«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
Benvenuto su Musicherie.com – Corde armoniche di tutte … quasi tutte le marche, corde per violino, corde per viola, per violoncello e contrabbasso, accessori, strumenti musicali. (I marchi sono in ordine “synpathobetico“: ‘A Thomastik, D’Addario, Dogal, Hill, Jargar, Larsen, Lenzner, etc.)
«In principio era previsto che diventassi ingegnere, ma il pensiero di dover spendere la mia energia creativa su cose che rendono ancora più raffinata la vita pratica di ogni giorno, con la deprimente prospettiva di una rendita da capitale come obiettivo, mi era insopportabile. Pensare per il piacere di pensare, come per la musica».
«Il peggior crimine di un regime totalitario è costringere i cittadini, incluse le vittime, a diventare suoi complici […]. L’unico modo di spezzare il cerchio è smettere di ballare con il carceriere».
La migliore letteratura ci costringe sempre a interrogarci su ciò che tenderemmo a dare per scontato e mette in discussione tradizioni, credenze che sembravano incrollabili. Invitai i miei studenti a leggere i testi che avrei loro assegnato soffermandosi sempre a riflettere sul modo in cui li scombussolavano, li turbavano, li costringevano a guardare il mondo, come fa Alice nel paese delle meraviglie, con occhi diversi. (p. 118)
Un grande romanzo acuisce le vostre percezioni, vi fa sentire la complessità della vita e degli individui, e vi difende dall’ipocrita certezza nella validità delle vostre opinioni, nella morale a compartimenti stagni. (p. 160)
Eravamo assetati di bellezza, in qualunque forma, anche quella di un film incomprensibile, ultraintellettuale e astratto, senza sottotitoli e sfigurato dalla censura. Era già meraviglioso anche solo ritrovarsi in pubblico, per la prima volta da anni, senza paura né rabbia, in mezzo a una folla di estranei che non fosse lì per una manifestazione, un raduno di protesta, una coda per il pane o una pubblica esecuzione. (p. 237)
Non riesco a dirti di non affliggerti, di non ribellarti sia perché la mia immaginazione vive, a mie spese, intesissimamente ogni cosa, sia perché non sono capace di dirti di non sentire. Senti, senti, ti dico – senti con tutta te stessa, foss’anche fin quasi a morirne, perchè questo è il solo modo di vivere, specialmente di vivere in questa terribile dimensione, e il solo modo di onorare e celebrare gli esseri ammirevoli che sono il nostro orgoglio e la nostra ispirazione. (p. 245)
Ormai mi sono convinta che la vera democrazia non può esistere senza la libertà di immaginazione e il diritto di usufruire liberamente delle opere di fantasia. Per vivere una vita vera, completa, bisogna avere la possibilità di dar forma ed espressione ai propri mondi privati, ai propri sogni, pensieri e desideri; bisogna che il tuo mondo privato possa sempre comunicare col mondo di tutti. Altrimenti, come facciamo a sapere che siamo esistiti? (p. 372)
Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, Adelphi, Milano 2004
I nuovi «dannati della terra» sono in grado di sfidare la paura. L’essere umano è pensiero, coscienza. Per quanto forte sia il condizionamento, nessun potere potrà occupare lo spazio interiore dell’uomo, perché l’infinito è nell’essere umano.
