«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:
Lo spettro della diversità forma un continuum tra i più sottili e in ogni essere umano sono presenti elementi di mascolinità e di femminilità. Ma la maggior parte degli uomini e delle donne cristallizza la propria essenziale virilità o femminilità in qualche punto di questo continuum.
Verità ed interpretazione
Vi sono opere imperiture, il cui significato polisemico racchiude segretamente la verità della condizione umana, la quale si offre ad una molteplicità di letture, condizionate dalle circostanze storiche. La verità è nella storia e si svela in essa: pertanto vi sono nuclei veritativi filtrati mediante l’orizzonte storico-mondano in cui l’essere umano è situato.
La letteratura greca è fonte di verità, come lo è la filosofia greca: si utilizzano linguaggi differenti ma in entrambe si colgono verità intramontabili. La verità non brilla al di là dello spazio e del tempo; essa è nel mondano, quindi pone problemi interpretativi, e nei differenti periodi storici un particolare aspetto della verità prevale sugli altri. La verità è prismatica e dinamica, è rizomatica, è una unità che contiene e relaziona una pluralità di aspetti tra di loro razionalmente congiunti in una fitta rete di relazioni.
La letteratura e la filosofia greca non possono essere spiegate con il semplice rapporto struttura-sovrastruttura. Tale consapevolezza era presente anche in Marx. La verità eccede la storia, pur vivendo in essa. Ogni semplicismo rischia di introdurre l’irrazionale, e l’irrazionale comporta una contrazione della capacità di decodificare la verità nel suo disvelamento storico.
Il mondo greco è per Marx un problema, poiché sfugge alle categorie del materialismo: vi è in esso un’eccedenza che esige altre categorie per poter essere interpretato e compreso. La verità della condizione umana ha un nucleo profondo che sfugge all’applicazione meccanica di taluni schemi preordinati:
«Nell’Introduzione alla critica dell’economia politica, Marx cerca di raffinare il modello ingenuo e sociologicamente rozzo delle relazioni tra la “sovrastruttura” estetico-ideologica di una cultura e la sua base economica sociale. Secondo Marx, non è possibile formulare un’equazione semplicistica e univoca di tali relazioni che sono molto più sottili sia in rapporto al carattere del clima ideologico o artistico di una determinata comunità, sia agli stadi temporali dell’evoluzione sociale».[1]
D’altra parte la verità di una “civiltà altra” non ci giunge nell’oggettività abbagliante del mattino, ma essa deve implicare uno sforzo ermeneutico e una tensione dialettica capaci di un doppio movimento: si arretra dinanzi ad essa, poiché consapevoli dell’alterità filtrata mediante schemi, giudizi e pregiudizi del proprio tempo storico al fine di approssimarsi alla sua presenza senza l’arrogante pretesa di possederla:
«Quando arriva a noi dall’Antigone di Sofocle, il “significato” è distorto nella sua struttura originaria proprio come la luce sellare è deformata quando arriva a noi attraverso il tempo e campi gravitazionali successivi».[2]
Dai Greci siamo distanti e vicini, le loro verità sono le nostre, ma nel contempo il vissuto storico le fa apparire in modo diverso e dona ad esse una diversa configurazione. Gli esseri umani sono proiettivi, pertanto per decodificare l’alterità e la verità è opportuno il lavoro dello spirito senza il quale nessuna interpretazione risulta razionale e ben fondata.
Le Antigoni
L’Antigone di Sofocle è un’opera eterna: si dispiega davanti a noi non una semplice tragedia, ma l’umanità nei suoi complessi conflitti dialettici. Il male è l’opposizione senza sintesi: se il particolare e l’universale guerreggiano senza la capacità di sintesi del concetto, si è colti dalla rovina. La vita sociale e politica è attività dialettica finalizzata a conciliare ciò che pare-appare opposto. Eraclito,[3] nel frammento 51, già affermava la necessità dell’unità degli opposti: la verità è l’unità nella quale gli opposti ridisegnano posizioni e significati. L’armonia non è nella sclerotizzazione della vita, ma nel confliggere fecondo e consapevole.
La tragedia del nostro tempo storico è la cultura della cancellazione degli opposti: il conflitto è sostituito dall’omologazione. La verità senza opposti riposizionati nel reciproco riconoscimento è solo “il niente” ideologico. Il conflitto concettuale è stato sostituito dal confliggere crematistico senza riconoscimento delle autocoscienze nella loro specificità materiale e di genere.
