie. Andai alla Marzocco in via Martelli, che, proprio davanti al mio liceo, era stata il luogo magico di tante scoperte bellissime, sicura di trovarvi quello che cercavo. Restai malissimo quando mi resi conto che sugli scaffali di Guidacci non c’era proprio nulla. Per fortuna da Marzocco vi lavorava Carlo Manzini, un fine e introverso libraio, che aveva conosciuto bene Margherita (così mi raccontò lui stesso) e che, proprio in virtù di quell’antica amicizia e, forse, del mio sguardo smarrito, mi prese in simpatia, e si dette un gran daffare per aiutarmi. Successe, come sempre succede, l’imprevedibile, ma per me fu un “segno”. Manzini, cercando bene in un angolo poco accessibile del negozio riuscì a scovare una copia “dimenticata” dell’unico libro di Margherita ancora in commercio, Il buio e lo splendore, appunto. Ho letto d’un fiato quelle pagine, senza neanche aspettare di arrivare a casa, appoggiata ad uno scaffale della libreria, cominciando, senza saperlo, tra apprendistato e iniziazione, uno dei viaggi più importanti della mia vita. Rubando a Paolo Nori un’immagine bellissima, potrei dire infatti che in quel momento, se fossi stata attenta, avrei sentito il rumore degli scambi del treno della mia vita che si spostavano, che portavano tutto in un’altra direzione.
Da allora non ho più dimenticato quella lettura che mi ha fatto scoprire la bellezza e la paura di lasciarsi andare, permettendo alla vita di farsi strada. E tutto quello che ho fatto e letto dopo, misteriosamente, s’è incamminato in quella direzione, illuminandola. Non ho dimenticato neppure quella libreria – diventata, ahimè, oggi un lussuoso negozio di prelibatezze gastronomiche – e quell’amico libraio sempre vivi e fantastici nel ricordo.
Ricongiunta in un anello di tempo e di nostalgia (1989-2019), affido dunque la voce “rivelata” delle Sibille a nuovi lettori, immaginando che, nonostante il rumore di fondo che abita i nostri giorni, essa conservi ancora intatta la forza di farsi ascoltare, ognuno ritrovandovi dentro, insieme al respiro, anche solo una piccolissima scheggia del proprio itinerario di libertà.
Indice
Sibyllae / Ellespontica / Cimmeria / Samia / Libica / Frigia / Persica / Eritrea / Tiburtina / Cumana I / Cumana II / / / Cumana III / Cumana IV / Cumana V / Delfica I / Delfica II / Delfica III
La scuola facile non libera, ipostatizza il presente, necrotizza la prassi e la trasformazione. La scuola difficileeduca alla domanda. La scuola facile non permette al pensiero di configurarsi, ma lo destruttura in chiacchiera. La scuola dell’impegno è la scuola che forma alla costanza, ai tempi del concetto. Non vi è sapere critico se non nella gradualità dell’apprendimento dei contenuti. Il sapere critico deve conoscere la temporalità distesa e densa di contenuti Nell’antiumanesimo programmato il fine è cancellare ogni disponibilità all’umana comprensione.
Populismo pedagogico Il populismo pedagogico è il volto operativo della cattiva politica. Per populismo pedagogico si intende l’esemplificazione fine a se stessa: il semplicismo privo di concetto. In nome dell’esemplificazione si educa alla formazione del suddito, si forgiano le catene dorate dell’ignoranza con la pedagogia del disimpegno, della promozione sociale con contenuti minimi. Ma ciò che maggiormente rende nefasta tale struttura operativa è la formazione di caratteri dalla fragile resistenza alla frustrazione, pronti a rinunciare, a demordere, a svicolare dalle difficoltà. Si rafforza solo l’atomismo narcisistico da cui il mercato attingerà per promuovere i consumi. La comunità è dissolta nell’individualismo. Le azioni pedagogiche personalizzate – in nome della cosiddetta inclusione – sono finalizzate ad assottigliare, fino a divenire programmi e contenuti inconsistenti. In tal modo si ottiene il successo formativo da utilizzare nella campagna acquisti alunni della scuola azienda: la deprivazione culturale è presentata come un’eccellenza della didattica. Tutto dev’essere liscio quanto il desktop di uno smartphone:
«La vera contrapposizione è oggi tra “saperi difficili” e “saperi facili” o, meglio, saperi apparenti, fatti di scorciatoie, semplificazioni, impoverimenti linguistici ed argomentativi, saperi di superficie, saperi di formule. Questa è la vera alternativa per una scuola del futuro, una scuola che insegni a padroneggiare realmente Internet, non solo a saper battere i tasti e a essere schiavi di tutto ciò che passa per questa via».[1]
Il sapere apparente diventa parte fondante dell’industria del falso e del dominio globale. Il populismo pedagogico ha inventato «il docente facilitatore dell’apprendimento». Ovvero, il docente deve essere il regista silenzioso dell’apprendimento, non più educatore, non più punto di riferimento per i contenuti, ma solo un mediatore del lavoro dei discenti, i quali indirettamente stabiliscono contenuti, obiettivi, competenze che naturalmente sono minimi, semplici. Si vuol indurre, così, la percezione che l’alunno sia autonomo. In verità l’insegnante ha abdicato al suo ruolo, mentre l’alunno è abbandonato al suo destino: il mercato. Si omologa verso il basso, si forma alla mediocrità e si rappresentano – nella narrazione pedagogica – le catene dell’ignoranza come successo formativo. L’esemplificazione degrada ogni gerarchia del sapere: non vi è più altezza, ma solo la bassezza. La mediocrità è il fine ultimo dell’organizzazione globale e finanziaria.
Scuola senza concetto
Il numero sempre più vicino allo zero di bocciature e di “debiti” è utilizzato per dimostrare che l’istituzione risponde prontamente ai bisogni-desideri del cliente. “Il cliente ha sempre ragione”! Pertanto, dinanzi ad una difficoltà, alla minima frustrazione, dev’essere immediatamente soddisfatto con la pedagogia del pronto intervento, del successo immediato, della rimozione della difficoltà. Populismo pedagogico, dunque, in cui si ostenta – con linguaggio orwelliano – di essere dalla parte dell’alunno, delle famiglie, della comunità. In verità si risponde al bisogno del mercato che desidera soggetti fragili, «liquidi», sempre pronti all’uso, semianalfabeti senza consapevolezza di sé, pronti a dire sempre di “sì”, in quanto la loro esperienza formativa non è passata per il concetto, per la contraddizione, per la conoscenza di sé, per l’urto formativo. Senza contenuti e chiarezza di sé, la persona è solo un ente-atomo esposto alle tempeste dell’economia. La complessità, la scuola difficile, la scuola dell’impegno, è la scuola che forma alla costanza, ai tempi del concetto, i quali si formano sedimentandosi mediante configurazioni che permettono – nel tempo, appunto – l’atto creativo. Non vi è creazione, non vi è sapere critico se non nella gradualità dell’apprendimento dei contenuti. La tecnocrazia è il regno del saper fare tecnologico senza il saper fare.
A scuola di uomini “di fatto“ Il sapere critico deve conoscere la temporalità distesa e densa di contenuti da riordinare nel tempo. Alla scuola critica è succeduta la scuola delle competenze, ovvero l’alunno deve operare in modo flessibile con il minimo, deve mostrare di essere l’imprenditore del suo sapere. Ogni valenza etica è neutralizzata. La competenza – con i suoi saperi ossificati – è solo preparazione al mercato, adattamento ai desideri del mercato globale che esige e prescrive tecnici che debbono operare su dati di fatto e dunque l’ordine del mercato è formare uomini “di fatto” come direbbe Husserl:
«Attuando questo mutamento ci renderemo conto ben presto che alla problematicità che è propria della psicologia, non soltanto ai giorni nostri ma da secoli, – alla “crisi” che le è peculiare – occorre riconoscere un significato centrale; essa rivela le enigmatiche e a prima vista inestricabili oscurità delle scienze moderne, persino di quelle matematiche, essa rivela un enigma del mondo di un genere che era completamente estraneo alle epoche passate. Tutti questi enigmi riconducono all’enigma della soggettività e sono quindi inseparabilmente connessi all’enigma della tematica e del metodo della psicologia. Tutto ciò non costituisce che una prima indicazione del senso profondo di ciò che queste conferenze si propongono.
Adottiamo come punto di partenza il rivolgimento, avvenuto allo scadere del secolo scorso, nella valutazione generale delle scienze. Esso non investe la loro scientificità bensì ciò che esse, le scienze in generale, hanno significato e possono significare per l’esistenza umana. L’esclusività con cui, nella seconda metà del XIX secolo, la visione del mondo complessiva dell’uomo moderno accettò di venir determinata dalle scienze positive e con cui si lasciò abbagliare dalla “prosperity” che ne derivava, significò un allontanamento da quei problemi che sono decisivi per un’umanità autentica».[2]
Gli esseri umani “fatti” di soli fatti sono il pericolo globale che Husserl ha profetizzato con la forza visionaria del concetto. Ogni senso del bene e del male è smarrito, il “particulare” diventa la legge a cui obbedire. Ecco le personalità flessibili per un mondo destrutturato: ed in questo mondo non vi è la totalità-verità, ma solo l’economicismo individualista manovrato dalla finanza. Le istituzioni scolastiche sono nel pieno del nichilismo, lo attuano, lo accolgono, lo esaltano: ed il male si radica e si diffonde.
I resistenti vivono la notte del mondo. Resistenti non sono solo i professori, ma anche dirigenti scolastici ed alunni che difendono la passione per l’umano, per i quali ancora risuona il detto di Terenzio nella commedia Heautontimorùmenos:[3] «Homo sum, humani nihil a me alienum puto» ( Niente che è umano mi è estraneo).