*** ** *
Colonialismi Vi sono verità che assumono forme contingenti, ma che celano dietro il fenomeno storico l’essenza; lo sterminio degli Ebrei è stato l’anticipazione tragica e rimossa dell’esperienza neo-colonialista che diventava globale e si rendeva mondiale al punto che il fantasma genocidiario da secoli praticato nei paesi colonizzati si è materializzato nella casa europea. Il neo-colonialismo economico e politico – con l’intensificarsi della produzione, con l’instaurarsi della normalità dell’illimitato, incapace di correggere se stesso –, ha portato la sua parabola alle conseguenze estreme: il sistema neo-coloniale è diventato l’archetipo del dominio dell’Occidente al punto che le relazioni quotidiane sono vissute secondo logiche di sfruttamento e dominio. La guerra, diventata interna agli Stati, è il pane quotidiano del sistema globale. Il capitalismo ha la capacità di modificarsi ed adattarsi e, come le dune del deserto, avanza, riempie ogni spazio con la sua polvere, è atmosferico, si fa “respirare” quasi, si nasconde, si maschera, ma la sua essenza resta eguale: plusvalore, dominio, alienazione. Il nuovo totalitarismo assume differenti forme genocidarie, lascia la vittima viva al fine di permetterle di consumare: l’essere umano è solo il consumatore perenne ed instancabile nella cui testa martella l’economia. Ogni resistenza è piegata con l’eliminazione fisica, ma solo se è strettamente indispensabile; contemporaneamente il calcolo e la tattica agiscono secondo razionalità economica, glorificando l’eliminazione con nobili parole quali diritti umani, diritti universali. I gendarmi dell’economia mettono in atto un totalitarismo complesso e sincretico che opera simultaneamente con la normalità dei consumi – unica legge dell’agire –, ma nello stesso tempo opera per debellare ogni sacca di resistenza esplicita con l’omicidio legalizzato. La legge dell’economia e del consumo inducono a persuadere i renitenti che consumare è democratico, e non vi è alternativa; si cerca di conquistarli al mercato prima di eliminare il potenziale investimento. I genocidi tradizionali si concentravano su uno spazio geografico, le coscienze restavano parzialmente libere, malgrado la propaganda ed il terrore. Nella contemporaneità solo la visione d’insieme, sostenuta dalla forza filosofica del concetto – capace di astrarre dal concreto il concetto stesso – riesce a rendere palese la strategia della nuova forma genocidiaria: essa agisce secondo molteplici e varie modalità e pertanto, mentre colonizza le menti con la religione atea del consumo, elimina ogni ostacolo politico, economico, ideologico alla propria colonizzazione, bombarda in nome dei diritti universali; le due strategie sono da collegare, poiché due volti della stessa medaglia. È il “polemos negativo eracliteo”, in cui una forma genocidiaria può continuare a sussistere se contemporaneamente vi è l’altra.
L’animalizzazione dell’altro Frantz Fanon, in I dannati della terra, svela meccanismi di potere che prima erano applicati al solo colonialismo ed oggi sono la normale tattica del potere globale. I colonizzatori europei, per giustificare la colonizzazione, rappresentavano i colonizzati come animali, subumani vicini all’animalità e bisognosi del padrone per contenere la loro eccedente bestialità. Il linguaggio era il veicolo dell’animalizzazione, il colonizzato scompariva nella narrazione del colonialista per diventare semplice stereotipo, creatura astratta senza anima o logos. Lo stesso colonizzato si percepiva mediante la rappresentazione del padrone, si pensava inferiore, perché incapace di pensare con categorie che gli appartenevano. Si rendeva impossibile ogni processo dialettico, poiché i ruoli servo-padrone erano sclerotizzati dall’immaginario del potere:
«A volte tale manicheismo spinge fino in fondo la sua logica e disumanizza il colonizzato. A rigor di termini, lo animalizza. E, difatti, il linguaggio del colono, quando parla del colonizzato, è un linguaggio zoologico. Si fa allusione ai movimenti serpeggianti dell’indocinese, agli effluvi della città indigena, alle orde, al puzzo, al pullulare, al brulicare, ai gesticolamenti. Il colono, quando vuole descrivere bene e trovare la parola giusta, si riferisce costantemente al bestiario».[1]
L’animalizzazione è oggi applicata ai nuovi colonizzati, agli occidentali “liberi e benestanti”; il veicolo di trasmissione dell’animalizzazione sono gli innumerevoli mezzi dell’economia tecnocratica con la conseguente riduzione della persona a corpo pulsionale da soddisfare con l’effetto di mortificare la prassi. Così la persona ridotta a solo corpo da misurare e quantificare non concepisce la possibilità della prassi, regredisce ad uno stato puerile che fa del corpo, dei suoi istinti e meccanismi l’unico centro di interesse. Giordano Bruno ci ha insegnato il significato di infinito, ha mostrato quanto l’universo infinito invitava ad un nuovo modo di pensare, mentre l’animalizzazione cancella le grandi conquiste del pensiero per contrarlo alla sola attività somatica, al solo finito corporale, il quale è continuativamente stimolato dal mercato che, mentre cancella il pensiero, invita al desiderio acquisitivo senza confini. I colonizzati sono ora ovunque: nessuno sfugge alla rete dei colonialisti che fanno di ogni mente un mercato, di ogni corpo il territorio dove impiantare le proprie bandiere coloniali.
