Fernando Eros Caro – In un Paese che fu creato sterminando la popolazione che già vi risiedeva, come si fa a credere che una giuria sia infallibile? Non smettete mai di sognare.

Fernando Eros Caro01
Prigionieri dell'uomo bianco

Prigionieri dell’uomo bianco

«Il termine giusto per definire il modo in cui le scelte delle masse vengono fatte oscillare da una parte piuttosto che da un’altra è “manipolazione”. […] Dopo tutto le masse sono ingenue e credono a ciò che viene detto loro. Le loro priorità nella vita non sono fare le indagini approfondite e confrontare le cose vere. Preferiscono adagiarsi sulle argomentazioni dello stato, che dice che la legge è legge […] Poi c’è anche la tattica del “e se …”. E se la pena di morte fosse abolita, cosa accadrebbe dopo? Il sospetto nasce semplicemente dalla ignoranza delle persone! Quindi la manipolazione si limiterà a far credere falsamente che questi uomini un giorno verranno liberati. Fino a quando verrà utilizzata la tattica di istillare la paura nelle masse, si otterranno le risposte volute. […] Si può vivere, si può morire, ma nessuno dovrebbe vivere aspettando di morire».
Fernando Eros Caro

 

Non smettete mai di sognare

Non smettete mai di sognare

 

 

«La mentalità dei giurati americani sarà sempre un’incognita in un Paese che permette l’incremento dei senzatetto, l’abbandono nelle strade dei malati di mente, che sottrae il denaro all’educazione scolastica per investirlo nel prolungamento delle guerre. In un Paese che fu creato sterminando la popolazione che già vi risiedeva, come si fa a credere che una giuria sia infallibile?».

Fernando Eros Caro

 

 

 

Fernando Eros Caro

Fernando Eros Caro

FERNANDO EROS CARO CI HA LASCIATO*

Il mio fratello adottivo yaqui, Fernando Eros Caro, prigioniero da 35 anni nel braccio della morte di San Quentin, ci ha lasciato. Aveva 77 anni. Lo hanno trovato senza vita nella sua cella, il 28 gennaio. Non si sa come sia morto, al telefono il medico diceva che le sue condizioni di salute erano buone. La stranezza è che nel giro di pochi giorni è deceduto anche un altro detenuto a San Quentin. L’unica consolazione per Fernando è che adesso non dovrà più subire il degradante protocollo delle sentenze capitali. Qui una poesia che scrissi per lui nel 2007, il giorno successivo al nostro primo incontro in carcere…

***

FRATELLO NEL BRACCIO
(a mio fratello Fernando Eros Caro)

Sguardi ingabbiati
in tuguri vuoti di speranza
tombe di carne ancora sorridono
nella vergogna smarrita dell’umanità
fioriscono volti d’innocenza incompiuta.

Mi sento colpevole mille volte
per quanto non lo sia
per quanto non condivida
per quanto mi opponga in ogni modo
che ogni modo non è mai abbastanza.

Straniero in questo campo di morte
l’orizzonte chiuso di vite a perdere
gente! qui nessuno uccide o viene ucciso
soltanto burocrazia da smaltire
nell’immarcescibile banalità dell’orrore.

Ho stretto le tue mani dopo
un gelido click di manette
ci narriamo l’infinito dagli occhi
viaggiando in ogni possibile dove
passi invisibili oltre, oltre
oltre cancelli & secondini.

Un uomo a due gabbie da noi
barcolla come un grido spezzato
col suo dolore implorante dentro
gli occhiali più grandi del viso
prego lacrime nelle sue ferite.

Una bambina piange suo padre
forse per l’ultima volta
fuori di qui, al di là di questi muri
la libertà tace come un privilegio incompreso
ciascuno torna alla sua
quotidiana prigione.

ma tu, Yoeme, persona antica
tu, Saai Maso, popolo del cervo
fratello mio
tu, storia vivente
resistere da più di 500 anni
tu, davanti a me, come un’alba
non ti piegherai, non ti piegheranno
il tuo dono è il mio sogno

un saluto Yaqui da lasciare al vento
nello spirito che evade all’incubo
sul nostro abbraccio che non finisce
che non finisce
mai!

––––– Marco Cinque –––––––

(*) postato su Facebook e poi segnalato in rete.
Nella foto qui sotto Marco e Fernando insieme.

***

 

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Marco Cinque, Cha Cha (sorella di Fernando) e Farnando
nella cella delle visite del braccio della morte di San Quentin.

Saai Maso. Fratello Cervo

Saai Maso. Fratello Cervo




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Marco Cinque – FERNANDO EROS CARO CI HA LASCIATO. «Il tuo dono è il mio sogno / un saluto Yaqui da lasciare al vento».