Antiumanesimo programmato Il fine dell’esemplificazione è cancellare ogni disponibilità all’umana comprensione, la quale esige non solo un’indole dotata di sensibilità, ma la formazione alla complessità-difficoltà, perché conoscere se stessi non solo è difficile, ma anche complesso. La riflessione su se stessi non può che avvenire nell’accogliere la presenza del prossimo, nell’imparare a riconoscere nell’altro se stessi, ma anche ad intuirne le differenze, ad avere il senso della misura, senza il quale non vi è conoscenza dell’altro. Tutto questo crolla in nome dell’uomo imprenditore che percepisce la presenza dell’altro solo come mezzo per un facile arricchimento, spesso illusorio, in un mondo di stranieri, in cui si estranei a se stessi ed ogni prassi è negata. La scuola diviene formazione alla caverna collettiva. Carnefici e vittime si accalcano per essere competenti e competitori delle televendite con un inglese schiacciato sull’empirico, con un italiano umiliato dall’inglesizzazione e accettato come normale mutazione della lingua. Si smantellano le culture nazionali, si osanna la nuova nonlingua utilizzandola in ogni contesto. La caverna platonica avanza fino a diventare gabbia d’acciaio, nella quale le vittime perpetuano il sistema, amplificandone gli effetti: notoriamente i servi sono più realisti del re.
Formazione alla complessità-difficoltà La scuola che forma è difficile, esige impegno da parte della collettività tutta: dirigenti, docenti, genitori, alunni. Ed è naturalmente comunitaria. Deve accettare il conflitto come occasione per chiarire finalità e modalità operative, rammentando che i valori di fondo devono essere vissuti nell’attività educativa con gli opportuni interventi. La scuola facile non libera, ma chiude nella caverna, ipostatizza il presente, e necrotizza la prassi, la trasformazione: gli esseri umani sono così enti e non punti ottici in cui risplende la verità. Vorrei ricordare le parole di Gianni Rodari (rapidamente dimenticato dalla scuola primaria, in nome del coding e delle tecnologie), in Parole per giocare esprime – con la semplicità del vero pensatore e del vero educatore – l’importanza del fare cose difficili:
«È difficile fare le cose difficili: parlare al sordo, mostrare la rosa al cieco. Bambini, imparate a fare le cose difficili: dare la mano al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi».
La scuola difficile, e del complesso, deve educare alla domanda. Ma senza formazione al concetto, al linguaggio complesso, all’ordine logico che le discipline devono insegnare, le domande che naturali scaturiscono da ogni essere umano sono monche, e dunque non colgono la profondità del problema. La scuola difficile è scuola dove si impara a fare domande con parole precise e con logica chiarezza, a confrontarsi dialetticamente, a disporsi verso la verità. La scuola facile, con i contenuti veloci e poveri, non permette al pensiero di configurarsi, ma lo destruttura in chiacchiera, in pseudo-concetto illogicamente espresso, e dunque il punto ottico diventa opaco, incapace di trasmettere messaggi: la povertà culturale diventa sistematica. Senza la capacità di porre le domande con parole precise, di ritornare fenomenologicamente alle cose stesse non vi è pensiero, ma solo calcolo. Si finisce, così, per porre domande in modo sbagliato, ed il soggetto si isola dal mondo, perché le domande profonde sono ponti che uniscono, mentre le domande mal dette e di superficie frammentano. Rodari ancora una volta chiarifica l’importanza del saper porre le domande:
«Tante domande C’era una volta un bambino che faceva tante domande, e questo non è certamente un male, anzi è un bene. Ma alle domande di quel bambino era difficile dare risposta. Per esempio, egli domandava: – Perché i cassetti hanno i tavoli? La gente lo guardava, e magari rispondeva: – I cassetti servono per metterci le posate. – Lo so a che cosa servono i cassetti, ma non so perché i cassetti hanno i tavoli. La gente crollava il capo e tirava via. Un’altra volta lui domandava: – Perché le code hanno i pesci? Oppure: – Perché i baffi hanno i gatti? La gente crollava il capo e se ne andava per i fatti suoi. Il bambino, crescendo non cessava mai di fare domande. Anche quando diventò un uomo andava intorno a chiedere questo e quello. Siccome nessuno gli rispondeva, si ritirò in una casetta in cima a una montagna e tutto il tempo pensava delle domande e le scriveva in un quaderno, poi ci rifletteva per trovare la risposta, ma non la trovava. Per esempio scriveva: “Perché l’ombra ha un pino?”. “Perché le nuvole non scrivono lettere?”. “Perché i francobolli non bevono birra?”. A scrivere tante domande gli veniva il mal di testa, ma lui non ci badava. Gli venne anche la barba, ma lui non se la tagliò. Anzi si domandava: “Perché la barba ha la faccia?”. Insomma era un fenomeno. Quando morì, uno studioso fece delle indagini e scoprì che quel tale fin da piccolo si era abituato a mettere le calze a rovescio e non era mai riuscito una volta a infilarsele dalla parte giusta, e così non aveva mai potuto imparare a fare le domande giuste. A tanta gente succede come a lui».[4]
Democrazia e formazione La democrazia rischia di morire nel ridicolo dell’ignoranza, nell’arroganza dei piccoli leader abituati a non ricevere domande che smascherano, ma solo elogi che sono in realtà lamenti funebri per la democrazia. La democrazia esige formazione difficile senza complicare inutilmente i concetti, vuole che si rispettino responsabilmente i ruoli, senza autoritarismo, ma per servizio. Se invece i ruoli vengono trascesi in nome di un’uguaglianza ideologica, si vuole solo legittimare l’ignoranza organizzata e finalizzata ed il privilegio. Platone, nel libro ottavo della Repubblica, ha ben descritto la fine della democrazia nell’anarchia dei ruoli, e su di essa dovremmo riflettere. I classici sono eterni, perché hanno concettualizzato l’umano:
«In un ambiente siffatto, in cui il maestro teme ed adula gli scolari e gli scolari non tengono in alcun conto i maestri; in cui tutto si mescola e si confonde; in cui chi comanda finge, per comandare sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga, per sfruttarli, tutti i vizi; in cui i rapporti tra gli uni e gli altri sono regolati soltanto dalle reciproche convenienze nelle reciproche tolleranze; in cui la demagogia dell’uguaglianza rende impraticabile qualsiasi selezione, ed anzi costringe tutti a misurare il passo delle gambe su chi le ha più corte; in cui l’unico rimedio contro il favoritismo consiste nella molteplicità e moltiplicazione dei favori; in cui tutto è concesso a tutti in modo che tutti ne diventino complici; in un ambiente siffatto, quando raggiunge il culmine dell’anarchia e nessuno è più sicuro di nulla e nessuno è più padrone di qualcosa perché tutti lo sono, anche del suo letto e della sua madia a parità di diritti con lui e i rifiuti si ammonticchiano per le strade perché nessuno può comandare a nessuno di sgombrarli; in un ambiente siffatto, dico, pensi tu che il cittadino accorrerebbe a difendere la libertà, quella libertà, dal pericolo dell’autoritarismo?».[5]
La formazione in pericolo è l’altro volto della democrazia minacciata; la partecipazione alla vita comunitaria è materialmente possibile solo in presenza di una comunità capace di praticare la cittadinanza mediante il concetto, ed educata a confrontarsi con i concetti per crearli e ricrearli nel pensiero consapevole, nell’attività pensante.
«Bisogna aprire i chiostri della verità», come direbbe Giordano Bruno. Non vi è democrazia senza domanda di verità che rompe i chiavistelli dei pregiudizi e dell’individualismo. Il futuro della democrazia si gioca nella scuola.
La domanda a cui ciascun educatore e cittadino dovrebbe rispondere, in primis, è se vuole formare sudditi o cittadini.
Salvatore Bravo
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[1] Giuseppe Cambiano, Sette ragioni per amare la filosofia, il Mulino, Bologna 2019, p. 153.
[2] Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano 1983, p. 34.
[3] In greco: Ἑαυτὸν τιμωρούμενος, Il punitore di sé stesso.
[4] Gianni Rodari, Favole al telefono. 1993, Edizioni EL, S. Dorligo della Valle (Trieste), pp. 92-93.
Negli uomini la serenità dell’animo nasce dalla misura imposta al piacere e dalla armonia di vita. Al contrario, l’eccesso e il difetto amano la instabilità e portano grandi sconvolgimenti nell’animo. Le anime sconvolte dall’alterno signoreggiare di condizioni fra loro decisamente contrarie non sono in grado di essere in equilibrio né ben disposte […]. È dunque bene non volere ottenere qualsiasi cosa, ma tranquillizzare l’animo facendosi bastare ciò che è necessario […]».