L’intellettuale In tale contesto l’intellettuale ha perso aureola e missione; dominato tra i dominati, è solo oratore, molto spesso consapevole, sovente inconsapevole del potere. L’intellettuale colonizzato, fa notare F. Fanon, utilizza lo stesso linguaggio dei coloni, anche quando si fa portavoce della liberazione nazionale. Resta così all’interno del recinto dei coloni e, usando il loro linguaggio, prepara il ritorno dei coloni in forme nuove:
«L’intellettuale che ha, per parte sua, seguito il colonialista sul piano dell’universale astratto, si batterà perché colono e colonizzato possano vivere in pace in un mondo nuovo. Ma quello che egli non vede, proprio perché il colonialismo s’è infiltrato in lui con tutti i suoi modi di pensare, è che il colono, appena il contesto coloniale sparisce, non ha più interesse a rimanere, a coesistere».[2]
L’intellettuale dell’universale astratto rinuncia a capire la verità della realtà storica, poiché occulta i dati materiali delle vite delle persone, le quali sono giuridicamente eguali, ma materialmente diverse, perché i rapporti gerarchici si riproducono per l’ineguale distribuzione del potere, della cultura, delle ricchezze. La normalità con cui i sudditi del passato e di oggi giudicano la condizione che vivono svela la verità di una classe intellettuale che ha abdicato al suo ruolo emancipativo collettivo, per essere parte della strategia di rabbonimento delle masse omologate che trovano negli intellettuali non più guide critiche, pensatori autonomi organici con il popolo, ma solo la cinghia di trasmissione della colonizzazione. L’intellettuale invece deve impegnarsi a condurre un’opera di sensibilizzazione ed organizzazione contro le strutture mentali che impediscono la prassi e che non risiedono solo nella testa, nelle parole, nelle azioni dei colonizzatori, ma sono anche nei colonizzati. Senza tale attività ogni lotta non può che essere annichilita dagli stessi colonizzati che desiderano essere i nuovi coloni. La forza dei coloni è nella consapevolezza che il colonizzato, il suddito globale, è il suo clone povero, il suo doppio che ambisce ad essere eguale all’originale, la finanza è immaginata come l’iperuranio platonico dai “dannati della globalizzazione”:
«L’intellettuale colonizzato tuttavia, presto o tardi, si renderà conto che non si legittima la propria nazione a partire dalla cultura, ma la si manifesta nella lotta che il popolo conduce contro le forze di occupazione. Nessun colonialismo trae la sua legittimità dell’inesistenza culturale dei territori che domina. Non si disonorerà mai il colonialismo spiegando davanti al suo sguardo tesori culturali mal noti. L’intellettuale colonizzato, nel momento stesso in cui si preoccupa di far opera culturale, non si rende conto che impiega tecniche e una lingua presa a prestito dall’occupante».[3]
Lessico dei dominatori e liberazione La dispersione dei popoli e delle persone si mette in atto mediante la cancellazione delle identità, ciò che si può concretizzare con l’eliminazione fisica o con l’eliminazione culturale. I coloni parlavano le lingue dei colonizzatori, la loro storia è scomparsa nella narrazione dei colonizzati, oggi la lingua dei popoli è sostituita dalla lingua della cultura vincente: l’inglese. I colonizzati non sono più popoli, ma plebe che parla la lingua del vincitore, pensa come il vincitore. L’esproprio non riguarda solo le risorse naturali, la storia, le identità, ma anche le singole coscienze, poiché con l’intensificarsi delle tecnologie l’asse di attenzione agisce sul macro e sul micro e le coscienze sono irrigidite dal lessico dei dominatori:
«Il dominio coloniale, perché totale e semplificante, ha fatto presto a disgregare in modo spettacolare l’esistenza culturale del popolo sottomesso. La negazione della realtà nazionale, i rapporti giuridici nuovi introdotti dalla potenza occupante, la cacciata alla periferia da parte della società coloniale, degli indigeni e dei loro usi, l’esproprio, l’asservimento sistematizzato degli uomini e delle donne, rendono possibile questa cancellazione culturale».[4]