Marco Cinque 01

«Il termine giusto per definire il modo in cui le scelte delle masse vengono fatte oscillare da una parte piuttosto che da un’altra è “manipolazione”. […] Dopo tutto le masse sono ingenue e credono a ciò che viene detto loro. Le loro priorità nella vita non sono fare le indagini approfondite e confrontare le cose vere. Preferiscono adagiarsi sulle argomentazioni dello stato, che dice che la legge è legge […] Poi c’è anche la tattica del “e se …”. E se la pena di morte fosse abolita, cosa accadrebbe dopo? Il sospetto nasce semplicemente dalla ignoranza delle persone! Quindi la manipolazione si limiterà a far credere falsamente che questi uomini un giorno verranno liberati. Fino a quando verrà utilizzata la tattica di istillare la paura nelle masse, si otterranno le risposte volute. […] Si può vivere, si può morire, ma nessuno dovrebbe vivere aspettando di morire».
Fernando Eros Caro

 

Fernando Eros Caro

Fernando Eros Caro

FERNANDO EROS CARO CI HA LASCIATO*

Il mio fratello adottivo yaqui, Fernando Eros Caro, prigioniero da 35 anni nel braccio della morte di San Quentin, ci ha lasciato. Aveva 77 anni. Lo hanno trovato senza vita nella sua cella, il 28 gennaio. Non si sa come sia morto, al telefono il medico diceva che le sue condizioni di salute erano buone. La stranezza è che nel giro di pochi giorni è deceduto anche un altro detenuto a San Quentin. L’unica consolazione per Fernando è che adesso non dovrà più subire il degradante protocollo delle sentenze capitali. Qui una poesia che scrissi per lui nel 2007, il giorno successivo al nostro primo incontro in carcere…

***

FRATELLO NEL BRACCIO
(a mio fratello Fernando Eros Caro)

Sguardi ingabbiati
in tuguri vuoti di speranza
tombe di carne ancora sorridono
nella vergogna smarrita dell’umanità
fioriscono volti d’innocenza incompiuta.

Mi sento colpevole mille volte
per quanto non lo sia
per quanto non condivida
per quanto mi opponga in ogni modo
che ogni modo non è mai abbastanza.

Straniero in questo campo di morte
l’orizzonte chiuso di vite a perdere
gente! qui nessuno uccide o viene ucciso
soltanto burocrazia da smaltire
nell’immarcescibile banalità dell’orrore.

Ho stretto le tue mani dopo
un gelido click di manette
ci narriamo l’infinito dagli occhi
viaggiando in ogni possibile dove
passi invisibili oltre, oltre
oltre cancelli & secondini.

Un uomo a due gabbie da noi
barcolla come un grido spezzato
col suo dolore implorante dentro
gli occhiali più grandi del viso
prego lacrime nelle sue ferite.

Una bambina piange suo padre
forse per l’ultima volta
fuori di qui, al di là di questi muri
la libertà tace come un privilegio incompreso
ciascuno torna alla sua
quotidiana prigione.

ma tu, Yoeme, persona antica
tu, Saai Maso, popolo del cervo
fratello mio
tu, storia vivente
resistere da più di 500 anni
tu, davanti a me, come un’alba
non ti piegherai, non ti piegheranno
il tuo dono è il mio sogno

un saluto Yaqui da lasciare al vento
nello spirito che evade all’incubo
sul nostro abbraccio che non finisce
che non finisce
mai!

––––– Marco Cinque –––––––

(*) postato su Facebook e poi segnalato in rete.
Nella foto qui sotto Marco e Fernando insieme.

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Marco Cinque, Cha Cha (sorella di Fernando) e Farnando
nella cella delle visite del braccio della morte di San Quentin.


 

 

 

 

Civiltà Cannibali

Civiltà Cannibali

 

