«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
«Oὕτως ἀταλαίπωρος τοῖς πολλοῖς ἡ ζήτησις τῆς ἀληθείας, καὶ ἐπὶ τὰ ἑτοῖμα μᾶλλον τρέπονται». «Così presso molti la ricerca della verità viene trascurata, e a tal punto i più si volgono di preferenza verso ciò che è più a portata di mano»».
Felice l’uomo che possiede la conoscenza che deriva dalla historía, e non si propone di danneggiare i concittadini né di compiere azioni ingiuste, ma contempla l’ordine che non invecchia della natura immortale, come e perché si sia costituito. A uomini del genere non si accosta mai il pensiero di azioni vergognose.
Non è per vergogna che si fanno le rivoluzioni. La vergogna è già una rivoluzione, è una sorta di ira che si rivolge contro se stessa. E se un’intera nazione si vergognasse realmente, diventerebbe simile a un leone, che prima di spiccare il salto si ritrae su se stesso.
Il nostro motto sarà quindi: riforma della coscienza, non mediante dommi, bensì mediante l’analisi della coscienza mistica oscura a se stessa, sia che si presenti in modo religioso, sia in modo politico.
Auto-chiarificazione (filosofia critica) del nostro tempo in relazione alle sue lotte e ai suoi desideri. Questo è un lavoro per il mondo e per noi.
K. Marx
Karl Marx ad Arnold Ruge. Sul battello per D., marzo 1843
Io viaggio in Olanda. In base ai giornali locali e francesi, la Germania è caduta nel fango e vi sprofonda sempre di più. Le assicuro che, benché privi di orgoglio nazionale, si sente lo stesso la vergogna nazionale, specie in Olanda. L’ultimo degli olandesi è ancora il cittadino di uno Stato, rispetto al primo dei tedeschi. E i giudizi degli stranieri sul governo prussiano! Prevale un accordo spaventoso: nimo si illude più su tale sistema e sulla sua reale natura. La nuova scuola è pur servita a qualcosa: l’abito di gala del liberalismo è caduto, e il più ripugnante dispotismo è esibito agli occhi di tutto il mondo in tutta la sua nudità. Pure questa è una rivelazione, benché a rovescio. È una verità che almeno c’insegna la vacuità del nostro patriottismo, la mostruosità del nostro Stato, e a coprirci il viso. Lei mi scruterà sorridendo e mi chiederà: «cosa si è guadagnato con ciò? Mica per vergogna si fa rivoluzione». Rispondo: «la vergogna è già una rivoluzione; è la vittoria della Rivoluzione francese sul patriottismo tedesco, dal quale essa fu vinta nel 1813». La vergogna è una sorta di ira contro di sé. E se davvero un’intera nazione si vergognasse, sarebbe come un leone che si china per spiccar il balzo. Invero, in Germania ancora non esiste la vergogna: i tedeschi sono miserabili patrioti tuttora. Ma quale altro sistema potrebbe purgare il loro patriottismo, se non questa buffonata del nuovo cavaliere Federico Guglielmo IV di Prussia? La commedia del dispotismo che ci è recitata è per lui altrettanto pericolosa quanto lo fu a suo tempo la tragedia per gli Stuart e i Borboni. E benché per un lungo periodo tale commedia non fosse considerata per quello che è, pure sarebbe già una rivoluzione. Lo Stato è una cosa troppo seria per farne un’arlecchinata. Una nave carica di matti spinta dal vento potrebbe forse veleggiar a lungo; ma essa andrebbe comunque verso il suo destino, proprio perché i pazzi non ci crederebbero. Questo destino è la rivoluzione che ci sovrasta.
Le tre lettere di Marx a Ruge comparse negli Annali facevano parte di un corpus, presentato sotto il titolo Un carteggio del 1843, nel quale si trovava anche una lettera di Feuerbach a Ruge, datata giugno 1843. Marx e Ruge, in effetti, avevano contattato Feuerbach – che, all’epoca, rappresentava per eccellenza la filosofia dell’avvenire – auspicando una comunione di intenti. La lettere di Feuerbach a Ruge, dove il filosofo esprimeva la sua adesione allo spirito che dirigeva il progetto della rivista, conteneva questa riflessione.
