Claudia Baracchi – Non va ridotto a sintomo il bisogno di raccoglimento, di riflessione, che è risposta in qualche modo ribelle al regime dell’apparire. La libertà è essenzialmente categoria dello spirito.

Claudia Baracchi - Paura della normalità

« […] non paura del virus, bensì del mondo costruito, del mondo civile. È il mondo umano che fa paura. Non più il terrore della natura matrigna, conro la quale da sempre le civiltà offrono riparo, bensì il rovesciamento di una prospettiva millenaria, ovvero un terrore – o, se volete, un’avversione – per quello che gli umani fanno, per quello che il mondo è diventato, per mano loro.
Non va ridotto a sintomo il bisogno di questo raccoglimento, il bisogno di riflessione, di un respiro più ampio, di un modo diverso di sentirsi insieme. Non si tratta di una mera strategia di evitamento, di un rifiuto problematico della relazione.

Penso che si tratti anche di una risposta in qualche modo ribelle al regime dell’apparire, un tentativo di riequilibrare il rapporto, decisamente disequilibrato, tra estraflessione e introflessione. Tentativo di compensare il vuoto della posa e dell’immagine attraverso l’invisibile, attraverso il ritiro

[…] vorrei inoltre ricordare che la libertà è essenzialmente categoria dello spirito […] e concludere leggendo alcune righe scritte da Henry David Thoreau nel suo libro Civil Disobedience, pubblicato nel 1849 […]».

Claudia Baracchi, La paura della normalità, Youtube, 27 maggio 2020.

Claudia Baracchi, La paura della normalità, Youtube, 27 maggio 2020.

Claudia Baracchi

Filosofia antica e vita effimera

Migrazioni, trasmigrazioni e laboratori della psiche

ISBN 978-88-7588-245-7, 2020, pp. 112.

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I testi qui raccolti ripercorrono due seminari residenziali in cui confluivano studi di filosofia antica e un’insolita composizione di temi: il rapporto tra greco e non greco, e le peripezie del pen­siero tra il Mediterraneo degli Elleni, il Levante, l’Egitto, in onde migratorie che saranno costitutive dell’Europa; il rapporto tra filosofia e vita, soprattutto la vita sofferente, quale è variamente ma senza eccezioni la vita mortale, esposta e vulnerabile a ogni rovescio; il rapporto tra l’esercizio della ragione e ciò che la ec­cede, si chiami natura, dio, intelletto o in altro modo; al limite, il rapporto tra theoria e praxis. Volgersi al passato in una modalità interrogativa significa soprattutto ricalibrare la nostra domanda su noi stessi, chiederci come siamo diventati quello che siamo, attraverso quali vicende, ma anche e soprattutto attraverso quali dimenticanze, quali sparizioni, quali discontinuità e ricadute nella latenza. Vale a dire: come siamo giunti qui dove ci troviamo, per quali percorsi consapevoli, ma anche inconsci e bui – giacché il passato (tanto individuale quanto collettivo) è saturo di ciò che, di esso, non è stato ancora mai visto e deve ancora accadere.

 


Indice

Introduzione. Teoresi delle farfalle

Primo incontro: seminario d’autunno
Heidegger: la fine e l’inizio
Esercitare la vita

 

Secondo incontro: laboratorio di primavera
Aristotele, i poeti, Eros rilucente
Aristotele, gli antichi, gli dèi
Spazio, tempo, contraddizione

 

Immagini sulla soglia di Platone
L’albero
Il fuoco
Il rasoio e i cavalli

 

Il guerriero e la morte
Compito del guerriero
Il mito del guerriero

Riferimenti bibliografici

Claudia Baracchi – Incontrare l’antico può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci. E l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto.
Claudia Baracchi – Amicizia è disposizione verso il bene, verso il bene della vita, e non richiede conformismo. Tra amici similitudine e reciprocità vanno intesi alla luce di una propensione all’eccellenza, al perfezionamento della vita.
Claudia Baracchi – L’universalismo moderno sorge nell’astrazione. Invece, per l’esperienza antica, l’universale sorge nell’ampliamento d’orizzonte capace di cogliere la tessitura complessiva. Il filosofo rivela l’umano proprio nello slancio dell’umano oltre se stesso, in quell’apertura al possibile e nel possibile. Così, l’esplorazione del possibile trasgredisce e rivolta i confini del noto.


Claudia Baracchi, Diventare madre – YouTube


Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di Claudia Baracchi …


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Claudia Baracchi

Amicizia

Mursia, 2016

«Uomini e donne».

Platone, Apologia di Socrate, 41b-c.

L’universalismo moderno sorge nell’astrazione, nella separazione dai fenomeni eterogenei e irregolari, nella lontananza che uniforma.
Per l’esperienza antica, invece, l’universale sorge nell’ampliamento d’orizzonte che contempla i singoli fenomeni cogliendone a un tempo le differenze irriducibili e i nessi, la tessitura complessiva

« […] la concezione antica dell’anthropos mostra che non c’è contraddizione, né incompatibilità, tra il mio interesse e quello degli altri […]. Per l’umano così inteso, l’amicizia è il fondamento di ogni registro e variazione relazionale. È il luogo in cui il singolo si realizza e in cui può darsi la solidarietà che rende l’insieme coeso. Ed è qui, in questa esperienza concreta, vissuta, singolare, che si radica lo sviluppo universale.
L’universalità non è una invenzione cristiano-moderna; gli antichi conoscono bene la prospettiva “secondo il tutto“, ma pervengono ad essa per una via completamente differente. L’universalismo moderno sorge nell’astrazione, ovvero nella separazione dai fenomeni eterogenei e irregolari, nella lontananza che uniforma.
Per l’esperienza antica, invece, l’universale sorge nell’ampliamento d’orizzonte, ovvero in uno sguardo che, divenuto più capiente, contempla i singoli fenomeni cogliendone a un tempo le differenze irriducibili e i nessi, la tessitura complessiva.
Così intesa, l’universalità si articola su uno sfondo esperienziale, mantiene il contatto con la concretezza dei vissuti, sempre differenti e cangianti, eppure anche visti nell’insieme. È così che diventa possibile comprendere la relazione, l’essere in comunione e comunanza non come insidia o camicia di forza per il singolo, ma come risorsa. […]
L’amicizia pensata more graeco […] suggerisce che stare insieme non è un caso da sopportare malvolentieri, per contratto, con rassegnazione, ma un piacere, e una possibilità di realizzazione. E soprattutto: più che un limite alla mia libertà di individuo, l’altro, gli altri, il “noi” sono ciò che rende possibile il mio essere, sono costitutivi del mio essere quello (quella) che sono, proprio l’individuo singolare che io sono.» (pp. 17).

«Noi abitanti della modernità tarda siamo a malapena in grado di intendere quello che dicono gli antichi: per loro essere buoni significa essere felici, sentirsi dischiudere nella vastità della vita, ricercandone l’inveramento» (p. 57).

Noi moderni della tarda ora siamo connessi, ma non tra di noi, bensì alla macchina, eampiamente risucchiati fuori di noi, prosciugati, come gusci vuoti appesi ai terminali della rete
«Noi moderni della tarda ora, venendo dopo Kant, abbiamo creduto di poterci emancipare dal bene-dovere rovesciandolo, appunto, in parodia. […] Resta molto arduo, per noi, intendere del bene altri risvolti, altre configurazioni possibili. E per questo, nella nostra epoca tarda, termini o espressioni come “bene comune”, “cittadinanza”, “comunità”, rischiano di perdere il senso concreto e la prossimità viva. Non riconoscendo il bene come realizzazione di sé in seno a un noi, crediamo di trovare libertà e felicità in comportamenti puramente arbitrari e sconnessi.
Oppure siamo connessi, ma non tra di noi, bensì alla macchina, e tramite “la macchina” comunichiamo globalmente, ormai ampiamente risucchiati fuori di noi, prosciugati, come gusci vuoti appesi ai terminali della rete. Ma, così intesa, la connettività è contraffazione della comunità degli amici, così come la “realtà aumentata” è contraffazione della pienezza della vita» (p. 58).

Il filosofo rivela l’umano proprio nello slancio dell’umano oltre se stesso,
in quell’apertura al possibile e nel possibile.
«Preso da una indominabile visione di felicità, il filosofo intravede una possibilità, indovina un riverbero di ciò che l’umano può e può essere. Tale esperienza di rapimento (un’esperienza travolgente, potenzialmente devastante nei confronti delle costruzioni umane) agisce come un promemoria inesorabile dell’irriducibilità dell’umano alle sue stesse istituzioni. Rammenta all’essere umano ciò che, in lui, supera la dimensione umana, indicandogli quello che può diventare.
Il filosofo rivela l’umano proprio nello slancio dell’umano oltre se stesso, in quell’apertura al possibile e nel possibile. Nell’esperienza filosofica è al contempo ricordato e annunciato l’essere umano a venire.

Il filosofo è una figura inaugurale che ritiene le tracce del lascito
ma insieme lascia presagire un’umanità nuova
Così, dunque, nell’inflessione filosofica l’eroe diventa qualcosa di radicalmente altro: una figura inaugurale, che ritiene le tracce del lascito ma insieme lascia presagire un’umanità nuova; un guerriero disarmato, privo di nome e reputazione, per il quale la lotta e il combattimento si svolgono lontani dal campo di battaglia, dalle competizioni, dagli onori e dalle benemerenze. […] La visione socratica di un altro mondo, in cui “uomini e donne” possano confrontarsi e crescere insieme evoca la comunità degli amici come comunità di dialogo e ricerca. È notevole che Socrate vi includa esplicitamente le donne. In Platone e nella tradizione pitagorica questo gesto è frequente e, allo stesso tempo, in netta controtendenza rispetto agli usi della polis. E, dovremmo dire, non soltanto in contrasto con la Atene del V e IV secolo, se è vero che nel discorso filosofico stesso finirà presto col prevalere la celebrazione dell’amicizia come relazione esclusiva tra uomini» ( p.107).