Francesco Fronterotta, dal 1 novembre 2001 ricercatore in Storia della Filosofia antica, dal 1 maggio 2005 professore associato della stessa disciplina presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Lecce; dal 27 dicembre 2012 presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Roma-Sapienza. Dopo l’esame di maturità classica (1989) e l’ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa, Francesco Fronterotta vi ha frequentato il Corso ordinario (Laurea) e il Corso di perfezionamento (Dottorato di ricerca), quest’ultimo in cotutela con l’EHESS di Parigi. Nel 1998-99 è stato borsista dell’Istituto italiano per gli studi storici di Napoli. Ha trascorso numerosi soggiorni di studio all’estero, particolarmente a Parigi, per circa otto anni, a Londra e Cambridge e presso diverse Università tedesche (Berlino, Weimar e Monaco). Ha svolto attività di insegnamento a contratto presso l’École normale supérieure de Fontenay-St. Cloud (Parigi, 1996-1998), presso la Scuola Normale di Pisa (1999-2001) e presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Nel contesto della sua attività didattica, è stato relatore di circa 120 tesi di laurea e di laurea magistrale; ed è stato o è tutor di dieci dottorandi di ricerca. Nel febbraio 2014 ha ottenuto l’Abilitazione scientifica nazionale di prima fascia per il settore concorsuale 11/C5 – Storia della filosofia. Ha partecipato a numerosi convegni nazionali e internazionali, tenuto lezioni e conferenze in Università italiane ed estere ed è stato Visiting Professor presso l’Université de Paris X – Nanterre negli a.a. 2005-2006, 2006-2007, 2007-2008; presso la Sichuan University (Cina) nel luglio 2015; presso l’Université de Paris 1 – Panthéon Sorbonne nel novembre 2015. Ha fondato nel 2001, con i proff. L. Brisson e J.-F. Pradeau, la Société d’études platoniciennes e la rivista internazionale Les Etudes platoniciennes. È membro europeo dell’Executive Committee dell’International Plato Society (per il sessennio 2013-2019) e cura per la rivista on line della stessa, dal titolo Plato Journal (http://www.nd.edu/~plato/), la sezione critico-bibliografica relativa al tema “Ontologia, logica e filosofia del linguaggio”; è membro fondatore e presidente della Sezione Mediterranea dell’International Plato Society; è stato primo presidente (Erster Vorsitzender) dell’Academia platonica septima Monasteriensis e.V., fondata nel 1999 da Matthias Baltes (per il biennio 2013-2015); è membro dell’International Society of Neoplatonic Studies; è membro del Consiglio direttivo della Società italiana di storia della filosofia antica (dal 2012) e membro del Comitato direttivo della Collana Studi di Storia della filosofia antica della SISFA (Società italiana di Storia della filosofia antica) presso le Edizioni di Storia e Letteratura (Roma); è Permanent Fellow della Archai Unesco Chair (Brasilia) e membro del relativo Board of Visiting Scholars; è membro del Comitato strategico della Scuola di Studi Superiori in Filosofia dell’Università di Roma Tor Vergata; è membro dell’Advisory Board del progetto ERC (Starting grants 2017) Proteus. Paradoxes and Metaphors of Time in Early Universe(s), Panel SH5; è Direttore scientifico (insieme con il prof. Gennaro Sasso) del Corso di Alta Formazione in Filosofia, filologia e archivi, Fondazione G. Gentile per gli studi filosofici – Sapienza Università di Roma.
Guida alla lettura del «Parmenide» di Platone, Laterza, 1998
Che rapporto c’è tra l’idea di «uomo» e ciascuno di noi? Come è possibile un punto di contatto tra un’idea, universale ed eterna, e Luigi o Francesca, singoli, concreti e mortali? Fronterotta introduce a uno dei più sottili dialoghi platonici, in sui si esamina a fondo la problematica sopra accennata.
Methexis. La teoria platonica delle idee e la partecipazione delle cose empiriche.
Dai dialoghi giovanili al Parmenide
Scuola Normale Superiore, Pisa 2001
Lire Platon
Con Luc Brisson Puf, 2006
Rédigé par des spécialistes internationaux, cet ouvrage veut donner au lecteur de Platon les moyens de mieux comprendre les principaux enseignements de son œuvre et la manière dont le philosophe athénien avait choisi de rendre raison dela réalité. Les chapitres successifs de l’ouvrage examinent chacun des principaux aspects de l’œuvre de Platon, de manière à en proposer une introduction. Ils s’efforcent de présenter les dialogues dans leur contexte historique athénien, et de montrer comment Platon y invente ce savoir et ce mode de vie que l’on nommera à sa suite ” philosophie “.
Eidos-Idea
Platone, Aristotele e la tradizione platonica Edited by Francesco Fronterotta and Walter Leszl, 2011
La dottrina delle idee ha rappresentato un oggetto privilegiato di analisi per numerose generazioni di autorevoli interpreti, da un punto di vista storico, filologico, filosofico e scientifico. Tuttavia, una pur rapida consultazione della vastissima bibliografia platonica dell’ultimo cinquantennio mostra sufficientemente come l’interesse critico ed esegetico intorno a questo nucleo teorico della riflessione di Platone si sia rivolto per lo più all’indagine di problemi specifici o di singoli aspetti dell’opera del filosofo ateniese, perdendo talvolta di vista l’orizzonte concettuale e lo sfondo filosofico entro il quale bisogna collocare il suo pensiero. Ora, questo volume intende invece concentrare l’attenzione sulla nozione e sul concetto di eidos nella filosofia di Platone e nel dibattito che le dottrine platoniche hanno suscitato nella tradizione posteriore, a partire dalla prima Accademia e da Aristotele, fino a giungere a tracciare un quadro schematico e sintetico delle principali correnti “platonizzanti” del pensiero antico. Attraverso un confronto a più voci che si è andato via via costruendo nel corso di successivi seminari e incontri di studio, si è pensato di fornire così una raccolta miscellanea capace di “fare il punto” intorno al dibattito critico e agli studi più recenti su questo tema cruciale.
Introduzione, W.L. & F.F.
La teoria platonica delle idee
Baltes-M.L. Lakmann, Idea (dottrina delle idee)
Brisson, Come rendere conto della partecipazione del sensibile all’intellegibile in Platone?
Leszl, Ragioni per postulare le idee
J.-F. Pradeau, Le forme e le realt.. intellegibili: l’uso platonico del termine eidos
Sillitti, L’idea del bene tra geometria e dialettica nei libri VI e VII della Repubblica platonica
Centrone, L’eidos come holon in Platone e i suoi riflessi in Aristotele
O’Brien, La forma del non essere nel Sofista di Platone
Il dibattito sulle idee fra l’Accademia antica e Aristotele
Isnardi-Parente, Il dibattito sugli eide nell’Accademia antica
Fronterotta, Natura e statuto dell’eidos: Platone, Aristotele e la tradizione platonica
Mariani, Aristotele e il “terzo uomo”
Cerami, La sostanza sensibile e la nozione di TODE TOIONDE in Metafisica VII 8
Il dibattito sulle idee nella tradizione platonica
Ferrari, Idea ed eidos nel medioplatonismo
Linguiti, Dottrina delle idee nel neoplatonismo
Bibliografia
Eraclito, Frammenti. Testo greco a fronte
Rizzoli, 2013
Filosofo del negativo e della contraddizione, padre di una fisica e di una cosmologia protoscientifiche fondate sul divenire e sul movimento, Eraclito oppone resistenza a qualunque riduzione interpretativa che tenti di definirne i tratti dottrinari. La sua proverbiale oscurità e lo stile enigmatico e sentenzioso hanno stimolato fin dall’antichità innumerevoli interpretazioni, e lo stato frammentario della sua opera costituisce un’autentica sfida per le operazioni esegetiche dei moderni. Questa edizione è una disposizione tematica dei frammenti e restituisce dunque una sistematizzazione plausibile della riflessione eraclitea, mentre il commento permette di collocare il pensatore ionico nel suo contesto storico e filosofico.
La collana è espressione della SISFA (Società italiana di Storia della Filosofia Antica). Si propone di raccogliere, in primo luogo, gli studi italiani in questo ambito e inoltre importanti contributi alla ricerca sul pensiero antico provenienti dall’estero. Vuole rappresentare la voce della nostra ricerca sul pensiero antico nel mondo e dialogare in modo fecondo con le altre tradizioni critiche ed esegetiche. Il primo volume è dedicato al pensiero aristotelico.
Dai presocratici a Platone. Cinque studi
Con Francesca Masi, Storia e Letteratura, 2018
Nuovo volume della collana dedicata alla storia della filosofia antica, questi studi intendono affrontare aspetti specifici della dottrina dei presocratici mettendola in relazione col pensiero di Socrate e l’influenza che essa ebbe nello sviluppo delle correnti filosofiche successive.
Due immagini di Platone in età contemporanea. Il Neo-kantismo, Martin Heidegger
Con Massimo Luigi Bianchi, Mimesis, 2018
Due immagini di Platone, due modi differenti di rendere la sua filosofia: da un lato il punto di vista dei filosofi neo-kantiani della scuola di Marburgo, dall’altro quello di Martin Heidegger. Quanto dissimili sono i rispettivi orizzonti di pensiero, altrettanto lo è il terreno su cui nei due campi avviene la ripresa. Vi è un tratto, però, che accomuna le due riletture: in ambedue i casi a Platone non è rivolto uno sguardo neutrale ma la sua filosofia si vede restituita come attraverso due diverse rifrazioni prismatiche: quella dell’idealismo trascendentale kantiano da parte dei filosofi di Marburgo, quella della sua propria filosofia da parte di Heidegger.
Lire Platon
Con Luc Brissom
Puf, 2019
Comment Platon invente-t-il ce savoir et ce mode de vie que l’on nommera à sa suite ” philosophie ” ? Quels sont les traits distinctifs de la pensée platonicienne ? Comment la tradition platonicienne s’est-elle développée et quels en sont les principaux enseignements ? Chez Platon, la philosophie est le principe de l’amélioration de l’individu et de la cité. C’est en accordant une place primordiale à l’âme et au savoir fondé sur l’intelligible que l’homme sera capable de penser, de parler et d’agir. A travers les contributions originales de spécialistes internationaux, cet ouvrage donne au lecteur les moyens de saisir clairement les grandes lignes de la pensée du philosophe athénien. Les chapitres successifs examinent chacun des aspects essentiels de son oeuvre, en présentant les dialogues dans leur contexte historique et en proposant de nombreuses références bibliographiques, nécessaires à l’approfondissement des éléments présentés dans cette introduction.