Hegel ha interpretato l’Antigone, ne ha colto un aspetto eterno, ovvero in Antigone il conflitto conduce alla rovina, poiché il polo femminile (Antigone) e il polo maschile (Creonte) non ammettono la sintesi. Il dialogo è solo un atto di forza, poiché entrambi non ascoltano e rifiutano il polo opposto che vive in ciascuno. Creonte non ascolta Antigone con le sue ragioni, poiché è distante dal suo polo femminile, e lo stesso avviene in Antigone. Entrambi sono irrigiditi dall’incapacità di pensare e vivere il proprio nucleo profondo nel quale vi è una sintesi che se pensata-vissuta favorisce l’ascolto e la comunicazione:
«I riti funerari, poiché rinchiudono letteralmente il morto nello spazio della terra e nella sequenza fantomatica delle generazioni, che sono alla base del mondo famigliare, sono un compito specificatamente femminile. Quando tale compito tocca a una sorella, qualora l’uomo non abbia né madre né moglie che lo riportino alla terra custode, i riti funebri acquistano la massima sacralità. L’atto di Antigone è il più sacro che una donna possa commettere. È anche ein Verbrechen: un crimine. Ci sono situazioni in cui lo stato non è pronto a rinunciare alla propria autorità sui morti».[4]
Per Hölderlin Antigone è una “santa pazza”, è il polo dionisiaco, è la verità aorgica che vive solo in relazione alla razionalità apollinea. Resecare i due poli significa spezzare la profondità della razionalità. Senza dualità nell’unità non vi può che essere irrazionalità e una pericolosa scissione in cui le parti prendono il sopravvento fino alla morte. L’unità è nella dualità dei poli: Antigone sente le potenze profonde della vita, la sua sacralità terrena e trascendente, ma è respinta dalla razionalità della polis e dai suoi poteri. Antigone mostra con la sua rivolta e il suo dolore la parzialità dell’altro polo, nella lotta palesa che vi è altro oltre l’ordine stabilito, nel contempo è sull’abisso dell’irrazionale, poiché in lei vi è il prevalere di un solo aspetto:
«Ella è la quintessenza dell’Antitheos, di cui il poeta aveva parlato nella lettera a Böhlendorff, nel dicembre 1801. Il che significa che Antigone fa parte di coloro che si pongono di fronte a Dio o agli dèi (Hölderlin usa alternativamente queste due espressioni) con atteggiamento contrario, avverso, polemico. Ma questa opposizione, questo attacco agonistico rappresentano una forma sublime di devozione. […] I punti di riferimento di Hölderlin sono di natura filosofica. Proprio come Empedocle e come Rousseau, secondo la descrizione che Hölderlin ne dà nell’ode “Der Rhein” (Il Reno), Antigone è una “pazza santa” (törig göttlich)».[5]
Maschile e femminile nell’Antigone
George Steiner individua il dramma e la verità dell’Antigone nel rifiuto della differenza profonda: ciascun uomo reca con sé il maschile con un fondo femminile e lo stesso accade nella donna. Una società sana consente l’ascolto del sottofondo che completa la disposizione di genere prevalente senza cancellarla. La comunicazione interiore non può che favorire e incentivare le relazioni positive tra i due generi. Antigone rappresenta il rifiuto di tale positiva ambiguità che non chiede la rinuncia o la negazione di nessun polo, ma consente una proficua comunicazione-sintesi. Nella tragedia di Sofocle è rappresentata la negazione, e l’incomunicabilità tra le due figure è il segno di una resecazione interiore proiettata all’esterno. Antigone e Creonte sono l’uno speculare all’altro:
«Il germe di tutto il dramma sta nell’incontro tra un uomo e una donna. Nessuna esperienza di cui abbiamo diretta conoscenza è portatrice di un maggiore potenziale conflitto. Essendo inalienabilmente una sola cosa, in virtù dell’umanità che li separa da ogni altra forma di vita, uomo e donna sono allo stesso tempo inalienabilmente diversi. Lo spettro della diversità. Come sappiamo, forma un continuum tra i più sottili. In ogni essere umano sono presenti elementi di mascolinità e di femminilità (ogni incontro, ogni conflitto è, di conseguenza anche una guerra civile all’interno del proprio io ibrido). Ma la maggior parte degli uomini e delle donne cristallizza la propria essenziale virilità o femminilità in qualche punto di questo continuum. Questa riunione della personalità divisa, questa composizione dell’identità, creano una breccia attraverso la quale le forze dell’amore e dell’odio si congiungono».[6]
Il tempo attuale è nel segno della separazione da sé e dall’alterità. le innumerevoli tragedie sono il sintomo di una realtà sociale ed economica che ha cancellato la bella unità nella differenza sostituendola con forme manierate e artefatte congegnali al sistema capitalistico. Ovunque si assiste ad una imitazione del femminile e del maschile senza autenticità e relazioni. Estetiche e scelte sono dettate dal sistema, sono curvate dall’industria del maschile e del femminile ad uso e consumo del mercato. La violenza non può che generare se stessa. Senza la letteratura greca e la filosofia l’Occidente è avviato alla decadenza, poiché si priva di opere in cui può guardarsi e pensarsi.