L’esplorazione del possibile trasgredisce e rivolta i confini del noto

«La visione aperta dell’essere umano e della sua potenzialità (dynamis), di ciò che può fare, essere e divenire, rende possibile non solo intravedere una comunità fin qui inimmaginabile, ma anche considerarla in quanto tale non impossibile. L’esplorazione del possibile trasgredisce e rivolta i confini del noto» (p. 145).

***

Risvolto di copertina

 «L’amicizia sorge in seno all’estraneità, rivolgendosi all’esterno: cerca il rapporto non tanto con chi sta vicino, ma con chi viene da lontano. Ancora prima di designare l’approfondimento dell’intimità e della consuetudine, l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto». Affrontare il tema dell’amicizia nell’epoca di Facebook e dei social network richiede coraggio e perfino una certa impertinenza. La relazione amicale comporta fiducia, fedeltà, disponibilità alla condivisione profonda. Ebbene, assicurano i sociologi, mai questo atteggiamento fu più improbabile che nel nostro tempo di drammatica riconfigurazione antropologica. La ricerca sull’amicizia non può dunque prescindere dal pensiero antico: con profondità ineguagliata esso ne indovina le più ampie implicazioni, affettive quanto politiche. Le epoche successive non oseranno tanto, e l’amicizia scomparirà dal pensiero politico così come da ogni considerazione complessiva sull’essere umano. L’Autrice percorre gli snodi della riflessione antica, nella convinzione che abbia a che fare con mondi a venire.


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Claudia Baracchi

L’architettura dell’umano
Aristotele e l’etica come filosofia prima

Vita e Pensiero, 2014

Il secolo scorso ha variamente proclamato la fine della filosofia in quanto metafisica. Nel nuovo millennio si indovinano, a livello istituzionale, sintomi di una sempre più conclamata obsolescenza degli studi umanistici, e quindi della filosofia intesa come disciplina accademica ed esercizio puramente intellettuale. Eppure, nel gesto ampio di questo transito epocale, trovarsi di fronte ai testi antichi può essere occasione di esperienze sorprendenti. Vale a dire, avvicinarsi al testo nella sua materialità impervia, nell’effetto straniante della sua opacità, nella sua refrattarietà alla risoluzione interpretativa o manualistica, può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci – che interrogano l’umano, le sue vicende e possibili configurazioni, le scelte, i percorsi, l’ipotesi della felicità. Incontrare l’antico (Aristotele, per esempio) in questo modo implica coltivare l’intimità con ciò che ancora ci elude. Allora diagnosticare la fine, intravedere altri inizi, non significa superare, passare oltre, né ancora andare altrove. L’origine ci scruta enigmatica. Il suo mistero inconsumato ci sta davanti. Lungi dal comportare una deposizione o un ritorno, lo sguardo volto al passato si espone a ciò che nel passato resta impensato, inaudito. Forse è proprio cogliendo l’antico nel suo carattere insondabile che si vi può intravedere la possibilità inespressa, ciò che si annuncia ma resta in ombra: nella fine, in seme, il compito del pensiero a venire.


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Claudia Baracchi

Aristotle’s Ethics as First Philosophy

Cambridge University Press, 2007

In Aristotle’s Ethics as First Philosophy Claudia Baracchi demonstrates the indissoluble links between practical and theoretical wisdom in Aristotle’s thinking. Referring to a broad range of texts from the Aristotelian corpus, Baracchi shows how the theoretical is always informed by a set of practices, and specifically, how one’s encounter with phenomena, the world, or nature in the broadest sense, is always a matter of ethos. Such a ‘modern’ intimation can, thus, be found at the heart of Greek thought. Baracchi’s book opens the way for a comprehensively reconfigured approach to classical Greek philosophy.

Estratto:

Leggi l'estratto


Il cosmo della Bildung

Il cosmo della Bildung

Risvolto di copertina

Montagna theologica, caverna cosmica o cielo della controriforma, la Cupola di Santa Maria del Fiore ha sempre rappresentato un grandioso programma idealedidattico per l’architettura. Possiamo trascriverlo in un’equazione: l’educazione sta all’ideale come l’architettura sta all’attuale. Un’espressione a quattro incognite vincolate tra loro. Tra queste quella dell’ideale è la meno chiara per le scienze e la più oscura per le coscienze. Comunque, nella cultura del nostro tempo, l’educazione è ridotta ad accumulazione di regole, l’ideale al funzionale, l’architettura a pratica socionormativa, l’attualità a cronologia. In altre parole l’ideale ci richiede sempre un enorme sforzo critico rispetto a tutti i saperi. Esso ci costringe a ripercorrere la biforcazione secolare impressa dalla cultura tecnico-scientifica all’idea di “reale”: quella tra trascendenza e immanenza.





Claudia Baracchi – Incontrare l’antico può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci. E l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto.
Claudia Baracchi – Amicizia è disposizione verso il bene, verso il bene della vita, e non richiede conformismo. Tra amici similitudine e reciprocità vanno intesi alla luce di una propensione all’eccellenza, al perfezionamento della vita.
Claudia Baracchi – L’universalismo moderno sorge nell’astrazione. Invece, per l’esperienza antica, l’universale sorge nell’ampliamento d’orizzonte capace di cogliere la tessitura complessiva. Il filosofo rivela l’umano proprio nello slancio dell’umano oltre se stesso, in quell’apertura al possibile e nel possibile. Così, l’esplorazione del possibile trasgredisce e rivolta i confini del noto.
Claudia Baracchi – Filosofia antica e vita effimera. Migrazioni, trasmigrazioni e laboratori della psiche
Claudia Baracchi, Bookcity 2020 – Esseri umani, farfalle, mostri e la filosofia come terapia della psiche. Con Claudia Baracchi, analista filosofa e Anna Stefi, filosofa e psicologa.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Henry David Thoreau (1817-1862) – Se un uomo è libero nel pensiero, nella fantasia, nell’immaginazione, «ciò che non è» non gli appare mai per molto tempo come «ciò che è».

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Non sono molti i momenti in cui vivo sotto un governo, persino in questo mondo. Se un uomo è libero nel pensiero, nella fantasia, nell’immaginazione, in modo tale che ciò che non è non gli appare mai per molto tempo come ciò che è, non è detto che governanti o riformatori stolti riescano a ostacolarlo.

Henry David Thoreau, La disobbedienza civile, a cura di Franco Meli, traduzione di Laura Gentili, SE, Milano 1992, p. 44.

Henry David Thoreau (1817-1862) – Questa è la biblioteca, ma il mio studio è là fuori, oltre la porta. Credo che non esista niente – neppure il crimine – maggiormente contrario alla poesia, alla filosofia e alla vita stessa che questa incessante smania per il business.
Henry David Thoreau (1817-1862) – È impossibile descrivere l’infinita varietà di sfumature della natura. Per descrivere queste foglie si dovranno usare parole colorate.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Ricerche Aristoteliche. Etica e politica in questione. Introduzione e cura di Giulia Angelini. Saggi di Claudia Baracchi, Manuel Berrón, Enrico Berti, Michele Di Febo, Silvia Gullino, Alberto Jori, Pietro Li Causi, Giovanni Battista Magnoli Bocchi, Francesca Masi, Marcello Zanatta.

Ricerche Aristoteliche - Giulia Angelini - Enrico Berti - Claudia Baracchi - Zanatta

Claudia Baracchi, Manuel Berrón, Enrico Berti, Michele Di Febo,
Silvia Gullino, Alberto Jori, Pietro Li Causi, Giovanni Battista Magnoli Bocchi,
Francesca Masi, Marcello Zanatta

Ricerche aristoteliche. Etica e politica in questione

Introduzione e cura di Giulia Angelini.

ISBN 978–88–7588-283-9, 2021, pp. 328, Euro 30

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Quarta di copertina
Questo volume parte da una serie di problematiche che, riprendendo delle espressioni comunemente in uso, si addensano sull’etica e sulla politica dello Stagirita: che cos’è l’etica? Che cos’è la politica? Qual è il loro fine? A chi si riferiscono? Qual è il collegamento tra le due? Ma ancora, passando ai trattati, qual è il rapporto tra le Etiche e la Politica sia in sé che rispetto alla continuità e discontinuità di certi temi? Oltre alla questione dell’ἐπιστήμη – che, al di là della sistematizzazione consueta, non è assolutamente scontata –, si tratta però di concentrarsi anche su tutti quei temi che si impongono sempre in un’interrogazione di questo tipo, interrogazione che deve sempre tenere presente la specificità storico-categoriale del pensiero dello Stagirita. Anche per questo, piuttosto che offrire una semplice ricostruzione, qui si cercherà di complicare il più possibile questo nodo, che, come si vedrà, è tutto tranne che risolto.

Ricerche aristoteliche. Etica e politica in questione è la quarta di una serie di collettanee aristoteliche uscite sempre per Petite Plaisance: Sistema e sistematicità in Aristotele (2016), Immanenza e trascendenza in Aristotele (2017) e Teoria e prassi in Aristotele (2018).


