«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
Per Draghi «l’euro è irreversibile». Per G. Zagrebelsky «la materia della politica oligarchica è costituita dal denaro e dal potere, e dal loro reciproco collegamento: il denaro alimenta il potere e il potere alimenta il denaro». Il denaro di Draghi domina nel tempo e sul tempo. Capitalismo senza tempo.
Moneta irreversibile «L’euro è irreversibile»,[1] con tale affermazione Draghi svela l’integralismo antidemocratico dell’Europa della finanza. L’irreversibilità dell’euro materializza i propositi della nuova religione della finanza. Con l’annuncio di Draghi la storia si è conclusa, ciò che verrà dopo è irrilevante, perché l’euro decreta lo spartiacque tra il passato ed il presente eternizzato. Siamo tutti fedeli, ai piedi dell’altare dell’euro, ormai dogma ideologico dell’infallibilità della finanza. L’euro non è una moneta, ma un progetto totalitario indiscutibile. Tornano in mente le utopie dei totalitarismi riconosciuti del Novecento: dal nazionalsocialismo hitleriano all’Unione Sovietica passando per il Fascismo, ogni totalitarismo si è dichiarato eterno, si è presentato come l’eterno in terra, come la trascendenza realizzata e conclusa nell’immanenza. Il tempo nell’ideologia totalitaria è sempre eguale, è un tempo consumato nella pienezza del presente. Non vi è nessun vuoto, nessuna possibilità che possa generarsi nuova vita con innovative strutture temporali di senso. Il tempo dell’euro è tempo del silenzio, in cui i poteri forti usano le istituzioni democratiche per svuotarne il senso. Draghi ha sentenziato nel Parlamento (la parola Parlamento rimanda al parlare, alla dialettica della democrazia dolosamente ignorata) che l’euro è una verità ontologica indiscutibile. Alla nuova divinità ci si può solo adeguare, purché l’euro viva: bisogna liberarsi dalle attività economiche in difficoltà affondate dalla pandemia e dal lockdown da loro decretato e gestito.
Eucarestia del denaro Le affermazioni in Parlamento seguono le polemiche sulla selezione naturale delle attività in difficoltà. Lo scopo è evitare le insolvenze, perché è il denaro che deve guidare il mondo, dev’essere raccolto, difeso ed adorato, malgrado le sofferenze dei perdenti. La nuova “eucarestia” è tra di noi, nessuna particola va persa o dispersa, ma va contenuta nel calice delle banche. Pertanto i potenziali insolventi vanno lasciati al loro destino. In fondo, chi fallisce è colpevole. La religione della colpa riappare, i dannati che scontano la pena in terra sono i deboli, coloro che non sono stati abbastanza forti da resistere alle lotta per conquistarsi una porzione di mercato. Calvinismo perverso e mondano che decreta il nuovo tempo dell’apocalisse economica senza escatologia, poiché per i perdenti ed i falliti non c’è presente e non c’è futuro. Sono i nuovi esodati dell’euro, sono i nuovi dannati colpiti dall’indifferenza dei vincenti e dal timore di coloro che vivono nella zona grigia, già descritta da Levi, che temono di essere associati ai perdenti. Il distanziamento sociale è parte del disegno “euro”: si insegna la distanza emotiva, si sclerotizzano le emozioni per poter praticare il transumanesimo economico e tecnologico. La distanza abitua a considerare l’alterità un ostacolo sul percorso della propria sopravvivenza biologica ed economica. Liberismo, digitalizzazione delle relazioni si rendono organiche di un unico disegno sociale: realizzare il transumanesimo economico. Ogni limite umano dev’essere superato. Nel trascendere ogni limite si struttura una nuova società governata da potentati tecnocratici (multinazionali, banche, centri di ricerca robotica e digitale) che divorano i più deboli, li usano e ne determinano il destino e le scelte.
Euro senza tempo L’euro nasce, come direbbe Marx, «grondante di sangue e sudiciume», ma possiamo aggiungere l’«euro» domina nel tempo e sul tempo. In quanto «irreversibile», tacita il linguaggio e trasforma le parole in sentinelle frecciate del presente. Le parole della democrazia sono sostituite dalla contabilità senza teleologia. L’euro occupa ogni spazio ed ogni tempo, in tal modo il futuro è fuorigioco, non resta che la malinconia del presente senza fecondità.