[1] George Steiner, Le Antigoni. Un grande mito classico nell’arte e nella letteratura dell’Occidente, Garzanti, 2003, pag. 142.
[3] Eraclito, frammento 51: «Non comprendono come, pur discordando in se stesso, è concorde: armonia contrastante, come quella dell’arco e della lira».
N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:
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«Non veniamo al mondo solo per accogliere o registrare ciò che era, così com’era quando ancora non eravamo, ma tutto ci attende, le cose cercano il loro poeta […]. Ciò che è accaduto, è sempre accaduto solo a metà, e la forza che lo fece accadere, che si espresse in esso in maniera insufficiente, continua a operare in noi e getta il suo bagliore anche sui tentativi parziali, ancora futuri che giacciono dietro di noi. Ciò che prima di noi, senza di noi era appena un fremito, ora è diventato capace di risuonare, riscaldare e illuminare».
E. Bloch
Salvatore Bravo
Ernst Bloch e il concetto di Eingedenken
La metafisica umanistica è la condizione teoretica per trascendere lo stato di reificazione e violenza connaturati all’economicismo capitalistico. In esso ogni possibilità è resa potenziale distruttivo, in quanto la produzione senza limiti non divora solo il pianeta nella sua totalità, ma ancor prima della distruzione ambientale annichilisce l’essere umano negando la sua natura progettuale e comunitaria da concretizzare nella storia. Necessitiamo di una nuova metafisica, dunque, che possa permettere il virtuoso passaggio dalla potenza all’atto della natura umana.
Senza un nuovo umanesimo non vi può essere futuro, ma solo un veloce declino dell’umanità e dell’ambiente storico e naturale nella quale è iscritta la vita.
Nello Spirito dell’utopia di Ernst Bloch il concetto di Eingedenken, rammemorare il futuro, ha una portata teoretica che svela la sua pregnanza concettuale nel tempo presente segnata dalla “dimenticanza” del passato e del futuro. Il concetto di Eingendenk deriva dalla preposizione “in” e dal verbo “gedenken” (‘ricordare’), legato a sua volta a denken (‘pensare’): non a caso le forme più arcaiche presentano la forma ingedenk.
Lo sconfittismo del nostro tempo si connota per la neutralizzazione della memoria storica. La storia nelle sue vicende e vicissitudini, invece, con il concetto di Eingedenken non è consegnata all’oblio ma fonda la metafisica umanistica, la quale ha come centro l’essere umano nella sua concretezza comunitaria. Si intrecciano in un sinolo inestricabile la biografia personale e la storia collettiva che non è persa nel tempo, ma ha la possibilità di essere rivissuta, rammemorata e pensata nelle sue possibilità inespresse. L’ontologia del non ancora è la comunità che pensa il tempo trascorso, non si limita a conteggiare gli eventi sulla linea della storia, ma ne scorge con gli errori le potenzialità progettuali da attuare nel futuro.
In Ernst Bloch la metafisica umanistica vive dell’irraggiamento del passato verso il futuro. Senza la mediazione della coscienza nulla è possibile: le potenzialità sono disperse nel tempo o sono schiacciate dalla gravità dell’economicismo e del fatalismo.