Indice

Giulia Angelini: Introduzione

Enrico Berti: L’unità della filosofia pratica in Aristotele

Alberto Jori: Praxis ethos polis.
La Rehabilitierung der praktischen Philosophie
e la sua interpretazione dell’etica e della politica di Aristotele

Marcello Zanatta: I principi e lo statuto epistemologico della politica architettonica in Aristotele

Manuel Berrón: La filosofia pratica e il metodo degli Analitici

Claudia Baracchi: Note sul Bene e sull’Uno tra Platone e Aristotele

Francesca Masi: La virtù etica della giustizia distributiva e la sua rilevanza politica

Michele Di Febo: Educare alla moltitudine, educare la moltitudine.
Alcune considerazioni sul dinamismo del plethos nella Politica di Aristotele

Silvia Gullino: La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele
dalla Politica alla Costituzione degli Ateniesi 

Giovanni Battista Magnoli Bocchi: La retorica, fra etica e politica

Pietro Li Causi: Il dilemma della responsabilità animale nel quadro della ‘eto-logia’ aristotelica

Le Autrici – Gli Autori

Indice dei nomi


Giulia Angelini ha conseguito il Dottorato di ricerca in Filosofia presso l’Università degli Studi di Padova, dove, attualmente, è Cultrice della materia in S.S.-D. SPS/01 (Filosofia politica). La sua ricerca verte principalmente sul pensiero di Aristotele e, in particolare, sulla questione dello ζῷον πολιτικόν, sull’epistemicità della filosofia pratica e sui vari significati delle categorie di potenza e atto. Proprio in relazione a questi temi, ha partecipato a numerose conferenze nazionali e internazionali ed è autrice di svariati contributi scientifici. Inoltre, ha sempre collaborato nella gestione di varie riviste: ad oggi, è responsabile editoriale di “Universa. Recensioni di filosofia” (Padova University Press).


Claudia Baracchi è Ph. D. in Filosofia (Vanderbilt University 1990-1996), Docente di Filosofia Antica e Filosofia Europea alla University of Oregon (1996-1998) e alla New School for Social Research di New York (1999-2009). Dal 2007 è Professore di Filosofia Morale all’Università di Milano-Bicocca. Tra le pubblicazioni si ricordano Filosofia antica e vita effimera. Migrazioni, trasmigrazioni e laboratori della psiche (Petite Plaisance), Amicizia (Mursia), Aristotle’s Ethics as First Philosophy (Cambridge University Press), Of Myth, Life, and War in Plato’s Republic (Indiana University Press). È co-fondatrice della Ancient Philosophy Society. Ricerca sulla filosofia antica in rapporto al mito, alla poesia e al teatro, sulle tradizioni orientali (soprattutto indo-vediche), sulla psicoanalisi e le pratiche del sé. È docente a Philo–Scuola di Analisi Biografica a Orientamento Filosofico.


Manuel Berrón è professore (1999) e Dottore in Filosofia (2012). Professore Aggiunto di “Filosofía Antigua” all’Universidad Nacional del Litoral (UNL – Argentina) e Professore Associato di “Problemática Filosófica” all’Universidad Nacional de Entre Ríos (UNER – Argentina). Ha realizzato studi postdottorali in Argentina (2012-2014) e all’Università degli Studi di Macerata (2018). È autore di diversi articoli nel campo della filosofia aristotelica e del libro Ciencia y dialéctica en Acerca del cielo de Aristóteles (2016). è membro del consiglio editoriale di  Tópicos (Revista de Filosofía de Santa Fe). Inoltre, è membro dell’Asociación Latinoamericana de Filosofía Antigua e attualmente è Presidente dell’Asociación Argentina de Filosofía Antigua (2017-2021).


Enrico Berti è professore emerito dell’Università di Padova, socio nazionale dell’Accademia dei Lincei e membro della Pontifica Accademia delle Scienze. È autore di numerose pubblicazioni, tra cui una nuova traduzione italiana della Metafisica di Aristotele (Laterza 2017), e i volumi Aristotelismo (Il Mulino 2017), Scritti su Heidegger (Petite Plaisance 2019), Nuovi studi aristotelici, V – Dialettica, fisica, antropologia, metafisica (Morcelliana 2020), Storicità e attualità di Aristotele (Studium 2020), Saggi di storia della filosofia (Studium 2020).


Michele Di Febo è laureato in “Filologia, Linguistica e Tradizioni Letterarie” presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara. Con G.A. Lucchetta ha curato l’edizione italiana del Boristenitico di Dione di Prusa (Carabba, Lanciano 20202). Attualmente svolge il dottorato di ricerca presso la “Scuola Alti Studi” della Fondazione Collegio San Carlo di Modena e il suo ambito di ricerca è la storia del pensiero politico classico, in particolare la Politica di Aristotele e i suoi principali nuclei di innovazione rispetto alla tradizione precedente.


Silvia Gullino è Dottore di Ricerca in Filosofia e svolge la propria attività presso il Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata dell’Università degli Studi di Padova, dove è Assegnista di Ricerca nonché Cultrice della Materia in Storia della Filosofia Antica. In passato, è già stata Assegnista di Ricerca presso l’Università della Calabria. Tra le sue pubblicazioni, che riguardano il pensiero antico e, in particolare, Aristotele e la tradizione aristotelica, figurano le recenti monografie Aristotele e i sensi dell’autarchia (Padova, 2013), Pathos (Milano, 2014) e Philia (Milano, 2017) e Aristotele e gli esempi di virtù nella Costituzione degli Ateniesi (Lecce, 2019).


Alberto Jori insegna Filosofia all’Università di Tubinga, dove ha conseguito l’Habilitation nel 2008 e il titolo di Professor nel 2011, e Storia della filosofia antica all’Università di Ferrara. Nel 2003 ha vinto il premio dell’Internatonal Academy of the History of Science. Tra la sue opere: Medicina e medici nell’antica Grecia. Saggio sul ‘Perì téchnes’ ippocratico (il Mulino-Istituto Italiano per gli Studi Storici, 1996), Aristotele (Bruno Mondadori, 20083), Aristoteles, Ueber den Himmel (Akademie Verlag-WBG, 2009), Natura naturans. Il pensiero di Roberto Ardigò (Nuova Ipsa, 2020). 


Pietro Li Causi ha conseguito l’Abilitazione Scientifica Nazionale per la seconda fascia in Lingua e Letteratura Latina, e insegna materie letterarie presso il Liceo Scientifico “S. Cannizzaro” di Palermo. È responsabile della sezione “Ricerca e sperimentazione didattica” della rivista ClassicoContemporaneo ed è stato membro aggregato di “IRN Zoomathia (Transmission Culturelle des savoirs zoologiques – Antiquité-Moyen Âge)”. Autore di diversi contributi sulla storia della letteratura e sull’antropologia del mondo antico, si è occupato di autori come Aristotele, Plutarco, Plinio il Vecchio, Seneca, Ovidio, dell’etno-zoologia e della paradossografia dei Greci e dei Romani, e di antropologia del dono nel mondo antico. Fra le sue pubblicazioni, Gli animali nel mondo antico (il Mulino, 2018), L’anima degli animali (curato con R. Pomelli, Einaudi, 2015), nonché, per Palumbo, Sulle tracce del manticora (2003), Generare in comune (2008), Il riconoscimento e il ricordo. Ha curato anche, assieme a E. Romano, M. Formisano e R. Marino, una traduzione con commento del De oratore di Cicerone (Edizioni dell’Orso, 2015).


Giovanni Battista Magnoli Bocchi insegna “Forme di potere e comunicazione nel mondo greco” presso l’Università di Pavia. Si occupa di storiografia, retorica e comunicazione politica, cioè del racconto della realtà a fini politici. Fra le sue ultime pubblicazioni: Politica e Storia nella Retorica di Aristotele (Carocci 2019), La resilienza dell’antico. Il passato alla prova del presente (Mimesis 2020). È coautore di Come i social hanno ucciso la comunicazione (Guerini 2020).


Francesca Masi è Professore Associato di Storia della Filosofia Antica all’Università Ca’ Foscari di Venezia. I suoi interessi vertono in particolare sull’ontologia, la fisica, l’epistemologia, la psicologia e l’etica antiche. Ha scritto numerosi saggi e curato vari volumi sulla filosofia di Aristotele, su Epicuro, Lucrezio e l’Epicureismo. È autrice di due monografie: Epicuro e la filosofia della mente. Il XXX libro dell’opera Sulla natura e Qualsiasi cosa capiti: natura e causa dell’ente accidentale. Aristotele, Metafisica E 2-3.


Marcello Zanatta, già professore ordinario di Storia della Filosofia Antica e incaricato di Retorica Classica, è specialista di Aristotele, cui ha dedicato cinque monografie e di cui ha redatto l’edizione italiana di molte opere. Si é occupato altresì dello stoicismo antico e romano e della retorica giudiziaria di Ermagora di Temno. Dirige la collana “Questioni di Filosofia Antica” e la collana “Vette Filosofiche” ed é membro di Società filosofiche italiane e internazionali. 


Quadrilogia aristotelica

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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Senofonte (430/425–355 a.C.) – «Apologia di Socrate». Introduzione, traduzione e note di Francesca Pentassuglio.

Senofonte, Apologia di Socrate - Francesca Pentassuglio

Senofonte

Apologia di Socrate

Introduzione, traduzione e note di Francesca Pentassuglio.

ISBN 978–88–7588-281-5, 2021, pp. 176, Euro 15

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L’interesse della moderna storiografia filosofica per le vicende del processo e della morte di Socrate, avvertiti come gli eventi cruciali della vita del filosofo e delle successive immagini che ne sono state trasmesse, è un’eredità degli antichi. Senofonte, come Platone e altri autori le cui opere sono andate perdute, scrive una difesa postuma per scagionare Socrate dalle accuse per cui, nel 399 a.C., il filosofo fu processato e condannato a morte dalla restaurata democrazia ateniese.

Con il proposito di dar conto delle vere ragioni di quella “superba fierezza” che a parere di molti animò i discorsi di Socrate in tribunale, Senofonte ci consegna dunque la sua Apologia, offrendo al contempo una propria interpretazione della filosofia e dell’etica socratiche. Quello che ne emerge è un ritratto composito, in cui elementi distintivi del Socrate senofonteo si uniscono a tratti che lo rendono riconoscibile ai lettori dei dialoghi platonici. Sulla base di una nuova traduzione del testo e mediante un confronto costante con l’Apologia di Platone, il saggio introduttivo mira a distinguere e a interpretare queste compo­nenti, indagando i principi etico-filosofici a cui il Socrate senofonteo si appella per costruire la propria difesa dalle accuse formali – empietà e corruzione dei giovani – ma anche, su un piano più generale, per giustificare il proprio insegnamento.