Marco Cinque, Civiltà cannibali, Edizioni Montedit, 2004.
Questo libro di Marco Cinque arriva in un momento particolare. Particolare ma preannunciato. Siamo in guerra, una guerra totale, assurda, sudicia. Ci siamo dentro tutti, armati e disarmati. Correi della catastrofe, dello sprofondamento della civiltà. E che cosa può fare un libro di poesia? I poeti possiedono le parole, ma le parole sono nude, usurate, svilite. Tuttavia, sono le parole le loro armi. Parole come pietre, come sassi, come gridi di ribellione e di speranza. Irriducibili.
La poesia non salva il mondo. Non scongiura la follia. Non ferma le guerre, gli eccidi, le mostruosità. Ma senza la poesia la tragica stupidità del mondo vincerebbe. E dunque, c’è bisogno di poesia. E c’è bisogno di poesia come questa. Le strade della poesia sono tante e tortuose e tutte hanno licenza di percorrimento. Sfuggendo alle definizioni, la poesia ci induce a prendere scorciatoie per semplificare: lirica, epica, civile (come se potesse esistere una poesia incivile). La poesia è sempre civile, intendendo per “civile” il grado di coinvolgimento, l’impegno, il mettersi in gioco, mente e cuore.
È il caso di questo libro coinvolgente, appassionante, necessario, dove le ragioni della poesia passano forse in seconda linea. L’imperativo per l’Autore è dire, è schierarsi contro ogni tipo di barbarie con la coscienza di uomo consapevole delle proprie armi e dei propri limiti. Sotto la penna vorace di Cinque scorre il mondo terribile e meraviglioso: diversi, emarginati, prigionieri in attesa della morte, bambini difficili, barboni, guerre, missili, sogni, amore, inganni e ombre rosse, tamburi e libertà, pace e stragi, e genocidi… Lui guarda col cuore e parla, scrive, suona, fotografa…
Le sue ballate sono fatte per essere dette a più voci, cantate in coro, nelle piazze. Parlano spietatamente di morte e evocano fortemente la vita, la gioia di vivere, l’innocenza, la grazia, la poesia dei bambini. Perché Marco sa che i bambini sono poeti. Non a caso i destinatari privilegiati sono proprio loro, quei bambini, che nei suoi viaggi nelle scuole Marco riesce a stupire e coinvolgere come un mago delle parole e delle meraviglie. “Da piccoli siamo tutti analfabeti e poeti. Quando diventiamo grandi impariamo a leggere e scrivere, ma spesso perdiamo la poesia”, dice Marco.
Lui, la poesia non l’ha perduta.
SignorNò

SignorNò

 

 

finepenamai

Finepenamai



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Lev Nicolaevič Tolstoj (1828-1910) – Non appena ho compreso l’essenza della ricchezza e del denaro, mi si è chiarito quanto in realtà sapevo già da molto.

Tolstoj Lev 26

 

 

Che fare, dunque

logo Fazi

 

«Non appena ho compreso l’essenza della ricchezza e del denaro, mi si è chiarito quanto in realtà sapevo già da molto, la verità che dai tempi più remoti hanno consegnato agli uomini Buddha, Isaia, Lao Tze, Socrate, e con particolare chiarezza e indiscutibilità Gesù Cristo e il suo predecessore, Giovanni Battista».

Lev Nicolaevič Tolstoj

 

«Primo: non mentire mai a se stessi,
per quanto il mio percorso esistenziale possa essere lontano
dalla via indicatami dalla ragione.

 

Secondo: rinunciare alla consapevolezza dei propri meriti e peculiarità
e riconoscere la propria fallacia.

 

Terzo: adempiere con il lavoro
all’obbligo inconfutabile del nostro vivere,
senza vergognsrsi di alcun tipo di attività svolta».

 

Lev Nicolaevič Tolstoj, Che fare dunque? Legge, archetipo e mito, traduzione di Flavia Sigona, Fazi, Roma, pp. 246, 2017.

 

 


Risvolto di copertina
Dopo essere stato a lungo a contatto con i contadini poverissimi e oppressi della campagna russa, sulla soglia dei sessant’anni Tolstoj scopre la terribile miseria metropolitana degli operai e dei senzatetto della città in cui vive d’inverno, Mosca, agli inizi del suo processo di industrializzazione. Ogni giorno, verso il tramonto, esce dalla sua bellissima villa in mezzo a un parco non lontano dal Cremlino e vaga per le strade per indagare come si vive nei quartieri popolari. Di fronte a un’umanità disperata e derelitta che si difende come può dalla fame e dal freddo, Tolstoj sente la sua ricchezza come una colpa. Non solo ha ereditato un enorme patrimonio, ma ora, dopo il successo di Guerra e pace e Anna Karenina, ogni anno guadagna un’ingente somma con i suoi libri che vengono venduti al prezzo medio-alto di diciassette rubli, denaro che proviene dalle tasche di piccolo-borghesi e studenti squattrinati. Gli capita addirittura di portare a casa qualche ragazzino indigente raccattato per strada, provocando l’ira della moglie e dei suoi figli maschi (le figlie gli sono più vicine e comprendono meglio il suo travaglio interiore). E mentre riflette su «Che fare?» si impegna in una raccolta di fondi presso i suoi amici facoltosi e si dedica allo studio dell’Economia politica, leggendo attentamente La ricchezza delle nazioni di Adam Smith. La scintilla di intelligenza divina che Tolstoj è, anche applicata all’economia, produce risultati meravigliosi.Che fare, dunque? è ancora oggi un libro di grandissima attualità, sia quando parla di problemi morali o analizza le enormi diseguaglianze sociali, sia quando si occupa della vera natura della moneta e dei meccanismi dell’economia di mercato, ma soprattutto quando insiste sulla necessità imprescindibile di una rinascita spirituale dell’Occidente e dell’Oriente.