Il futuro è una possibilità propriamente umana, non è un dato naturale. Pertanto solo l’umanità capace di leggere plasticamente il passato può scorgere nelle sue pieghe il futuro. Non si tratta di correggere ciò che fu, o di ripetere in modo ingenuo ciò che è stato, ma di pensare la distanza temporale al fine di poterla comprendere nella sua profondità per estrarne esperienze non completamente compiute o inespresse. Ciò che fu – in tale cornice intenzionale – è vivo nel pensiero che rammemora il passato per poter progettare il futuro a partire dal presente. La storia è il mondo degli uomini e delle donne nella quale la vita prende forma con le sue imperfezioni, deviazioni improvvise e scambi di binari che attendono di essere pensati in modo che possano vivere di nuova luce nel futuro. La prassi è orientata verso il futuro, ma la condizione ontologica del suo operare trasformativo non può che affondare creativamente il suo rizoma nel passato:
«Perciò qui brilla il presentimento di un sapere non ancora cosciente, […] emerge qui un volere modificante, un pensiero motorio del nuovo, in quanto grande e ancora inesplorata consapevolezza o classe di coscienza di un immemorare, capace di conferire al Wiedererinnerung mondo il suo scopo togliendo di mezzo ogni mera rammemorazione […] o ogni mero alfa del platonismo o dello hegelianismo; perciò si mostra qui l’atteggiamento di un filosofare pragmatistico, rivolto tanto al poter volere a ritroso [das zurück Wollenkönnen des Willens] diretto a ciò che fu, quanto al nuovo, a inserzioni metafisico-morali – atteggiamento illuminato da un mondo che non c’è ancora, immediatamente collocato sul ponte verso il futuro, sul problema, dominato dalla propria volontà, della teleologia».1
Metafisica umanistica
Le parole di Ernst Bloch delineano il fulcro sostanziale della metafisica umanistica. L’essere umano non è un automa che appare passivamente nella storia fino a scomparire. Michel Foucault utilizza un’immagine – in Le parole e le cose – per indicare l’apparire fugace dell’idea di essere umano nella storia: sulla sabbia si può scorgere il volto dell’essere umano portato via velocemente dall’onda.
La metafisica umanistica non è una forma di storicismo, non si limita ad enumerare la storia delle idee con le sue visuali antropologiche che diverranno presto archeologia. Essa ha il suo fondamento veritativo nella natura dell’essere umano curvato nella materialità della storia. L’essere umano media con il pensiero l’esperienza storica, e in tal modo pensa il proprio tempo in modo esteso: il passato si riannoda col presente per orientarsi verso il futuro. La prassi è il catalizzatore del tempo pensato che diviene la luce nelle tenebre del nichilismo e nell’oscurantismo del pessimismo senza speranza ed etica:
«Non veniamo al mondo solo per accogliere o registrare ciò che era, così com’era quando ancora non eravamo, ma tutto ci attende [alles wartet auf uns], le cose cercano il loro poeta e vogliono essere riferite a noi. Ciò che è accaduto [geschehen], è sempre accaduto solo a metà [halb geschehen], e la forza che lo fece accadere, che si espresse in esso in maniera insufficiente, continua a operare in noi e getta il suo bagliore anche sui tentativi parziali, ancora futuri che giacciono dietro di noi. Ciò che prima di noi, senza di noi era appena un fremito, ora è diventato capace di risuonare, riscaldare e illuminare»2
Rammemorare ciò che fu
I morti ritornano nel presente, le idee e le lotte trascorse con il loro tributo di sangue e sacrificio sono nel presente. Rammemorare i “morti” significa farli vivere nel presente: ritornano a noi con il pensiero, per progettare il futuro. Non è un eterno ritorno, ma un ritornare per aprire al futuro, per rompere la «gabbia d’acciaio» che vorrebbe restringere la prospettiva al solo presente sclerotizzato nel ciclo consumo-produzione.
Non è un’operazione archeologica, non si tratta di far affiorare il passato per renderlo “oggetto da esporre”, ma di viverlo nell’attività del pensiero, la quale non si limita alla contemplazione di ciò che fu, ma lo riorienta verso il futuro:
«I morti ritornano in nuove connessioni di senso come pure nel nuovo agire, e la storia così concepita, sottoposta a concetti rivoluzionari che continuano a operare, spinta verso la leggenda e interamente illuminata, diventa la non mai perduta funzione nella sua pienezza di testimonianza della rivoluzione e dell’Apocalisse».3
La metafisica umanistica non è una semplice forma di coscienzialismo, in quanto conserva il materialismo storico liberato dai ceppi del determinismo e dai semplicismi delle proiezioni-previsioni degli economisti presi dalle maglie stringenti e vacue della crematistica. Il nostro presente vorrebbe negare la grandezza dell’essere umano riducendolo a semplice archeologia senza futuro.