Che cos’è teoria, che cos’è pratica? Dov’è la differenza? Teorico è ciò che ancora si limita soltanto alla mia testa, pratico ciò che appare nelle teste di molti. Ciò che unisce molte teste fa massa, si dilata e si fa posto nel mondo. La possibilità di creare un organo nuovo per il nuovo principio è un tentativo che non va tralasciato.
Arnolde Ruge e Karl Marx, Annali franco-tedeschi, a cura di Gian Mario Bravo e con traduzione ad opera di Anna Pegoraro Chiarloni e Raniero Panzieri, Milano Edizioni del Gallo, 1965. Il passo in questione è contenuto a p. 78
«Non vorrei che noi innalzassimo una bandiera dogmatica; al contrario. Noi dobbiamo cercare di venire in aiuto ai dogmatici, affinché chiariscano a se stessi i loro principi. Così soprattutto il comunismo è un’astrazione dogmatica, e con ciò mi riferisco non a un qualsiasi, presunto ed eventuale comunismo, bensì alcomunismo realmente esistente, quale lo professano Cabet, Dézamym Weitling ecc. Questo comunismo è proprio solo una manifestazione particolare del principio umanistico, contaminato dal suo opposto, l’elemento privato. Abolizione della proprietà privata e comunismo, quindi, non sono affatto identici e non a caso, bensì necessariamente, il comunismo si è trovato di fronte ad altre dottrine socialiste, come quelle di Fourier, Proudhon ecc., proprio perché esso spesso non è che un’attuazione particolare, unilaterale, del principio socialista». (ibidem, p. 81)
«Nulla ci impedisce quindi di collegare la nostra critica alla critica politica, alla partecipazione politica, perciò alle lotte reali, e di identificarle con esse. Allora non affronteremo il mondo in modo dottrinario, con un nuovo principio: qui è la verità, inginocchiatevi! Attraverso gli stessi principi del mondo noi illustreremo al mondo nuovi principi. Non gli diremo: «Abbandona la tua lotta, è una sciocchezza; noi ti grideremo la vera parola d’ordine della lotta». Gli mostreremo soltanto perché effettivamente combatte, poiché la coscienza è una cosa de deve far propria.
La riforma della coscienza consiste solo nel rendere il mondo consapevole di se stesso, nel ridestarlo da suo ripiegamento trasognato, nello spiegargli le sue proprie azioni. Come per la critica della religione di Feuerbach, il nostro scopo non è altro che condurre alla forma umana autocosciente tutte le questioni religiose e politiche». (ibidem, pp. 82-83)
«Il nostro motto sarà quindi: riforma della coscienza, non mediante dommi, bensì mediante l’analisi della coscienza mistica oscura a se stessa, sia che si presenti in modo religioso, sia in modo politico. Si vedrà allora come da tempo il mondo possiede il sogno di una cosa, di cui non ha che da possedere la coscienza per possederla realmente. Sarà chiaro come non si tratti di tirare una linea retta tra passato e futuro, ma di realizzare le idee del passato. Si vedrà infine come l’umanità non incominci un lavoro nuovo, ma venga consapevolmente a capo del suo antico lavoro.
Possiamo dunque sintetizzare in una parola la tendenza della nostra rivista: auto-chiarificazione (filosofia critica) del nostro tempo in relazione alle sue lotte e ai suoi desideri. Questo è un lavoro per il mondo e per noi. Esso può derivare solo da un’unione di forze. Si tratta di una confessione, non d’altro».
Per farsi perdonare le sue colpe, l’umanità non ha che da dichiararle per ciò che esse sono. (ibidem, p. 83).
La lotta all’epidemia è descritta nella forma di una guerra capillare e pervasiva che irrora la comunità, fino a trasformarla in un luogo chiuso in cui regna la paura dell’altro
Il proliferare della parola guerra è un ottimo espediente per occultare le responsabilità.
