«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
Il tema dell’ethos come appartenenza va a mio parere chiarito. Non credo che questo tema possa dirci molto a proposito dell’orizzonte etico se l’appartenenza è pensata come rapporto di reciprocità, come un contratto a due, come una specie di narcisismo della relazione duale in cui mi specchio nell’altro come un altro me stesso. Il rapporto con l’altro è in questo caso un rapporto di empatia o di carità: un rapporto in cui l’altro è uguale a me. Ma una comunità di altri me stessi non è una comunità, perché manca in essa l’asimmetria originaria, la legge dell’altro come terzo su cui si costituisce ogni comunità. L’appartenenza a una comunità significa piuttosto che io mi costituisco nel rapporto con l’altro in quanto l’altro non è me […]. In questa prospettiva, possiamo parlare di una fondazione comunitaria dell’ethos: in quanto esseri comunitari, non possiamo non assumerci la responsabilità dell’altro. […] A mio parere, una comunità che si costituisce sull’assunzione della responsabilità dell’altro deve connettere l’ethos non alla polis costituita, ma piuttosto alla polis in costituzione: deve legiferare, perché a partire da ciò una comunità possa costituirsi, per noi e per le generazioni future; in altre parole, deve legiferare perché siano tutelate le condizioni della comunità che viene.
Silvana Borutti, Per un etica del discorso antropologico, Guerini e Associati, Milano, 1993, pp. 21-22.
Nella “Logica” Kant scrive: «A filosofare s’impara soltanto con l’esercizio e usando autonomamente la ragione», dando così all’esercizio un significato altamente formativo. Questo libro è nato da un’esperienza didattica viva, dalla lettura diretta di opere filosofiche della tradizione: ha origine dunque da un “esercizio” inteso in senso kantiano. Come palestra teoretica, si sono scelti testi che “filosofassero” nella forma aurorale dell’interrogazione e del dubbio, e insieme nella forma matura della procedura riflessiva e argomentativa. Si è così individuato come percorso elettivamente teoretico l’atteggiamento autoriflessivo: cioè la disposizione che porta le filosofie a interrogarsi sulla propria natura, sui propri compiti e sul proprio metodo di indagine. A partire dalle rappresentazioni antiche dell’inizio della filosofia, declinate da una parte come risveglio e meraviglia, dall’altra come domanda scettica sulla possibilità della conoscenza, i capitoli del volume affrontano ciascuno la lettura diretta di classici del pensiero considerati come paradigmi del formarsi di stili filosofici e dell’argomentare per concetti, da Agostino a Cartesio, da Hume a Husserl, da Hegel a Wittgenstein.
Leggere il Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein.
Il Tractatus logico-philosophicus, un piccolo volume di 80 pagine pubblicato in tedesco nel 1921 e con traduzione inglese a fronte nel 1922, grazie all’interessamento del celebre logico e filosofo Bertrand Russell, è un libro scritto in uno stile inconsueto e inimitabile, fatto di un’architettura di proposizioni numerate con decimali. Wittgenstein vi sviluppa una concezione del significato delle proposizioni del linguaggio che avrà un ruolo decisivo nella formazione delle teorie epistemologiche e semantiche del neopositivismo e della filosofia analitica. Il libro si apre parlando del mondo come ci è dato nella raffigurazione linguistica, e si chiude con la proposizione: “Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”. Nella sua Introduzione, Russell espone i temi del Tractatus in tono ammirato, ma esprime perplessità nei confronti delle proposizioni finali sulla necessità del silenzio. Eppure, nella concezione di Wittgenstein, il silenzio non è un orpello esoterico né una concessione al misticismo, ma ha a che fare con le condizioni del significare, che non possono essere dette, ma solo mostrate.
«Mi è gradita l’occasione». Autobiografia del parlare in pubblico
Rivolgersi al pubblico in situazioni ufficiali con pertinenza, empatia, leggerezza, rispetto, e sempre con la necessaria brevità: Silvana Borutti racconta la propria esperienza di docente e di politico in quei particolari momenti in cui un indirizzo di saluto interviene ad accogliere il pubblico. Il saluto è una convenzione rituale, è un discorso che dura poco ed è subito dimenticato da chi lo ascolta: ma proprio perché accoglie e inaugura, ha la responsabilità di facilitare la vita delle istituzioni – di fare in modo che “l’occasione sia gradita” non solo all’oratore, ma anche al suo pubblico.
La filosofia dei sensi. Estetica del pensiero tra filosofia, arte e letteratura
L’autrice si interroga sulla continuità tra sensibilità e intelligenza, tra sensi e pensiero e suggerisce che tale continuità sia consegnata all’immaginazione, considerata come attività che è a un tempo ricettiva e produttiva. Nella seconda parte del volume l’analisi verte sulla natura sensibile e immaginativa di differenti esperienze artistiche, in cui le immagini mostrano la propria forza conoscitiva, e si propone un’interpretazione filosofica di forme artistiche e letterarie, tra Bacon, Caravaggio, Klee, Calvino, Manganelli e altri.
La Babele in cui viviamo. Traduzioni, riscritture, culture
Secondo l’interpretazione canonica del mito di Babele, all’edenica lingua delle origini, nella quale parole e cose si appartengono reciprocamente, fa seguito una moltitudine caotica di idiomi divenuti opachi l’uno all’altro. Ma il regno del disordine che leggendariamente subentra all’unità perduta può anche assumere una valenza opposta a quella espiativa tramandata dalla Bibbia. Per la filosofa Silvana Borutti e la comparatista Ute Heidmann è proprio il plurilinguismo che salvaguarda la straordinaria varietà delle forme di vita umane, creando un baluardo contro l’indifferenziato e rendendo necessaria quell’opera incessante di traduzione che potenzia la forza significante di ogni lingua nel momento stesso in cui la apre all’alterità. Nel saggio più aggiornato sugli aspetti teorici, la portata antropologica e gli orizzonti testuali del tradurre, Borutti e Heidmann riflettono sulla mediazione – tra lingue, sistemi simbolici complessi, intere culture – come paradigma di conoscenza. Se esiste un compito elettivo della traduzione, è permettere alle differenze di rompere il loro isolamento, percorrere la distanza che le divide, esporsi alla metamorfosi; Altrimenti il mondo non sarebbe vivibile.
Filosofia delle scienze umane. Le categorie dell’antropologia e della sociologia
Giovanni Campus. Tempo in processo. Rapporti, misure, connessioni. Ediz. bilingue
Teoria e interpretazione. Per una epistemologia delle scienze umane
«Ufficio del poeta non è descriver cose realmente accadute, bensì quali possono (in date condizioni) accadere: cioè cose le quali siano possibili secondo le leggi della verisimiglianza o della necessità. […] La vera differenza è questa, che lo storico descrive fatti realmente accaduti, il poeta fatti che possono accadere. Perciò la poesia è qualche cosa di più filosofico e di più elevato della storia; la poesia tende piuttosto a rappresentare l’universale, la storia il particolare».
«Il pensatore somiglia molto al disegnatore che vuole riprodurre nel disegno tutte le connessioni possibili. […] Il lavoro filosofico è propriamente – come spesso in architettura – piuttosto un lavoro su se stessi. Sul proprio modo di vedere. Su come si vedono le cose».