L’essere umano non è un osso come afferma Hegel nella Fenomenologia dello Spirito, per cui dinanzi ai riduzionismi che avanzano è necessario opporre e riproporre la metafisica umanistica che riporti la centralità della cura dell’essere umano.
Senza la prassi e la teoretica l’umanità non può che cadere in forme di manipolazione tecnocratica, il cui scopo è impedire l’ascolto profetico delle voci del passato che giungono fino a noi. La metafisica umanistica si traduce in un modello economico che ha come centro l’essere umano. L’economia con fondamento umanistico consente la fioritura dell’umanità, accoglie la pluralità nella concretezza dell’universale. Stabilisce fini alla misura della natura umana, la quale è fondata sul limite, allo scopo di dare forma e identità al singolo nella comunità con la partecipazione consapevole alla produzione. L’ostilità verso ogni forma di umanesimo rivela il dominio capitalistico nella sua verità nichilistica e distruttiva.
La metafisica umanistica è la condizione teoretica per trascendere lo stato di reificazione e violenza connaturati all’economicismo capitalistico. In esso ogni possibilità è resa potenziale distruttivo, in quanto la produzione senza limiti non divora solo il pianeta nella sua totalità, ma ancor prima della distruzione ambientale annichilisce l’essere umano negando la sua natura progettuale e comunitaria da concretizzare nella storia. Necessitiamo di una nuova metafisica, dunque, che possa permettere il virtuoso passaggio dalla potenza all’atto della natura umana.
Senza un nuovo umanesimo non vi può essere futuro, ma solo un veloce declino dell’umanità e dell’ambiente storico e naturale nella quale è iscritta la vita.
La metafisica umanistica non è solo una proposta filosofica, ma è il percorso che ci conduce oltre l’annientamento del presente e del futuro:
«Ma per sollevarsi oltre l’annientamento del mondo, la vita dell’anima deve diventare “pronta” [fertig] nel senso più profondo, andando a fissare felicemente la gomena alla banchina dell’al di là, onde il suo plasma germinale non sia trascinato nell’abisso della morte eterna, e non si perda la meta verso cui è organizzata la vita terrena: la vita eterna, l’immortalità anche transcosmologica, la realtà unica del regno delle anime, la restitutio in integrum fuori dal labirinto del mondo – a causa della pietà di Satana».4
1 E. Bloch, “Über die Gedankenatmosphäre dieser Zeit”, in Geist der Utopie. Erste Fassung, cit., p. 255; il passo si trova in tradotto in alcune parti a cura di S. Marchesoni in E. Bloch, W. Benjamin, Ricordare il futuro. Scritti sull’Eingedenken, Mimesis, Milano 2016, qui, p. 43
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Lo scopo è celare l’antiumanesimo imperante: nessuna cura per le persone, ma solo il profitto deve guidare il mondo.
Luca Grecchi con il suo impegno decennale ci è di ausilio per comprendere le ragioni strutturali della cultura della cancellazione: si deve nascondere ai “sussunti” che il migliore dei mondi possibili condanna alla cattiva vita le generazioni del nostro presente e priva le future generazioni della possibilità ontologica di progettare e vivere una vita degna di essere vissuta.
Il testo di Luca Grecchi Perché non possiamo non dirci Greci fu scritto più di un decennio fa, ma oggi è più vero e autentico che mai, ci pone dinanzi alla verità del nostro tempo storico, ci conduce a pensarlo. Ciò potrebbe essere terapeutico, in quanto ci aiuta a capire le ragioni dell’infelicità che attanaglia innumerevoli vite malgrado le promesse della crematistica. I Greci sono trasgressivi, in quanto ci insegnano ad essere autenticamente trasgressivi, e questo non può essere tollerato da un sistema che prolifera nel culto clericale della crematistica
Le buone letture sono silenziose, ma consentono di fuoriuscire dalla accidia in cui quotidianamente ci si vorrebbe imprigionare e dalla immateriale violenza di quella weberiana «gabbia d’acciaio» dagli opachi splendori che con ritmo serrato si rovesciano in funambolici ed interminabili supplizi, pubblici e privati.