Gli Europei sono chiamati ad un mistico silenzio dinanzi all’euro che si innalza ed incombe come il fato a cui niente e nessuno può sfuggire. Il terrifico che si accompagna a ciò è la complicità dei rappresentanti del popolo che ancora una volta hanno stracciato il mandato elettorale “in nome dei superiori interessi” della nazione. L’interesse principale in uno Stato democratico è la democrazia, pertanto l’interesse del popolo non è stato messo in atto. Il popolo non ha votato l’euro dichiarato da un uomo della finanza «irreversibile». Oggi le oligarchie festeggiano il vuoto politico ed etico in cui navighiamo, e che ha permesso il loro radicarsi. L’«euro irreversibile» è la dimostrazione della verità a cui ci si è abituati, ovvero che il denaro ed il potere non sono mezzi per realizzare dei fini, ma sono diventati il fondamento che produce un sistema nichilistico; essi sono perseguiti in se stessi, come fossero il bene supremo. La tragedia etica dell’Occidente è in questa verità feroce che pone le condizioni per il transumanesimo, per l’abbandono dell’Umanesimo blandamente citato dal Presidente del Consiglio, il quale non rammenta che l’Umanesimo ha quale centro la dignità dell’essere umano e non certo il tintinnio minaccioso della moneta unica a cui corrisponde il pensiero unico. Scrive Gustavo Zagrebelsky in La maschera democratica dell’oligarchia:
«Ora, che l’oligarchia assuma le forme della democrazia non è senza significato. Che ci si trovi in una democrazia oligarchica o in un’oligarchia democratica, al netto della contraddizione sostanziale, significa pur sempre qualche cosa. Non dobbiamo pensare che si tratti di un puro inganno: l’oligarchia che per affermarsi ha bisogno di forme democratiche quanto meno non può adottare strumenti di violenza esplicita per supplire al deficit di consenso, e deve mantenere ferme le procedure democratiche, sebbene cerchi di svuotarle di senso dall’interno. E se le procedure restano ferme, c’è sempre la possibilità di rianimarle, di ridare al guscio il suo contenuto. È comunque significativo che, parlando delle oligarchie nel nostro tempo e nel nostro paese, si possa e si debba aggiungere “oligarchie in forma democratica” (non direi oligarchie democratiche, perché questo creerebbe una contraddizione). Passando all’oligarchia come concentrazione del potere, chiediamoci che cosa è oggetto del potere oggi. Qual è la materia della politica oligarchica nel nostro tempo. A mio parere, la materia della politica oligarchica è costituita dal denaro e dal potere, e dal loro reciproco collegamento: il denaro alimenta il potere e il potere alimenta il denaro. L’uno è strumento di conquista, di garanzia e di accrescimento dell’altro. Vorrei richiamare l’attenzione su questo punto, che secondo me è il segno più caratteristico dell’epoca in cui viviamo. In altri tempi, si poteva dire che potere e denaro fossero mezzi, non fini. La politica serviva ad altre cose, per esempio a rovesciare i rapporti di classe o a equilibrarli, a promuovere la cultura, ad alleanze e guerre di espansione, alla conquista di altri paesi e alla “civilizzazione” del proprio o di altri popoli. Il denaro, a sua volta, veniva La maschera democratica dell’oligarchia – considerato uno strumento, per cose buone o per cose cattive, ma in ogni caso era finalizzato a qualcos’altro; gli Stati drenavano denaro con il prelievo tributario per fare guerre, per espandere i confini, per la gloria delle case regnanti, per alimentare lo splendore delle corti regie, e così via. Il denaro che produce denaro, come accade tipicamente nell’usura, è stato nei secoli oggetto di condanna o, almeno, di sospetto. Ma con la finanziarizzazione dell’economia, per di più in dimensione mondiale, il meccanismo del denaro che produce se stesso, il denaro investito al fine di produrre altro denaro, come nell’albero degli zecchini di Collodi, ha finito d’essere un mezzo ed è diventato un fine. Siamo in pieno in un circolo vizioso. Viviamo stretti da un serpente che si morde la coda, l’uroboro del mito che, per sopravvivere, fa terra bruciata attorno a sé».[2]
Con l’obbligo ad accettare l’euro come «irreversibile» ogni maschera è caduta. Ora sta ai popoli, e non solo al popolo italiano, difendere la democrazia dalla tracotanza delle oligarchie che si auto-percepiscono al sicuro, poiché la paura pandemica associata a decenni di vuoto politico e comunitario hanno rafforzato la certezza dell’intramontabilità del loro potere. Sta al popolo rialzarsi, sta a noi capire e cambiare percorso rispetto ai diktat del nuovo potere totalitario. L’arte può venirci in aiuto più delle parole, dovremmo cominciare a pensare ed a guardare con intensità Il quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, per rompere la fosca nube della rassegnazione che si estende minacciosa sulle nostre speranze. I “no” che non sono stati pronunciati, sono ora sul percorso per ricostruire un futuro possibile, e con essi bisogna cominciare a confrontarsi per riattivare la prassi.
Salvatore Bravo
[1] Mario Draghi al Senato (17-02-2021): «Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro».
[2] Luciano Canfora – Gustavo Zagrebelsky, La maschera democratica dell’oligarchia, Laterza, Bari 2015, pp. 4-5.
291 Mario Vegetti, Tra Edipo e Euclide. Forme del sapere antico. ISBN 978-88-7588-227-3, 2018, pp. 208, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “Il giogo” [84]. In copertina: Frammento di cratere a calice a figure rosse [scena dell’Edipo Re di Sofocle] (330-320 a.C.) e Papiro de Oxirrinco [frammento degli Elementi di Euclide].
292 Salvatore A. Bravo, Il cacciatore globalizzato nel capitalismo assoluto. ISBN 978-88-7588-229-7, 2018, pp. 160, formato 130×200 mm., Euro 15 – Collana “Divergenze” [60]. In copertina: Hieronymus Bosch, Trittico del Giudizio di Vienna (1482), particolare del pannello centrale (Giudizio Universale).
293 Antonio Vigilante, Dell’attraversamento. Tolstoj, Schweitzer, Tagore. ISBN 978-88-7588-223-5, 2018, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 13. In copertina: Rabinadranath Tagore, n. 56, inchiostro colorato su carta,1933. Collezione Rabindra Bhavana.
294 Mario Vegetti, Scritti sulla medicina ippocratica. ISBN 978-88-7588-225-9, 2018, pp. 416, formato 140×210 mm., Euro 30 – Collana “Il giogo” [86]. In copertina: Rilievo dal santuario di Anfiarao a Oropo, 400-350 a.C., Atene, Museo Archeologico Nazionale.
295 Giancarlo Chiariglione, Le forme informi della frontiera. Lo sguardo del cinema western sulla storia americana. ISBN 978-88-7588-221-1, 2018, pp. 112, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [1]. In copertina: Il giudice E. Cotton Winchell sulla cima del monte californiano a cui diede il suo nome nel 1888: incarnazione dell’autentico “uomo del Wild West”.
296 Silvia Fazzo,Alexander Arabus. Studi sulla tradizione araba dell’aristotelismo greco. Prefazione di Marwan Rashed. ISBN 978-88-7588-220-4, 2018, pp. 256, formato 140×210 mm., Euro 30 – Collana “Il giogo” [87]. In copertina: Frammenti dal commento perduto di Alessandro di Afrodisia al De Generatione et corruptione di Aristotele. Bibliothèque Nationale de France, Ms. Parisinus Arabus 5099, f° 130b.
297 Miguel Pereira, Diario (12-10-1944/24-11-1944). Nuova edizione riveduta e corretta. ISBN 978-88-7588-224-2, 2018, pp. 80, formato 140×210 mm., Euro 10. In copertina: Frontespizio autografo del Diario di Miguel Pereira.