Ludwig Wittgenstein, Vermischte Bemerkungen [1977], a cura di G. H. von Wright, Suhrkamp, Frankfurt a. M.; tr . it. (a cura di M. Ranchetti) Pensieri diversi, Adelphi, Milano 1980, pp. 33 e 40-41.
In questo Parmenide e Zenone sophoi a EleaLivio Rossetti ci propone una marcia di avvicinamento a due pensatori antichi di primissimo ordine. Il suo proposito è stato di lavorare su due ‘pezzi da museo’ che ci sono stati trasmessi pieni di polvere e di incrostazioni esegetiche, riportarli alla luce e tornare a osservarli da vicino. Pretesa eccessiva? Non proprio, perché di Parmenide si sta riscoprendo solo ora lo stupefacente sapere naturalistico che pure formava parte integrante del suo poema, e di conseguenza il suo insegnamento richiede di essere visto da una prospettiva profondamente rinnovata. Quanto poi ai paradossi di Zenone, essi sono stati per lo più trattati come problemi da risolvere o calcoli da eseguire, senza considerare che Zenone avrà avuto interesse a idearli, non certo a risolverli e dissolverli. Quindi, anche qui, netto cambio di prospettiva. L’autore ci invita dunque a guardare a questi due personaggi estremamente creativi senza pensare alle tradizioni interpretative, con la mente sgombra, con rinnovata curiosità. Lo fa con competenza, ma usando un linguaggio piano, cordiale, arioso, partendo dai luoghi e dal contesto. Avvicinarsi a quel mondo sarà una scoperta.
Livio Rossetti(1938) è stato professore di filosofia greca all’Università di Perugia per decenni. Nel 1989 ha fondato la Intern. Plato Society a Perugia, nel 2006 ha dato il via agli incontri di Eleatica che si tengono tuttora a un passo dagli scavi di Elea (in pieno Cilento) e nel 2018 ha fondato la Intern. Society for Socratic Studies a Buenos Aires. Tra i suoi studi su Parmenide e Zenone ricordiamo: Un altro Parmenide (2 voll., Bologna 2017) e Una tartaruga irraggiungibile (fumetto, Bologna 2013): nel 2019 questo volumetto è stato pubblicato in spagnolo, a Buenos Aires. Nel 2020 è in pubblicazione La filosofia virtuale di Parmenide Zenone e Melisso.
La questione centrale del pensiero di Martin Heidegger è la questione dell’essere, ma fin dall’inizio del suo cammino, nei sentieri percorsi, il suo pensare è aperto al problema di Dio e a ciò ad esso inerente. Per il filosofo tedesco la metafisica occidentale, da Platone a Nietzsche, nasce e si sviluppa come oblio dell’essere, cosicché nulla ne è dell’essere stesso e della sua verità. Ne consegue che nella sua stessa essenza la metafisica è nichilismo. Il Dio metafisico è il Dio causa sui, il Dio fondamento, ragione e supremo valore, le cui immagini e maschere costruite dall’onto-teologia lungo la storia hanno contraffatto il Dio divino, il Dio che può aver luogo secondo il suo tratto proprio solo in base, a partire ed entro l’orizzonte della verità dell’essere. Solo il Dio divino può salvare l’uomo, nel senso che può liberarlo per la sua essenza propria in quanto esser-ci, dal dominio dell’oblio dell’essere e dalle conseguenze della morte del Dio non divino. Il favore della svolta nell’essere ancora non concesso, che la dimenticanza dell’essere si rivolti, mutandosi nella salvaguardia della sua essenza, nella disponibilità umana della custodia e dell’attesa, si presenta nel pensiero poetante, che dall’essere conduce al Dio, e nel poetare pensante, che si rivolge al sacro, come una luce nel tempo di povertà della notte del mondo, caratterizzato dall’assenza, dalla mancanza di Dio: «Quando si fa buio non vedo niente, e tuttavia (ci) vedo» (M. Heidegger).
Carlo Carrara è dottore in Filosofia e ha conseguito il Magistero in Scienze Religiose. Si occupa di filosofia contemporanea, antropologia filosofica e del pensiero di Martin Heidegger. Tra i suoi libri si segnalano: La domanda del senso dell’esistere (il nuovo melangolo, Genova 2013); Solitudine ed esistenza. Kierkegaard, Nietzsche, Unamuno, Heidegger, Jaspers, Sartre, Camus, Marcel, Berdjaev, Abbagnano (Petite Plaisance, Pistoia 2015); In cammino verso il silenzio (Paoline, Milano 2015); L’uomo ancora non pensa. Nei sentieri di Heidegger (Petite Plaisance, Pistoia 2016).
[Introduzione di Massimo Bontempelli. In appendice scritti di: Walter Kasper, Dario Antiseri, Luigi Giussani, Abraham J. Heschel, Juan Alfaro, Norbert Fischer, Bernhard Welte, Karl Rahner, Armando Rigobello, Günther Anders, Wolfhart Pannenberg, Norberto Bobbio].
Il sentiero qui percorso, muovendo i primi passi verso la necessaria chiarificazione della semantica e della polivalenza del termine «senso», seguirà la via del senso come domandaradicale, per poi proseguire sulla via del senso come problemafondamentale, per raggiungere il senso come mistero avvolgente. Tre vie con un unico intento: ri-passare la strutturaontologico-esistenziale ultima umana. Riallacciandosi poi alla situazione propria dell’uomo contemporaneo, il cammino ripercorrerà le tappe della perdita della domanda del senso, per arrivare alla mancanza del senso e all’insensatezza effettiva dominante. Tre vie con un unico intento: ri-levare l’odiernacondizioneumana. Gli ultimi passi volgeranno verso la ri-cercaresponsabile del senso ultimo da parte di ogni singolo uomo, con la ri-propostadella domanda del senso, per un «ri-trovamento» di quanto di più umano vi sia nell’uomo. Infine, alcuni approfondimenti di noti e attuali studiosi, ricondurranno a ripercorrere in modo più particolareggiato i diversi aspetti della questione esaminata.
«[…] l’uomo contemporaneo, in genere, non sente neanche più la necessità di enunciare la scomparsa delsenso ultimo, preoccupato com’è a dar vita ai «suoi» sensi; tanto è vero che il suo pensare al senso come mistero avvolgente dura per lo più quanto l’attimo di un lampo, che potrebbe comunque anche folgorarlo; il suo riflettere sul senso come problema fondamentale dura forse poco più di un’ora, giusto il tempo per supporre e dire qualcosa, per poi lasciare nuovamente il tutto sospeso nel vuoto o nel dubbio; il suo percepire il senso come domanda radicale sta invece alla circostanza che lo suscita come il sole sta a un giorno, che potrebbe tanto irradiare quanto accecare, o come la luna sta a una notte, che potrebbe tanto guidare quanto fuorviare, ma in qualunque modo stiano le cose, il domani sarà sempre un altro giorno e un’altra notte. Per il resto del suo tempo, cioè, per tutto il tempo, l’uomo contemporaneo non fa che pensare, fare e dire «per» questo mondo, «con» questo mondo e «in» questo mondo, a se stesso, in unità con la felicità di questo mondo, da conquistare mediante la ricerca, il possesso e il godimento (per quanto frenetici, esasperati e inappagabili possano essere) di tutti quei beni che il menù del mondo gli offre (potere, denaro, successo, piaceri, divertimenti, ecc.), augurandogli “buon senso!”». «La domanda del senso rimanda al mistero della vita e del mondo che avvolge integralmente l’uomo. Non più risposte a domande, ma domande a risposte; non più soluzioni a problemi, ma problemi a soluzioni; e nemmeno tentativi di pensare qualcosa di ciò che è non ancora pensato, di aspirare a trovare qualcosa di ciò che è non ancora trovato; ma soltanto il mistero che avvolge e coinvolge l’uomo, che lo inonda con le sue imprendibili acque, tenebrose per la sua ragione, sorgente di speranza per il suo cuore» (Carlo Carrara).