Cancel culture
La Howard University ha ridimensionato gli studi classici. Inoltre, largo spazio è stato dato dai media alle tesi del prof. Dan-el Padilla Peralta, docente a Princeton, originario della Repubblica Dominicana, il quale ha individuato nella cultura dell’antichità il fondamento del suprematismo bianco. La cancel culture procede spedita, si inneggia alla libertà e alla difesa dei diritti delle minoranze, la causa di ogni male è individuato nelle civiltà passate. Il presente è l’incipit di un nuovo mondo nel quale ogni discriminazione è destinata a scomparire. L’analisi ossessiva del passato, sempre negativa, il giudizio esemplificato teso a cancellare ogni possibile comparazione contrastiva tra il modello economico contemporaneo e modelli di altre civiltà, ha lo scopo di ipostatizzare il presente, di renderlo immacolato e scevro da ogni macchia e critica. Il sistema opera per cancellazione, utilizza nobili ragioni per fini ideologici. Lo scopo è celare l’antiumanesimo imperante: nessuna cura per le persone, ma solo il profitto deve guidare il mondo. Libertà e benessere sono proporzionali al censo, chi non ce la fa è lasciato indietro, è colpevole di diserzione o semplicemente non è all’altezza del migliore dei mondi possibili. In questo clima di conservazione e limitazione del pensiero teoretico e divergente vi sono eccezioni che aiutano a comprendere il tempo presente. Luca Grecchi con il suo impegno decennale ci è di ausilio per comprendere le ragioni strutturali della cultura della cancellazione: si deve nascondere ai “sussunti” che il migliore dei mondi possibili condanna alla cattiva vita le generazioni del nostro presente e priva le future generazioni della possibilità ontologica di progettare e vivere una vita degna di essere vissuta:
«Il cosiddetto “progresso economico” sta infatti costando molto caro all’Occidente in termini di qualità spirituale della vita per le generazioni attuali, e di speranza di vita per le generazioni future, così come sta costando caro da parecchio tempo alle centinaia di milioni di poveri del mondo non occidentale».1
Luca Grecchi e lo storicismo crociano
Luca Grecchi nuota in senso contrario. Gli antichi Greci sono il paradigma con cui pensare il presente e comprenderlo. La cultura occidentale è cristiana e greca, oggi entrambe sono rimosse dall’orizzonte etico e culturale. Per valorizzare il pensiero greco bisogna uscire dalla trappola dello storicismo crociano per il quale ciò che viene dopo è più vero di ciò che viene prima.
La verità sfugge alle maglie della successione temporale, essa “appare” in epoche differenti, può scompare nelle vicissitudini storiche, ma la verità attraversa lo storicismo, lo fende per mostrare che il dopo può essere meno vero del prima.
Il mondo greco ci insegna che una civiltà è eccellente, se è curvata sulla cura dell’essere umano e del ben vivere, se si confronta con le spinte distruttrici presenti in essa.