È necessario riconoscere il nuovo totalitarismo con il suo tatticismo deviante. In questo momento i popoli sono soli davanti al nuovo che avanza, al deserto che assume nuove forme per confondere. Ma la coscienza è dinamica, è il luogo del possibile dove il pensiero prepara i suoi concetti, la sua consapevolezza. La natura pensante dell’essere umano resta, malgrado la diffusione capillare ed infiltrante nelle coscienze del potere. La violenza capitale può ribaltarsi in pensiero dialettico, la pressione continua genera disagio che necessita di “parole nuove” per capire la mortificazione malinconica della globalizzazione. L’essere umano è pensiero, coscienza che, per quanto condizionabile, nessun potere potrà occupare, perché l’infinito è nell’essere umano. Ricordiamo il frammento 45 di Eraclito nel riprendere la prassi da vivere nel quotidiano: «Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: così profondo è il suo lógos». Non è consolatorio, ma il logos in ogni circostanza della storia ha mostrato di saper riemergere dalle lunghe notti del pensiero. La condizione servile si rafforza con la paura della lotta, con la fuga dal conflitto. Hegel nella Fenomenologia dello Spirito attraverso la figura servo-padrone ci ha insegnato che per decolonizzare la coscienza dalla servitù bisogna vincere la paura. Il timore del possibile è continuamente indotto dal sistema capitale che orienta le scelte contro ogni “salto nel buio”. Vivendo nella paura gli esseri umani contribuiscono a rafforzare le catene che li tengono avvinti perpetuando appunto il sistema della paura che impigrisce le coscienze ed allontana l’infinito, lo spazio libero del pensiero.
Contro la paura del nuovo ed i suoi rischi diventa fondamentale un nuovo senso criticoche ponga al centro l’infinito della coscienza ed i limiti della struttura economica che costringe la coscienza entro una visuale delimitata dai muraglioni dell’economicismo.
Salvatore Bravo
[1] Frantz Fanon, I dannati della terra, Einaudi, Torino 2007, p. 9.
«La donna che legge si fa domande, e così facendo distrugge delle regole saldamente radicate. […] Dalla lettura scaturisce la fiducia in sé, dalla fiducia in sé sboccia il coraggio di pensare autonomamente. […] La lettura non solo mette in discussione i progetti di vita, ma anche la priorità di istanze supreme … La lettura mette le ali alla fantasia, e la fantasia porta fuori dal presente …» . Elke Heidenreich, pp. 16-19.
Attraverso i dipinti, i disegni e le fotografie questo volume racconta la storia della lettura femminile dal Medioevo al XXI secolo. Il tema della lettrice ha affascinato gli artisti di tutte le epoche. Sono stati tuttavia necessari molti secoli perché alle donne venisse permesso di leggere ciò che volevano. Prima potevano ricamare, pregare, allevare bambini e cucinare. Ma nel momento in cui esse colgono nella lettura la possibilità di sostituire l’angusto mondo della loro casa con il mondo sconfinatªo del pensiero, della fantasia e del sapere, diventano una minaccia. Le donne che leggono sono pericolose perché in questo modo si sono appropriate (e forse lo fanno ancora oggi) di conoscenze ed esperienze originariamente non destinate a loro. Queste immagini di donne che leggono sono piene di bellezza, grazia ed espressività.
Sommario
Prefazione
Piccole mosche!
Le donne che leggono sono pericolose
I. Dove abita la parola. Lettrici di talento
II. Momenti intimi. Lettrici stregate
III. Dimore del piacere. Lettrici consapevoli
IV. Ore di delizia. Lettrici sensibili
V. La ricerca di se stesse. Lettrici appassionate
VI. Piccole fughe. Lettrici solitarie
“Sulle travi del soffitto della sua biblioteca, Montaigne aveva fatto incidere citazioni di autori dell’antichità. Proprio come il soffitto di Montaigne, il nostro essere è tatuato di parole. Meglio ancora: è fatto di parole. Molte esistevano già prima della nostra nascita, altre sono arrivate con il tempo e l’esperienza. E certe, di cui siamo fatti, con le quali abbiamo messo insieme un senso, le abbiamo trovate nei libri. Ecco perché è così difficile separarsi dai propri libri: è il nostro essere, la nostra storia, che vediamo sfilare lungo gli scaffali.”