Un nuovo libro su Spinoza, autore su cui si è già scritto moltissimo, richiede sin dall’inizio alcune precisazioni. Innanzitutto, come si evince dal titolo, questo libro non è la ennesima guida monografica al pensiero spinoziano, anche in quanto ne esistono già di ottime. Si tratta di un testo su una sola parte della sua opera, ovvero sulla sua relazione con la filosofia greca classica. Il libro inoltre, più che la vastità dei rimandi storici e bibliografici, ricercherà la essenzialità teoretica. Ogni capitolo riguarderà in effetti un tema specifico, che sarà prima chiarito nei suoi termini generali, e poi elaborato con riferimento al contempo alla filosofia greca ed al pensiero di Spinoza, per mostrarne continuità e discontinuità. Preciso infine che non si tratta di un libro scritto da uno studioso di Spinoza che ne ricerca il rapporto con la filosofia greca classica, ma da uno studioso della filosofia greca classica che ritiene, su alcuni punti fondamentali, che essa sia dotata di verità, e che la rivede in parte all’opera, in forme mutate, negli scritti del filosofo olandese. Questo libro si giustifica dunque, a mio avviso, per due motivi. Il primo motivo è che, su questo specifico tema, la letteratura è relativamente scarsa. Sembrerebbe quasi doversene dedurre che Platone e Aristotele –a differenza di altri pensatori greci, in primis materialisti e stoici – non abbiano particolarmente influenzato il pensiero di Spinoza.[1] Cercherò dimostrare, nel libro, che questa opinione non è corretta. La ragione principale per cui gli studi contemporanei, che pure sono sempre più abbondanti, hanno trascurato questo tema, è dovuta a mio avviso al fatto che le citazioni esplicite di Platone e di Aristotele, nell’opera di Spinoza, sono effettivamente poche, e per di più critiche.[2] In un’epoca di lessici, link, rimandi intertestuali, in cui i libri sono talvolta costruiti affastellando citazioni e commentando bibliografia già esistente, questo esito ermeneutico non stupisce. I giovani ricercatori accademici, a causa dell’approccio iperspecialistico che è stato richiesto loro soprattutto negli ultimi anni, non sono infatti abituati a collegare teoreticamente pensieri sorti in epoche diverse se manca una adeguata base testuale di supporto, ovvero se il pensatore più recente non ha citato esplicitamente quello più antico. Per questo, nella letteratura contemporanea –salvo qualche eccezione, di cui parleremo –, sembra che in essi fra la filosofia greca classica ed il pensiero di Spinoza siano quasi inesistenti, quando in realtà ve ne sono molteplici, sia di continuità che di discontinuità. Il secondo motivo, a mio avviso più importante, che può giustificare l’esistenza di questo libro, è che il pensiero greco classico, così come il pensiero di Spinoza, è un pensiero fondamentale non solo per la comprensione della realtà per come è, ma anche per la comprensione della realtà per come dovrebbe essere. Esso, cioè, è imprescindibile sia per la corretta analisi della situazione presente, sia per una adeguata progettualità. In questo consiste appunto, a mio avviso, l’essenza umanistica del pensiero greco classico, presente implicitamente, come cercherò di dimostrare, nel pensiero di Spinoza Concludo questa introduzione sottolineando come il termine “umanesimo”, riferito al pensiero di Spinoza, possa sicuramente destare qualche perplessità, specie a quella scuola francese (ma che ha esponenti di rilievo anche in Italia, come appunto l’amico Vittorio Morfino, cui questo libro è dedicato) di ispirazione in senso lato marxista che effettivamente, negli studi su Spinoza, ha negli ultimi quaranta anni prodotto i migliori risultati. Nessun “-esimo” o “‐ismo” (umanesimo, materialismo, panteismo, ateismo, ecc.), infatti, può descrivere compiutamente il senso del filosofare spinoziano.[3] Allo stesso modo, l’essenza di tale pensiero non può nemmeno essere svelata da un’opera di mera riconduzione alle fonti – più o meno greche –, data la sua grande originalità teoretica.[4] Proprio in questa originalità teoretica, in questa passione per la verità e per la realtà sta il centro del filosofare spinoziano, in ciò fortemente assimilabile al filosofare di Platone ed Aristotele. Nella interpretazione che ho cercato di elaborare in questi anni del loro pensiero, ritengo in effetti di aver mostrato[5] che il contenuto principale della loro opera è stato l’umanesimo anticrematistico, ovvero la cura dell’uomo rispettosa delcosmo (umanesimo) che necessariamente si oppone a modalità privatistiche e mercificate di vita (crematistica). L’approccio di Spinoza fu in tal senso simile a quello di Platone ed Aristotele, in quanto il suo fine fu il medesimo: favorire, mediante la ricerca della verità – la quale, per quanto unica, si declina in molti modi –la realizzazione di una buona comunità sociale. Tutto questo spiega il titolo del presente volume: L’umanesimo greco classico di Spinoza.
Luca Grecchi
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[1]Giorgio Colli, di Spinoza, scriveva: «Grande personalità morale. Anticristiano. Non ha conosciuto i Greci» (Apollineo e dionisiaco, Adelphi).
[2] Platone ed Aristotele, come mostreremo, ottengono comunque un diverso trattamento nell’opera spinoziana. Come ha rilevato ad esempio P. Martinetti, «Platone non sembra essere stato tra le simpatie di Spinoza […]. Nella sua biblioteca si trova un Aristotele, non un Platone» (Spinoza, Bibliopolis, Napoli,1987, pag.105).
[3] In questo senso, come ha affermato anche P.F. Moreau, «occorre pensare Spinoza in uno spazio teorico del quale egli è forse l’unico rappresentante» (La ragione pensante, Editori Riuniti, Roma, 1998, pag. 8).
[4] Come ha scritto Emilia Giancotti, nessuna ricostruzione delle fonti potrà mai, in sé, «rendere conto della complessità, ricchezza, problematicità di un pensiero, come quello di Spinoza, che è assolutamente originale e i cui caratteri di novità sono così rilevanti da farne un esempio del tutto isolato» (introduzione a B. Spinoza, Ethica, Editori Riuniti, Roma, 1988, pag. 49). Le fonti principali del pensiero di Spinoza colte dagli interpreti sono comunque fin ora state, come mostreremo, il materialismo epicureo, la teologia ebraico-cristiana, il neoplatonismo rinascimentale ed il razionalismo cartesiano.
[5] Rinvio in merito a L. Grecchi, L’umanesimo della antica filosofia greca; L’umanesimo di Platone; L’umanesimo di Aristotele, editi da Petite Plaisance di Pistoia fra il 2007 e il 2008.
Indice del volume
Introduzione
La filosofia grecia Classica Le ragioni di una carenza di analisi Uno sguardo preliminare sulla letteratura
L’umanesimo Chiarimento di un concetto Spinoza e l’umanesimo Tre critiche alla filosofia greca classica? La natura umana in Spinoza Concordanza con la filosofia greca classica L’uomo in Spinoza ed Aristotele Una panoramica sulla letteratura La natura morale dell’uomo in Spinoza L’intreccio fra umano e divino in Spinoza
La verità Verità logico-fenomenologica e verità onto-assiologica Vicinanza di Spinoza alla concezione onto-assiologica classica Definizioni, dimostrazioni e causalità Una panoramica sulla letteratura Luoghi spinoziani della concezione veritativa onto-assiologica Antiscetticismo ed antirelativismo spinoziano
Il bene Le principali remore ad una interpretazione “assiologica” di Spinoza Paralleli con l’etica socratica Una panoramica sulla letteratura Essere e “dover essere” Il ruolo delle passioni Paralleli con l’etica stoica ed ellenistica Paralleli (maggiori) con l’etica aristotelica
La religione e la libertà Spinoza e la religione: un rapporto problematico Filosofia e religione Il divino in Spinoza La libertà in Spinoza
La conoscenza Cenni alla teoria greca classica della conoscenza Paralleli fra Spinoza e la teoria greca classica della conoscenza L’originalità “classica” del processo conoscitivo spinoziano
La sistematicità Un chiarimento sul concetto di “sistema” Paralleli fra Spinoza e la teoria greca classica della sistematicità Quale sistematicità in Spinoza? Spinoza: un sistema non dogmatico
Il fine Un chiarimento sul concetto di “finalismo” Un chiarimento sul finalismo aristotelico Spinoza e il finalismo aristotelico Il principio di causalità in Spinoza Paralleli con Aristotele sulla causalità
La crematistica Continuità di Spinoza con l’anticrematistica greca classica Proprietà privata, mercato, denaro L’etica comunitaria di Spinoza
La politica Il fondamento umanistico della proposta politica spinoziana Il carattere “non antidemocratico” della filosofia politica classica Il carattere democratico della filosofia politica spinoziana La progettualità in Spinoza: una continuità ideale con la filosofia classica La politica comunitaria di Spinoza
Conclusioni
Bibliografia dei testi citati
I suoi libri pubblicati (2002-2019)
«Bisogna difendere nei limiti delle proprie forze coloro che patiscono ingiustizia, e non lasciar correre: giacché un tale atteggiamento è giusto e coraggioso, l’atteggiamento contrario è ingiusto e vile» (Democrito, B261).