Con l’esplicita esaltazione di virtù quali l’autosufficienza e il dominio di sé, l’adesione alle pratiche cultuali della polis e il richiamo costante a una vita trascorsa senza commettere ingiustizia, il Socrate senofonteo si auto-rappresenta nell’Apologia come un filosofo (e cittadino) meno atopos rispetto alla sua controparte platonica, ma non per questo meno esemplare. E precisamente di un Socrate di esemplare giustizia, libero dai desideri del corpo e liberale nell’insegnamento, “utile” e saggio, Senofonte ci offre una testimonianza a cui vale la pena tornare.



Francesca Pentassuglio, Eschine di Sfetto. Tutte le testimonianze, Brepols, Thurnout 2017, p. 219.


Quarta di copertina

Di Eschine di Sfetto, come di tutti gli altri Socratici a eccezione di Platone e Senofonte, non è pervenuta alcuna opera completa. Abbiamo tuttavia testimonianza di sette dialoghi “socratici”, conservati in stato frammentario: l’Alcibiade, l’Aspasia, il Milziade, il Callia, il Telauge, l’Assioco e il Rinone.
Il presente studio sui Sokratikoi logoi di Eschine presenta una raccolta di tutte le testimonianze antiche sulla biografia e sugli scritti del Socratico, per la prima volta integralmente tradotte in italiano. Corredata da un ampio commentario storico-filologico, la raccolta include alcune nuove testimonianze che sono state aggiunte al corpus e che contribuiscono ad arricchire la comprensione dei dialoghi eschinei.          
I testi sono introdotti da uno studio di carattere storico-filosofico, volto ad approfondire la figura e la biografia di Eschine, nonché a definire il suo statuto come fonte sul pensiero di Socrate. Contestuale all’analisi dei singoli dialoghi, di cui sono ricostruiti per quanto possibile la struttura e l’argomento, è l’indagine sui principali motivi filosofici trattati, che costituiscono spesso veri e propri topoi della letteratura socratica: il ruolo della ricchezza e il valore della povertà, il rapporto tra virtù e conoscenza, la cura di sé e, soprattutto, il legame tra eros e paideia. A tal fine, una particolare attenzione è rivolta ai paralleli testuali e tematici che legano i dialoghi di Eschine alle opere di altri Socratici, analizzati mediante un’esegesi comparativa che miri a “riattivare” tutte le componenti dei dibattiti interni che attraversarono la letteratura socratica e a restituirne, in tal modo, la ricchezza e la profondità.


Sommario

Francesca Pentassuglio è attualmente Alexander von Humboldt Postdoctoral Fellow presso la Universität zu Köln. Si occupa di filo­sofia socratica, di etica antica e della ricezione di Socrate nel tardo platonismo. È autrice del volume Eschine di Sfetto. Tutte le testimonianze (Brepols, Thurnout 2017) e di diversi contributi dedicati alle fonti antiche sul pensiero socratico.




Aischines-Eschine di Sfetto, Attica (ca. 430-360 ca. a.C.)
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Barbara Rossi – «Recitare il tempo. Le voci della ‘Heimat’ di Edgar Reitz». Prefazione di Henry Arnold. Introduzione di Cristina Jandelli. Postfazione di Sergio Arecco. In Appendice: Michele Maranzana, «Reitz e la macchina del tempo. Appunti per un itinerario filosofico».

Rossi Barbara - Edgar Reitz

Quanto prezioso e irrimediabilmente perduto sia ogni secondo della nostra vita, solo un film ce lo può mettere davanti agli occhi. Solo nel momento in cui qualcuno ci ha raccontato la nostra storia, come la storia del nostro battito del cuore, sappiamo chi siamo. […] Il tempo di solito lavora contro di noi, contrasta i nostri piani, manda a monte i progetti e pone un limite alla felicità di ognuno. L’arte cinematografica è figlia della tecnica e il prodotto di un mondo senza Dio […]: visto che viviamo nel secolo che ci ha regalato la macchina del tempo, allora vogliamo anche utilizzarla per strappare al flusso del tempo pezzi del suo bottino. Proprio in quanto uomini non religiosi, noi registi vogliamo lasciare le nostre tracce nell’universo-tempo, vogliamo conferire durata agli istanti della vita. “Verweile doch, du bist so schön” si dice con struggente desiderio nel Faust di Goethe.

Edgar Reitz, Film e tempo, 2006

Barbara Rossi

Recitare il tempo. Le voci della Heimat di Edgar Reitz

Prefazione di Henry Arnold. Introduzione di Cristina Jandelli.
Postfazione di Sergio Arecco.

In Appendice:
Michele Maranzana, Reitz e la macchina del tempo: appunti per un itinerario filosofico.

ISBN 978–88–7588-279-2, 2021, pp. 208,  Euro 20 – Collana “Il pensiero e il suo schermo” [5].

In copertina: Un’immagine emblematica di Edgar Reitz sul set.

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«La trilogia di Heimat, il romanzo familiare dal respiro epico e, insieme Bildungsroman, sterminata narrazione dove la ‘cronaca’ si intreccia alla finzione, la microstoria alla macrostoria, le memorie e i destini individuali a quelli collettivi, è anche un ineffabile palinsesto sull’arte di raccontare: quella capacità narrativa definita dal nonno ferroviere – lui non aveva una teoria per la sua arte di narrare e tuttavia era fermo nei suoi principi: i luoghi dell’azione dovevano essere reali […], i protagonisti dei suoi racconti avanzavano la pretesa di essere vissuti davvero – che Edgar Reitz ricorda con affetto, basandola su un principio di verità» (Barbara Rossi, Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo, Bietti, Milano 2019, p. 20).


Barbara Rossi, media educator e studiosa indipendente, è laureata in Storia e Critica del Cinema presso l’Università degli Studi di Torino; presidente dell’Associazione di cultura cinematografica e umanistica “La Voce della Luna” di Alessandria, con la quale propone corsi e rassegne sulla storia e il linguaggio del cinema, è vicepresidente della FIC (Fede­razione Italiana Cineforum). Ha organizzato incontri di formazione riservati ai docenti per il Museo Nazionale del Cinema di Torino e ha collaborato con il gruppo di ricerca “Memofilm, la creatività contro l’Alzheimer”, facente capo alla Cineteca di Bologna.

Giornalista pubblicista, ha curato la rubrica Le lune del cinema per la rivista “Cineforum”, con la quale attualmente collabora. Suoi saggi di argomento cinematografico sono stati pubblicati in diversi volumi antologici: nel 2015 è uscito, per l’editore Le Mani, il volume Anna Magnani, un’attrice dai mille volti tra Roma e Hollywood; nel 2019, all’interno della collana Bietti Heterotopia, Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo. Cura annualmente, in collaborazione con l’Associazione Culturale Italo-Tedesca di Alessandria, una rasse­gna che porta sul grande schermo il meglio della produzione cinematografica tedesca contemporanea. Ha organizzato, in collaborazione con l’Università delle Tre Età di Alessandria, la proiezione della trilogia di Heimat di Edgar Reitz.


«Il racconto-fiume seriale di Edgar Reitz impiega personaggi-attori che compongono la Heimat degli spettatori. Una patria di finzione disseminata di figure che si rincorrono nei primi tre cicli e infine, in Heimat-Fragmente: Die Frauen (2006), viene sostituita dalla soggettività della protagonista, Lulu, che incorpora frammenti dell’opera-mondo come atti di memoria filmica riattualizzata. Per comprendere chi sono i principali attori di Heimat e cosa fanno in questo grande ciclo, che abbraccia (e oltrepassa) l’arco cronologico 1919-2000, occorre, come fa Barbara Rossi nel suo saggio introduttivo, ricordare sia la loro formazione che ripercorrerne le biografie artistiche: tutte si definiscono infatti a partire dall’incontro con Edgar Reitz».

Cristina Jandelli


«Il tempo è un fenomeno inspiegabile. Il tempo è vita e la vita è un viaggio verso la fine del tempo. Quello che stiamo vivendo diventa qualcosa che abbiamo vissuto. Tempo si trasforma subito in tempo passato. Gone … Il film ha lo scandaloso privilegio di uscire dal tempo. Per giocarci, accelerarlo o fermarlo, a suo piacimento. Il film è tempo compresso: le lunghe 26 ore di Zweite Heimat corrispondono – in realtà – a 10 anni. Il film salta, omette e scorre in avanti, per fermarsi all’improvviso. In un momento, un attimo “così bello…”; oppure doloroso. E può fare anche di più: rende il tempo ripetibile. Detto in modo diverso, fa fermare completamente il tempo. Il ventenne Hermann Simon è ancora tra di noi. Il film non invecchia. Invecchia solo attraverso noi spettatori. Incontra in noi un‘altra vita e diventa, così, un altro film. Rimane lo stesso e tuttavia emerge sempre di nuovo. Ma deve essere visto. Se il film non viene visto, muoiono anche Maria, Clarissa o Hermann. È il grande merito di questo libro non solo evidenziare e riaccendere un aspetto essenziale della trilogia di Heimat, ma anche mantenere vivo il film. E quindi è stato un onore e un piacere per me far parte di questo libro, oggi, nell’anno 2021. Come mi ero amalgamato con la figura di Hermann Simon 30 anni fa, così sono uno spettatore oggi. Hermann può essere vivo, l’Henry Arnold di allora non esiste più. Il “tempo delle prime canzoni” è ormai passato. […] Il “buon tempo antico” è un’altra chimera. I film di Edgar Reitz, invece – così si spera – rimarranno».