Carlo Carrara, La domanda del senso dell’esistere, Il Nuovo Melangolo, 2014.
Il sentiero qui percorso, muovendo i primi passi verso la necessaria chiarificazione della semantica e della polivalenza del termine “senso”, seguirà la via del senso come domanda radicale, per proseguire sulla via del senso come problema fondamentale, per raggiungere il senso come mistero avvolgente. Tre vie con un unico intento: ripassare la struttura ontologico-esistenziale dell’uomo. Riallacciandosi poi alla situazione propria dell’esistere umano contemporaneo, il cammino ripercorrerà le tappe della perdita della domanda del senso, per arrivare alla mancanza del senso e all’insensatezza effettiva dominante. Tre vie con un unico intento: ri-levare l’odierna condizione umana. Gli ultimi passi volgeranno nella direzione di una responsabile domanda e ricerca del senso dell’esistere da parte di ogni singolo uomo.
Il testo è strutturato in un centinaio di brevi pensieri sul tema dominante del silenzio. I pensieri, dal linguaggio a volte aforistico e poetico, seguono un percorso, un cammino, che parte dalla costatazione del predominio del rumore, prodotto alienante dell’odierno esistere inautentico dell’uomo, per inoltrarsi nella ricerca dell’autentico significato della parola, dell’ascolto, del dialogo e del rapporto interpersonale. Nel cammino si va via via chiarendo la molteplicità di forme e significati del silenzio, con la radicale distinzione tra le sue forme degenerative e spurie e il suo autentico e profondo significato. L’essere del silenzio si manifesta come la precondizione necessaria e imprescindibile dell’essere della parola, dell’ascolto, del dialogo e dell’altro. Il mondo del silenzio è il luogo del loro esistere autentico, nel bene e nel dono reciproco dell’amore accolto e vissuto concretamente. In questo luogo ogni singolo uomo è chiamato ad amare donandosi.
Che cos’è la solitudine? Perché la solitudine è così inscindibilmente legata con l’esistenza umana? Quali e quante solitudini vive l’uomo di questo tempo? In che termini si può parlare di solitudine per l’autenticità e di isolamento dell’inautenticità? Come definire la solitudine in quanto isolamento positivo e l’isolamento in quanto solitudine negativa? Attraverso l’analisi delle opere fondamentali dei maggiori precursori e rappresentanti della filosofia contemporanea dell’esistenza, e con un linguaggio semplice e chiaro, questo libro offre la possibilità di riflettere sul problema e sull’esperienza della solitudine, profondamente connessi con le questioni del fondamento e del senso dell’esistenza umana, con la sua dimensione autentica e con quella inautentica, con il modo di essere individuale, personale, sociale e religioso dell’uomo, con la realtà della sua morte e con la verità del suo destino ultimo.
Carlo Carrara
L’uomo ancora non pensa. Nei sentieri di Heidegger.
«La filosofia non è nata dal mito. Essa nasce solo dal pensiero e nel pensiero. Ma il pensiero è il pensiero dell’essere. Il pensiero non nasce. Esso è (ist) in quanto l’essere è (west)» (Il detto di Anassimandro). «Può il pensiero continuare a sottrarsi al compito di pensare l’essere, dopo che questo è rimasto nascosto in un lungo oblio e nello stesso tempo, nel momento attuale del mondo, si annuncia attraverso lo scotimento di tutto l’ente?» (Lettera sull’«umanismo»). «Il pensiero iniziale ha la sembianza della totale marginalità e dell’inutile. E tuttavia, se proprio si vuole pensare a un’utilità, che cosa è più utile della salvezza nell’essere?» (Contributi alla filosofia ‘Dall’evento’). (Martin Heidegger)
La paura è il primo nemico naturale che un uomo deve superare lungo il suo cammino verso la conoscenza. […] Un uomo va alla conoscenza come va alla guerra: vigile, con timore, con rispetto, e con assoluta sicurezza. Andare alla conoscenza in qualsiasi altro modo è un errore, e chiunque lo fa vivrà per rimpiangere i suoi passi. […] Quando un uomo ha soddisfatto a questi quattro requisiti non ci sono errori che egli debba spiegare; […] se un tale uomo fallisce, o patisce una sconfitta, avrà perso solo una battaglia, e per questa non ci saranno penosi rimpianti. […] Si può voler imparare senza per altro voler fare nessuno sforzo, perché magari ci si aspetta da altri tutte le indicazioni. Ma così non si impara effettivamente.
Sapere quanto sia difficile trovare il proprio posto, e soprattutto sapere che esiste, dà un senso di sicurezza unico. […] Se tuttavia qualcuno ti dice dove è il tuo posto non si avrà mai la sicurezza necessaria per proclamarlo come vera conoscenza […].
Un uomo, per diventare un uomo di conoscenza, deve sfidare e sconfiggere i suoi quattro nemici naturali.
Un uomo può dirsi uomo di conoscenza solo se è stato capace di sconfiggerli tutti e quattro. Chiunque può tentare di diventare un uomo di conoscenza […]. I risultati della lotta non possono però essere previsti con nessun mezzo, perché diventare un uomo di conoscenza è una cosa temporanea. Essere un uomo di conoscenza non ha carattere duraturo. Non si è mai un uomo di conoscenza in modo definitivo, non realmente. Piuttosto si diventa uomo di conoscenza per un brevissimo istante, dopo aver sconfitto i quattro nemici naturali.
Quando un uomo incomincia ad imparare non sa con chiarezza quali sono i suoi obiettivi. Il suo scopo è imperfetto; il suo intento è vago. Spera in una ricompensa che non si concreterà mai, perché non sa nulla delle difficoltà dell’imparare. Comincia lentamente ad imparare, dapprima a poco a poco, poi a grandi passi. E presto i suoi pensieri entrano in conflitto. Quello che impara non è mai quello che ha sperato o immaginato. E così incomincia ad avere paura. Imparare non è mai quello che ci si aspetta. Ogni passo dell’imparare è un compito nuovo, e la paura che l’uomo prova comincia a salire implacabilmente, inflessibilmente. Il suo scopo diventa un campo di battaglia.
E così si è imbattuto nel primo dei suoi nemici naturali: LA PAURA.