«Nella guerra la prima vittima è la verità», scriveva Eschilo.
Il Covid-19 non è solo un problema epidemiologico, anzi, lo stato di eccezione in cui siamo sta rivelando “le verità nascoste” del sistema, attraverso i provvedimenti attuati per inibirne la diffusione. In questi mesi serpeggia un nuovo linguaggio che si catalizza intorno alla parola “guerra”. La parola “guerra” stride con il periodo pasquale, la pasqua con i suoi significati simbolici e teologici sfuma tra le chiuse chiese e l’aggressività verbale in nome della difesa della salute. Contro il nemico sull’uscio di casa. La lotta all’epidemia è descritta nella forma di una guerra capillare e pervasiva che irrora la comunità, fino a trasformarla in un luogo chiuso in cui regna la paura dell’altro: l’infezione ha il viso del vicino, il pericolo è incarnato nella comunità vivente veicolo del retrovirus. La guerra reca con sé la paura specie se il nemico è invisibile, impalpabile: è ovunque, ma resta invisibile, indeterminato, può essere in chiunque. La paura non paralizza solo gli spostamenti e le relazioni, ma specialmente rafforza il desiderio di dirigismo ed autoritarismo, mediante i quali difendersi dall’aggressore. Si cavalca la guerra e la paura nel circo mediatico. Scorre nella rete la parola guerra, si compara la situazione attuale a contesti altri, ci si spinge a paragonare la guerra al retrovirus alle vicende della seconda guerra mondiale. La forzatura è assolutamente palese, ma ha l’effetto di provocare la chiamata alle armi contro i trasgressori, e specialmente di giustificare la paralisi della democrazia, e l’assenso ai nuovi padroni: i virologi.
Democrazia senza politica La politica tace e cede il passo agli esperti che progettano la guerra. I finanzieri hanno ceduto il posto agli scienziati, nel silenzio della politica, per cui le loro dichiarazioni sono il nuovo oracolo verso cui si tende l’orecchio oranti, sono i generali di una popolazione impaurita che ha perso il controllo sulla propria vita. I virologi giudicati come esponenti dell’oggettività della scienza sono i nuovi punti di riferimento, le loro parole sono indiscutibili. La politica fa un passo indietro per non perdere consensi e delega ai virologi l’agenda da dettare. La politica arretra sempre, prima dinanzi ai finanzieri, ora davanti ai virologi, e dunque è evidente il grande vuoto dell’Occidente. L’Occidente non pratica la politica, perché ha smesso di essere comunità. Comunità e politica sono un binomio inscindibile come insegna Platone col mito di Prometeo nel Protagora. Naturalmente i virologi si limitano ad indicare provvedimenti tacendo le istituzioni di appartenenza ed i legami tra scienza, politica e finanza. La parola “guerra” che risuona violenta tra le sinapsi degli impauriti sudditi serve a celare l’intreccio per ostentare l’immagine di una realtà sociale progredita e scientifica. Le domande possono tacere come l’opposizione, poiché la “guerra” esige il distanziamento spaziale e temporale. Dove si combatte una guerra ci sono soltanto soldati, tutti i cittadini sono in trincea. Ogni casa è una trincea, per cui si vive separati, ed in tal modo le parole cadono, le prime vittime della guerra sono le domande, le richieste di chiarimenti, il silenzio delle opposizioni. Domenico Arcuri commissario all’emergenza ha dichiarato il 18 Aprile che vige una guerra. In tempo di guerra il potere invita ad adeguarsi e ad effettuare “dichiarazioni” ragionevoli. Le uniche affermazioni ragionevoli sono le enunciazioni del governo:
«Tra l’11 giugno 1940 e il primo maggio 1945 – dice – a Milano sono morti sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale 2 mila civili, in 5 anni; in due mesi in Lombardia per il coronavirus sono morte 11.851 civili, 5 volte di più». Da qui la riflessione: non può esserci ripartenza senza la salute. «Dobbiamo agire con cautela e prudenza come in questi mesi. – dice Arcuri – È clamorosamente sbagliato comunicare un conflitto tra salute e ripresa economica. Senza salute, la ripresa durerebbe un battito di ciglia, bisogna tenere insieme questi due aspetti. Dobbiamo ripartire ma garantendo la salute e la sicurezza del numero massimo di cittadini possibile. Serve esperienza e intelligenza. Non abbiamo tempo per dibattiti».