 

Sfoglia il libro


Lev Nikolàevič Tolstòj (1828-1910) – Tutti i grandi cambiamenti cominciano e si compiono nel pensiero
Lev Tolstoj (1828-1910) – L’elevazione del lavoro a virtù è altrettanto assurda come l’innalzamento del nutrirsi dell’uomo a dignità e a virtù. nella nostra società falsamente ordinata, esso è per lo più un mezzo che uccide la sensibilità morale …
Lev Tolstoj – Che cos’è l’arte: L’arte incomincia là, dove incomincia l’appena appena
Lev Nikolàevič Tolstòj (1828-1910) – In una società dove esiste, sotto qualunque forma, lo sfruttamento o la violenza, il denaro non può assolutamente rappresentare il lavoro. La semplicità è la principale condizione della bellezza morale.
Lev Nikolàevič Tolstòj (1828-1910) – Ogni uomo reca in sé, in germe, tutte le qualità umane, e talvolta ne manifesta alcune, talvolta altre, e spesso non è affatto simile a sé, pur restando sempre unico e sempre se stesso.

 


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Costanza Fiorillo – La vera uguaglianza è la libertà di essere diversi. Il contrario di differente non è uguale, ma indifferente. Questo bisogna ricordare nel «Giorno della memoria».

Indifferenza

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Un disegno di Helga Weissova, una bambina morta a Tarezin.


Io penso che ciascuno è diverso e ha diritto di esserlo.
Togliere di libertà è un’azione crudele.
Ogni uomo ha diritto di scegliere la propria religione,
il luogo in cui vivere e la persona che vuole amare.
Anch’io sono differente, come lo sono tutti i miei amici.
Il contrario di differente
non è uguale, ma indifferente.
È quello che è successo durante la persecuzione degli ebrei,
e allora indifferenti sono stati tanti uomini.
La loro indifferenza ha permesso che quella mostruosità avvenisse.
Io credo che la vera uguaglianza sia la libertà di essere diversi.

Costanza Fiorillo,

Quinta elementare, Scuola elementare di Valdibrana, Pistoia.

27 gennaio 2017


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Albert Camus (1913-1960) – Ciò che conta è essere veri. Ogni volta che si cede alle proprie vanità, ogni volta che si pensa e si vive “per apparire”, si tradisce.

«La bellezza non fa rivoluzioni.
Ma viene un giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza».
A. Camus, Homme révolté

camus-taccuini

Fra poco altre cose, e gli uomini, torneranno ad afferrarmi. Ma lasciatemi ritagliare questo minuto dalla stoffa del tempo, come altri lascerebbero un fiore fra le pagine per racchiudervi una passeggiata in cui li ha sfiorati l’amore. […]. Il libro si apre su una pagina amata. […] Posso dire […] che ciò che conta è essere umani, semplici. E invece no: ciò che conta è essere veri […]. Prendo coscienza delle potenzialità di cui sono responsabile. Ogni minuto della vita ha in sé un valore miracoloso e un volto eternamente giovane. [Gennaio 1936]

***

La vita è difficile da vivere. Non si riesce sempre ad adeguare le proprie azioni alla propria visione del mondo. […] Il mio sforzo consisterà nel portare al limite estremo questa presenza di me stesso a me stesso, nel conservarla davanti a tutti gli aspetti della mia vita – anche a costo di quella solitudine che, ora lo so, mi è tanto difficile da sopportare. Non cedere, tutto sta lì. Non consentire. Non tradire. […] Ogni volta che si cede alle proprie vanità, ogni volta che si pensa e si vive “per apparire”, si tradisce. E ogni volta è sempre la gran disgrazia di voler apparire che mi ha rimpicciolito dinanzi al vero. […] Veramente forte è colui che appare esclusivamente quando è necessario. [Febbraio 1937]

Albert Camus, Taccuini


Albert Camus (1913-1960) – Ogni autentica creazione è in realtà un regalo per il futuro.
Albert Camus (1913-1960) – Il teatro è un luogo di verità: è per me esattamente il più alto dei generi letterari e in ogni caso il più universale.
Albert Camus (1913-1960) – Invece di uccidere e morire per diventare quello che “non” siamo, dovremo vivere e lasciare vivere per creare quello che realmente siamo.
Albert Camus (1913-1960) – Perché un pensiero cambi il mondo, bisogna prima che cambi la vita di colui che l’esprime. Che cambi in esempio.

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Viola Papetti – «Animali quasi umani», testi drammatici nel segno di un simbolico espressionismo.