Henry Arnold


Barbara Rossi, profonda studiosa del regista tedesco, nonché sperimentata didatta del linguaggio cinematografico, mette, all’inizio della sua riflessione, e fin già dal bellissimo sottotitolo della sua monografia, Uno sguardo fatto di tempo, immediatamente le carte in tavola. Il lettore deve familiarizzare senza indugi con la materia oggetto d’indagine. E deve riconoscere che un lavoro su Reitz non potrà non essere dedicato, in buona parte, all’opera monstrum della sua filmografia, a quell’Heimat che non solo lo ha fatto scoprire al mondo, ma che ha costituito, con le sue dimensioni abnormi – tre parti rispettivamente di 11, 13, 6 episodi, 15h40’ + 25h32’ + 11h32’, più un prologo, un epilogo con Heimat. Frammenti. Le donne e una quarta parte in funzione di prequel, L’altra Heimat. Cronaca di un sogno, alquanto sui generis –, un’esperienza unica, per l’autore come per lo spettatore, nonché un passaggio decisivo nella storia del cinema contemporaneo.

Sergio Arecco


Una esperienza umana fondamentale, quella del tempo: in fondo, viviamo dentro cicli e mutamenti. Qualcosa torna a noi e si ripete, come le stagioni, qualcosa scorre via in maniera irreversibile, come i giorni della nostra vita. Intuiamo collettivamente qualcosa come eterno e qualcosa come caduco, oscuramente sentendo che siamo contenuti e circondati dal tempo. Siamo impastati di tempo. Un tempo imperioso, che si impone alla nostra maniera di stare al mondo, a tal punto da renderci indispensabile pensarlo e cercare di dominarlo. Facciamo calendari e orologi, sogniamo macchine del tempo e sviluppiamo filosofie e fisiche del tempo. Eppure non riusciamo a sottrarci al suo potere, mentre la stessa sconfitta travolge il pensiero raziocinante e sistematico della filosofia e della scienza, questa medicina teoretica dell’angosciosità fondamentale della condizione umana, che nel suo pensare il tempo si scontra con aporie insanabili, dove soluzioni opposte all’interrogativo su che cosa esso sia si fronteggiano eternamente senza possibilità di vittoria.
Cos’ha a che fare il cinema di Edgar Reitz con questo? Tutto. Lo ha in primo luogo in quanto cinema, quindi in quanto cinema di Reitz, regista di cui è stato detto che ha «un meraviglioso sguardo fatto di tempo, intessuto di memorie private e collettive, di racconti veri o fittizi, di storie e di Storia» (Barbara Rossi, Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo, Bietti, Milano 2019, p. 209).

Michele Maranzana


Per diffondere la cultura: cinematografica, letteraria, filosofica, artistica…

A cura di Barbara Rossi

Giancarlo Chiariglione, Le forme informi della frontiera. Lo sguardo del cinema western sulla storia americana.

ISBN 978-88-7588-221-1, 2018, pp. 112, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [1]. In copertina: Il giudice E. Cotton Winchell sulla cima del monte californiano a cui diede il suo nome nel 1888: incarnazione dell’autentico “uomo del Wild West”.

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Alessandro Alfieri, Dal simulacro alla Storia. Estetica ed etica in Quentin Tarantino.

ISBN 978-88-7588-218-1, 2018, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [2]. In copertina: Il volto di Django Freeman (Jamie Foxx) in una scena del film Django Unchained, 2012, scritto e diretto da Q. Tarantino.

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Sergio Arecco, Fisica e metafisica del cinema. Il battle study dal muto al digitale.

ISBN 978-88-7588-253-2, 2019, pp. 224, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [3]. In copertina: Charlie Chaplin, Charlot soldato (Shoulder Arms), 1918, fotogramma.

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Giangiuseppe Pili, Anche Kant amava Arancia meccanica. La filosofia del cinema di Stanley Kubrick.
Prefazione di Silvano Tagliagambe.

ISBN 978-88-7588-230-3, 2019, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [4]. In copertina: Stanley Kubrick sullo sfondo di una sequenza di 2001. Odissea nello spazio, con l’astronauta David Bowman (interpretato da Keir Dullea). In quarta: il monolito nero.

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Barbara Rossi, Recitare il tempo. Le voci della Heimat di Edgar Reitz. Prefazione di Henry Arnold. Introduzione di Cristina Jandelli. Postfazione di Sergio Arecco. In Appendice: Michele Maranzana, Reitz e la macchina del tempo: appunti per un itinerario filosofico.

ISBN 978–88–7588-279-2, 2021, pp. 208, formato 140×210 mm, Euro 20 – Collana “Il pensiero e il suo schermo” [5]. In copertina: Un’immagine emblematica di Edgar Reitz sul set.

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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Émile-Auguste Chartier (1868-1951) – Chartier vede in Spinoza essenzialmente un saggio, che cerca la verità per fondare su di essa una vita giusta e felice.

Chartier Émile 01

Émile Chartier (Alain)

Spinoza

Presentazione, traduzione e cura di Ercole Chiari

ISBN 978-88-7588-275-4, 2021, pp. 144, Euro 15

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Chi si accosta a Spinoza quasi sempre sta cercando un maestro di vita. Alain vede appunto in Spinoza essenzialmente un saggio, che cerca la verità per fondare su di essa una vita giusta e felice. E la verità sta nel riconoscere che le cose e gli altri non esistono in funzione nostra, ma seguono una propria legge necessaria; capirlo può portare a sottrarsi alla loro influenza (cioè alle passioni), ad agire in modo autonomo, cioè in base alla propria natura, a realizzare così se stessi e quindi ad essere felici. Questo dice lo splendido congedo che Alain rivolge ai lettori della sua presentazione di Spinoza, ed è un viatico alla lettura. «[…] À chacun de fêter sa Pentecôte, qui consiste à jouir du bonheur de penser, et à pardonner à Dieu. C’est là l’idée la plus cachée et la plus pacifiante. Repousser de soi le Pascal qui ne cesse d’importuner Dieu. Et soyez heureux».

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Salvatore Bravo – Il nuovo regime scolastico. Il fine delle riforme è la standardizzazione dell’essere umano: la scuola deve formare “il tecnico” e non la persona.

Riforma della scuola

Salvatore Bravo

Il nuovo regime scolastico

Il fine delle riforme è la standardizzazione dell’essere umano:
la scuola deve formare “il tecnico” e non la persona

***

L’anno scolastico volge al termine, le circostanze pandemiche hanno favorito i processi che erano in atto da decenni, in primis la riduzione della scuola a semplice costola del mercato. Si è trattato di un anno di passaggio, già da più parti si proclama che la nuova normalità investirà la società tutta. Per la scuola si prevede un’accelerazione sulla digitalizzazione e la trasformazione dei docenti in quantificatori, in registratori delle competenze. Docenti anonimi per una scuola al servizio della crescita economica. La persona e la comunità scompaiono dietro la cortina di ferro dell’asservimento al mercato. È il mercato de facto a stabilire fini e contenuti dei programmi e l’azione didattica, ogni fine costituzionale è ridotto ad elemento di sottofondo secondario. L’articolo tre della Costituzione per il quale la Repubblica promuove il libero sviluppo delle personalità, ed a tal scopo rimuove le disuguaglianze iniziali, è superato dalle logiche acquisitive e competitive. La scuola (articolo 33 e 34) presidio e prassi della democrazia è sostituita dalla legge del mercato. Sempre meno scuola e sempre meno contenuti comportano la contrazione della democrazia, l’homo oeconomicus è il nuovo modello antropologico a cui ci si “deve adattare”. La svolta implica il definitivo abbandono della tradizione italiana per l’imitazione dei modelli anglosassoni. L’obiettivo è l’uniformità dei sistemi d’istruzione europei, ogni tradizione patria dev’essere trascesa in nome di un’unità europea che si svela essere strumento delle oligarchie. Il liceo dev’essere superato, al suo posto si impone “il regime degli istituti tecnici” per formare non più cittadini, ma ubbidienti lavoratori: si insegna la sussunzione e non la cittadinanza. Inquieta il silenzio dei docenti e della cittadinanza. La scuola pubblica è di tutti e per tutti, se ha la chiarezza del suo fondamento costituzionale e didattico. “Il falso progressismo” è entrato nella scuola e non solo, governa con i suoi automatismi e le parole ad effetto dietro cui si nasconde il nulla che avanza. Per comprendere la decadenza ammantata di progresso dei tempi attuali è sufficiente leggere qualche pagina della pedagogia di Giovanni Gentile che nel 1923 istituì il liceo:

“L’insegnante insegna, in quanto non misura, né ricorda neppure le ore che passa nella scuola; e chi guarda a ogni minuto l’orologio, non può riuscire a concentrare il proprio pensiero, a unire l’anima propria con quella dei suoi scolari nel lavoro fecondo che è proprio dell’insegnamento, in quella comunione degli animi in cui si adempie una delle forme più pure della vita religiosa dell’uomo […] Esso consiste, a dir vero, in un bene che, diviso, non diminuisce; comunicato non si perde da chi lo produce, anzi s’accresce con suo vantaggio sempre maggiore” [1].

Il docente non è un misuratore del tempo della lezione e delle prestazioni dell’alunno, oggi diremmo delle competenze, ma è “un maestro” che ha come scopo la formazione dell’alunno: docente ed alunno, pur nell’asimmetria dei ruoli si formano reciprocamente in una relazione che non può essere quantificata.