Un nemico terribile, traditore, e difficile da superare. Si tiene nascosto ad ogni svolta della strada, in agguato, aspettando. E se l’uomo, atterrito dalla sua presenza, fugge, il nemico avrà messo fine alla sua ricerca. [Che cosa accade all’uomo che fugge per la paura?] Non gli accadrà nulla, tranne che non imparerà mai.Non diventerà mai un uomo di conoscenaza. Sarà forse un uomo borioso, o inocuo, o spaventato. In ogni caso sarà un uomo sconfitto. Il suo primo nemico avrà messo fine ai suoi desideri. [Che cosa si può fare per vincere la paura?] Non si deve fuggire. Deve sfidare la sua paura, e, a dispetto di essa, deve compiere il passo successivo dell’imparare, e il successivo e ancora il successivo. La sua paura deve essere completa, e tuttavia non si deve fermare Questa è la regola! E verrà il momento in cui il suo primo nemico volgerà in ritirata. L’uomo comincia a sentirsi sicuro di sé. Il suo intento diviene più forte. Imparare allora non è più un compito terrificante. Quando arriva questo lieto momento l’uomo può dire senza esitazione di aver sconfitto il suo primo nemico naturale. Tutto avviene a poco a poco, e tuttavia la paura è vinta improvvisamente e rapidamente. [Ma l’uomo non avrà ancora paura se gli succederà ancora qualcosa di nuovo?] No! Una volta che l’uomo ha vinto la paura, ne è libero per tutto il resto della sua vita, perché invece della paura ha acquistato LA LUCIDITA’: una lucidità mentale che cancella la paura. A questo punto l’uomo conosce i suoi desideri; sa come soddisfare tali desideri. Può anticipare i nuovi passi dell’imparare, e una limpida lucidità circonda ogni cosa. L’uomo sente che nulla è nascosto.
E così ha incontrato il suo sencondo nemico naturale: LA LUCIDITA’.
Quella lucidità mentale che è così difficile da ottenere, scaccia la paura, ma acceca anche. Costringe l’uomo a non dubitare mai di se stesso. Gli dà la sicurezza di poter fare tutto quello che gli pare, perché vede chiaramente in tutto. Ed è coraggioso perché è lucido, e non si ferma davanti a nulla perché è lucido. Ma tutto questo è un errore. È come qualcosa di incompleto. Se l’uomo si arrende a questo falso potere, ha ceduto al suo secondo nemico e sarà maldestro nell’imparare. Si affretterà quando dovrà essere paziente, o sarà paziente quando dovrebbe affrettarsi. E sarà maldestro nell’imparare finché cederà, incapace di imparare più nulla. [Che ne è di un uomo sconfitto in tal meodo? Muore come risultato?] No, non muore. Il suo secondo nemico lo ha semplicemente bloccato impedendogli di diventare un uomo di conoscenza; l’uomo può invece trasformarsi in un allegro guerriero o in un pagliaccio. Tuttavia la lucidità pagata a così caro prezzo non si trasformerà mai più nella tenebra e nella paura. Avrà la lucidità finché vivrà, ma non imparerà o desidererà più nulla. [Ma cosa deve fare per evitare di essere sconfitto?] Deve fare quello che ha fatto con la paura: deve sfidare la sua lucidità e usarla solo per vedere, e aspettare con pazienza, e misurare con cura prima di fare nuovi passi. Deve pensare, dopo tutto, che la sua lucidità è quasi un errore. E verrà un momento in cui comprenderà che la sua lucidità era solo un punto davanti ai suoi occhi. E così avrà superato il suo secondo nemico, e sarà in una posizione in cui nulla potrà mai nuocergli. Questo non sarà un errore. Non sarà solamente un punto davanti ai suoi occhi. Sarà vero potere. A questo punto saprà che il potere che ha inseguito così a lungo è finalmente suo. Può fare tutto quello che vuole. Il suo alleato è al suo comando. Il suo desiderio è la regola. Vede tutto quello che è intorno a lui.
Ma si è anche imbattuto nel terzo dei suoi nemici: IL POTERE!
Il potere è il più forte di tutti i nemici. E naturalmente la cosa più facile è arrendersi; dopo tutto, un uomo a questo punto è veramente invincibile: comanda. Comincia per correre rischi calcolati e finisce per creare regole, perché è un padrone. A questo stadio difficilmente l’uomo si rende conto che il nemico lo sta circondando, e improvvisamente, senza saperlo, avrà certamente perduto la battaglia. Il suo nemico lo avrà trasformato in un uomo crudele e capriccioso. [Perderà allora il suo potere?] No, non perderà mai la sua lucidità o il suo potere. Un uomo che è sconfitto dal potere muore senza sapere veramente come tenerlo in pugno. Il potere è solo un fardello sul suo destino. Un tale uomo non ha il comando su se stesso, e non può sapere quando o come usare il suo potere. La sconfitta da parte di uno qualsiasi di questi nemici è una sconfitta definitiva. […] Se però un uomo fosse accecato temporaneamente dal potere e poi lo rifiutasse significherebbe che la sua battaglia ancora continua. Significherebbe che sta ancora cercando di diventare un uomo di conoscenza. Un uomo è sconfitto solo quando non tenta più, e si lascia andare. […] Se però cede alla paura non la vincerà mai, perché avrà paura di imparare e non tenterà più. Ma se cerca per anni di imparare, pur in mezzo alla sua paura, alla fine la vincerà perché non si è mai veramente abbandonato ad essa. [Come può sconfiggere il suo terzo nemico?] Deve sfidarlo deliberatamente. Deve arrivare a rendersi conto che il potere a lui apparentemente conquistato in realtà non è mai stato il suo. Deve stare sempre in guardia, tenendo in pugno con cura e con fede tutto ciò che ha imparato. Se riuscirà a vedere che la lucidità e il potere, quando manca il suo proprio controllo su di sé, sono peggio ancora di errori, raggiungerà un punto in cui tutto è teneto sotto controllo. Saprà allora come e quando usare il suo potere, e in questo modo avrà sconfitto il suo terzo nemico. L’uomo sarà ormai alla fine del suo viaggio di apprendimento e si imbatterà, quasi senza esserne stato avvertito, nell’ultimo dei suoi nemici:
LA VECCHIAIA.
Questo è il nemico più crudele di tutti, il solo che non potrà essere sconfitto completamente, ma solo scacciato. Questo è il momento in cui l’uomo non ha più paure, non più un’impaziente lucidità mentale; un momento in cui il suo potere è tutto sotto controllo, ma il momento anche in cui prova un irresistibile desiderio di riposare. Se si arrende totalmente al desiderio di lascirsi andare e dimenticare; se si adaglia nella stanchezza, avrà perduto l’ultimo combattimento, e il suo nemico lo ridurrà a una creatura debole e vecchia. Il suo desiderio di ritirarsi annullerà tutta la sua lucidità, il suo potere e la sua conoscenza.
Ma se l’uomo si spoglia della sua stanchezza, e affronta il proprio destino, può essere allora detto uomo di conoscenza, pur se soltanto per il breve momento in cui riesce a sconfiggere il suo ultimo e invincibile nemico. Questo momento di lucidità, di potere e di conoscenza, è sufficiente.