Djuna Barnes 001

200-Isbn

Djuna Barnes

Animali quasi umani. Short Plays.
Testo originale a fronte.
Traduzione, cura e postfazione di Silvia Masotti.
Introduzione di Maura Del Serra, con uno scritto di Carmelo Rifici.
Disegni [14] e nota di accompagnamento di Cristina Gardumi.
Appendice iconografica dedicata a D. Barnes.
n copertina: Cristina Gardumi, Devil in the details, 2012
indicepresentazioneautoresintesi

 

djuna-barnes

Djuna Barnes


«Animali quasi umani è il titolo degli Short Plays della mai dimenticata Djiuna Barnes […]. Un breve scritto di Carmelo Rifici dà il nome di “espresionismo simbolico” al gusto acerbo di questi brevi testi drammatici […]» [Leggi tutta la recensione nel PDF allegato qui sotto].

La recensione di Viola Papetti è stata pubblicata su “il manifesto”, Alias, dell’8 settembre 2013.

 

Viola Papetti,
Animali quasi umani,
testi drammatici nel segno di un simbolico espressionismo


Alcuni libri di Viola Papetti

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Viola Papetti

 

Arlecchino a Londra. La pantomima inglese 1700-1728. Studi e testi

Arlecchino a Londra. La pantomima inglese 1700-1728. Studi e testi

 

La commedia da Shakespeare a Sheridan

La commedia da Shakespeare a Sheridan

 

Le forme del teatro

Le forme del teatro

 

 

Lettere senza risposta

Lettere senza risposta

 

Il neoclassicismo

Il neoclassicismo

 

Gli straccali di Manganelli

Gli straccali di Manganelli

 

John Gay o dell'eroicomico

John Gay o dell’eroicomico


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Lorenzo Tibaldo – Il passato condiziona il presente, ma non è un testamento vincolante che lo incatena per sempre, anzi lascia aperto lo spazio all’atto di volontà e di libertà, per cambiare e costruire un futuro diverso.

Lorenzo Tibaldo
Il primo momento di azione è lo sguardo

«Il primo momento di azione è lo sguardo.[…] Lo sguardo del come fare è uno sguardo preciso: su qualsiasi cosa si posi, è come  se quella cosa fosse definitiva, quindi la penetra; non è uno sguardo eccitato, ma quasi solido: dovunque si punti, sia esso un oggetto banale o prezioso, questo sguardo lo tratta con la medesima cura, […] sta già compiendo un’operazione attiva sulle cose […] sta attento a non farsi sfuggire nulla. Naturalmente ci sono pause nel come fare: i momenti di riflessione, i momenti di attesa e di pazienza, però lo sguardo è sempre attento […]. È quello che noi consideriamo lo sguardo intelligente, acuto, perché misura ogni punto con rispettosa cura, […] perché sa che, nel processo del suo lavoro, tutto ciò che gli  sfugge renderà fragile il suo modo di procedere. Dunque chi pensa al come fare, prima deve guardare, e deve imparare a guardare».
Luciano Fabro, Arte torna arte. Lezioni e conferenze 1981-1997, Einaudi, 1999, p. 4.

 

E quand’anche gli italiani, che son fatti diversamente, fossero non centomila, ma appena mille, cento, dieci, uno solo – degno di rispetto, e non carogna – dovrebbe tener duro e non mollare. E sarebbe dovere approvarlo, incoraggiarlo, sostenerlo e non dirgli: «Pensa alla salute, tira a campare, chi te lo fa fare, bada ai fatti tuoi, lascia correre: gli italiani son fatti così». Gaetano Salvemini, 1947.

 

268 ISBN

Lorenzo Tibaldo

Gli italiani (non) son tutti fatti così

Le speranze deluse nella storia d’Italia
indicepresentazioneautoresintesi

 

 

L’Italia continua a caratterizzarsi per i suoi peggiori difetti: trasformismo, ribellismo qualunquistico, populismo, antipolitica, clientelismo, corruzione, struttura statale iperburocratica e inefficiente, assenza di un’etica pubblica in gran parte della classe dirigente e della stessa società civile. Una sintetica e densa analisi – attraverso il Rinascimento, il Risorgimento, il fascismo, la Resistenza e i primi anni del dopoguerra – delle radici “malate” del nostro passato che ancora oggi rendono difficili alla società italiana profonde e inderogabili trasformazioni. Uno sguardo sul passato indispensabile per comprendere l’impellente necessità di applicare nella vita quotidiana i valori della Costituzione repubblicana, generata dalla Resistenza.