L’anima umana come fondamento della verità (2002) delinea, in maniera stilizzata, il sistema metafisico umanistico su cui sono poi strutturati molti suoi libri successivi. La tesi centrale di questo libro è appunto che l’anima umana, intesa come la natura razionale e morale dell’uomo, è il fondamento onto-assiologico della verità dell’essere. Questo sistema costituisce la base per una analisi critica della totalità sociale, e per una progettualità comunitaria finalizzata alla realizzazione di un modo di produzione sociale conforme alle esigenze razionali e morali della natura umana. [ indice – presentazione – sintesi]
Karl Marx nel sentiero della verità (2003) costituisce una interpretazione metafisico-umanistica del pensiero di Marx, che viene analizzato nei suoi nodi essenziali, spesso in aperta critica con la secolare tradizione marxista. Nato originariamente come elaborazione degli studi di economia politica dall’autore compiuti negli anni Novanta del Novecento, il testo assume carattere filosofico-politico. Marx è analizzato come il pensatore moderno che, rifacendosi implicitamente al pensiero greco, realizza la migliore critica al modo di produzione capitalistico, pur non elaborando – per carenza di fondazione filosofica – un adeguato discorso progettuale. [ indice – presentazione – sintesi]
Verità e dialettica. La dialettica di Hegel e la teoria di Marx (2003) costituisce una integrazione del precedente Karl Marx nel sentiero della verità. Il testo effettua una sintesi comparata, appunto, sia della dialettica di Hegel che della teoria di Marx. Pur riconoscendo l’influenza del pensiero di Hegel nelle opere del Marx maturo, l’autore propone la tesi che il pensiero di Marx, strutturatosi nei suoi punti cardinali prima del suo studio attento ed approfondito della Scienza della Logica, sia nella sua essenza non dialettico (in senso hegeliano). Una versione sintetica di questo libro è stata pubblicata sulla rivista Il Protagora nel 2007. [indice – presentazione]
La verità umana nel pensiero religioso di Sergio Quinzio (2004), con introduzione di Franco Toscani, è una sintesi monografica sul pensiero del grande teologo scomparso nel 1996. Il testo presenta al proprio interno una analisi del pensiero ebraico e cristiano, unita ad una rilettura umanistica del testo biblico. Il tema centrale è quello della morte, e della speranza nella resurrezione su cui Quinzio ripetutamente riflette, e che vede continuamente delusa. Al di là dei riferimenti religiosi, la riflessione del teologo si presta ad una profonda considerazione sulla fragilità della vita umana. [indice – presentazione]
Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino (2005), con introduzione di Alberto Giovanni Biuso, è una sintesi monografica sul pensiero del grande filosofo italiano. Il testo presenta al proprio interno una analisi critica del nucleo essenziale della ontologia di Severino e delle sue analisi storico-filosofiche e politiche. Esiste uno scambio di lettere fra Severino e Grecchi in cui il filosofo bresciano mostra la sua netta contrarietà alla interpretazione ricevuta. Il testo, tuttavia, è segnalato nella Enciclopedia filosofica Bompiani come uno dei libri di riferimento per la interpretazione del pensiero severiniano. [indice – presentazione]
Il necessario fondamento umanistico della metafisica (2005) è un breve saggio in cui, prendendo come riferimento la metafisica classica (ed in particolare le posizioni di Carmelo Vigna), l’autore critica la centralità dell’approccio logico-fenomenologico rispetto al tema della verità, ritenendo necessario anche l’approccio onto-assiologico. Per Grecchi infatti la verità consiste non solo nella descrizione corretta di come la realtà è, ma anche nella valutazione di come essa – la parte che può modificarsi – deve essere per conformarsi alla natura razionale e morale dell’uomo. Si tratta del primo confronto esplicito fra la proposta di Grecchi della metafisica umanistica e la metafisica classica di matrice aristotelico-tomista. [indice – presentazione]
Filosofia e biografia (2005) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Umberto Galimberti. Nel testo si ripercorre il pensiero galimbertiano nei suoi contenuti essenziali, ma si pone in essere anche una serrata analisi di molti temi filosofici, politici e sociali, in cui spesso emerge una sostanziale differenza di posizioni fra i due autori. Di particolare interesse le pagine dedicate al pensiero simbolico, all’analisi della società, ed alla interpretazione dell’opera di Emanuele Severino. Percorre il testo la tesi per cui la genesi di un pensiero filosofico deve necessariamente essere indagata, per giungere alla piena comprensione dell’opera di un autore. [indice – presentazione]
Il pensiero filosofico di Umberto Galimberti (2005), con introduzione di Carmelo Vigna, è un testo monografico completo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo. Si tratta di un testo in cui Grecchi, sintetizzando la complessa opera di questo autore, prende al contempo posizione non solo nei confronti della medesima, ma anche di filosofi quali Nietzsche, Heidegger, Jaspers, che nel pensiero di Galimberti costituiscono riferimenti imprescindibili. Vigna, nella sua introduzione, ha definito il libro “una ricostruzione seria ed attendibile del pensiero del filosofo” in esame. [indice – presentazione]
Conoscenza della felicità (2005), con introduzione di Mario Vegetti, è uno dei testi principali di Grecchi, in cui l’autore applica il proprio approccio classico umanistico alla attuale totalità sociale, mostrando come essa si ponga in radicale opposizione alle possibilità di felicità degli uomini. L’autore, seguendo la matrice onto-assiologica del pensiero greco, mostra che solo conoscendo che cosa è l’uomo risulta possibile conoscere cosa sia la felicità. Il testo è caratterizzato da una analisi delle strutture della personalità oggi più diffuse, per l’autore “prodotte” dai processi di funzionamento del modo di produzione capitalistico. Scrive Vegetti, nella introduzione, che Grecchi è “pensatore a suo modo classico”, per il suo “andar diritto verso il cuore dei problemi”. [indice – presentazione]
Marx e gli antichi Greci (2006) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Costanzo Preve. Nel testo viene effettuata una analisi non tanto filologica, quanto ermeneutica e teoretica dei rapporti del pensiero di Marx col pensiero greco. I due autori, concordando su molti punti, colmano così in parte una lacuna della pubblicistica su questo tema, che risulta essere stato nel tempo assai poco indagato. Di particolare interesse l’analisi effettuata dai due autori di quale potrebbe essere, sulla base insieme del pensiero dei Greci e di Marx, il miglior modo di produzione sociale alternativo rispetto a quello attuale. [indice – presentazione ]
Vivere o morire. Dialogo sul senso dell’esistenza fra Platone e Nietzsche (2006), con introduzione di Enrico Berti, è un saggio composto ponendo in ideale dialogo Platone e Nietzsche su importanti temi filosofici, politico e morali: l’amore, la morte, la metafisica, la vita ed altro ancora. Scrive Berti, nella sua introduzione, che, come accadeva nel genere letterario antico dell’invenzione, Grecchi non nasconde lo scopo “politico” della sua opera, la quale “risulta essere innanzitutto un documento significativo di amore per la filosofia e di vitalità di quest’ultima, in un momento in cui l’epoca della filosofia sembrava conclusa”.
Il filosofo e la politica. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la vita politica (2006) è una ricostruzione del pensiero filosofico-politico di Platone effettuata in un continuo confronto con le vicende della attualità. In questo libro Grecchi pone esplicitamente Platone, sul piano politico, come proprio pensatore di riferimento. Il filosofo ateniese infatti, a suo avviso, pur scrivendo molti secoli or sono, rimane tuttora colui che ha offerto le migliori analisi, e le migliori soluzioni, per pensare una migliore totalità sociale, ossia un ambiente comunitario adatto alla buona vita dell’uomo
La filosofia politica di Eschilo. Il pensiero “filosofico-politico” del più grande tragediografo greco (2007) costituisce una interpretazione, in chiave appunto filosofico-politica, dell’opera di Eschilo. Lo scopo principale di questo libro è quello di “scorporare” Eschilo dallo specialismo degli studi poetico-letterari, per inserirlo – come si dovrebbe fare per tutti i tragici greci – nell’ambito del pensiero filosofico-politico. Nel testo viene presa in carico l’analisi precedentemente svolta da Emanuele Severino ne Il giogo (1988), ritenendone validi molti aspetti ma giungendo, alla fine, a conclusioni opposte circa il presunto “nichilismo” di Eschilo.
Il presente della filosofia italiana (2007) è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i più importanti filosofi italiani contemporanei pubblicati dopo il 2000. Gli autori analizzati vengono ripartiti in quattro categorie: 1) pensatori “ermeneutici-simbolici” (Sini, Vattimo, Cacciari, Natoli); 2) pensatori “scientifici-razionalisti” (Tarca, Antiseri, Giorello); 3) pensatori “marxisti-radicali” (Preve, Losurdo); 4) pensatori “metafisici-teologici” (Reale). Il testo è arricchito da due appendici e da una ampia postfazione di Costanzo Preve. In questi testi Grecchi oppone criticamente, ai vari approcci, il proprio discorso metafisico-umanistico. [indice – presentazione ]
Corrispondenze di metafisica umanistica (2007) è una raccolta di testi in cui sono contenuti scambi epistolari, nonché risposte di Grecchi ad introduzioni e recensioni di suoi libri. [indice – presentazionesintesi ]
L’umanesimo della antica filosofia greca (2007) è il primo libro in cui Grecchi effettua la propria interpretazione complessiva della Grecità. Partendo da Omero, e giungendo fino al pensiero ellenistico, l’autore mostra come non la natura, né il divino, né l’essere furono i temi centrali del pensiero greco, bensì l’uomo, soprattutto nella sua dimensione razionale e morale. [indice – presentazione ]
L’umanesimo di Platone (2007) è un testo monografico sul pensiero di Platone. Ponendo in essere una analisi delle principali interpretazioni finora effettuate del pensiero platonico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Platone la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la rilevanza della posizione anti-crematistica. [indice – presentazione ]
L’umanesimo di Aristotele (2008) è un testo monografico sul pensiero di Aristotele. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse tematiche del pensiero aristotelico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Aristotele – così come in Platone, ma in forma differente – la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la rilevanza della posizione anti-crematistica. [indice – presentazione ]
Chi fu il primo filosofo? E dunque: cos’è la filosofia? (2008), con introduzione di Giovanni Casertano, è un libro suddiviso in due parti. Nella prima parte, prendendo come riferimento alcuni fra i principali manuali di storia della filosofia italiani, Grecchi mostra come essi spesso non definiscano l’oggetto del loro studio, ossia la filosofia, dichiarandola talvolta addirittura indefinibile. L’autore, invece, offre in questo libro la propria definizione di filosofia come caratterizzata da due contenuti imprescindibili: a) l’essere ricerca, il più possibile fondata ed argomentata, della verità dell’intero; b) l’assumere come riferimento, insieme descrittivo e valutativo (la filosofia si occupa non solo della verità, ma anche del bene), l’Uomo. Nella seconda parte l’autore esamina dieci possibilità alternative su “chi fu il primo filosofo”, giungendo a concludere che, pur all’interno del contesto comunitario della riflessione greca, il candidato più accreditato risulta per vari motivi essere Socrate.