La crisi delle grandi utopie del secolo ci rinvia al compito di riconoscere, tra le altre cause, le passioni che le hanno alimentate: tanto quelle espresse quanto quelle invisibili perché sepolte negli inferi del pensiero notturno. Non per questo ci sarà concesso di controllarle una volta per tutte. La fiducia che Eros possa prevalere sulle oscure potenze di Thanatos illumina l’orizzonte freudiano della storia, senza tuttavia sottrarci al conflitto e alla cura, come rivela la conduzione interminabile dell’analisi. Poiché le tensioni emotive pervadono ogni umana esperienza e nessun vissuto può dirsi al riparo dalle perturbazioni degli affetti, non vi è un “al di là della passione”, un esercizio incontaminato del pensiero. Fortunatamente la ragione spassionata rimane un ideale regolativo più che una pratica di vita. Con la consueta, lapidaria efficacia, Lacan definisce il sapere dell’inconscio «impossibile e necessario». Tanto più necessario in quanto la pretesa (espressione della deriva passionale della conoscenza umana) di padroneggiare i moti di vita e di morte che costituiscono l’ordito segreto del mondo è tutt’altro che esaurita. La tentazione di tradurre in atto, senza mediazioni, senza remore, il desiderio inconscio caratterizza la scienza moderna dove la tecnica, finalizzata all’efficienza e al successo, travalica sovente la conoscenza teorica, celando, sotto l’imperturbabile apparenza dello scienziato, il volto inquietante dell’apprendista stregone, travolto dall’impersonale autonomia dei suoi stessi poteri. Adorno, che ne coglie l’intima hybris, ci esorta in controtendenza all’indugio, alla sospensione dell’urgenza passionale, perché «la contemplazione senza violenza, da cui viene tutta la felicità della verità, impone all’osservatore di non incorporarsi l’oggetto: prossimità nella distanza».[1]
Silvia Vegetti Finzi, Freud: dalla conoscenza dellepassioni alla passione della conoscenza, in S. Vegetti Finzi (a cura di), Storia delle passioni, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 274-275.
[1] Th.W. Adorno, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, Einaudi, Torino 1994, p. 97.
I bambini sono cambiati. La psicologia dei bambini dai cinque ai dieci anni
I bambini di oggi sono cambiati. Crescono sempre più in fretta. A sette, otto anni sono già informati, riflessivi, attenti alle novità, ma anche esigenti e caparbi, spesso soli e privi di vere risposte. Come vivono veramente gli anni brevi e sfuggenti che li separano dall’adolescenza, e soprattutto come possono essere aiutati ad affrontare la vita che si apre loro davanti? Questo libro, scritto in forma di dialogo e rivolto a tutti coloro che hanno a che fare con i bambini, propone una prima analisi del problema, una lettura dei vari aspetti di un’età ricchissima di fermenti, potenzialità e promesse, ponendosi anche come guida per affrontare i rapporti familiari e scolastici o per poter intervenire nel caso di comportamenti difficili.
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L’età incerta. I nuovi adolescenti
Chi sono i ragazzi del Duemila? Come capire che cosa avviene dentro di loro? Dalla prepubertà allo sviluppo sessuale e alla piena adolescenza, fino all’impegnativa conquista dell’identità e dell’autonomia personale, “L’età incerta” indaga non solo l’evoluzione dell’adolescente, affrontando tutti gli snodi più problematici, ma anche i rapporti con genitori, insegnanti, coetanei, sino alla scoperta dell’amore e alla relazione di coppia. Uno strumento per conoscere, dal punto di vista dei ragazzi, i sentimenti e le emozioni che li animano, i rischi che incontrano e le risorse di cui dispongono. Un libro che può aiutare gli adulti a svolgere il loro compito senza lasciarsi travolgere dall’ansia e dalla paura di sbagliare.
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A piccoli passi. La psicologia dei bambini dall’attesa ai cinque anni
Nei primi cinque anni di vita il bambino vive un’avventura straordinaria e tumultuosa: guarda il mondo con occhi magici e nello stesso tempo impara a vivere e ad amare seguendo un percorso che lo porta, a piccoli passi, dalla dipendenza all’autonomia. In questo suo cammino occorre saper cogliere i mille messaggi che il piccolo ci manda con i suoi comportamenti. Che significato hanno il rifiuto del cibo, l’insonnia, il capriccio inarrestabile? Perché ha paura degli estranei, è geloso del papà o passa ore davanti al televisore? Scritto in forma di dialogo, questo libro prepara i genitori a rispondere con spontaneità, sensibilità e competenza ai bisogni e ai desideri del loro bambino, un essere sempre unico e imprevedibile.
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Madri e figlie. Ieri e oggi
Quando si è buone madri? E quando buone figlie? E se non si è per niente madri, si può essere buone donne? Le storie parallele di Dacia Maraini e Silvia Vegetti Finzi, l’una portata via dall’Italia e ultra protetta dalla madre mentre è in corso nel Paese la dittatura fascista, l’altra invece abbandonata dalla mamma e dal papà in fuga dallo stesso regime. E i racconti di Anna Salvo, le cui pazienti sul lettino continuano a mettere al primo posto il loro rapporto con la madre. Il libro raccoglie il dibattito che si è svolto sul tema nel corso di una manifestazione intitolata “I dialoghi di Trani”, organizzata dall’Associazione Maria del Porto e dai Presidi del libro.
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Silvia Vegetti Finzi dialoga con le mamme
Tutti i problemi della prima infanzia affrontati in modo sereno e semplice. Un libro tutto domande e risposte: una finestra aperta sul mondo dei bambini e dei genitori. Un mondo ricco e affascinante, ma che troppo spesso rimane chiuso all’interno della famiglia dove la solitudine ingigantisce i problemi e alimenta l’ansia. Le pagine accompagnano lo sviluppo del bambino dalla nascita alla scuola materna, soffermandosi sui passaggi critici e i momenti più significativi. L’avventura straordinaria dei primi anni di vita e la consapevolezza che ogni crisi può essere superata acquisendo fiducia nelle proprie capacità e nelle risorse del proprio bambino.
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L’ospite più atteso. Vivere e rivivere le emozioni della maternità
Negli stati crepuscolari della mente, intermedi tra il sonno e la veglia, affiorano le fantasie materne. Là dove, incontrando il bambino che nascerà, lo conducono nel mondo che l’attende.
In questo libro l’autrice narra e commenta, con profonda sensibilità, una storia di maternità con l’intento di valorizzare una esperienza fondamentale, che non sempre occupa il posto che merita nella vita delle donne. Già i mesi dell’attesa costituiscono, se non vengono prevaricati da altre richieste, un periodo di straordinaria intensità emotiva. Ma, nell’epoca della fretta, molte giovani donne si trovano sole e smarrite al momento di realizzare il desiderio di un figlio. Per aiutarle è allora opportuno riallacciare un dialogo tra le generazioni ove alcune troveranno la possibilità di rievocare situazioni ed emozioni che credevano dimenticate, altre di sentirsi motivate e preparate ad accogliere «l’ospite più atteso», il figlio che nascerà.
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Il romanzo della famiglia. Passioni e ragioni del vivere insieme
Dalla formazione di una nuova coppia alla nascita e all’educazione dei figli, ai conflitti, alla separazione ecc. Un viaggio alla scoperta di noi stessi e del concetto di famiglia alla luce della riflessione psicoanalitica.
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Volere un figlio
I contraccettivi e le biotecnologie, negli ultimi anni, hanno reso la procreazione una scelta volontaria. In questo volume l’autrice ripercorre l’esperienza della maternità cercando di fornire alle coppie una guida e un supporto che sia d’aiuto nel momento determinante della decisione, facendo chiarezza sulle antiche tecniche della procreazione assistita.