Incontro educativo
L‘incontro educativo è una relazione in cui i tempi della crescita conoscono regressioni, stasi ed improvvise svolte, se il docente assume il comportamento di uno scienziato che in laboratorio stimola “il fenomeno alunno”, lo descrive e lo quantifica, siamo di fronte ad un nuovo autoritarismo non riconosciuto. Lo studente che deve continuamente certificare le competenze non può che percepirsi come un produttore di competenze, “è chiamato” a mostrare il suo valore con la sola documentazione. La scuola selettiva di Giovanni Gentile era meno competitiva e classista della scuola che si profila, in quanto le certificazioni sono ad uso delle classi più abbienti. Sarà il denaro a fare le competenze, e specialmente la relazione docente-alunno sarà inquinata dal più bieco positivismo che si coniuga con l’economicismo.

La pedagogia di Giovanni Gentile ha la chiarezza che la didattica è relazione umana. L’essere umano è dinamico, la coscienza ed il vissuto impongono continuamente la capacità di ascoltare “l’invisibile”, se il docente si limita a raccogliere la documentazione, la relazione sarà sostituita dalla “transazione burocratica”. L’attività scolastica è vita che si rinnova nel quotidiano e nello scorrere dei giorni e non può essere irrigidita in prestazioni da quantificare in certificazioni, crediti, debiti, attività culturali a cui l’alunno ha partecipato. La valutazione diviene di censo, i contenuti senza i quali nessuna attività critica e creativa è possibile sono sostituiti da attestati che si comprano sul mercato della formazione:

“Non c’è un sapere che insegni l’arte di fare scuola: se per fare scuola s’intende farla davvero, a certi giorni, a certe ore, via via, a certi alunni, sempre nuovi, con animo sempre nuovo, in circostanze sempre diverse, su problemi che mai non si ripetono. […] E guai al maestro che non sappia procedere se non sulle dande dei precetti! La vita è creazione eterna[2]”.


Scuola della prassi o antipositivistica
L’antipositivismo di Giovanni Gentile è oggi più attuale che mai. Se il positivismo è il principio di ogni processo di sussunzione, in quanto l’essere umano deve fatalmente piegarsi al giogo fatale dell’empirico, l’Idealismo è prassi e Spirito, ovvero l’essere umano è la fonte della storia e del suo destino. La prassi gentiliana ha fecondato anche Antonio Gramsci, perché mette in atto processi di consapevolezza che dimostrano che l’umanità è “la radice” della storia. Se il fascismo non è riuscito ad omologare totalmente la nazione italiana, forse, lo si deve anche alla Riforma Gentile, al suo antipositivismo che non ha consentito la completa omologazione fascista, ma ha contribuito a consolidare in molti soggetti il pensiero divergente e riflessivo, malgrado le finalità totalitarie del regime:

“Noi siamo la radice da cui tutto germoglia, e da noi, come appunto da propria radice, tutto torna ad attingere il succo vitale che lo mantiene in essere. Noi, dunque, siamo il principio del mondo che è il nostro mondo, noi, non già in quanto siamo o ci facciamo uno tra gli oggetti della nostra coscienza, bensì proprio in quanto siamo il soggetto attivo del conoscere[3]”.

Il neopositivismo di cui è affetta la scuola italiana ed europea è l’espressione compiuta del nuovo autoritarismo in atto. La quantificazione degli esseri umani è il nuovo razzismo da smascherare che si cela tra le parole della propaganda: inclusione, debiti, crediti, eccellenze, competizione e competenze. Il fine delle nuove riforme è la standardizzazione dell’essere umano, la scuola deve formare “il tecnico” e non la persona. Il presente con il suo linguaggio ci descrive il futuro, spetterà a noi confermarlo o trasformarlo con la nostra indifferenza o con la nostra sana partecipazione capace di filtrare il meglio della tradizione e dell’esperienza storica non per trasmetterla pedissequamente, ma per ripensarla nelle mutate condizioni storiche. Si profila una società senza significato, in cui il logos sarà sostituito dalla propaganda, siamo tutti corresponsabili del presente e del nuovo che avanza nella forma della desertificazione dell’umano.

 

[1] G. Gentile, Lavoro e cultura. Discorso prefascista ai lavoratori di Roma. In G. Gentile, Opere, XLV, Politica e cultura, Le Lettere, 1990, pag. 247.

[2] G. Gentile, Sommario di pedagogia, cit., vol. I, pp. 123 124.

[3] Ibidem, pag. 15.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Fernanda Mazzoli – Cronache dal mondo libero.

TSO a Fano

Fernanda Mazzoli

CRONACHE DAL MONDO LIBERO

 

Non passa giorno senza che la macchina mediatica non si scagli contro i nemici della democrazia, non si indigni contro le violazioni dei diritti umani perpetrate al di fuori dei giardini fioriti dell’U.E.
Per loro fortuna, noi viviamo nella migliore delle democrazie possibili e pertanto i professionisti dell’antifascismo e del rispetto dei valori costituzionali possono dormire sonni tranquilli per quanto riguarda le faccende interne e concentrare, così, al meglio le forze per denunciare violenze, arbitri ed illegalità che affliggono chi non vive in questo nostro mondo libero.
Sempre per loro e nostra fortuna, capita che da noi, se qualcuno mal consigliato protesta contro un qualche provvedimento adottato per salvaguardare il bene pubblico, non finisca ammanettato in una cella angusta e puzzolente, ma si ritrovi comodamente assistito nel reparto psichiatrico di un attrezzato ospedale di una ridente città di È quanto è successo, qualche giorno fa, ad uno studente diciottenne di Fano che, istigato – riporta preoccupata la stampa locale,[1] ribadisce preoccupata ed indignata la Preside che ancor prima di essere insegnante e dirigente è una mamma – da un losco cinquantenne no mask, solito ad aggirarsi intorno agli edifici scolastici per adescare irrequieti adolescenti in rotta di collisione con le norme anti-Covid, ha inscenato in classe una protesta contro l’uso della mascherina. Il ragazzo – già noto alle cronache scolastiche per essere un bastian contrario – si sarebbe incatenato (?) al banco e si sarebbe tolto la mascherina.
Di fronte ad un tale atto osceno perpetrato in luogo pubblico, per di più destinato all’educazione dei giovinetti, è stato allertato il 118 che è prontamente intervenuto ed ha condotto il ragazzo al Pronto Soccorso dove, di fronte al suo stato di evidente confusione morale, gli è stato amorevolmente affibbiato un TSO, convalidato prontamente dal Tribunale di Pesaro. Gli è toccato in sorte il privilegio di essere uno dei primi a sperimentare “la scuola affettuosa” che il neo ministro dell’Istruzione sta progettando per aiutare le nuove generazioni ad uscire dalle “gabbie del Novecento”, quel secolo buio di totalitarismi, guerre, rivoluzioni, conflitti sociali ed una irrequietezza di fondo che la medicina liberal-liberista ha saggiamente sopito.
La messa in sicurezza dell’edificio e dei suoi occupanti si è svolta senza incidenti, tanto più che al personale sanitario si sono affiancati i carabinieri: la classe dello studente plagiato è stata trasferita in un’altra aula, mentre il teatro dell’increscioso incidente è stato sottoposto ad opportuna sanificazione.
Tutto è rientrato nell’ordine: sui lidi di Fano i bagnini cominciano a prepararsi per l’estate, gli studenti dell’Istituto in cui è avvenuta la disdicevole vicenda continuano ad alternare giorni in presenza e giorni in DAD, dopo avere trascorso quasi un anno in DAD integrale, le forze dell’ordine sono sulle tracce del cattivo maestro per di più cinquantenne e forse nemmeno troppo in forma, il ragazzo si sta riposando nelle stanze ovattate dell’Ospedale dove forse arriva l’odore del mare. Alcuni no mask ne approfittano per fare un po’ di confusione – la vita in provincia in fondo è monotona ed ogni occasione è buona per divertirsi – ma le forze dell’ordine li stanno identificando uno a uno e chissà che non si scopra che sono al soldo di qualche agente russo, o del Vecchio della Montagna, o del nipote di Saddam Hussein che, per vendicare lo zio ingiustamente accusato di usare armi chimiche di distruzione di massa, sta dando una mano al Covid che, ci hanno messo in guardia i virologi, si ringalluzzisce tutto quando si imbatte in qualcuno senza mascherina.
Le forze del Bene hanno segnato un punto a loro favore, ma, come è noto, vincere una battaglia non significa vincere la guerra e sono tanti e tali i pericoli che minacciano questo nostro mondo libero che dobbiamo prepararci ad una lunga guerra di posizione dove ciascuno è chiamato a fare il proprio dovere. Gli insegnanti, per esempio.
I giovani sono il cuore pulsante del Paese, è la sollecitudine per le generazioni future ad ispirare le scelte politiche di ogni governo che si rispetti ed è per questo che prendiamo il Recovery Fund, ma, purtroppo, sono fragili, corrono dietro alle nuvole e alle farfalle e finiscono per perdere la strada maestra, per perdersi dietro pericolose chimere, come dimostra anche il triste caso fanese. Grande è la responsabilità degli insegnanti, i quali non sempre sono all’altezza del compito che la società affida loro, distratti spesso da questioni di stipendio, oppure incaponiti nella vetusta idea di insegnare la loro materia. La dea Fortuna splende, però, sempre nei nostri cieli europei e da lassù ci manda un prezioso kit pedagogico per aiutare gli studenti delle Superiori a combattere disinformazione e fake news, al fine di rafforzare la resilienza della società.[2]
È davvero commovente che istituzioni cui spetta il gravoso compito di governare un (quasi) intero continente nel bel mezzo di un’emergenza sanitaria che minaccia di durare a lungo trovino il tempo di preoccuparsi che la formazione dei giovani poggi su salde fondamenta veritative.
D’altronde, solo un osservatore distratto potrebbe stupirsene; non è la prima volta che la U.E., attraverso uno dei suoi organismi, si occupa di ristabilire verità non ancora sufficientemente chiare ai popoli europei. E di riscrivere la storia, ponendo fine una volta per tutte con un tratto autorevole al dispersivo lavoro di ricerca degli storici che, oltretutto, porta ben pochi vantaggi all’erario e così stabilisce ex lege l’equiparazione di comunismo e nazismo. Quanto a quei milioni di russi sovietici morti per liberare il suolo europeo dalle armate di Hitler, sembra si tratti di una fake news messa in giro dai nostalgici dei Cosacchi e di disgustosi rituali antropofagi ai danni dei più piccoli.
D’altra parte, sarebbe da sciocchi preferire due brutali energumeni che a furia di calci e pugni spediscono in galera qualche nemico della Verità ad un’eterea, immateriale Polizia del Pensiero che aiuta a discernere il vero dal falso comodamente da casa, attraverso un semplice clic, oppure prende corpo negli accenti nobili e persuasivi di un professore, tutto compreso dell’importanza del compito riservatogli: formare le giovani generazioni alla nuova cittadinanza europea, digitale, resiliente e naturalmente inclusiva, salvo per quei pochi disinformati che, incapaci di comprenderne i vantaggi, recano danno a se stessi e alla collettività.

