Bhagavad-Gītā – Queste sono qualità proprie degli uomini virtuosi

Manoscritto della Bhagavadgītā risalente al XIX secolo (Southern Asian Collection, Asian Division, Library of Congress, Washington, DC)
Manoscritto della Bhagavadgītā risalente al XIX secolo (Southern Asian Collection, Asian Division, Library of Congress, Washington, DC)
Manoscritto della Bhagavadgītā risalente al XIX secolo
(Southern Asian Collection, Asian Division, Library of Congress, Washington, DC)

«L’assenza di paura, la purificazione dell’esistenza, lo sviluppo della conoscenza spirituale, la carità, il controllo di sé, il compimento di sacrifici, lo studio dei Veda, l’austerità, la semplicità, la non-violenza, la veridicità, l’assenza di collera, la rinuncia, la serenità, l’avversione per la critica, la compassione verso tutti gli esseri, l’assenza di cupidigia, la dolcezza, la modestia, la ferma determinazione, il vigore, il perdono, la forza morale, la purezza, la libertà dall’invidia e dalla sete di onori – queste sono qualità trascendentali, proprie degli uomini virtuosi …».

La Bhagavad-Gītā così com’è, a cura di Srila Prabhupada, Bhaktivedanta book trust, Firenze 2003, pag. 636.

Kṛṣṇa ed Arjuna a Kurukṣetra, pittura del XVIII-XIX secolo

Kṛṣṇa ed Arjuna a Kurukṣetra, pittura del XVIII-XIX secolo

Bhagavadgītā (sanscrito, sf.pl.; devanāgarī: भगवद्गीता, , “Canto del Divino” o “Canto dell’Adorabile” o, meno comunemente, Śrīmadbhagavadgītā; devanāgarī: श्रीमद्भगवद्गीता, il “Meraviglioso canto del Divino”[1]) è quella parte dall’importante contenuto religioso, di circa 700 versi (śloka, quartine di ottonari) divisi in 18 canti (adhyāya, “letture”), nella versione detta vulgata, collocata nel VI parvan del grande poema epico Mahābhārata.

La Bhagavadgītā ha valore di testo sacro, ed è divenuto nella storia tra i testi più prestigiosi, diffusi e amati tra i fedeli dell’Induismo.

In tale contesto la Bhagavadgītā è il testo sacro per eccellenza delle scuole viṣṇuite e kṛṣṇaite, eredi dell’antico culto devozionale del Bhagavat, ma è venerato come testo rivelato anche dagli śivaiti e dai seguaci dei culti śākta.

L’unicità di questo testo, rispetto ad altri coevi, consiste anche nel fatto che qui non viene data un’astratta descrizione del Bhagavat[2], qui inteso come il dio Kṛṣṇa, la Persona Suprema che si rivela, ma questa figura divina è un personaggio protagonista che parla in prima persona, offrendo all’uditore la sua darśana (dottrina) completa. (da Wikipedia)

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