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Quando i genitori si dividono. Le emozioni dei figli
Le separazioni e i divorzi sono nel nostro Paese in continua crescita. Ma, si chiede la psicologa Silvia Vegetti Finzi, cosa accade quando i genitori si separano? Grazie alle moltissime lettere ricevute da ragazzi e adulti che vivono o hanno vissuto le difficoltà di un divorzio e forte della sua esperienza clinica, l’autrice mostra i molti modi in cui la rottura dei rapporti familiari segna, in bene e in male, il percorso esistenziale di chi è costretto a subirla e come, spesso, la percezione di essa vari a seconda dell’età e del sesso. Appendice di Daria Finzi e Anna Spadacini.
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Nuovi nonni per nuovi nipoti. La gioia di un incontro
Silvia Vegetti Finzi offre un interessante spaccato della realtà dei nonni partendo dall’inedito rapporto tra l’ultima generazione di nonni e quella dei loro giovanissimi nipoti. I nonni di oggi, cresciuti per lo più negli anni del miracolo economico, hanno partecipato alla modernizzazione della società e fruito di un benessere diffuso, ma hanno anche assistito agli sconvolgimenti prodotti dagli anni della contestazione, al rovesciamento dei canoni e dei valori della tradizione. Ora, in uno scenario caratterizzato dall’eclisse degli ideali politici, dalla precarietà del lavoro, dalla crisi della coppia e della scuola, nonne e nonni, seppure in modo diverso, sembrano costituire l’unica solida architrave della famiglia. Spesso garantiscono ai figli un aiuto economico e suppliscono alla generale carenza di servizi per l’infanzia prendendosi cura dei nipoti. Esentati da compiti educativi diretti, possono sperimentare il piacere di condividere con i bambini ambiti di libertà, di fantasia e di gioco, ricevendone in cambio affetto e complicità. La “nonnità” svolge quindi una funzione importante, talora essenziale, ma proprio per questo è sottoposta più che in passato a un carico di aspettative, richieste, pressioni e ricatti affettivi difficile da governare. Le numerose testimonianze raccolte, organizzate e analizzate per argomenti, fanno di queste pagine un racconto a più voci in cui caratteri e storie molto diverse si incontrano e si confrontano.
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Il bambino della notte. Divenire donna, divenire madre
Nel momento in cui le tecniche si stanno impadronendo della procreazione questo libro intende andare controcorrente, ribadendo l’importanza della mente e del corpo della donna nella maternità. Attraverso la narrazione di una analisi, l’autrice ricostruisce il lungo processo che conduce dall’essere figlia all’essere madre.
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Parlar d’amore. Le donne e le stagioni della vita
Silvia Vegetti Finzi raccoglie in questo libro le lettere più significative che le lettrici di “Io donna” le inviano ogni settimana e le dispone lungo un percorso accidentato e affascinante: dai primi passi dell’innamoramento alle diverse declinazioni delle relazioni amorose, dal vivere in coppia al desiderio di maternità, dall’abbandono al tradimento, fino agli anni della maturità e della vecchiaia, ancora ricchi di nuove, impreviste opportunità. L’autrice ne individua gli snodi cruciali in una conversazione spontanea e consapevole che mette in luce la straordinaria ricchezza della vita femminile, il coraggio con cui le donne, attraversando prove e difficoltà, pretendono e ottengono la loro parte di felicità.
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La stanza del dialogo. Riflessioni sul ciclo della vita
Ne “La stanza del dialogo” si parla dell’educazione dei figli, di genitori alle prese con adolescenti che assumono comportamenti apparentemente incomprensibili, della difficoltà di trovare l’anima gemella in un’epoca che alimenta aspettative irreali, di famiglie che si compongono e si disfano, del tempo che passa veloce e di tante altre cose. Ma ciò che colpisce maggiormente dell’agile libretto che raccoglie e contestualizza ora una scelta degli interventi di Silvia Vegetti Finzi sul settimanale ticinese Azione, è il tono con cui la psicologa-scrittrice si rivolge ai suoi interlocutori: un tono che esprime un altissimo senso della dignità umana, un rispetto profondo per le donne e gli uomini di oggi, accettati, senza facili indulgenze, per quello che sono, con tutte le loro evitabili e inevitabili debolezze.
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Psicoanalisi al femminile
Anna Freud, Melanie Klein, Marie Bonaparte, Lou Andreas-Salomé, Sabina Spielrein, Helen Deutsch, Karen Horney, Françoise Dolto, Luce Irigaray. Sono state queste donne a percorrere i sentieri interrotti, gli interrogativi inevasi, le possibilità intentate dalla psicoanalisi, esplorandone le zone buie.
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Psicoanalisi ed educazione sessuale
La sessualità è un problema importante e molto difficile da affrontare: conviene cominciare a studiarla il più presto possibile, benchè i pregiudizi cerchino di impedirlo. In questa antologia, quanto mai opportuna, i grandi della psicoanalisi analizzano i silenzi e le bugie con cui per anni si è risposto alle domande dei bambini sugli enigmi del corpo e della sessualità. Ferdinando Savater
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Storia della psicoanalisi. Autori, opere, teorie 1895-1990
Mai come oggi la psicoanalisi ha avvertito l’esigenza di una riflessione sulla propria identità e il proprio futuro. Dopo più di cento anni dall'”Interpretazione dei sogni” (1900), considerata l’opera di fondazione, molti cambiamenti sono sopravvenuti. Pur restando Freud un punto di riferimento ineludibile, il paradigma iniziale si è articolato in un ventaglio di prospettive e in una molteplicità di Scuole diffuse in tutto il mondo. Per orientarsi tra le diverse alternative, Silvia Vegetti Finzi si è proposta di ricostruire da un punto di vista storico i molteplici percorsi della psicoanalisi e i problemi teorici, terapeutici, culturali e sociali che essa ha affrontato e diversamente risolto, restituendo respiro critico e prospettiva unitaria al vivace dibattito intorno a questa disciplina. Esposto con stile piano e coinvolgente, rivolto a un ampio pubblico, non solo a studenti e professionisti, il saggio di Silvia Vegetti Finzi illumina il passato, interroga il presente e prefigura il futuro.
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Freud e la nascita della psicoanalisi
(scheda di Civitarese, G., L’Indice 1996, n. 1, pubblicata per l’edizione del 1995)
Chi ha avuto modo di apprezzare la “Storia della psicoanalisi. Autori opere teorie 1895-1990” troverà in questo nuovo volume di Silvia Vegetti una conferma.Si tratta infatti di una guida alla psicoanalisi, attraverso la “biografia” della scoperta diFreud e l’analisi dei suoi scritti principali, piana e di piacevole lettura quanto rigorosa nei contenuti. Tra gli spunti che si possono ricavare da questo testo sottolineerei la difesa della trasmissibilità della psicoanalisi, nei suoi contenuti teorici e nelle sue virtualità decostruttive, anche al di fuori di percorsi iniziatici e contro la pretesa avanzata da alcuni di una qualche extraterritorialità rispetto al “normale” discorso epistemologico.Proprio l’attenzione ai problemi epistemici – la psicoanalisi come ultima avventura della razionalità occidentale e la dialettica tra polarità ermeneutica e adesione ai paradigmi delle scienze della natura – conferisce al testo la sua attualità.Un pubblico di “non addetti ai lavori” troverà di che interessarsi alle vicende di una disciplina che ha avuto un impatto difficilmente immaginabile sulla cultura di questo secolo. Studenti a vario titolo delle teorie freudiane avranno a disposizione uno strumento di lavoro che fa dell’accuratezza delle note e dei rimandi bibliografici uno dei suoi elementi distintivi. Potrebbero essere delusi invece quanti andassero alla ricerca di riletture originali o interpretazioni inedite delle tesi freudiane.