***

[1]https://www.ilrestodelcarlino.it/fano/cronaca/senza-mascherina-scuola-1.6326800 . Il ragazzo è stato dimesso ieri, dopo che del fatto si sono interessati dei politici facenti riferimento alla Lega, ben contenti di avere l’occasione di sventolare la bandiera della difesa della libertà, generosamente lasciata nelle loro mani dai benpensanti progressisti e sinistroidi, sempre più sinistri. Chi scrive ha proposto ad un Coordinamento di docenti della provincia, nato nel corso delle lotte contro la riforma renziana, un comunicato sulla vicenda che sottolineava essere la scuola luogo di dialogo e non di ricoveri coatti: proposta respinta per l’opposizione di qualcuno che temeva di fare il gioco della Lega, alla quale evidentemente intende lasciare libero tutto il campo!

[2]Sono state diramate circolari d’informazione nelle scuole che rinviano, per ulteriori approfondimenti, a https://europa.eu/learning-corner/spot-and-fight-disinformation_it



Intervista al 18enne di Fano sottoposto a Tso – YouTube


 
Fernanda Mazzoli – Il problema non è chi taglia il traguardo: il problema è il traguardo. Nella Scuola  si vuole imporre come traguardo il passaggio dalla formazione della personalità umana alla formazione del capitale umano
Fernanda Mazzoli – Intorno alla scuola si gioca una partita decisiva che è quella della società futura che abbiamo in mente. La scuola può riservarsi un ruolo attivo, oppure scegliere la capitolazione di fronte al modello sociale neoliberista.
Fernanda Mazzoli – Alcune considerazioni intorno al libro «L’AGONIA DELLA SCUOLA ITALIANA» di Massimo Bontempelli
Farnanda Mazzoli – Il libro «No alla globalizzazione dell’indifferenza» di Giancarlo Paciello. Un’agguerrita strumentazione intellettuale capace di affrontare e dissolvere le nebbie ideologiche. Rivendicazione di un «universalismo universale» fondato su una comune natura umana. Rivendicazione di una «ecologia integrale». Defatalizzazione del mito del progresso.
Fernanda Mazzoli – Una voce poetica dimenticata: Isaak Ėmmanuilovič Babel’. Fondare la rivoluzione sull’anima umana, sulla sua aspirazione al bene, alla verità, al pieno dispiegarsi delle sue facoltà. La rivoluzione non può negare la spiritualità, l’esperienza interiore dell’uomo, i suoi fondamenti morali.
Fernanza Mazzoli, Javier Heraud (1942-1963) – Non rido mai della morte. Semplicemente succede che non ho paura di morire tra uccelli e alberi. Vado a combattere per amore dei poveri della mia terra, in una pioggia di parole silenziose, in un bosco di palpiti e di speranze, con il canto dei popoli oppressi, il nuovo canto dei popoli liberi.
Fernanda Mazzoli – Per una seria cultura generale comune: una proposta di Lucio Russo.
Fernanda Mazzoli – Leggendo il libro di Giancarlo Paciello «Elogio sì, ma di quale democrazia?».
Fernanda Mazzoli Attila József (1905-1937) – Con libera mente non recito la parte sciocca e volgare del servo. Il capitalismo ha spezzato il suo fragile corpo.
Fernanda Mazzoli – René Char (1907-1988) – Résistance n’est qu’espérance. Speranza indomabile di un umanesimo cosciente dei suoi doveri, discreto sulle sue virtù, desideroso di riservare l’inaccessibile campo libero alla fantasia dei suoi soli, e deciso a pagarne il prezzo. Les mots qui vont surgir savent de nous de choses que nous ignorons d’eux.
Fernanda Mazzoli – Ripensare la scuola per mantenere aperta, all’interno dell’istituzione scolastica, quella dimensione “utopica” così intimamente legata all’idea stessa di educazione, idea che comporta una tensione intrinseca verso “un altrove” che nulla ha a che vedere con l’adattamento al presente.
Fernanda Mazzoli – Jules Vallès (1832-1885), Jules l’«insurgé», aveva scelto di essere un réfractaire e tale rimase per tutto il corso della sua vita. Prima, durante e dopo la Comune di Parigi.
Fernanda Mazzoli – Un libro per chiunque avverta la necessità di aprirsi una strada fra le brume del presente e voglia farlo con onestà e coraggio intellettuali e morali. È di un pensiero forte che necessitiamo.
Fernanda Mazzoli – La poesia di Xu Lizhi nella fabbrica globale del capitalismo assoluto. La gioventù chinata sulle macchine muore prima del suo tempo. Senza il tempo per esprimersi, il sentimento si sgretola in polvere.
Fernanda Mazzoli – Il romanzo di Georges Perec «Les choses» è di una attualità sconcertante. I libri, quando cercano con onestà intellettuale la verità, dicono molto di più di quel che dicono i loro autori.
Fernanda Mazzoli – Il libro di Antonio Fiocco «Ideare il futuro comunitario per viverne l’essenza nel presente». L’inesausta tensione progettuale per il bene comune, mai da considerarsi come acquisizione definitiva
Fernanda Mazzoli – La ripresa, finalmente! Ma chi guida la task force incaricata di traghettare il Paese fuori dell’emergenza da Covid 19? La mitologia del cambiamento e la sua necessaria demistificazione
Fernanda Mazzoli – L’io minimo ai tempi dell’epidemia. Lo spiritello esangue e pervicace della mentalità di sopravvivenza. Sopravvivere diviene preferibile a vivere nella consapevolezza.
Fernanda Mazzoli – La speranza, nel libro di Arianna Fermani, forte della sua fragilità,  è apertura e rischio, si oppone alla paura, si accompagna alla fiducia e alla perseveranza, abita il campo della libertà, si confronta con la scelta, osa pensare il possibile (quando appare ancora impossibile) cercando di rendere realizzabile lo sperabile,  è slancio verso il futuro, immaginazione creatrice, fiducia in un avvenire migliore costruito con pazienza e talento. È scommessa educativa, paideia, «speranza di seminare semi e di veder nascere fiori».
Fernanda Mazzoli – La colpevolizzazione delle condotte individuali non conformi ai corretti stili di vita è assurta a dispositivo ideologico tanto semplice quanto efficace, perfetto per tempi come i nostri, allergici al ragionamento complesso e al pensiero dialettico.
Fernanda Mazzoli – Quei nostri morti: Angelo Appiani, Arturo Chiappelli, Arturo Malagoli, Roberto Rovatti, Ennio Garagnani, Renzo Bersani. Modena 9 gennaio 1950
Fernanda Mazzoli – Vecchi e nuovi amici dell’umanità.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Salvatore Bravo – Liberarsi del dominio e non delle identità di genere. La libertà non è la pratica del nulla, ma la tensione tra le identità, il cui fine è conoscersi per donarsi.

gender ideologia

Salvatore Bravo

Liberarsi del dominio e non delle identità di genere.
La libertà non è la pratica del nulla, ma la tensione tra le identità,
il cui fine è conoscersi per donarsi