Immagine di copertina:
Luciano Fabro, L’Italia, 1968. Collezione Gino Viliani.
A sinistra, dall’alto, lo sguardo di: Giordano Bruno, Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Attilio ed Emilio Bandiera, Nadia Gallico Spano, Ferruccio Parri, Tina Anselmi, Giuseppe Dossetti.  A destra, dall’alto, lo sguardo di: Giacomo Leopardi, Piero Gobetti, Antonio Gramsci, Giacomo Matteotti, Giovanni Amendola, Irma Bandiera, Piero Calamandrei, Teresa Noce, Carlo Rosselli, Nilde Iotti, Gaetano Salvemini.

Si ringraziano gli eredi di Luciano Fabro e la Direttrice dell’«Archivio Luciano e Carla Fabro», Silvia Fabro, per aver gentilmente autorizzato l’utilizzo dell’immagine di copertina.


Lorenzo Tibaldo,
Sotto un cielo stellato. Vita e morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.

 



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Marino Gentile (1906-1991) – È necessario anzitutto rammentare e riconoscere l’ampiezza delle ostilità e delle perplessità che suscita, nella cultura filosofica e non filosofica contemporanea, il nome stesso della metafisica.

Marino Gentile 001

 

 

«Nel dare inizio a un corso di lezioni sul tema: come si pone il problema metafisico, è necessario anzitutto rammentare e riconoscere l’ampiezza delle ostilità e delle perplessità che suscita, nella cultura filosofica e non filosofica contemporanea, il nome stesso della metafisica».

Marino Gentile

 

 

267 ISBN

Marino Gentile
Come si pone il problema metafisico

Introduzione di Carmelo Vigna

indicepresentazioneautoresintesi

 


coperta 99

Marino Gentile
La metafisica presofistica
Il valore classico della metafisica antica

Introduzione di Enrico Berti

indicepresentazioneautoresintesi

«Quest’opera è un esempio perfettamente riuscito di confluenza tra impegno storiografico, di valore ineccepibile, e impegno teoretico, ovvero filosofico, di grande respiro. Essa perciò costituisce il modello di un modo di fare storia della filosofia e filosofia teoretica insieme, che restò poi a caratterizzare altri lavori storici di Marino Gentile, in cui nessuna delle due discipline è sacrificata all’altra […] ma ciascuna valorizza l’altra.
[…] La maniera del tutto particolare, e innovatrice, di intendere la metafisica classica da parte di Marino Gentile, rappresenta la gloria maggiore del maestro, quella per cui vale ancora la pena dichiararsi con orgoglio suoi allievi».

ENRICO BERTI



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Luca Grecchi – La metafisica umanistica non vuole limitarsi a descrivere come le cose sono e nemmeno a valutare negativamente l’attuale stato di cose. Deve dire come un modo di produzione sociale ha da strutturarsi per essere conforme al fondamento onto-assiologico.

Grecchi Luca026

Compendio di metafisica umanistica

indicepresentazioneautoresintesi

 

«L’anima è, in certo modo, tutte le cose».
Aristotele, De anima, 431 b 21

Pubblico in questa sede il testo, lievemente modificato, della relazione da me tenuta, il giorno 1 dicembre 2016, all’Università degli studi di Macerata, all’interno del convegno intitolato Sistema, sistematico, asistematico. Chiarimenti per un concetto ambiguo, organizzato dai professori Arianna Fermani e Maurizio Migliori. Si tratta della sintesi di ciò che in questi anni ho definito più volte “metafisica umanistica”, struttura teoretica che costituisce l’oggetto di un libro che annunciai già nel 2003, ma che sono continuamente costretto a rimandare per il problema, ben noto a chi fa ricerca, che più si studia e più si comprende di essere ignoranti (ossia che mancano ancora – ad oggi: spero non per sempre – alcuni necessari elementi per poter costituire compiutamente il discorso). In ogni caso, poiché diversi amici mi hanno da tempo richiesto di esporre quanto meno una sintesi della metafisica umanistica, ossia di quella che ritengo essere la struttura sistematica meglio in grado di descrivere fondatamente la realtà sul piano onto-assiologico, ho colto l’occasione di questo convegno per effettuarne una esposizione, non sapendo ancora quanto tempo mi ci vorrà per concludere la sistematizzazione complessiva.

[…] Ritengo necessario affrontare il tema veritativo anche sul piano politico-sociale. Come può infatti la metafisica, il sapere dell’intero e del fondamento, trascurare quanto più caratterizza oggi l’intero (la crematistica impone ovunque le proprie modalità: non solo alla società, ma anche alla natura), e quanto più nega il fondamento (la natura razionale e morale dell’uomo)? Come detto, per essere coerente con il proprio carattere onto-assiologico, l’approccio veritativo della metafisica umanistica non può limitarsi a descrivere come le cose sono (sul piano sociale, descrivere il modo di produzione capitalistico), e nemmeno a valutare l’attuale stato di cose (valutarlo negativamente, come poc’anzi fatto). Deve fare di più, ossia deve dire come, almeno nelle sue linee generali, un modo di produzione sociale dovrebbe strutturarsi per essere conforme al fondamento onto-assiologico, ossia per realizzare le potenzialità razionali e morali presenti negli uomini, consentendo loro la felicità. Dato che la natura umana è determinata, ossia dotata di stabili caratteristiche costitutive (e non di qualsiasi caratteristica), è normale che essa possa realizzarsi solo in una totalità sociale determinata, ossia dotata di conformi caratteristiche (e non in qualsiasi totalità sociale): da qui la necessità anche teoretica della progettualità.