Socrate. Discorso su Le Nuvole di Aristofane (2008) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore Guida, di un discorso da Socrate ad Atene l’indomani della rappresentazione della famosa commedia di Aristofane. Si tratta, come è nello stile della collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e spiritosa, in cui Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria interpretazione, insieme umanistica ed anticrematistica, del pensiero socratico. Tale interpretazione risulta convergente con quelle offerte, nella medesima collana, da Mario Vegetti su Platone e da Enrico Berti su Aristotele.
Il filosofo e la vita. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la buona vita (2008), è una raccolta di brevi saggi in cui l’autore, prendendo spunto da alcuni passi del pensiero platonico, e più in generale del pensiero greco classico, affronta sinteticamente alcune tematiche centrali per la vita umana (l’amore, la famiglia, la filosofia, la storia, le leggi, la democrazia, l’educazione, l’università, la mafia, la libertà, ecc.), col consueto approccio attualizzante, ovvero facendo interagire – nel rispetto del contesto storico-sociale dell’epoca in cui tale pensiero nacque – il pensiero platonico col nostro tempo. Il libro è arricchito da un lungo saggio finale di Costanzo Preve, intitolato “Luca Grecchi interprete dei filosofi classici Greci” (con risposta), in c ui il filosofo torinese sintetizza le posizioni dell’autore. [indice – presentazione ]
Occidente: radici, essenza, futuro (2009), con introduzione di Diego Fusaro, è un testo in cui l’autore analizza il concetto di Occidente e le sue tradizioni culturali costitutive, sempre in base al proprio sistema metafisico-umanistico. Analizzando le radici greche, ebraiche, cristiane, romane e moderne, ma soprattutto l’attuale contesto storico-sociale, Grecchi coglie nella prevaricazione derivante dalla smodata ricerca crematistica l’essenza dell’Occidente, ed individua per lo stesso un futuro cupo. Il testo è arricchito dal dialogo con Fusaro, alla cui introduzione Grecchi risponde in una appendice finale.
L’umanesimo della antica filosofia cinese (2009) costituisce il primo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale (l’unica nel nostro paese effettuata da un solo autore). Il libro parte dalla constatazione che la cultura orientale risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. In base tuttavia alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero cinese risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia cinese, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero cinese. [indice – presentazione ]
L’umanesimo della antica filosofia indiana (2009) costituisce il secondo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che la cultura orientale risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. In base tuttavia alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero indiano risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia indiana, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero indiano. [indice – presentazione ]
L’umanesimo della antica filosofia islamica (2009) costituisce il terzo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che la filosofia orientale risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. In base tuttavia alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero islamico risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia islamica, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero islamico. [indice – presentazione ]
A partire dai filosofi antichi (2009), con introduzione di Carmelo Vigna, è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Enrico Berti. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, apportando interpretazioni originali non soltanto dei principali filosofi antichi, ma anche di quelli moderni e contemporanei. Non mancano inoltre considerazioni su temi di attualità, nonché su temi di interesse generale, quali l’educazione, la scuola e la politica. Scrive Vigna, nella introduzione, che “questo testo è tra le cose più interessanti che si possano leggere oggi nel panorama della filosofia italiana”.
L’umanesimo di Plotino (2010) è un libro in cui l’autore cerca di colmare la distanza storico-culturale fra il periodo classico ed il periodo ellenistico e postellenistico. Il testo si divide in due parti. Nella prima, considerando che ogni pensiero filosofico deve essere inserito all’interno del proprio contesto storico-sociale (anche in quanto è all’interno del medesimo che esso “produce” le proprie categorie), l’autore realizza una analisi del modo di produzione sociale greco e di quello ellenistico, per tracciare alcune differenze importanti fra l’epoca classica e l’epoca ellenistica/postellenistica. Nella seconda parte, che è la più ampia, è invece analizzato, in base alle dieci tematiche ritenute centrali, il pensiero di Plotino. [indice – presentazione ]
La filosofia della storia nella Grecia classica (2010) è il testo ermeneutico forse più originale di Grecchi. Alla cultura greca si attribuisce infatti, solitamente, la nascita di pressoché tutte le discipline filosofiche, ad eccezione della filosofia della storia, tuttora ritenuta di genesi moderna. Analizzando l’opera di storici, letterati e filosofi dell’epoca preclassica e classica, l’autore mostra invece le radici antiche anche di questo campo di studi, contribuendo ad un chiarimento teoretico della disciplina stessa. [indice – presentazione ]
Perché non possiamo non dirci Greci (2010) è un libro in cui l’autore sintetizza, in termini divulgativi, le proprie posizioni generali sui Greci. Il testo prende spunto dalla rilettura, in controluce, del classico di Benedetto Croce intitolato Perché non possiamo non dirci cristiani, per mostrare non solo come le radici greche siano almeno altrettanto importanti di quelle cristiane per la cultura europea, ma soprattutto che una loro ripresa sarebbe fortemente auspicabile. Il testo è completato da una ampia appendice inedita che costituisce una analisi critica del pensiero ellenistico (in rapporto a quello classico) incentrata sulle opere di Epicuro e di Luciano di Samosata. [indice – presentazione ]
Sulla verità e sul bene (2011), con introduzione di Enrico Berti e postfazione di Costanzo Preve, è un libro-dialogo con uno dei maggiori filosofi italiani, Carmelo Vigna. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, insieme agli importanti temi teoretici ed etici che danno il titolo al volume. Scrive Berti, nella introduzione, che si tratta di “una serie di discussioni oltremodo interessanti tra due filosofi che sono divisi da due diverse, anzi opposte, concezioni della metafisica, ma sono accomunati dalla considerazione per la filosofia classica e soprattutto da un grande amore per la filosofia in sé stessa”. [indice – presentazione ]
Gli stranieri nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore, prendendo distanza dalle interpretazioni tradizionali, mostra come, sin dall’epoca omerica, gli antichi Greci furono aperti all’ospitalità verso gli stranieri. Preceduto da una analisi anti-ideologica delle categorie di “razza”, “etnia”, “multiculturalismo” ed altre, Grecchi rimarca come sia stato centrale, nel pensiero greco classico, il concetto di “natura umana”. Esso possiede basi teoretiche salde ed una costante presenza nella riflessione greca, che l’autore appunto caratterizza come “umanistica”. [indice – presentazione]
Diritto e proprietà nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore prende in carico i temi poco indagati del diritto e della proprietà nella antica Grecia. Si tratta di temi molto importanti per comprendere il contesto storico-sociale in cui nacque la cultura greca, e che pertanto non possono essere ignorati da chi studia la filosofia di questo periodo. Il testo sviluppa inoltre un confronto con il diritto romano – che si rivela assai meno comunitario di quello greco – e con il nostro tempo, per mostrare come la cultura greca possieda, anche sul piano giuridico, contenuti che sarebbero tuttora importanti da applicare. [indice – presentazione ]
Confucio. Sulla buona vita, sul buon governo e su me stesso (2011) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore Guida, di alcuni discorsi tenuti dall’antico pensatore cinese. Si tratta, come è nello stile della collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e spiritosa, in cui Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria interpretazione, insieme umanistica ed anticrematistica, del pensiero di Confucio, già delineata ne L’umanesimo della antica filosofia cinese.