298 Francesco Verde, A cosa serve oggi fare storia della filosofia? Una modesta riflessione. ISBN 978-88-7588-222-8, 2018, pp. 80, formato 140×210 mm., Euro 10 – Collana “Il giogo” [88]. In copertina: Ritratto d’uomo che sospende la lettura, attribuito a Girolamo Francesco Maria Mazzola, detto il Parmigianino, databile al 1529 e conservato presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna.
299 Alessandro Alfieri, Dal simulacro alla Storia.Estetica ed etica in Quentin Tarantino. ISBN 978-88-7588-218-1, 2018, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [2]. In copertina: Il volto di Django Freeman (Jamie Foxx) in una scena del film Django Unchained, 2012, scritto e diretto da Q. Tarantino.
300 Costanzo Preve, L’alba del Sessantotto. Una interpretazione filosofica. [Nuova edizione riveduta e corretta]. ISBN 978-88-7588-216-7, 2018, pp. 64, formato 130×200 mm., Euro 7 – Collana “Divergenze” [5]. In copertina: M.C. Escher, Ritratto di G.A. Escher, padre dell’artista. Litografia, 1935.
301 Mario Vegetti, Scritti sulla medicina galenica. ISBN 978-88-7588-215-0, 2018, pp. 464, formato 140×210 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [89]. In copertina: Galeno e Ippocrate. Affresco del XIII secolo. Anagni, Cripta del Duomo.
302 Fabio Acerbi, Concetto e uso dei modelli nella scienza greca antica. ISBN 978-88-7588-214-3, 2018, pp. 92, formato 140×210 mm. [liberamente scaricabile in PDF] – Collana “Il giogo” [90]. In copertina: Particolare di un manoscritto del X Secolo; pagina dell’opera di Aristarco di Samo Sulle dimensioni e distanze del Sole e della Luna.
303 Jean Bricmont, Contro la filosofia della meccanica quantistica. Traduzione dal francese di Fabio Acerbi. ISBN 978-88-7588-217-4, 2018, pp. 51, formato 140×210 mm. [liberamente scaricabile in PDF] – Collana “Il giogo” [91]. In copertina: Campo relazionale.
304 Massimo Bontempelli, Il pregiudizio antimetafisico della scienza contemporanea. ISBN 978-88-7588-212-9, 2018, pp. 58, formato 140×210 mm. [liberamente scaricabile in PDF] – Collana “Il giogo” [92]. In copertina: Pregiudizio.
306 Marcella Continanza, La rosa di Goethe. Poesie. ISBN 978-88-7588-219-8, 2018, pp. 80, formato 130×200 mm., Euro 10. In copertina: Salvador Dalí, Rosa Meditativa, 1958.
308 Marino Gentile, Umanesimo e tecnica. Tutto ritorna all’uomo. Introduzione di Mario Quaranta. ISBN 978-88-7588-208-2, 2018, pp. 208, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “Il giogo” [85]. In copertina: Auguste Rodin, La Mano di Dio, 1896. Musée Rodin, Parigi.
309 Giancarlo Paciello, Elogio sì, ma di quale democrazia? La rivolta o forse la rivincita del demos. ISBN 978-88-7588-178-8, 2018, pp. 176, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Divergenze” [61]. In copertina: Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buon Governo nella città (1338-1339), “La gioia nella danza”, particolare. Palazzo Pubblico di Siena.
310 Salvatore A. Bravo, Le metafore nella filosofia. ISBN 978-88-7588-174-0, 2018, pp. 288, formato 140×210 mm., Euro 25 – Collana “Il giogo” [97]. In copertina: René Magritte, La firma in bianco, 1965.
«Lo iato teorico è assoluto. La frattura, di fatto, decisiva. Tra il mondo liberal-capitalista, il nostro mondo, e il presente dell’esigenza comunista (presente senza presenza) non c’è che il tramite di un “dis-astro”, di un cambiamento d’astro. […] C’è domanda, eppure nessun dubbio; c’è domanda, ma nessun desiderio di risposta; c’è domanda, e nulla che possa essere detto, ma solo da dire».
Maurice Blanchot, La scrittura del disastro, il Saggiatore, Milano 2021.
071 Massimo Bontempelli, Tempo e Memoria. La filosofia del tempo tra memoria del passato, identità del presente e progetto del futuro. ISBN 88-87296-69-3, 1999, pp. 112, formato 140×210 mm., Euro 10. In copertina: M. Chagall, Il giocoliere (1943). Chicago, The Art Institute.
074 Luca Grecchi, Il necessario fondamento umanistico della metafisica. ISBN 978-88-7588-093-4, 2005, pp. 64, formato 140×210 mm., Euro 10 – Collana “Il giogo” [6]. In copertina: Auguste Rodin, La cattedrale. 1908. Pietra, cm. 64×29,5×31,8. Meudon, Musée Rodin.
075 Fabio Bentivoglio, Aristotele: Metafisica. Scienza, natura e destino dell’uomo. ISBN 88-88172-12-2, 2002, pp. 104, formato 140×210 mm., Euro 10 – Collana “Le passioni dell’anima” [2]. In copertina: Ritratto di Aristotele, da Aristoteles cum Leonardi Aretini commentario.
077 Massimo Bontempelli – Carmine Fiorillo, Il sintomo e la malattia.Una riflessione sull’ambiente di Bin Laden e su quello di Bush. ISBN 88-87296-50-2, 2001, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 10. In copertina: F. Goya, Il sonno della ragione genera mostri, foglio 43 dei Capricci, 1799. Fondazione Antonio Mazzotta, Milano.
079 Giuseppe Bailone – Nello De Bellis – Enrico Berti – Alberto Giovanni Biuso – Luca Grecchi – Domenico Losurdo – Michele Marolla – Costanzo Preve – Giovanni Stelli – Mario Vegetti, Dialettica oggi. “Koiné”. Anno XII – NN° 3-4 / Settembre – Dicembre 2005. ISBN 978-88-7588-094-1, 2005, pp. 240, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [8]. In copertina: Antonio di Jacopo Benci, detto il Pollaiolo, La Dialettica. Roma, S. Pietro, Grotte Vaticane.