Pensa a Itaca sempre il tuo destino ti ci porterà […] Non sperare ti giungano ricchezze: il regalo di Itaca è il bel viaggio senza di lei non lo avresti intrapreso. Di più non ha da dirti. E se ti appare povera all’arrivo non t’ha ingannato. Carico di Saggezza e di esperienza avrai capito un’Itaca cos’é.
Le risorse segrete dell’infanzia per superare le difficoltà della vita
Rizzoli, 2015, pp. 229.
“I bambini possono aiutarsi, consolarsi e diventare grandi utilizzando le loro potenzialità, le loro risorse. Sono ancora privi di esperienza, è vero, ma la vita s’impara solo vivendo”.
Risvolto di copertina
Chi è la bambina senza stella? Una bambina, in cui si cela l’autrice, sfortunata, ma non troppo. Seguendo il filo dei suoi ricordi, sedotto da una scrittura suggestiva e poetica, il lettore porrà ritrovare, per consonanza, tratti perduti della propria infanzia, là dove risiede il cuore pulsante della vita e la parte più autentica di sé.
Cresciuta, come molti altri, negli anni tragici del fascismo, della guerra e delle persecuzioni razziali, che la coinvolgono in quanto nata da padre ebreo, la bambina ne uscirà intatta avendo preservato la magia dell’infanzia e la voglia di crescere. Le sue vicende, rievocate con sorprendenti flash della memoria e puntualmente commentate da una riflessione competente e partecipe, svelano le sofferenze dei bambini, spesso colpiti dai traumi della separazione, dell’indifferenza e del disamore. E il dolore infantile non cade mai in prescrizione.
Negli squarci di un passato che non passa possiamo cogliere però, con l’evidenza della vita vissuta, anche le meravigliose risorse con le quali l’infanzia può attraversare le difficoltà della vita: il gioco, la fantasia, la creatività e l’ironia. Risorse che, attualmente, un’educazione ansiosa e iperprotettiva rischia di soffocare.
Ed è con la forza del pensiero, della scrittura e della testimonianza che questo libro si propone di rassicurare i genitori che i loro figli ce la possono fare, ce la faranno, se riusciranno a realizzare, mettendosi alla prova, le loro potenzialità.
E la vita s’impara, non solo vivendo, ma anche raccontandola in una trama che, intessendo passato e futuro, dona senso e valore alla casualità del destino.
Alcuni appunti di lettura
«È con meraviglia che la bambina si apre alla realtà circostante» (p. 21).
«Accade che i bambini, sfogliando i primi libri, ne traggano un’impressione così intensa da imprimersi per sempre nella memoria» (p. 27).
«Il corpo si conosce solo vivendolo, mettendolo alla prova. Non si cresce senza esporsi a qualche ragionevole rischio» (p. 32).
«I nostri bambini crescono nella società del troppo. Il superfluo toglie valore alle cose riducendole a oggetti interscambiabili e insignificanti» (p. 36).
«Nessuno basta a se stesso. Si esiste sempre per qualcuno con cui si intreccia un dialogo che anima il pensiero. Anche quando quel “qualcuno” non ci sarà più» (42).
«Nessuno si salva da sé» (p. 51).
«L’inganno derealizza il mondo e destabilizza il senso di sé …» (57).
«I bambini prima di parlare sono parlati, investiti dalle espressioni che gli adulti rivolgono loro …» (p. 86).
«La solitudine è un sentimento complesso, intermittente, che si declina in vari modi a seconda delle circostanze della vita. In certi momenti si confonde con l’isolamento, in altri con l’abbandono, in altri ancora con lo spaesamento nel tempo, nello spazio. Ma esiste anche una solitudine felice, desiderata, ricercata per ritrovare se stessi e incontrare le proprie immagini interiori» (p. 103).
«Il tempo della memoria non è lineare. La sua catena è composta di segmenti che solo a posteriori vengono connessi nella narrazione e inseriti nella cornice della storia» (p. 134).
«Il malessere dei bambini risulta più opprimente di quello degli adulti perché non hanno la minima idea di quando finirà» (p. 146).
«[…] senza rischi non si cresce e i bambini hanno bisogno di incontrare l’imprevisto per attivare processi di adattamento. […] Se impediamo ai bambini di entrare nel mondo reale, si confronteranno con quello virtuale, spesso più ingannevole e pericoloso» (189).
«[…] l’evoluzione della mente non si accompagna necessariamente a quella del corpo e può accadere che le gambe rincorrano i pensieri» (p. 193).
«[…] comprende, con un intimo sentire, che d’ora in poi i confini della sua vita saranno più ampi e più alti. È il miracolo della bellezza che, se colta, può salvare il mondo» (p. 205).
«In mancanza di un positivo contesto di riferimento, come sottrarsi agli stereotipi che ingabbiano l’infanzia? Come trasformare l’identità ricevuta passivamente in identità modellata creativamente, secondo un orizzonte di valori e uno stile di vita personali?» (p. 212).
«È raro che un educatore sospenda la percezione immediata di un allievo e si lasci sorprendere. Spesso trova più comodo inserirlo in un casellario già predisposto […]» (p. 224).
Guido, da lor veggendosi chiuso, prestamente disse: – Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace – ; e posta la mano sopra una di quelle arche, che grandi erano, sì come colui che leggerissimo era, prese un salto e fussi gittato dall’altra parte, e sviluppatosi da loro se n’andò.
G. Boccaccio, Decameron, VI, 9
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Lezioni americane
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« Chi è ciascuno di noi se non una combinatoria di esperienze, di informazioni, di letture, di immaginazioni? Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario di oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili »
(da Italo Calvino, Lezioni americane, 1988)
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«[…] la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca.
Non potrei illustrare meglio questa idea che con una novella del Decameron (Vi, 9) dove appare il poeta fiorentino Guido Cavalcanti. Boccaccio ci presenta Cavalcanti come un austero filosofo che passeggia meditando tra i sepolcri di marmo davanti a una chiesa. La jeunesse dorée fiorentina cavalcava per la città in brigate che passavano da una festa all’altra, sempre cercando occasioni d’ampliare il loro giro di scambievoli inviti. Cavalcanti non era popolare tra loro, perché, benché fosse ricco ed elegante, non accettava mai di far baldoria con loro e perché la sua misteriosa filosofia era sospettata d’empietà:
Ora avvenne un giorno che, essendo Guido partito d’Orto San Michele e venutosene per lo Corso degli Adimari infino a San Giovanni, il quale spesse volte era suo cammino, essendo arche grandi di marmo, che oggi sono in Santa Reparata, e molte altre dintorno a San Giovanni, e egli essendo tralle colonne del porfido che vi sono e quelle arche e la porta di San Giovanni, che serrata era, messer Betto con sua brigata a caval venendo su per la piazza di Santa Reparata, vedendo Guido là tra quelle sepolture, dissero: “Andiamo a dargli briga”; e spronati i cavalli, a guisa d’uno assalto sollazzevole gli furono, quasi prima che egli se ne avvedesse, sopra e cominciarongli a dire: “Guido, tu rifiuti d’esser di nostra brigata; ma ecco, quando tu avrai trovato che Idio non sia, che avrai fatto?”. A’ quali Guido, da lor veggendosi chiuso, prestamente disse: “Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace”; e posta la mano sopra una di quelle arche, che grandi erano, sì come colui che leggerissimo era, prese un salto e fusi gittato dall’altra parte, e sviluppatosi da loro se n’andò.