Michèle Petit, Elogio della lettura, Traduzione di Laura De Tomasi, Ponte all Grazie, Milano 2010.
Da anni, ormai, sentiamo ripetere che la gente legge poco, ed è un male; che a farlo sempre meno sono i giovani, ed è malissimo; che a leggere addirittura si disimpara, dopo la scuola, e peggio di così… Ma perché leggere dovrebbe essere un bene? Non aspettatevi da questo libro le solite risposte. Se è vero che attraverso la lettura passano l’istruzione, la cultura, la formazione dello spirito critico, la sua esperienza non si riduce al fatto di imparare. La lettura è una necessità vitale, e non importa se un libro non insegna nulla; per comprenderne davvero il significato bisogna superare la distinzione tra letture culturalmente utili e letture di intrattenimento! Libera da certezze e pregiudizi, l’antropologa Michèle Petit ha studiato sul campo i lettori, come se fossero una popolazione primitiva, e ne ha raccolto le parole e le esperienze. Parole ed esperienze nelle quali ci rivediamo, lettori bambini, adolescenti, adulti e vissuti, riconoscendo della lettura gli aspetti invisibili, segreti, personalissimi. Cosa significa aprire un libro e leggere? Significa moltissimo e moltissime cose. Scoprire se stessi nelle parole di un altro; stupirsi nell’incontrare mondi lontani; vedere scritti i nomi delle proprie emozioni, e dare loro dignità; trovare alleati nel cammino della crescita, amici nella lotta contro il dolore, il turbamento, l’insensatezza; regalarsi uno spazio e un tempo, quello della lettura, che nessuno – una volta che l’abbiamo conquistato – può portarci via.
Michèle Petit è antropologa al Ladyss (Cnsr/Université Pris I). Dopo aver condotto uno studio sulla lettura nell’ambiente rurale, ha coordinato una ricerca sul ruolo delle biblioteche nel contrastare i processi di emarginazione sociale.
Il trattato Il demone di Socrate, considerato da alcuni il capolavoro di Plutarco, riunisce una sorprendente molteplicità di temi, tra i quali primeggiano la narrazione di un importante episodio della storia greca – la liberazione di Tebe dall’occupazione spartana qualche decennio dopo la guerra del Peloponneso – e alcune discussioni di argomento filosofico, tra cui spicca quella intorno alla natura del segno demonico che visitava Socrate. Questa nuova traduzione del testo di Plutarco e il commento che la correda restituiscono un significato unitario alla varietà dei temi, mostrando come tutti gli aspetti del racconto siano unificati dall’intenzione di discutere quale fosse la più fedele interpretazione del platonismo tra le molte che allora si disputavano quel titolo, specialmente l’interpretazione socraticoacademica, quella neoacademica e quella pitagorizzante.
L’esercizio della ragione nel mondo classico. Profilo della filosofia antica
Einaudi, 2005
La cultura occidentale, il nostro modo di rapportarsi al mondo e a noi stessi, la stessa identità europea affondano le radici nel cuore del pensiero filosofico classico: quello di Eraclito e di Parmenide, di Socrate e di Platone, di Aristotele e di Epicuro, di Seneca e di Plotino. Questo libro fornisce una guida ragionata alla filosofia antica, agli autori, ai movimenti, ai testi che hanno segnato in modo permanente la nostra tradizione culturale.
Indice
I. I presocratici. II. La sofistica, Socrate e i socratici. III. Platone. IV. Aristotele. V. La filosofia ellenistica. VI. La filosofia nel mondo romano. VII. Plotino. VIII. Il neoplatonismo dopo Plotino. – Bibliografia. – Indice dei nomi.