L’umanesimo di Omero (2012) è un libro in cui l’autore effettua una analisi teoretica ed etica del pensiero omerico, inserendo l’antico poeta nel novero del pensiero filosofico, rompendo il tradizionale isolamento nel campo letterario che da secoli caratterizza la sua opera. Grecchi insiste in particolare sul carattere di educazione filosofica dei poemi omerici, mostrando come essi abbozzino temi ontologici e soprattutto assiologici poi elaborati dalla intera riflessione classica. Il testo si caratterizza anche per il continuo aggancio dei miti omerici alla contemporaneità. [indice – presentazione]
L’umanesimo politico dei “Presocratici” (2012) è un libro in cui l’autore, centralizzando il carattere politico-sociale del loro pensiero, prende distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano questi pensatori esclusivamente come “naturalisti”, che li separano in maniera eccessiva sia dalla poesia epica precedente, sia dalla filosofia classica successiva. Risultano centrali, in questa trattazione, le figure anticipatrici di Solone e Clistene, oltre a quelle più consuete di Eraclito, Parmenide e Pitagora. [indice – presentazione]
Il presente della filosofia nel mondo (2012), con postfazione di Giacomo Pezzano, è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i maggiori filosofi contemporanei non italiani (fra gli altri Bauman, Habermas, Hobsbawm, Latouche, Nussbaum, Onfray, Zizek). Nella introduzione si rileva, come caratteristica principale della filosofia del nostro tempo, la presenza in solidarietà antitetico-polare di una corrente scientifico-razionalistica e di una corrente aurorale-simbolica. Esse occupano il centro della scena escludendo dal “campo di gioco” la filosofia onto-assiologica di matrice classica, elaborata oramai, in maniera teoreticamente originale, solo da un numero limitato di studiosi. [indice – presentazione]
Il pensiero filosofico di Enrico Berti (2013), con presentazione di Carmelo Vigna e postfazione di Enrico Berti, è un testo monografico introduttivo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo, uno dei maggiori studiosi mondiali del pensiero di Aristotele. Rapportandosi a tematiche quali l’interpretazione degli antichi, la storia della filosofia, l’educazione, l’etica, la politica, la metafisica, la religione, Grecchi descrive il pensiero dell’autore quasi sempre concordando con lui, tranne che nella opposizione – su cui si sofferma anche Berti nella postfazione – fra metafisica classica e metafisica umanistica. [indice – presentazione]
Il necessario fondamento umanistico del “comunismo” (2013) è un libro scritto a quattro mani con Carmine Fiorillo, in cui gli autori mostrano come la diffusa critica (marxista e non) al modo di produzione capitalistico, priva di una fondata progettualità, risulti largamente insufficiente. Assumendo come base di riferimento il pensiero greco classico (ma anche le componenti umanistiche di altri orizzonti culturali), gli autori mostrano che solo mediante una solida fondazione filosofica è possibile favorire la progettualità di un ideale modo di produzione sociale in cui vivere, che gli autori ancora definiscono – per mancanza di validi termini alternativi, ma differenziandosi fortemente dalla tradizione marxista – “comunismo”. [indice – presentazione]
Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia (2013) è un pamphlet in cui si mostra che le attuali modalità accademiche di insegnamento della filosofia, incentrate sullo specialismo, non ripropongono più il modello greco classico della filosofia come ricerca fondata ed argomentata della verità onto-assiologica dell’intero. L’autore mostra come la causa principale di questa situazione sia attribuibile ai processi socio-culturali del modo di produzione capitalistico. [indice – presentazione]
La musa metafisica. Lettere su filosofia e università (2013), con Giovanni Stelli, costituisce uno scambio epistolare nato dal commento di Stelli al pamphlet Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia. A partire da questo tema lo scambio ha assunto una rilevanza ed una ampiezza tale, estendendosi a contenuti storici, culturali e politici, da renderne di qualche utilità la pubblicazione. [indice – presentazione]
Discorsi di filosofia antica (2014) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sull’uomo nella cultura greca, da Omero all’ellenismo, tenuto dall’autore alla Università degli studi di Milano Bicocca nel 2013. Esso accoglie inoltre i testi di alcune conferenze sul pensiero antico svolte dall’autore nel 2013 e 2014, ed in particolare, in appendice, un saggio inedito sulla alienazione nella antica Grecia. [indice – presentazione]
Omero tra padre e figlia (2014) è un libro-dialogo con Benedetta Grecchi, figlia di 6 anni dell’autore, sulle vicende di Odisseo narrate appunto nella Odissea di Omero. Il testo costituisce – come recita il sottotitolo – una “piccola introduzione alla filosofia”, passando attraverso i contenuti educativi dell’opera omerica già delineati dall’autore nel libro L’umanesimo di Omero. Questo dialogo tra padre e figlia mostra come la filosofia possa passare anche ai bambini evitando, da un lato, di essere ridotta a “gioco logico”, e dal lato opposto di essere presentata come “chiacchiera inconcludente”. [indice – presentazione]
Discorsi sul bene (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sul bene tenuto dall’autore alla Università degli studi di Milano Bicocca nel 2014. In appendice sono aggiunte una intervista filosofica e due relazioni su temi etico-politici. Il testo si rivela importante in quanto, all’interno di un approccio aristotelico – in cui in sostanza il bene è il fine verso cui ogni ente, per natura, tende –, Grecchi indica nel rispetto e nella cura dell’uomo (e del cosmo: gli elementi portanti del suo Umanesimo) i contenuti fondamentali del bene. [indice – presentazione]
Discorsi sulla morte (2016) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni tenuto dall’autore alla Università degli studi di Milano Bicocca nel 2015. L’autore, delineando le principali concezioni della morte presenti nella storia della filosofia, con particolare riferimento agli antichi Greci ed a Giacomo Leopardi, mostra come la rimozione di questo tema costituisca una delle principali concause di alcune psicopatologie del nostro tempo. [indice – presentazione]
L’umanesimo della cultura medievale (2016) è un libro che raccoglie i contenuti umanistici del pensiero medievale. Rispetto alle interpretazioni tradizionali, ancora caratterizzate da una descrizione del Medioevo come età oscura, questo testo mostra il carattere umanistico in particolare della Scolastica aristotelica. Rispetto ai consueti autori di riferimento della tradizione cristiana, ossia Agostino e Tommaso, particolare importanza è attribuita in questo volume a due autori del XIII secolo solitamente poco considerati, Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia, nonché alle ripetute condanne ecclesiastico-accademiche dell’Aristotelismo che ebbero il loro momento culminante nel 1277.
L’umanesimo della cultura rinascimentale (2016) è un libro che pone in essere una critica costruttiva della tradizionale interpretazione umanistica del pensiero rinascimentale del XIV e XV secolo. Rispetto, infatti, alla vulgata comune, che ritiene centrale in questo periodo la riscoperta filologica ed ermeneutica dei testi di Platone e di altri autori antichi, Grecchi reputa centrale in esso la filocrematistica, e dunque la rottura – operata da modalità sociali sempre più privatistiche e mercificate, cui la cultura dell’epoca si adeguò – del legame sociale comunitario proprio dell’epoca medievale. Il Rinascimento costituì dunque la prima apertura culturale verso la modernità capitalistica.
Compendio di metafisica umanistica (2017) è un libro che espone in sintesi la struttura onto-assiologica della verità dell’essere per come in vari luoghi delineata dall’autore col nome di “metafisica umanistica”. Il testo fornisce alcuni capisaldi del futuro Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere (cui l’autore sta lavorando dal 2003), distinguendo le nozioni di Cominciamento, Principio e Fondamento, nonché elaborando la tematica dell’essere e della sua sistematicità. Il volume si sofferma anche sulla tematica del trascendente, e sul nesso descrittivo-normativo necessario alla progettualità sociale. [indice – presentazione]
Natura (2018) è un libro che si colloca nella collana Questioni di filosofia antica della casa editrice Unicopli. Il testo analizza in maniera specialistica oltre dieci secoli di riflessioni del pensiero antico sulla natura, da Omero a Plotino. Trattandosi di un tema vastissimo, i riferimenti sono di tipo sia filosofico, sia scientifico, sia letterario. Il tema riveste particolare importanza in quanto gli antichi, per primi, compresero che ogni mancanza di rispetto e di cura nei confronti della natura – attività che solo l’uomo, fra gli enti naturali, è in grado di porre in essere – costituisce una mancanza di rispetto e di cura nei confronti della vita tutta
Scritti brevi su politica, scuola e società (2019) costituisce una raccolta di articoli pubblicati dall’autore negli anni 2015 e 2016 su vari quotidiani, settimanali e riviste su tematiche di particolare attualità. Il filo conduttore di questi scritti è costituito da una critica progettuale al nostro tempo alla luce del pensiero greco classico, soprattutto di Aristotele. Per l’importanza delle tematiche trattate, e per l’approccio classico utilizzato, si tratta di riflessioni che forniscono un orientamento in grado di trascendere l’orizzonte del momento storico in cui sono state effettuate. [indice – presentazione]
Uomo (2019) è un libro che si colloca nella collana Questioni di filosofia antica della casa editrice Unicopli. Il testo analizza in maniera specialistica oltre dieci secoli di riflessioni del pensiero antico sull’uomo, da Omero a Plotino. Trattandosi di un tema vastissimo, i riferimenti sono di tipo sia filosofico, sia scientifico, sia letterario. Il tema riveste particolare importanza in quanto gli antichi, per primi, compresero la centralità dell’uomo nella natura, ovvero il suo essere il solo ente in grado di fornire un senso ed un valore alla realtà, nonché di avere rispetto e cura della realtà stessa .
L’umanesimo greco classico di Spinoza (2019) costituisce una analisi della filosofia di Spinoza alla luce del pensiero greco classico. Nonostante il filosofo olandese citi pochissimo Platone ed Aristotele, Grecchi mostra come forti siano i legami coi due più grandi pensatori antichi. Le tematiche esaminate sono alcune fra le principali del pensiero filosofico, quali la verità, il bene, la conoscenza, la sistematicità, la religione, la libertà, la crematistica, la politica. Frequenti sono anche i riferimenti ed i paralleli con il nostro tempo.
Curatele
È veramente noiosa la storia della filosofia antica? (2008, con Diego Fusaro), con scritti di E. Berti, G. Casertano, D. Fusaro, G. Girgenti, L. Grecchi, C. Preve e M. Vegetti .
Sistema e sistematicità in Aristotele (2016), con scritti di C. Baracchi, E. Berti, B. Botter, M. Cosci, S. Fazzo, A. Fermani, G.R. Giardina, L. Grecchi, C. Vigna, M. Zanatta. [indice – presentazione – sintesi].