Luca Grecchi

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In copertina:
Paul Klee, Der Seiltänzer [Il funambolo], 1923.

Il funambolo di Klee cerca di trovare un nuovo equilibrio sospeso a mezz’aria su una corda tesa, nel suo essere uomo in uno spazio di-segnato in basso da strutture leggere, tra loro correlate in profondità, ma protese nella comune tensione verso l’alto. L’artista e il funambolo anelano ad un distacco smaterializzante, ma non perdono il contatto necessario e insieme vincolante con la realtà e con il mondo terreno, senza comunque soccombervi, e cercando invece di elevarsi alla compiuta umanità dell’esser uomo, proprio perché l’Uomo è l’unico ente in grado di pensare l’essere.


Luca Grecchi – Quando il più non è meglio. Pochi insegnamenti, ma buoni: avere chiari i fondamenti, ovvero quei contenuti culturali cardinali che faranno dei nostri giovani degli uomini, in grado di avere rispetto e cura di se stessi e del mondo.
Luca Grecchi – A cosa non servono le “riforme” di stampo renziano e qual è la vera riforma da realizzare
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Luca Grecchi – Platone e il piacere: la felicità nell’era del consumismo
Luca Grecchi – Un mondo migliore è possibile. Ma per immaginarlo ci vuole filosofia
Luca Grecchi – «L’umanesimo nella cultura medioevale» (IV-XIII secolo) e «L’umanesimo nella cultura rinascimentale» (XIV-XV secolo), Diogene Multimedia.
Luca Grecchi – Il mito del “fare esperienza”: sulla alternanza scuola-lavoro.
Luca Grecchi – In filosofia parlate o scrivete, purché tocchiate l’anima.
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Luca Grecchi – Scienza, religione (e filosofia) alle scuole elementari.
Luca Grecchi – La virtù è nell’esempio, non nelle parole. Chi ha contenuti filosofici importanti da trasmettere, che potrebbero favorire la realizzazione di buoni progetti comunitari, li rende credibili solo vivendo coerentemente in modo conforme a quei contenuti: ogni scissione tra il “detto” e il “vissuto” pregiudica l’affidabilità della comunicazione e non contribuisce in nulla alla persuasione.
Luca Grecchi – Aristotele: la rivoluzione è nel progetto. La «critica» rinvia alla «decisione» di delineare un progetto di modo di produzione alternativo. Se non conosciamo il fine da raggiungere, dove tiriamo la freccia, ossia dove orientiamo le nostre energie, come organizziamo i nostri strumenti?
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Luca Grecchi – Platone, la democrazia e la riforma costituzionale.


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Salvatore Bravo – L’abitudine alla mera sopravvivenza diviene abitudine a subire. Ma possiamo scoprire, con il pensiero filosofico, che “oltre”, defatalizzando l’esistente, c’è la buona vita.