La Metafisica di Aristotele. Introduzione alla lettura
Un paradosso della storia della filosofia è il fatto che uno dei libri che l’hanno fondata non sia mai stato concepito come tale dal suo stesso autore. Questo volume, ridisegnandone la peculiare fisionomia storica, intende presentare le fondamentali questioni della “Metafisica” aristotelica, dalla polemica contro Platone e gli Accademici, alla dottrina dell'”essere in quanto essere”, alla trattazione della “sostanza”.
Indice
1.La storia della Metafisica 1.1.I dati della tradizione antica 1.2.Le ipotesi genetiche e la composizione della Metafisica 2.Prima della filosofia prima 2.1.Il libro ? e la fisica accademica 2.2.La datazione di A 2.3.La “scienza cercata” e i suoi caratteri secondo A 2.4.B e la serie delle aporie 2.5.La discussione dei precursori in A 2.6.Il libro ? 3.I libri di polemica contro Platone e gli Academici 3.1.La cronologia dei libri 3.2.Le dottrine di Platone e degli Accademici secondo Aristotele 3.3.La reazione di Aristotele contro le idee 3.4.La reazione di Aristotele contro le dottrine dei principi 3.5.Il libro I e la concezione del numero 3.6.La posizione della matematica in E I 3.7.Il significato dell’opposizione di Aristotele al platonismo 4.L’essere in quanto essere e la filosofia prima 4.1.La scienza generale dell´essere e la sua unità come scienza della sostanza in ? 4.2.La scienza della sostanza prima e la sua universalità secondo ? 4.3.La filosofia prima, la teologia e la loro universalità in E I 4.4.La difesa del principio di non contraddizione in ? 4.5.Carattere del libro E 5.I libri sulla sostanza 5.1.Composizione e cronologia di Z, H, ? 5.2.La concezione della sostanza in Z e H 5.3.L’individualità delle forme 5.4.Z e la sostanza sovrasensibile 5.5.La sostanza come atto in H e in ? 6.La sostanza sovrasensibile 6.1.I “libri teologici” e la collocazione di ? 6.2.La sostanza sovrasensibile come principio dl movimento 6.3.Natura e attività del motore immobile 6.4.La pluralità dei motori e il silenzio sulla forma 6.5.Il rapporto fra il divino, l’essere degli uomini e il loro sapere Cronologia della vita e delle opere. Nota bibliografica. Indice dei nomi.
Abitudine e saggezza. Aristotele dall’etica eudemia all’etica nicomachea
Edizioni dell’Orso, 2014
Nel presente volume l’autore cerca di risolvere preliminarmente il problema della cronologia relativa alle Etiche aristoteliche mostrando che soltanto la nicomachea presuppone la conoscenza, da parte di Aristotele, dell’ultima opera di Platone, le Leggi. L’Etica eudemia deve dunque essere anteriore alla nicomachea e avere un’origine abbastanza antica nella carriera del filosofo. Ma molto più importante della precisazione sulla cronologia è il risultato che lo studio delle due Etiche permette di ottenere se le loro dottrine sono messe a confronto alla luce dell’influenza, peculiare della più recente, dell’ultima opera di Platone. Mentre l’eudemia insiste sul fondamento naturale delle virtù e sulla relazione tra questo e la razionalità, la nicomachea, esplicitamente rifacendosi alle Leggi, ignora del tutto le doti naturali e mette al centro della formazione morale l’educazione delle abitudini, da cui dipende infine anche la corretta maturazione della razionalità. Le tracce di questa nuova concezione sono visibili anche nella trattazione di altri temi connessi a quello della virtù, come quello, fondamentale nelle Etiche, della felicità e quello dell’amicizia.
Le scuole, l’anima, l’impero: la filosofia antica da Antioco a Plotino
Rosemberh & Sellier, 1982
Pierluigi Donini già professore di storia della filosofia antica nell’Università di Milano. È autore di studi, volumi e saggi su Aristotele e sulla tradizione aristotelica, sul problema del determinismo nel pensiero antico, sullo stoicismo e sulla filosofia dell’età imperiale romana (Seneca, Plutarco Alcinoo, Galeno). Per Einaudi ha curato la Poetica di Aristotele (Piccola Biblioteca Einaudi, 2008).
IL PIACERE COGNITIVO E LA FUNZIONE DELLA TRAGEDIA IN ARISTOTELE
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