080 Antonella Lumini, Caino. Dramma del buio e della luce. Con uno scritto di Paolo Coccheri. ISBN 978-88-7588-087-3, 2005, pp. 96, formato 120×180 mm., Euro 10 – Collana di teatro, “Antigone” [10]. In copertina: Amalia Ciardi Duprè, La morte di Abele,1980.
Non credo esista un filosofo che dall’esperienza del Novecento abbia tratto considerazioni così pregnanti come Günther Anders, in particolare in quell’immenso saggio in tre parti che è L’uomo è antiquato, un libro chiave, un libro poco letto e poco amato dagli stessi filosofi che, rifiutando o non riuscendo a guardare in faccia la realtà, continuano a gingillarsi con i problemi di una vita quotidiana che non è mai stata così avariata e di una morale che non è mai stata così fragile e provvisoria.
Goffredo Fofi
Salvatore Bravo
I racconti di G. Anders palesano agli occhi della mente ciò che di solito rifiutiamo di problematizzare e di tematizzare, offuscando noi stessi la visione della verità
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Cinismo Il cinismo dei nostri giorni ha bisogno d’essere compreso, trasformato in concetto per poter ipotizzare la possibilità della prassi e dell’esodo dal pantano dall’anomia etica in cui siamo intrappolati. Solo lo sguardo filosofico della civetta-filosofia può penetrare il buio senza distogliere la vista dal vorticoso nichilismo nel quale siamo immersi. Il nichilismo lasco nelle parole, e distruttivo nelle azioni è la verità con cui ci si deve confrontare senza infingimenti. Quando il reale storico con la sua violenza opportunistica aggredisce ogni energia positiva, ogni pensare creativo – rappresentandolo come “pia illusione” per poter giustificare la pratica del cinismo – è facile lasciarsi conquistare dalla cattiva politica per disperazione. Il nichilismo inquina le acque della creatività ed insidia ogni resistenza con la sua rappresentazione del reale come unico possibile, come un destino che fatalmente tutto divora senza speranza alcuna. A volte, rileggere i racconti brevi di Günther Anders, quasi degli aforismi, può essere di ausilio per vedere con gli occhi della mente ciò che solitamente rifiutiamo di problematizzare e di tematizzare. La letteratura filosofica può essere un percorso di liberazione dal velo di Maya che offusca l’agire e la visione della verità. Essa è, con i suoi simboli-concetto, veicolo di attraversamento della notte oscura in cui siamo. Guardare il buio è già l’inizio di una nuova alba. Le contraddizioni sono la breccia verso un nuovo mondo: senza di esse non vi è prassi e non vi è vita degna di essere vissuta.
Lo sguardo dalla torre Lo sguardo dalla torre è un breve testo scritto da Günther Anders nel 1932. Lo sguardo che cade dall’alto è il segno di una distanza che modifica il reale storico in sguardo psicotico, in fuga dalla realtà, per rifugiarsi in una distanza che non vuole vivere e pensare la tragedia con le sue contraddizioni. La distanza rende la verità un gioco, una finzione a cui si può assistere senza esserne coinvolti: pertanto è respinta la responsabilità etica e la sofferenza che comporta. La distanza diviene il rifugio da cui ci si protegge nell’illusione che ciò che accade non ci coinvolge e non ci chiama in causa. La torre descritta da Günther Anders è metafora dell’uso delle tecnologie che allontanano dall’impegno storico, esse sono il mezzo con cui il potere neutralizza la partecipazione. Lo sguardo della tecnologia si installa in noi ed educa alla distanza, all’anestesia del concetto e del sentimento. La sostituzione della realtà diretta con l’immagine di essa forma ad un comportamento “psicotico”: ci si rifugia in una torre interiore che non si lascia toccare da nulla. Si assiste, dunque, passivamente all’accadere storico. Anzi, l’inquietudine della realtà e l’incapacità acquisita ad orientarsi nelle tragedie storiche rafforzano l’eternizzarsi del gioco, del virtuale sul reale, eternizzando il presente. Scendere dalla torre interiore diviene, in tal modo, il primo atto di emancipazione senza il quale nulla può iniziare:
«Quando la signora Glü dalla più alta torre panoramica[1] gettò lo sguardo verso il basso, dalla strada sottostante, simile a un minuscolo giocattolo ma riconoscibile inequivocabilmente per il colore del cappotto, sbucò suo figlio; e un secondo dopo, questo giocattolo venne travolto e distrutto da un autocarro rassomigliante anch’esso a un giocattolo – comunque la faccenda si sbrigò a malapena nell’arco di un istante di irreale brevità, e il tutto si svolse solamente fra giocattoli. “Io non vado giù!”, urlò a quel punto la signora Glü, rifiutandosi di scendere le scale, “io non abbandono la torre! Lì sotto potrei disperarmi!”».[1]
Lo sguardo all’insù Lo sguardo all’insù, del 1957, ancora una volta descrive la distanza da un’altra prospettiva. In questo caso dal basso. Non più un singolo, ma un gruppo umano – abituato ad un quotidiano senza emozioni – assiste al suicidio di un loro simile senza far nulla per la sua salvezza. Lo spettacolo del tentativo di suicidio è vissuto come un evento che rompe il ritmo quotidiano: pertanto è occasione per liberarsi dalla noia. Gli spettatori non si pongono domande, non empatizzano. Continuano, mentre assistono all’insolita rappresentazione, a gestire i loro affari. L’impazienza e la curiosità li solleticano a restare, perché desiderosi di sapere-vedere se il suicida porterà a termine il suo proposito. La distanza cinica è la vera protagonista del racconto. Ripiegati su se stessi, “educati” all’atomistica delle solitudini, quegli uomini sono ormai incapaci di sentirsi parte di un tutto, sono monadi abituate a consumare le loro vite come fossero pratiche burocratiche da espletare. Il suicida ha su di sé lo sguardo degli altri. Per la prima volta è oggetto, si può dedurre, dell’attenzione dei suoi simili. Deve accontentarsi di una sguardo anonimo, perché vive in una realtà di cecità emotiva assoluta. Il suicida è la disperazione della normalità che cerca di essere riconosciuta in modo distorto e assurdo, perché solo un gesto estremo può provocare l’attenzione di coloro che vivono nell’indifferenza. La disperazione cade dall’alto e si muove dal basso, le disperazioni si incrociano, ma sono diverse: il suicida ha un livello di consapevolezza più alto, ma senza prospettiva. La curiosità – alla fine – è soddisfatta: il suicidio si realizza, e quindi il gruppo raccogliticcio ed occasionale si scioglie e ritorna «alla patologica normalità di ogni giorno»:
«”Coraggio, sbrigati!” gridava la folla verso l’alto, dove alcuni avveduti – stavano ancora indicando all’insù coi loro bastoni da passeggio – avevano individuato sul davanzale della più alta finestra della torre qualcosa di minuscolo, riconoscibile dai nuovi sopraggiunti solo dopo pochi istanti, qualcosa di nero, che non poteva essere nient’altro che un uomo arrampicatosi fin là per buttarsi nel vuoto “Coraggio, sbrigati!” gridavano, perché, come annunciava uno sprezzante brusio, era già da un’ora buona che quell’uomo stava perdendo tempo, e dopo quest’ora buona non era ancor riuscito a prendere la sua decisione – “Coraggio, sbrigati!” gridavano, e alcuni: “Salta, deciditi!” e altri: “Per quanto tempo ancora dovremo aspettare in piedi?” – e poco a poco le loro voci sfociarono in un generale mormorio collettivo, e poi in un generale gridare spazientito e indignato, come se egli, per il fatto di starsene lassù in alto, avesse assunto l’obbligo di fare ciò per cui loro erano appostati lì con le bocche aperte: vale a dire, o lasciarsi cadere come una pietra, oppure – cosa che avrebbero forse preferito vedere – esibirsi in un perfetto tuffo di testa attraverso il blu del cielo di mezzogiorno; e come se costoro, dal momento che era proprio per amor suo che erano rimasti lì in piedi, e per amor suo avevano abbandonato i loro affari, avessero diritto non soltanto a questo spettacolo, ma anche a che egli non continuasse a rimandarlo di un altro istante; e come se quel che si trovava lì sotto di lui non fosse la marea di tetti della città, ma il mare vero nel quale gettarsi e immergersi, in questa caldissima giornata d’agosto, per poter rimediare un invidiabile refrigerio. Ed era per lui, che in maniera così imperdonabile veniva meno ai propri doveri, che essi ora là sotto, altrimenti così tanto coscienziosi, stavano sottraendosi ai loro doveri – cosa che comunque continuavano a giudicare inconcepibile–; e se poi egli, mentre si raccoglieva per la sua ultima decisione impiegandoci così tanto tempo, potesse in qualche modo distinguere la folla che da laggiù, accalcata testa a testa, lo stava scrutando, e se avesse percepito il baccano dell’affollamento, se egli facesse in qualche modo riferimento a questo chiasso, sempre che l’avesse percepito, se egli intuisse che fra coloro i quali avevano perso la pazienza, perché la lunga attesa cominciava a essere un peso per tutti e perciò iniziarono tutti insieme a gridare in coro, se intuisse che fra questi vi fossero anche conoscenti o suoi amici, non ci è dato saperlo con certezza. È certo invece che il loro numero cresceva di minuto in minuto. E che a nessuno, fra le persone bloccate tra la folla in attesa già da un’ora, parve saltar in mente di abbandonare lo spettacolo prima dell’atto conclusivo, o addirittura tentar di defilarsi dalla folla per dare seguito ai propri affari. In ogni caso rimasero tutti così immobili, come se quel giorno fosse stato un giorno di festa in cui a nessuno sarebbe potuto sfuggire qualcosa, e con lo sguardo fisso verso l’alto; ed è verosimile che costoro sperassero al tempo stesso non soltanto ch’egli finalmente saltasse giù, ma anche che non saltasse proprio adesso, no, forse che addirittura non saltasse mai, perché dopo il salto sarebbe tutto tornato come un tempo – una situazione estremamente sgradevole e mortalmente noiosa che, già adesso probabilmente, nessuno vedeva di buon occhio, tanto quanto il fatto che l’uomo non fosse ancora saltato giù. Solo dopo, quando l’attesa fu interrotta dal suo lancio nel vuoto, e senza nessun preavviso per altro, cosicché molti di loro mancarono scandalosamente il momento cruciale; solo dopo che egli, rotolando in aria più volte su se stesso come un sacco o una pietra, si era lanciato sfiorando il muro della torre, per poi schiantarsi a terra con un tonfo, laggiù dove egli (sicuramente il più irriconoscibile) si era ferito mortalmente assieme a tre dei curiosi che la folla aveva spinto direttamente ai piedi della torre; solo dopo essersi rassicurati, perché «era proprio ora», solo in seguito iniziarono tutti a spingersi lentamente l’un contro l’altro, molti col viso indispettito, e solo in seguito iniziarono a confessarsi che gli affari, tuttavia, sarebbero continuati, e che forse erano addirittura continuati nel frattempo».[2]
Il fuori che è andato perduto Dove fuggire in un mondo reso omogeneo dalla tecnocrazia, dalla violenza dell’efficientismo orbo di ogni ideale e senso? In Il fuori che è andato perduto, del 1958, Günther Anders descrive il pianeta ormai globalizzato e sussunto al pensiero-governo unico, in cui le nazioni sono scomparse perché il potere è globale. Il pianeta è una grande prigione senza speranza e senza politica, non vi sono modelli sociali alternativi, non vi è la dialettica politica, ma regna solo la violenza del pensiero unico. Il racconto sembra parlarci dell’attualità e del futuro prossimo possibile, in cui l’imperio della lingua unica, l’inglese, si associa al modello economico unico, il liberismo, che penetrano ogni spazio geografico e mentale per restituirci la trasformazione del globo in un’immensa gabbia d’acciaio senza uscita e prospettiva:
«Quando nell’anno 2058, mezzo secolo dopo la fondazione dello Stato mondiale, un alunno lesse nella ‹Storia del 20° secolo› la frase: “Nei momenti in cui qua e là il peso delle dittature diveniva insopportabile, c’erano sempre folle di fuggiaschi”, chiese – perché per lui che il mondo fosse uno ed ermeticamente chiuso era assolutamente scontato: “Folle di fuggiaschi? Ma che significa? E dove mai poterono scappare? C’era davvero un fuori?” – Ed esclamò, colmo di disprezzo, come se per lui queste domande fossero già state risolte, e come se la condizione misera in cui era nato potesse essere un motivo d’orgoglio o addirittura un merito personale: “Guarda un po’, un ‹peso› le avevano definite quelli!” – Dal che si deve imparare che dovremmo riflettere tre volte prima di fondare uno Stato mondiale. Perché laddove ve ne è soltanto uno, allora non rimane più nessuno spazio al di fuori. Quindi nemmeno alcun rifugio possibile».[3]
Günther Anders tratteggia con la sua scrittura pungente e priva di “ogni morbidezza” i pericoli del tempo presente, in lui lo sguardo filosofico diviene “senso storico” e capacità di inseguire le dinamiche storiche nel loro sviluppo futuro. Günther Anders ci avverte dei pericoli a cui andiamo incontro, descrive il tempo presente con la lucidità e l’onestà tipica di un inattuale come lui, che – per comprendere – si è reso disorganico ad ogni potere. La resistenza è sempre possibile ed è sempre in fusione combinata con la concettualizzazione del reale storico. Ma resistere non basta, è necessario partecipare alla creazione di una nuova visione del mondo, è necessario sottrarsi all’accettazione passiva degli automatismi indotti in ogni sfera e ri-forgiare l’umanità di ogni atto umano, consapevole e/o spontaneo, al fine di poter contribuire allo sviluppo un nuovo umanesimo comunitario.
Salvatore Bravo
***
[1]Günther Anders,Lo sguardo dalla torre: Favole, con le illustrazioni di A. Paul Weber, Mimesis, Milano 2011, pp. 8.
Non credo esista un filosofo che dall’esperienza del Novecento abbia tratto considerazioni così pregnanti come Günther Anders, in particolare in quell’immenso saggio in tre parti che è L’uomo è antiquato, un libro chiave, un libro poco letto e poco amato dagli stessi filosofi che, rifiutando o non riuscendo a guardare in faccia la realtà, continuano a gingillarsi con i problemi di una vita quotidiana che non è mai stata così avariata e di una morale che non è mai stata così fragile e provvisoria. Che non sentono affatto il peso di quella «vergogna prometeica» che pure è avvertita più o meno coscientemente anche da persone comuni e senza studio: la nostra dissociazione dalle cose che noi e quelli come noi hanno prodotto, la perdita di senso della nostra esistenza divisa tra le immense potenzialità della tecnica (dei suoi prodotti continuamente rinnovati, e tutti in definitiva destinati alla distruzione, il cui solo scopo è quello di venir distrutti) e la nostra possibilità di intenderli, l’incapacità di ciascuno di elaborare una morale del loro uso, la nostra sottomissione ai nostri prodotti, l’acquiescenza ai messaggi mediatici che ce li impongono e che, imponendoceli, impongono altresì l’adesione al sistema che ce li offre. L’uomo stesso, dice Anders, sta scomparendo, grazie all’oscura azione della tecnica e della genetica, e cambia di sensibilità e di conformazione, secondario alle cose e infinitamente più deteriorabile delle cose a cui ha dato forma e presenza, cui ha permesso il diritto a un’esistenza che ci oltrepassa. L’uomo è diventato antiquato, non può che contare sempre di meno rispetto al concreto inganno in cui si è involto, e se ci saranno ancora uomini, a costoro – come già ci accade così spesso di constatare –, delle qualità che hanno caratterizzato nei secoli l’umano resterà ben poco: mutanti e mutati, astorici per la mutazione stessa della storia. Tra poco, se sopravviveremo – perché è di noi medesimi che parliamo –, e già ora per notevole parte, saremo irriconoscibili a noi stessi. Abbiamo conosciuto per primo l’Anders del «pilota di Hiroshima», del rischio atomico, del pacifismo radicale, grazie, in Italia, all’opera di traduttore e diffusore di Renato Solmi presso le edizioni Einaudi. Anders venne a Torino nei primissimi anni sessanta e ricordo, al Centro Gobetti, un incontro non felice con il gruppo dei Quaderni Rossi, ancora presi di rivoluzione operaia e di «marxismo critico» e troppo chiusi sull’immediato dei «rapporti di proprietà» per accettare una visione del presente e del futuro più ampia e, per dirla tutta, post-socialista… Anche coloro che, vicini all’area nonviolenta dei movimenti di quegli anni di «prima del ‘68», non mi pare capissero fino in fondo la novità e l’attualità del discorso di Anders, poiché tutti, dico tutti, eravamo imbevuti di quell’ideologia del progresso che si era imposta al senso comune negli anni della ricostruzione, e da quell’illusione di rivoluzione che, in vario modo, attraversava allora il pianeta – una guerra perduta. Il contingente ci velava il soggiacente, il mutamento irreversibile che pure, a saper guardare, era più che evidente. Ritrovammo Anders molti anni dopo, nel pieno di quegli anni ottanta che volevano sancire la «fine della storia» e che ormai rendevano evidente la sua attualità e la centralità del suo pensiero, capace di spingersi più oltre di qualsiasi altro e vedere quel che ci si era ostinati e ancora ci si ostinava a non voler vedere. Fu sulle colonne di “Linea d’ombra”, dove la firma di Anders comparve più e più volte grazie alla nostra affettuosa insistenza sullo stesso Anders, per il tramite