Immanenza e trascendenza in Aristotele (2017), con scritti di G. Abbate, C. Baracchi, E. Berti, B. Botter, M. Cosci, A. D’Atri, A. Falcon, A. Fermani, L. Grecchi, A. Jori, D. Quarantotto, M. Ugaglia, C. Vigna, M. Zanatta. [indice – presentazione – sintesi ]
Teoria e prassi in Aristotele (2018), con scritti di C. Baracchi, E. Berti, A. Fermani, S. Gastaldi, L. Grecchi, S. Gullino, A. Jori, G. Lucchetta, L. Palpacelli, L. Ruggiu, M. Vegetti, C. Vigna, M. Zanatta. [indice – presentazione – sintesi ]
Noi, siamo soggetti linguistici ed è attraverso il filtro del linguaggio, con tutte le sue categorie, che incontriamo il mondo. Come dice Rilke, noi siamo di casa in un mondo interpretato, il quale non ci è dato nella dimensione dell’Aperto, cioè dell’essere tutt’uno con le cose d’intorno […]. In questo incontro linguisticamente condizionato col mondo a prevalere nella nostra cultura, oltre alla chiacchiera del discorrere indifferente, è il linguaggio scientifico e tecnico. […] Ma a giocare un ruolo importante oggi è anche il linguaggio dei media, che prefigurano la natura entro precise ideologie […]. Filtrare la relazione col mondo circostante attraverso questi codici significa rendere impraticabile un incontro originario con le cose. Di fatto si finisce con l’incontrare niente altro che gli scenari previsti dall’ordine del già detto. Tornare alle cose stesse, suggeriva Husserl, verso un mondo esperito nel suo disvelarsi originariamente offerente. Però, dal momento che non ci è data la possibilità di un’esperienza che non sia mediata linguisticamente, in cui si verifichi un vissuto semplicemente immediato con le cose, il principio dell’andare alle cose stesse, qui inteso come il ritrovare un rapporto originario col mondo della materia vivente, non va concepito come uno svincolarsi da ogni filtro linguistico, quanto invece come un mettere in parentesi tutti quei linguaggi che prefigurano in modo riduttivo l’esperienza vissuta, così da trovare quell’orizzonte simbolico che meglio si presta a dare voce con pienezza all’esperire del soggetto percepente. […] Quando si cerca un incontro con le cose che si mantenga svincolato dalle categorie in uso che precodificano il senso dell’esperienza, anestetizzando la possibilità di un apporto soggettivo, si scopre che il mondo non è un oggetto altro da sé, che per rendersi presente alla coscienza ha bisogno di essere sottoposto a una lettura geometrico-matematica, ma è un orizzonte vivo che sta in relazione con noi, un orizzonte che si rende presente attraverso la vita sensoriale, un tessuto sensibile che alimenta emozioni e sentimenti, quelli che spesso, nell’atmosfera razionalizzante e scientista che pervade il nostro tempo, non trovano adeguati spazi di dicibilità, se non nellinguaggio poetico. […] La fiducia in sé, nella propria capacità di nominare fedelmente e con essenzialità la propria esperienza, per dare voce alla sua singolarità e differenza, non è qualcosa che si trasmette tecnicamente, ma è un modo d’essere che l’educatore riesce a coltivare solo facendosi di questo testimone vivente. Sta al docente mostrare di aver fiducia nella possibilità di trovare la parola fedele al proprio vissuto; questo accade quando ha vissuto a sua volta una formazione orientata in questa direzione, una formazione in cui è stato chiamato non a ripetere (pensiero ricognitivo) percorsi discorsivi già tracciati, ma a sperimentare la ricerca della parola inedita (pensiero generativo), quella che più si sente capace di dire quel preciso vissuto coscienziale. È quindi un docente che non solo ha vissuto una molteplicità di esperienze, ma di queste ha imparato a mettere in questione il processo di donazione di senso, traendosi fuori dagli automatismi abitudinari e da lì cercare i modi per dar forma a un ‘esplicazione quanto più possibile originale. […] La parola che mira ad andare alle cose stesse è una parola essenziale che, sapendo per esperienza l’irriducibile eccedenza del vissuto rispetto alle potenzialità del linguaggio, sa di non dover occupare tutto lo spazio del dicibile. Deve lasciare vuoti, conservare fessure di silenzio, così come fa lo schizzo sul foglio, quello schizzo che delle cose delinea i tratti essenziali, lasciando spazi silenziosi che custodiscono la possibilità di un dire ulteriore. [..] Vivere è imparare a nascere, continuare a nascere, elaborando momento per momento i propri vissuti. Si tratta di fare propria la fatica, cognitiva ed emotiva insieme, di trovare i modi della propria originale trascendenza, sciogliendo i vincoli di appartenenza a orizzonti simbolici predefiniti per aprire la mente a nuovi vocabolari, nuovi modi di descrivere l’esperienza. Il nascere implica il venire meno dell’orizzonte protettivo delle categorie che ordinano il quotidiano per esporsi all’imprevisto che attende un nuovo ordine, altre nuove possibili misure. […] La figura che meglio incarna la pratica fenomenologica è quella dell’esilio, intesa come esperienza di allontanamento dai luoghi conosciuti, dalla tendenza a radicarsi nell’ovvio, nell’atmosfera pacificante di ciò che è accreditato per disegnare nuove possibilità del dire e, quindi, nuove possibilità di agire.
Luigina Mortari, La materia vivente e il pensare sensibile. Per una filosofia ecologista dell’educazione, Mimesis, Milano 2017, pp. 129-134.
Luigina Mortari è professore ordinario di Epistemologia della ricerca qualitativa e Direttore del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli studi di Verona. Le sue ricerche hanno per oggetto la filosofia dell’educazione, la filosofia e la pratica della cura, la definizione teorica e l’implementazione dei processi di ricerca qualitativi, la formazione dei docenti e dei professionisti sociali, educativi e sanitari, e le politiche formative. Nel 2015 ha pubblicato per Raffaello Cortina Filosofia della cura, vincitore del Premio Nazionale di Editoria Universitaria per la sezione Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche. Tra le sue ultime pubblicazioni, La sapienza del cuore (2017).
«Che stirpe d’uomini è questa? O quale mai tanto barbara patria permette questi usi? Ci nega accoglienza alla riva, viene a aggredirci, e ci scaccia dal margine estremo del lido. Se disprezzate il genere umano e le armi mortali, temete almeno gli dèi, memori di giustizia e iniquità».
Virgilio, Eneide, I, 539-43 .
«Perché mai hanno bisogno di aiuto? – si chiedono alcuni. – Hanno i soldi, pagano i trafficanti, non sono indifesi. Perché non vendono i loro cellulari, le loro proprietà? Ci sono persone più bisognose.
Come se in quel viaggio contasse di più restare un giorno a digiuno piuttosto che orientarsi e comunicare con altri che si trovano più a nord – quelli che sanno quali frontiere stanno chiudendo, quelli che possono avvisare dei pericoli –, come se la bussola non fosse ciò di cui si ha più bisogno nel deserto. […] Non si tratta di una crisi nutrizionale in Africa o di una guerra in Medio Oriente, bensì di una crisi dei diritti umani e della dignità. I bisogni erano altri: la comunicazione e l’orientamento erano per tutti i piu urgenti. Se domani bombardassero Barcellona [la città di Morales], l’ultima cosa che lascerei a casa sarebbe il cellulare».
Agus Morales, Non siamo rifugiati. Viaggio in un mondo di esodi, traduz. di Sara Cavarero, Einaudi, Torino 2018, pp. 74, 195.
«Ora, poiché sei giunto nella nostra città e nella nostra terra non ti saranno negate né vesti né nulla di quanto si conviene offrire a un misero supplice. Ti indicherò la città e ti dirò il nome dei suoi abitanti».
Omero, Odissea, VI, 191 ss. Così si rivolge Nausicaa a Odisseo sfinito sulla spiaggia di Scheria, l’isola dei Feaci.
In calce rassegna di Altre letture
Agus Morales segue le orme degli esiliati della terra, dà voce a coloro che sono stati obbligati a fuggire. «La forza di Morales, che fa sua la lezione del miglior Kapuscinski, è di raccontare da vicino la vastità, e la varietà, della galassia di chi si muove per ragioni umanitarie o economiche, un popolo in marcia nei confini dei propri stati o da questi a quelli più vicini, dall’Africa verso l’Europa e dall’America del sud verso quella del nord.» – Angelo Mastrandrea
Viviamo nel momento della storia che presenta il maggior numero di persone sradicate dal proprio Paese. Non è una crisi dell’Europa. È una crisi del mondo. Un mondo di esodi. Viaggia alle origini del conflitto in Siria, Afghanistan, Pakistan, Repubblica Centrafricana e Sudan del Sud. Cammina con i centroamericani che attraversano il Messico e con i congolesi che fuggono dai gruppi armati. Si addentra sulle strade piú pericolose, segue i salvataggi nel Mediterraneo, conosce le umiliazioni che soffrono i rifugiati in Europa. E sbarca presso l’ultima frontiera, la piú dura e la piú difficile da attraversare: l’Occidente. Si è ormai arrivati alla costruzione dell’immagine del rifugiato come il nemico contemporaneo. L’immagine del rifugiato è il volto piú immediato di questo cambiamento storico: il terreno simbolico su cui si discute il nostro futuro in comune. Oggi ci sono decine di milioni di persone che non sono rifugiati perché non diamo loro asilo. Chissà se tutti – anche noi – tra una decina d’anni, non saremo rifugiati.
Agus Morales (Barcellona, 1983) ha dedicato una decina d’anni a raccontare le vittime di guerra e i rifugiati. È stato corrispondente dell’Agenzia EFE nel sud-est asiatico, dove ha trascorso piú di cinque anni tra India e Pakistan. Ha lavorato tre anni con Medici Senza Frontiere seguendo i movimenti delle popolazioni in Africa e in Medio Oriente. Attualmente è reporter freelance e collabora, tra l’altro, con l’edizione spagnola del «New York Times». Ha seguito la morte di Osama Bin Laden, l’epidemia di ebola in Africa occidentale e l’odissea dei migranti nel Mediterraneo. È direttore della rivista di cronaca internazionale «5W» e dottore in Teoria della letteratura e letteratura comparata presso la UAB con una tesi dedicata a Rabindranath Tagore, la sua passione segreta. Per Einaudi ha pubblicato Non siamo rifugiati (2018).
Qui verba Latina fecerunt quique his probe usi sunt, “humanitatem” non id esse voluerunt, quod volgus existimat quodque a Graecis philanthropia dicitur et significat dexteritatem quandam benivolentiamque erga omnis homines promiscam, sed “humanitatem” appellaverunt id propemodum, quod Graeci paideian vocant, nos eruditionem institutionemque in bonas artis dicimus. Quas qui sinceriter cupiunt adpetuntque, hi sunt vel maxime humanissimi. Huius enim scientiae cura et disciplina ex universis animantibus uni homini datast idcircoque “humanitas” appellata est.
Coloro che hanno creato le parole latine e coloro che le hanno usate correttamente, non hanno voluto che humanitas significasse ciò che significa nell’uso comune e che i Greci definiscono col termine philanthropia: ossia una disponibilità e una benevolenza rivolta indiscriminatamente verso tutti gli uomini. Piuttosto hanno usato humanitas nel senso in cui i Greci usano paidéia, ciò che noi definiamo piuttosto erudizione ed educazione nelle arti liberali. Infatti, coloro che con sincerità ambiscono e aspirano ad esse, sono anche di gran lunga i più umani (vel maxime humanissimi), perché la ricerca di queste conoscenze e l’educazione che ne deriva, fra tutti gli esseri animati sono state concesse solo agli uomini. Ecco perché è chiamata humanitas.
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