«Non c’è tempo per dibattiti», in un normale paese democratico, tali parole sarebbero sufficienti per la caduta del governo. Dove non c’è dibattito non c’è democrazia. Ci si scandalizza del caso ungherese: V. Orban, il 30 marzo 2020, ha ricevuto dal parlamento potere speciali, ha istituzionalizzato apertis verbis la contrazione della democrazia. Il caso italiano è peggiore: i DPCM non sono oggetto di discussione, il parlamento è un bivacco vuoto, non si discute e non si dibatte, perché si è in guerra. La funzione dell’uso della parola guerra trova una prima ragione: si è in guerra, quindi niente discussioni. L’Europa tace ed interviene solo sui conti pubblici e sui tagli alle politiche sociali; sul deficit di democrazia tace svelando d’essere semplicemente l’Europa della finanza.
Guerra scientifica Il 29 marzo, da Fazio, Prodi ribadiva è «come una guerra», sostenendo l’affermazione di Draghi. Anzi, nel paragone di Draghi, la lotta al Covid-19 è una «guerra scientificamente giusta». La guerra necessita di essere valutata secondo criteri scientifici in possesso da Draghi. L’uso truffaldino della parola scienza è fatto con maestria, la guerra è scientifica, per cui nessuno può contestare i provvedimenti e la loro esattezza. Draghi e Prodi si intendono di guerra, hanno depauperato il patrimonio pubblico a favore dei privati. Anche quella era una guerra, ma i morti e gli infelici effetti di quei provvedimenti erano rappresentati come “risanamento economico”:
Prodi: «Come la guerra, ha ragione Draghi» – Mentre la settimana che inizia segnerà un momento cruciale anche per gli aiuti europei. Sul tema, in serata, si è fatto sentire l’ex presidente della Commissione europea, Romano Prodi: «È come la guerra, il paragone di Draghi è scientificamente giusto. Non è la crisi del 2008 che parte dalla finanza e poi prende il resto dell’economia, prende tutti: i ristoratori e quelli che devono andare a mangiare». Esiste, ha spiegato l’ex premier a Che tempo che fa, «una diffusa idea che la solidarietà europea finisca per aiutare soprattutto gli altri, ma gli olandesi devono capire: se succede una grande crisi a chi vendono i loro tulipani?».
Verità e guerra Il proliferare della parola guerra è un ottimo espediente per occultare le responsabilità, e far apparire le decine di migliaia di vittime come normali e naturali, perché se c’è la guerra ci sono vittime, e non ci si chiede se erano evitabili, e se i tagli alla sanità sono tra le cause dell’ecatombe: la guerra semplicemente ha le sue vittime, ed i suoi eroi sul campo (personale sanitario). Ma è una strana guerra, poiché ci sono le vittime, gli eroi, i generali al comando, ma mancano i carnefici, o meglio è tutta colpa di un virus: non vi sono carnefici umani, è una fatalità naturale. In tal modo si educa ad affidarsi agli eroi ed ai generali. La popolazione inerme trova in loro il rifugio dai bombardamenti virali. Il circo mediatico con toni sempre più aggressivi incita a sanzionare i trasgressori, la rabbia è veicolata verso i nuovi untori: in tal modo i responsabili sono esenti da critiche e da processi. La paura inibisce il pensiero, cerca il responsabile immediato, e così si resta impigliati nello scorrere delle informazioni senza discernimento, senza poter ricostruire la genetica dei fatti. «Nella guerra la prima vittima è la verità», Eschilo sentenziava. La cultura classica attraversa i tempi e ci dona la bussola per capire il presente.