di un’amica che lo visitava spesso a Vienna comunicandogli la nostra ammirazione e il nostro affetto, Ea Mori. Ora Anders veniva infine conosciuto e studiato anche nel nostro paese. E veniva infine nuovamente tradotto permettendoci di scoprire le molte facce della sua attività e, tra l’altro, la durezza della sua critica al generico pacifismo e alle superflue marce domenicali dei nonviolenti, da lui definite happening. Il suo sarcasmo ci colpì e ci convinse, con la proposta che ne stava al fondo, dell’indispensabilità di un’azione ben più dura nei confronti di un nemico senza volto che ossessivamente trasformava il mondo – e che oggi il movimento degli Occupy ha finalmente individuato, senza nessuna possibilità di errore, in Wall Street e in genere nella grande finanza. Di fronte all’enormità dell’aggressione, occorrevano – occorrono – risposte adeguate che, se in Anders non rifuggivano più dall’appello alla violenza, in altri avrebbero ben potuto essere quelle, mai praticate o fiacchissimamente dai movimenti pacifisti e nonviolenti, della disobbedienza civile. E questo non è un altro discorso! Ma esiste un terzo Anders, a fianco dell’Anders filosofo e dell’Anders della guerra e della pace, ed è l’Anders letterato e scrittore, critico e interprete non soltanto nei modi tradizionali dell’esercizio della filosofia e della critica, ma aperto alle commistioni, poiché sempre di una stessa cosa egli deve – e si deve infine parlare –, anche per essere ascoltati oltre l’ignobile chiacchiericcio dei media e dei pensatori autorizzati. In questo prezioso ed esaltante volume curato da Devis Colombo scopriamo infatti un altro aspetto dell’opera di Anders: un eccezionale talento del racconto icastico e sintetico, che egli definisce favola ma che è qualcosa di più e di diverso dalla favola. Intanto, perché si tratta di favole adulte per adulti – vicine all’aforisma e per più versi, non sappiamo dire quanto ci se ne debba sorprendere, vicine a una tradizione ugualmente adulta che è quella esercitata talvolta dal suo contemporaneo Bertolt Brecht (maestro comune Karl Kraus?). Vicine formalmente, ma diverse nelle intenzioni e nella morale, poiché l’elemento dell’immediata comunicatività e della «lezione», sembra contare meno per Anders a tutto vantaggio della profondità, della complessità, della provocazione al lettore perché ci metta del suo, ci lavori sopra, perché si lasci interrogare dal racconto e lo interroghi, perché si interroghi. […]
Goffredo Fofi
Günther Anders, Lo sguardo dalla torre. Favole, con le illustrazioni di A. Paul Weber, a cura di Devis Colombo. Prefazione di Goffredo Fofi, Mimesis, Milano 2011.
Quarta di copertina
Lo sguardo dalla torre raccoglie le favole che Günther Anders scrisse tra il 1931 e il ’68. In un tempo in cui l’umanità fatica a mantenere il passo con lo sviluppo della tecnica, occorre rivedere radicalmente il nostro modo di pensare, abbandonando le tradizionali categorie del discorso. Così questa scelta narrativa del filosofo tedesco non è dovuta a una semplice ragione di stile, ma a un’esigenza concreta di resistenza all’impoverimento del linguaggio che l’incontrastata proliferazione degli apparati tecnici porta con sé. Per far fronte al senso d’inferiorità originato dalla sempre più autonoma funzionalità dei prodotti da lui stesso creati – ciò che Anders definisce “vergogna prometeica” – l’uomo tende ad assorbire le modalità univoche e immediate dei segnali delle macchine, perdendo quella capacità dialogica e riflessiva di comunicare che costituisce il fondamento dell’essere umano, e dalla quale dipende la possibilità di immaginare e di provare sentimenti. Le favole diventano allora uno strumento, tanto critico quanto salvifico, di riflessione, a partire da uno sguardo rinvigorito, fantasioso quanto provocatorio che soltanto la forma favolistica è in grado di offrire. Prefazione di Goffredo Fofi.
061 Maura Del Serra, Scintilla d’Africa. Cinque scene, con uno scritto di Marco Beck. ISBN 88-88172-23-8, 2005, pp. 96, formato 120×180 mm., Euro 9 – Collana di teatro, “Antigone” [9]. In copertina: Georges de La Tour, La veglia della Maddalena (cm. 128×94), particolare. Parigi, Museo del Louvre.
062 Umberto Galimberti – Luca Grecchi, Filosofia e Biografia. ISBN 978-88-7588-095-8, 2005, pp. 192, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [3]. In copertina: Menade, marmo di Scopas (370-330 a. C.). Kunstsammlung, Dresda.
063 Costanzo Preve, Il bombardamento etico. Saggio sull’Interventismo Umanitario, sull’Embargo Terapeutico e sulla Menzogna Evidente. ISBN 88-87296-77-4, 2000, pp. 224, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Divergenze” [31]. In copertina: P. Ricasso, Studio di composizione per Guernica. In alto, a destra: francobollo celebrativo dedicato a Primo Levi (1919-1987).
064 Andrea Cavazzini, Evento e concetto. Filosofia e Storia della Filosofia. ISBN 88-87296-64-2, 1998, pp. 64, formato 140×210 mm., Euro 7 – Collana “Divergenze” [26]. In copertina: J. Bosch, Visioni dell’aldilà (particolare).
067 Massimo Bontempelli, L’agonia della scuola italiana. ISBN 88-87296-79-0, 2000, pp. 144, formato 140×210 mm., Euro 10. In copertina: Graffiti scoperti nella valle di Wadi el-Hol, Egitto (vi si riconoscono simboli caratteristici degli alfabeti semitici primitivi).
068 Giuseppe Bailone – Alberto Giovanni Biuso – Federico Bordonaro – Luca Grecchi – Michele Marolla – Diego Melegari – Costanzo Preve – Franco Toscani, Sumbállein. Riflessioni sugli scritti di Umberto Galimberti. “Koiné”. Anno XII – NN° 1-2 /Gennaio-Giugno 2005. ISBN 978-88-7588-091-0, 2005, pp. 208, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [2]. In copertina: Auguste Rodin, Il Pensatore, gesso patinato, h. cm. 192. Parigi, Musèe Rodin.