Ciò che qui ci interessa non è tanto la battuta attribuita a Cavalcanti, (che si può interpretare considerando che il preteso “epicureismo” del poeta era in realtà averroismo, per cui l’anima individuale fa parte dell’intelletto universale: le tombe sono casa vostra e non mia in quanto la morte corporea è vinta da chi s’innalza alla contemplazione universale attraverso la speculazione dell’intelletto). Ciò che ci colpisce è l’immagine visuale che Boccaccio evoca: Cavalcanti che si libera d’un salto “sì come colui che leggerissimo era”. Se volessi scegliere un simbolo augurale per l’affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l’agile salto improvviso del poeta- filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d’automobili arrugginite. Vorrei che conservaste quest’immagine nella mente, ora che vi parlerò di Cavalcanti poeta della leggerezza».
Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Mondadori, 1988.
Giovanni Boccaccio Decameron, Sesta Giornata, Novella Nona: Guido Cavalcanti dice con un motto onestamente villania a certi cavalier fiorentini li quali soprappresso l’aveano.
Sentendo la reina che Emilia della sua novella s'era diliberata e che ad altri non restava a dir che a lei, se non a colui che per privilegio aveva il dir da sezzo, così a dir cominciò: Quantunque, leggiadre donne, oggi mi sieno da voi state tolte da due in su delle novelle delle quali io m'avea pensato di doverne una dire, nondimeno me n'è pure una rimasa da raccontare, nella conclusione della quale si contiene un sì fatto motto, che forse non ci se n'è alcuno di tanto sentimento contato. Dovete adunque sapere che né tempi passati furono nella nostra città assai belle e laudevoli usanze, delle quali oggi niuna ve n'è rimasa, mercé dell'avarizia che in quella con le ricchezze è cresciuta, la quale tutte l'ha discacciate. Tra le quali n'era una cotale, che in diversi luoghi per Firenze si ragunavano insieme i gentili uomini delle contrade e facevano lor brigate di certo numero, guardando di mettervi tali che comportar potessono acconciamente le spese, e oggi l'uno, doman l'altro, e così per ordine tutti mettevan tavola, ciascuno il suo dì, a tutta la brigata; e in quella spesse volte onoravano e gentili uomini forestieri, quando ve ne capitavano, e ancora de'cittadini; e similmente si vestivano insieme almeno una volta l'anno, e insieme i dì più notabili cavalcavano per la città, e talora armeggiavano, e massimamente per le feste principali o quando alcuna lieta novella di vittoria o d'altro fosse venuta nella città. Tra le quali brigate n'era una di messer Betto Brunelleschi, nella quale messer Betto è compagni s'eran molto ingegnati di tirare Guido di messer Cavalcante de'Cavalcanti, e non senza cagione; per ciò che, oltre a quello che egli fu un de'migliori loici che avesse il mondo e ottimo filosofo naturale (delle quali cose poco la brigata curava, sì fu egli leggiadrissimo e costumato e parlante uomo molto, e ogni cosa che far volle e a gentile uom pertenente, seppe meglio che altro uom fare; e con questo era ricchissimo, e a chiedere a lingua sapeva onorare cui nell'animo gli capeva che il valesse. Ma a messer Betto non era mai potuto venir fatto d'averlo, e credeva egli co'suoi compagni che ciò avvenisse per ciò che Guido alcuna volta speculando molto astratto dagli uomini diveniva. E per ciò che egli alquanto tenea della oppinione degli epicuri, si diceva tra la gente volgare che queste sue speculazioni eran solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse. Ora avvenne un giorno che, essendo Guido partito d'Orto San Michele e venutosene per lo corso degli Adimari infino a San Giovanni, il quale spesse volte era suo cammino, essendo quelle arche grandi di marmo, che oggi sono in Santa Reparata, e molte altre dintorno a San Giovanni, ed egli essendo tra le colonne del porfido che vi sono e quelle arche e la porta di San Giovanni, che serrata era, messer Betto con sua brigata a caval venendo su per la piazza di Santa Reparata, veggendo Guido là tra quelle sepolture, dissero: - Andiamo a dargli briga -; e spronati i cavalli a guisa d'uno assalto sollazzevole gli furono, quasi prima che egli se ne avvedesse, sopra, e cominciarongli a dire:- Guido tu rifiuti d'esser di nostra brigata; ma ecco, quando tu arai trovato che Iddio non sia, che avrai fatto? A' quali Guido, da lor veggendosi chiuso, prestamente disse: - Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace - ; e posta la mano sopra una di quelle arche, che grandi erano, sì come colui che leggerissimo era, prese un salto e fussi gittato dall'altra parte, e sviluppatosi da loro se n'andò. Costoro rimaser tutti guatando l'un l'altro, e cominciarono a dire che egli era uno smemorato e che quello che egli aveva risposto non veniva a dir nulla, con ciò fosse cosa che quivi dove erano non avevano essi a far più che tutti gli altri cittadini, né Guido meno che alcun di loro. Alli quali messer Betto rivolto disse: - Gli smemorati siete voi, se voi non l'avete inteso. Egli ci ha detta onestamente in poche parole la maggior villania del mondo; per ciò che, se voi riguardate bene, queste arche sono le case de' morti, per ciò che in esse si pongono e dimorano i morti; le quali egli dice che sono nostra casa, a dimostrarci che noi e gli altri uomini idioti e non litterati siamo, a comparazion di lui e degli altri uomini scienziati, peggio che uomini morti, e per ciò, qui essendo, noi siamo a casa nostra. Allora ciascuno intese quello che Guido aveva voluto dire e vergognossi né mai più gli diedero briga, e tennero per innanzi messer Betto sottile e intendente cavaliere.
«La parola esprime tutto. Le cose reali e quelle immaginarie, le materiali e le ideali. A volte le gonfia, a volte le rimpicciolisce. Comunque, alla fine, le salva. Tutte, la vita e la morte, l’amore e l’odio, il razionalismo e la passione, la società e l’individuo, l’economia e la politica, i nuovi interrogativi e le risposte antiquate, la ricerca della verità e la sopravvivenza della menzogna, la rivolta e la sottomissione, la libertà e la schiavitù: tutto ciò che sostiene la parola, e ciò che la mina, solo essa lo esprime. E noi, che produciamo parole, abbiamo la grande responsabilità della parola. La responsabilità di donarla come atto che può cambiare la vita nostra, le vite degli altri: sono le parole a trovarci, loro a stanarci dalle nostre presunte certezze, loro ad aprire strade dentro di noi».
La poesia ti trova si intitola un poemetto della sua più recente produzione.
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