Normalità della guerra La parola guerra ha l’effetto di formare le menti alla normalità dell’aggressione per risolvere i problemi a dispregio dell’articolo 11 della Costituzione:
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
La coerenza con l’articolo 11 vorrebbe che si insegnasse ad usare un linguaggio di pace e di concetti nelle contingenze difficili. Invece le argomentazioni sono sostituite dalle esortazioni alla guerra contro il nemico invisibile. La normalità della guerra di tutti contro tutti prima del Covid-19 era edulcorata dal sentimentalismo mediatico. Ora la maschera cade. In contingenze sfavorevoli si fa appello solo all’attività repressiva indorata da forme di orgoglio nazionali: inni sui balconi, esposizione di bandiere, appelli mediatici per mostrare di essere un grande paese. La politica ha assunto la postura di Clinia nelle Leggi di Platone, ovvero la guerra è un valore, nei tempi di pace si educa alla guerra in modo che in caso di necessità il passaggio risulti lieve. La globalizzazione ha educato alla guerra ed alle sue parole, per cui la politica ed i suoi esperti che descrivono la guerra e la necessità del dirigismo autoritario non sorprendono nessuno, perché si è stati emotivamente preparati alla divisione ed alla solitudine dalla guerra perenne della globalizzazione:
«CLINIA: Credo, straniero, che a chiunque sia facile comprendere le nostre usanze. Come vedete, la natura di tutta la regione di Creta non è pianeggiante come quella dei Tessali, ed è per questo motivo che quelli si servono per lo più di cavalli, mentre noi corriamo a piedi: il nostro territorio infatti è irregolare, ed è più adatto alla pratica della corsa. In questa regione è necessario possedere armi leggere e correre senza portare con sé cose pesanti: la leggerezza degli archi e delle frecce sembra dunque essere adatta. Tutte queste cose ci preparano ad affrontare la guerra, e, mi sembra, tutto è stato ordinato dal legislatore in vista di questo obbiettivo: perché anche per i pasti in comune, forse li ha introdotti, vedendo che tutti, quando fanno una guerra, sono costretti dalla situazione stessa a mangiare insieme durante questo tempo per motivi di sicurezza. Del resto mi sembra che abbia voluto condannare la stoltezza della maggior parte di coloro i quali non capiscono che ogni stato si trova sempre in una guerra incessante contro un altro stato finché vive. Se allora in tempo di guerra bisogna mangiare insieme per ragioni di sicurezza, e comandanti e soldati devono essere addestrati per la guardia, questo dev’essere fatto anche in tempo di pace. Infatti, quella che la maggior parte degli uomini chiama pace, è soltanto un nome, perché di fatto ogni Stato è per natura sempre in guerra, anche se non dichiarata, contro un altro stato. Considerando la cosa da questo punto di vista, scoprirai che il legislatore di Creta stabili tutte le nostre consuetudini pubbliche e private in vista della guerra, e che per questa ragione ci comandò di osservarle, poiché pensava che nessun’altra ricchezza o possesso fosse utile, se non si vincesse in guerra, dato che tutti i beni dei vinti finiscono nelle mani dei vincitori». [1]
La democrazia ha bisogno di parole per capire: senza di esse non è che un corpo privo di vita. Il Covid-19 con le sue tragedie, se non innesca la dialettica della verità rischia di rendere vane il numero, innumerevole, di persone che non ci sono più, e specialmente è fondamentale comprendere quanto avviene per dare dignità ai morti ed a coloro che hanno vissuto il trauma del lutto. La democrazia non vive di paure, ma di verità e dialettica. Le parole sono l’anima pensante di una nazione, se le parole che circolano sono solo parole di guerra, non vi sarà comunità democratica, ma solo il regno dell’aggressività che entra in ogni relazione e si insedia nei pensieri per curvali allo sguardo guerriero.
Salvatore Bravo
[1] Platone, Le Leggi, Ousia, Edizione Acrobat, a cura di Patrizio Sanasi, pag. 5,
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.AcceptRead More
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.