070 Luca Grecchi, Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino. ISBN 978-88-7588-092-7, 2005, pp. 176, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [4]. In copertina: Auguste Rodin, La Pensée. 1886, marmo, h. cm. 74. Musée d’Orsay.
«Il compiuto riconoscimento di ciò che siamo, è sempre preceduto dal sofferto confronto con l’altro, avvertito insieme fuori di noi e in noi, per effetto di quella sorta di compartecipazione, anteriore alla definizione dell’individuo, di cui la tragedia è espressione»..
M. Zambrano, El hombre y lo divino, F.C.E., México 1995. In versione italiana: L’uomo e il divino, intr. di V. Vitiello, Lavoro, Roma 2001, p. 247.
051 Gianfranco La Grassa, La tela di Penelope. Conflitto, crisi e riproduzione nel capitalismo. ISBN 88-87296-65-60, 1999, pp. 144, formato 140×210 mm., Euro 10 – Collana “Divergenze” [27]. In copertina: P. Picasso, Natura morta con sedia impagliata, 1912. Olio su tela cerata applicata sulla tela, cm 25×37. Collezione privata.
053 Massimo Bontempelli-Costanzo Preve, Gesù uomo nella storia, Dio nel pensiero. ISBN 88-87296-01-4, 1997, pp. 320, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “La Crisalide” In copertina: H. Matisse, Icaro.
057 Andrea Cavazzini, Teoria, Ideologia, Storia. Note critiche su un inedito di Althusser. ISBN 88-87296-22-7, 1998, pp. 48, formato 140×210 mm., Euro 5 – Collana “Divergenze” [7]. In copertina: Alchimisti al lavoro intorno ad un alambicco di distillazione; illustrazione xilografica dal De Secretis Naturae (1544) di Philip Ulstadt.
058 Gianfranco La Grassa, L’imperialismo. Teoria ed epoca di crisi. ISBN 88-88172-17-3, 2003, pp. 80, formato 170×240 mm., Euro 10 – Collana “Divergenze” [35]. In copertina: Victor Vasarely, Arlecchino, 1935. Galleria Denise Renè, Parigi.
059 Costanzo Preve, Un secolo di marxismo. Idee e ideologie. ISBN 88-88172-29-7, 2003, pp. 208, formato 170×240 mm., Euro 15 – Collana “Divergenze” [36]. In copertina: R. Magritte, Il grande secolo.
060 Costanzo Preve, Le avventure dell’ateismo. Religione e materialismo oggi. ISBN 88-87296-66-9, 1999, pp. 64, formato 140×210 mm., Euro 7 – Collana “Divergenze” [22]. In copertina: La quinta tromba (Apoc., 1-12), Bamberg, Staatsbibliothek, miniatura.
041 Maura Del Serra, Crescita e costruzione: immagini del giardino. ISBN 88-87296-31-6, 1999, pp. 16, formato 140×210 mm., Euro 5. In copertina: La fontana nel giardino. Da Boschius, Ars Symbolica, Augustae Vindelicorum 1702.
042 Amnon Kapeliouk, Sabra e Chatila. Inchiesta su un massacro. Presentazione di Helarion Capuci. Introduzione di Stefano Chiarini. ISBN 88-87296-44-8, 2002, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 10. In copertina: Pittogramma arabo del poeta Mouhamad Hamza Ganayem che significa «… verso il cielo che piange/una pioggia leggera e tranquillizzante/su un mare di rifugiati…».
043 Federico Dinucci, Materialismo aleatorio. Saggio sulla filosofia dell’ultimo Althusser. ISBN 88-87296-20-0, 1996, pp. 80, formato 140×210 mm., Euro 8 – Collana “Divergenze” [14]. In copertina: Disegno di M. Vulcanescu.
044 Federico Dinucci, Marx prima di Marx. Teoria del valore e processi di globalizzazione. ISBN 88-87296-26-X, 1998, pp. 48, formato 140×210 mm., Euro 5 – Collana “Divergenze” [16]. In copertina: Maurits C. Escher, Galleria di stampe.
045 Diego Melegari, Il problema scongiurato. Note su Antonio Negri e il “partito” del General Intellect. ISBN 88-87296-38-3, 1998, pp. 64, formato 140×210 mm., Euro 7 – Collana “Divergenze” [17]. In copertina: Disegno di M. Vulcanescu.
046 Costanzo Preve, Individui liberati, comunità solidali. Sulla questione della società degli individui. ISBN 88-87296-16-2, 1998, pp. 64, formato 140×210 mm., Euro 7 – Collana “Divergenze” [12]. In copertina: Disegno di M. Vulcanescu.
047 Marino Badiale, La Mappa e il Paesaggio. Osservazioni critiche sull’epistemologia del Novecento. ISBN 88-87296-30-8, 1998, pp. 32, formato 140×210 mm., Euro 5 – Collana “Divergenze” [15]. In copertina: Xilografia dall’Anthropologium di Magnus Hundt, 1501.
048 Costanzo Preve, Hegel Marx Heidegger. Un percorso nella filosofia contemporanea. ISBN 88-87296-68-5, 1999, pp. 64, formato 140×210 mm., Euro 7 – Collana “Divergenze” [24]. In copertina: F. Hegel [a], K. Marx [b], M. Heidegger [c].
049 Marco Salvioli, Kenosi e De-centramento. Il concetto di Dio tra J. Derrida e M. C. Taylor. ISBN 88-87296-63-4, 1999, pp. 64, formato 140×210 mm., Euro 7 – Collana “Divergenze” [28]. In copertina: P. Klee, Crisi di un angelo, 1939 (Collezione privata, Svizzera).
050 Costanzo Preve, Marxismo, Filosofia, Verità. ISBN 88-87296-14-6, 1998, pp. 64, formato 140×210 mm., Euro 7 – Collana “Divergenze” [6]. In copertina: G. M. Mitelli, La verità, incisione, 1687.
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