Christopher Lasch

  L’io minimo all’epoca della società della sola sopravvivenza

L'io minimo

L’io minimo

L’io minimo – dopo l’identità fluida di Bauman – è un’immagine sostanziale e non solo metaforica della condizione dell’uomo all’epoca del cretinismo economico. Il testo di Christopher Lasch L’io minimo descrive lo sfaldarsi della comunità mondiale, e non solo occidentale, sotto la pressione del capitalismo totale. La tecnica ed i suoi apparati, gestell, operano per una riduzione dell’identità dell’io: senza di esso non vi è comunità, né possibilità di fondare con il logos percorsi dialettici per cercare verità e costruire progetti politici. La naturalizzazione dell’esistente ha trovato un alleato nel processo di vittimizzazione di un’intera società. Lasch descrive il senso di dipendenza diffuso nella società del benessere, del totalitarismo dell’azienda. La democrazia è diventata scelta solo all’interno di un orizzonte di cose. In realtà la libertà è solo apparente, dietro la patina epidermica dell’oggetto si nasconde il nulla dell’uguale. Per cui la trasgressione ha solo il fine di indurre alla scelta desimbolizzzata in nome dell’economia. Il malessere è gestito da figure specializzate ed adattive, per cui l’evoluzione autonoma dell’io è aggredita nella sua genesi. Si delega, si abdica, ci si rifugia nelle figure dell’iperspecializzzazione acquisendo un senso di impotenza, di vittimizzazione la quale diviene incapacità di sentirsi parte attiva e partecipata di una comunità. La comunità politica è attaccata nel suo fondamento, la dialettica che sviluppa l’io è in tal modo annichilita. Resta un senso di vittimizzazione, di impotenza generale che si stratifica in una vita che è un mero sopravvivere. Un clima darwiniano in cui si è chiamati alla rinuncia, in nome delle cose, dei morti che dominano i vivi, delle merci che divengono autonomi soggetti della storia. Il clima darwiniano, la sopravvivenza, vorrebbe ribaltare la natura umana, ridurla ad una mero calcolo per sopravvivere:«La mentalità della sopravvivenza porta a una svalutazione dell’eroismo. Le situazioni limite, scrive Goffman, danno rilievo “ai piccoli atti della vita”, non alle “grandi forme di lealtà e di inganno”. Le istituzioni totali organizzano un massiccio “attacco all’io”, ma nello stesso tempo impediscono una resistenza efficace, costringendo gli internati a ricorrere, invece che alla “recalcitranza”, al distacco ironico, alla chiusura in sé, e a quella combinazione di conciliazione e di non cooperazione che Goffman ha definito “making out”. Le istituzioni totali hanno affascinato Goffman perché, tra le altre ragioni, costringono chi vi è dentro a vivere giorno per giorno, dato che concentrarsi sull’immediato è la migliore speranza di sopravvivere a lungo. Il lavoro di Goffman sulle istituzioni totali parte dalle stesse premesse da cui partono i suoi studi sulla “presentazione del sé nella vita quotidiana”: anche nelle situazioni più laceranti, gli individui si rivelano più pienamente negli eventi non eroici dello scambio quotidiano che non in atti straordinari di abilità e coraggio» (C. Lasch L’io minimo, Feltrinelli, Milano 2010, p. 35).

L’abitudine alla sopravvivenza, alla cattiva vita diviene abitudine a subire, a giustificare ogni azione in funzione del calcolo della sopravivenza, per cui l’alienazione diventa aberrante. La nuova alienazione induce a consumare il proprio tempo attimo dopo attimo al fine di sopravvivere, si esclude la vita come dialettica, come qualità di vita. Il fine della trasformazione della società in una immensa azienda dell’esclusione, della competizione, porta a vivere nel disimpegno poiché l’unico futuro possibile è la sopravvivenza.

La descrizione di Lasch ci deve indurre a riflettere sulla capacità trasformativa della filosofia. Guardare e vivere il mondo in modo olistico per riattivare la forza razionale della speranza. La filosofia ha la sua vocazione a ricategorizzare il mondo, a renderlo dinamico, ma non fluido, ricostruisce percorsi dialettici senza i quali la comunità è inesistente. Lasch ci invita a riflettere sul costo umano della sopravvivenza: una società senza orizzonti ideali e comunitari, incapace di guardare oltre la mole della merce è segnata da un’infelicità perenne. L’indifferenza è l’effetto della vittimizzazione sostenuta da tanta “incultura” della sopravvivenza: «I sopravvissuti devono imparare dei trucchi per osservare gli eventi della propria vita come se succedessero ad altri. Una delle ragioni per cui la gente non si sente più soggetto di narrativa è che non si sente più soggetto, ma piuttosto vittima delle circostanze; e questa sensazione di essere agiti da forze esterne incontrollabili spinge a un’altra forma di equipaggiamento morale, all’abbandono dell’io assediato, per rifugiarsi nei panni di un osservatore distaccato, stupefatto, ironico. Sentire che quello che sta succedendo non succede a me mi aiuta a proteggermi dal dolore e a controllare le espressioni di risentimento e di ribellione che servirebbero solo a procurarmi altre torture da parte di chi mi tiene prigioniero. Ancora una volta ricompare nei manuali del successo una tecnica di sopravvivenza imparata nei campi di concentramento, dove era raccomandata come metodo affidabile per trattare con i “tiranni”. Chester Burger, autore di Dirigenti sotto il fuoco e Sopravvivenza nella giungla dirigenziale, dà per scontato che la resistenza nei confronti dei superiori arroganti sia fuori questione; ma consiglia anche i suoi lettori di non “adulare i tiranni”. Devono piuttosto cercare di prendere le distanze» (ibidem, p. 46).

Solo l’azione teoretica filosofica può indicare che oltre la «sopravvivenza» c’è la buona vita: essa inizia con la partecipazione, col pensiero condiviso che defatalizza l’esistente per risimbolizzarlo.

Salvatore Bravo

 



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