L’indifferenziato
L’indifferenziato è la nuova frontiera del capitalismo assoluto, normare ed omogeneizzare sono strumenti con cui l’economicismo trasforma il diritto al riconoscimento delle differenze in “indifferenza programmata”. Il capitalismo assoluto deve governare le differenze, le deve evirare dei loro contenuti per strumentalizzarle. Dietro la cortina di ferro dell’esaltazione delle differenze difese da una pluralità di statuti giuridici si cela la paura del diverso. Ogni diversità autentica è una prospettiva sul mondo, reca in potenza la possibilità di favorire il materializzarsi pubblico delle contraddizioni del sistema. Esse indicano un altro modo di vivere, denunciano con la loro esistenza che il presente non è tutto, ma è il configurarsi di un periodo storico nel quale la vita è offesa dalla crematistica, dalla disintegrazione di ogni identità comune. Il capitalismo assoluto ha ribaltato l’essere in nulla per eternizzarsi, per neutralizzare ogni prassi. Il capitalismo assoluto ha organizzato un nuovo totalitarismo, si usano le parole dell’emancipazione e il piacere congiunto al desiderio di onnipotenza per ipostatizzare il presente. Si utilizzano le indubitabili sofferenze e contraddizioni del passato per impossessarsene e consolidare il sistema capitale. Vi è uno spostamento del dispositivo repressivo, le differenze sono acclamate, sono obbligate a dichiararsi per essere strumentalizzate all’interno della logica dei consumi. Solo la visione d’insieme restituisce l’immagine ed il fondamento che guida le differenze: devono emergere per omologarsi nell’infinito piacere, nel consumo tracotante che consente al capitale di espandersi. La questione gender è interna a tale logica, svuotare ogni differenza per legittimarle tutte consente di spazzare via con la famiglia, i legami stabili per favorire forme di individualismo liquido: esseri umani senza identità, senza ruoli, negati nella loro differenza fisica sono liberati da ogni responsabilità-progettualità per entrare nella precarietà lavorativa organica alle identità liquide. La precarietà di genere e lavorativa diviene un corpo unico, in tal modo “i precari” del nuovo mondo possono muoversi all’interno del dispositivo della precarietà con assoluta normalità ed indifferenza. Nella condizione attuale le persone omosessuali sono discriminate diversamente dal passato, poiché le si usa come modello per legittimare la precarietà affettiva che introduce al consumo senza limiti. Non sono trattate da “persone”, ma come atomi che si aggregano e disgregano, in modo da diventare “archetipo dell’emancipazione” ed “educare” al nuovo modello sociale ed economico. La nuova emancipazione neoliberista non parte dalle condizioni materiali del soggetto, in cui vi è la condizione sociale, il gruppo di appartenenza e il genere, ma dal concetto di individuo: definizione generica che vorrebbe eliminare ogni identità, in nome di una libertà nullificante e nullificatrice. Coloro che identificano l’omosessualità come la causa di ogni male, non hanno la chiarezza del problema, spostano la loro attenzione sull’effetto, rimuovendo la causa, ed in questo gioco di rimandi volutamente o in modo ideologico conservano il sistema attuale. Si soffermano sui sintomi per evitare di affrontare la causa profonda del problema. La teoria gender la si può comprendere solo all’interno della cultura scettica e storicista, secondo la quale non vi è che il tempo della storia ad annichilire forme e culture, pertanto nega l’esistenza della natura umana e con essa ogni fondamento veritativo. Lo scetticismo filosofico è promosso in ogni istituzione educativa, che diviene il centro di trasmissione e giustificazione del capitalismo assoluto. Uomini e donne hanno, sicuramente, gli stessi diritti, ma nel riconoscimento della differenza: il corpo non è un semplice accidente, ma condiziona senza determinare rigidamente ruoli e comportamenti. Una società plurale vive della dialettica tra diversi modi di ascoltare il mondo, la complementarietà è un valore che educa all’integrazione. Le differenze naturali non sono la fonte della discriminazione, ma l’uso ideologico delle differenze ha determinato rigidità dei ruoli e tragedie

 

Il male e l’onnipotenza
Eliminare la natura umana, in nome della libertà, è la piena realizzazione di un nuovo nichilismo, il quale ha dismesso i panni della critica sociale e della trasgressione concettuale per affermare una nuova forma di “conservazione”. Dominare con il mito del piacere e dell’eccesso è un nuovo tipo di autoritarismo mascherato ed occulto difficile da individuare e comprendere. La fuga dalla natura umana per il paradiso edenico dell’identità liquida comporta la fuga da ogni responsabilità sociale e comunitaria, per cui non resta che l’esperienza del piacere e dell’eccesso da cui il capitale trae plusvalore. L’illimitatezza è il mezzo con cui il modo di produzione attuale trae il profitto ed i capitali per attuale le logiche di sussunzione. Gli uomini non sono più utili, sono espressione dell’ apparato simbolico del limite, pertanto si associa il maschio al male. La figure maschile è sempre stata l’autorità etica, che a prescindere dalle sue forme storiche, ha dato forma ad ogni civiltà con la collaborazione simbolica dell’archetipo femminile. Eliminare uno dei due poli significa desimbolizzare per istituzionalizzare una società di atomi senza destino, storia e progetto. Esseri senza idee e senza valori sono facilmente dominabili e molto condizionabili. La libertà assoluta è il mezzo culturale utilizzato dal capitalismo assoluto per il consenso: si coltiva l’illusione dell’onnipotenza. Ogni figura simbolica che rappresenta il limite, la forma, la progettualità è abbattuta. La figura paterna è perennemente sotto attacco in nome della libertà senza freni. La figura maschile è rappresentata come mostruosa, è la presenza patologica che impedisce la piena e totale realizzazione della felicità in terra. La violenza è solo al maschile, si occulta la quotidiana violenza delle differenze di censo, della precarietà, dei diritti sociali negati e si incanala l’aggressività verso gli uomini, a cui si chiede di rinunciare di essere tali, per essere copia del femminile.

Desimbolizzare e pregiudizi
L’omosessualità è utilizzata per indicare la nuova via da seguire, il nuovo modello da cui gli uomini devono imparare “la convivenza civile”. Si tratta di un’omosessualità edulcorata, le persone omosessuali sono rappresentate secondo stereotipi utili a destabilizzare la comunità. La fuga da ogni ordine simbolico ha l’effetto di partorire una nuova visione antropologica: l’essere umano è causa sui, non ha legami con la comunità, né con il passato, non ha doveri. La nuova e unica legge a cui ci si deve attenere è il proprio immediato desiderio. Regressione generale ad uno stadio preedipico e dominio sono il fondamento del capitalismo assoluto. I padri di famiglia con annessi significati simbolici sono destituiti di ogni autorevolezza ed autorità. Non restano che le donne perennemente vittime, e nel contempo obbedienti all’inclusione. Il capitale le usa per “stabilizzare” la precarietà e ne sollecita la liberazione da ogni vincolo. La santificazione delle donne è menzognera, le donne sono persone e quindi possono essere violente come gli uomini e specialmente diversamente: l’aggressività delle donne è più spirituale per una naturale differenza fisica. La storia e l’attualità non dimostrano che le donne in posizioni di potere siano “eticamente” migliori degli uomini, anzi, paiono più determinate e meno propense all’ascolto ed al compromesso. L’illusione di onnipotenza diventa presto incubo, le nuove generazioni sono senza padri e senza madri, sono gli eredi di un mondo desimbolizzato. La tragedia etica è nel nostro quotidiano, giovani senza padri, madri e maestri difficilmente potranno generare famiglie o ideologie di resistenza sono consegnati ad una solitudine impari nella quale scorgono solo la presenza delle merci. Ogni essere umano si forma avendo come punto di riferimento dei modelli, con cui confliggere e confrontarsi, ma fondare una personalità sull’autogenerazione significa rinunciare alla “cura dell’altro” per consegnarlo al caos informe delle pulsioni. Una società senza generi non è l’equivalente di una società senza classi, ma è la compiuta peccaminosità in atto: il regno dell’eccesso e dell’informe non può che produrre una nuova inedita forma di barbarie. La libertà in questa cornice è la violenza deregolamentata, la legge del più forte utilizzata da “esseri camaleontici”. Uscire dal linguaggio del capitale per decodificarlo e riportarlo alla sua verità strutturale e materiale è il primo passo per uscire dall’inutile guerra dei generi. È necessario orientarsi verso il vero nemico che assimila e destruttura natura e personalità mostrandosi “diabolico”, nel significato etimologico della parola, ovvero, divisorio. Per riprendere il percorso di emancipazione è indispensabile dissipare le fumisterie con cui il capitale inganna i suoi sudditi solleticandone la fuga verso un Eden intessuto di autodistruzione. Bisogna liberarsi del dominio e non delle identità di genere. La libertà non è la pratica del nulla, ma la tensione tra le identità, il cui fine è conoscersi per donarsi.

Salvatore Bravo

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Francesca Pentassuglio – Eschine sembra sia stato il primo ad associare direttamente l’«eros» e la conoscenza e il primo, dunque, a sviluppare la nozione socratica di «eros» come impulso al miglioramento morale e intellettuale.

Francesca Pentasuglio - Eschine di Sfetto

Francesca Pentassuglio, Eschine di Sfetto. Tutte le testimonianze, Brepols, Thurnout 2017, p. 219.


Quarta di copertina

Di Eschine di Sfetto, come di tutti gli altri Socratici a eccezione di Platone e Senofonte, non è pervenuta alcuna opera completa. Abbiamo tuttavia testimonianza di sette dialoghi “socratici”, conservati in stato frammentario: l’Alcibiade, l’Aspasia, il Milziade, il Callia, il Telauge, l’Assioco e il Rinone.
Il presente studio sui Sokratikoi logoi di Eschine presenta una raccolta di tutte le testimonianze antiche sulla biografia e sugli scritti del Socratico, per la prima volta integralmente tradotte in italiano. Corredata da un ampio commentario storico-filologico, la raccolta include alcune nuove testimonianze che sono state aggiunte al corpus e che contribuiscono ad arricchire la comprensione dei dialoghi eschinei.          
I testi sono introdotti da uno studio di carattere storico-filosofico, volto ad approfondire la figura e la biografia di Eschine, nonché a definire il suo statuto come fonte sul pensiero di Socrate. Contestuale all’analisi dei singoli dialoghi, di cui sono ricostruiti per quanto possibile la struttura e l’argomento, è l’indagine sui principali motivi filosofici trattati, che costituiscono spesso veri e propri topoi della letteratura socratica: il ruolo della ricchezza e il valore della povertà, il rapporto tra virtù e conoscenza, la cura di sé e, soprattutto, il legame tra eros e paideia. A tal fine, una particolare attenzione è rivolta ai paralleli testuali e tematici che legano i dialoghi di Eschine alle opere di altri Socratici, analizzati mediante un’esegesi comparativa che miri a “riattivare” tutte le componenti dei dibattiti interni che attraversarono la letteratura socratica e a restituirne, in tal modo, la ricchezza e la profondità.


Sommario

Francesca Pentassuglio è attualmente Alexander von Humboldt Postdoctoral Fellow presso la Universität zu Köln. Si occupa di filo­sofia socratica, di etica antica e della ricezione di Socrate nel tardo platonismo. È autrice del volume Eschine di Sfetto. Tutte le testimonianze (Brepols, Thurnout 2017) e di diversi contributi dedicati alle fonti antiche sul pensiero socratico.




Aischines-Eschine di Sfetto, Attica (ca. 430-360 ca. a.C.)
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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