Nel mondo prefilosofico i Greci non si occupavano ingenuamente del cosmo e degli dèi, ma in essi proiettavano le dinamiche umane. In tal mondo oggettivavano l’umano con il suo caos per armonizzare la comunità e fondarla su solide fondamenta veritative. Il centro del pensiero e della prassi era l’essere umano nella comunità. Le forze cosmiche e divine erano interpretate in modo olistico e dinamico: in esse si rifletteva la vita della comunità; il sapere era finalizzato alla buona prassi politica:
«Nella letteratura prefilosofca era infatti presente non tanto la contemplazione disinteressata del cosmo, quanto un tentativo di unificazione del molteplice e di armonizzazione del caos, operato proprio dall’uomo. L’uomo richiedeva infatti di conoscere l’ordine del cosmo per potervi poi vivere in modo più conforme alla propria essenza razionale, morale e simbolica. È errata pertanto la tesi di chi sostiene che l’uomo avrebbe ricercato la contemplazione del cosmo, nella Grecia, solo per poter poi vivere in modo più conforme a tale ordine. La natura, il cosmo, segnarono indubbiamente, con le loro strutture, i limiti dell’azione umana. All’interno di questi limiti, però, l’uomo operò sempre per comprendere e realizzare nel modo più compiuto la propria essenza».2
Non fu filosofia ontocentrica
Non fu la filosofia greca ontocentrica, in quanto la riflessione sull’essere è stata funzionale a codificare la buona vita. L’essere è sempre stato inserito all’interno della concretezza della buona vita. L’essere, metafora della comunità stabile e delle buone leggi rispettose della natura, è stato un tema non secondario dei grandi filosofi classici, i quali hanno utilizzato un nuovo linguaggio per l’umanesimo greco, lo hanno categorizzato e concettualizzato per affinarlo e per criticare la crematistica che minacciava la comunità. L’essere umano, dunque, è sempre stata la priorità del mondo greco:
«La riflessione dell’essere fu molto importante nel pensiero classico. Essa infatti occupa un posto rilevante non solo nel pensiero di Parmenide, ma anche nel pensiero di Platone ed Aristotele (sebbene si sia poi sempre più diradata nell’ellenismo). Tuttavia l’essere costituì, per utilizzare una metafora, la semplice cornice del quadro, infatti, rimase sempre l’uomo».3
Ha ben detto Luca Grecchi: la grecità fu umanesimo, per cui da ciò comprendiamo le ragioni strutturali dell’attacco alla cultura classica. Essa, con la sua semplice esistenza, già denuncia le derive nichilistiche e crematistiche della globalizzazione neoliberista. Il mondo classico è divergente rispetto ai nostri malinconici tempi, per cui la globalizzazione che vorrebbe eternizzarsi eliminando ogni dialettica vorrebbe ridurre al silenzio una civiltà che smentisce la presunta superiorità del neoliberismo con il suo feticismo delle merci. Una civiltà è viva, se le tendenze crematistiche incontrano il limite positivo del logos, altrimenti è condannata al dissolvimento. La nostra realtà sociale è adialettica, pertanto rischia l’abisso:
«Ora: non vogliamo affatto negare che Marx avesse ragione nel sottolineare la specificità del modo di produzione capitalistico rispetto ai modi di produzione precedenti. Ciò nonostante, non ci pare che la discontinuità fra il modo di produzione antico ed il modo di produzione capitalistico sia tale da invalidare tout court le proposte teoretiche, ad esempio, di Platone ed Aristotele. Infatti, come i due grandi filosofi hanno mostrato, la società greca era certo gerarchica, elitaria ed aristocratica, ma solo per la presenza centrale in essa della crematistica, presenza che costituisce il nesso di continuità fra pressoché tutti i principali modi di produzione storicamente sviluppatisi. Non a caso Platone ed Aristotele – ma anche prima di loro, Solone ed altri – attribuirono proprio alla crematistica, ossia alla ricerca del massimo arricchimento privato, le cause dei mali della società greca, le quali sono nella sostanza differenti rispetto a quelle della società capitalistica, anch’essa infatti gerarchica, elitaria ed aristocratica».4
La dimostrazione della generale codificazione umanistica della civiltà greca e in particolare della filosofia è la presenza di pochi pensatori relativisti e sostanzialmente nichilisti:
«Altrettanto tranquillamente si può affermare che l’unica eccezione in tal senso, nel pensiero greco, fu costituita da alcuni esponenti della sofistica e della eristica. Una eccezione, però, conferma la regola, e la regola, in questo caso, conferma proprio la tesi qui esposta. Tale tesi sostiene, in pratica, che la Grecità si costituì essenzialmente come opera di resistenza culturale e politica all’antiumanesimo del denaro, dannoso per gli uomini e per la natura».5
L’eccezione è una conferma della regola, non la smentisce, è una prova evidente della ricostruzione e dell’interpretazione svolta da Luca Grecchi e sostenuta, anche, da grandi studiosi come Rodolfo Mondolfo, Costanzo Preve, Enrico Berti ecc.
Solo se si decodifica chiaramente il pensiero greco nella sua postura umanistica, si può ben comprendere la necessità di rileggere e studiare gli antichi Greci, non per una vuota idolatria, ma per capire il presente nel solco di un’identità europea e occidentale da trasformare in prassi e non certo in erudizione filologica e ritrovare, così, il sentiero interrotto che conduce alla felicità:
«In questa situazione, perché dovrebbe avere ancora senso dirci Greci? Ciò ha ancora senso proprio perché gli antichi Greci, come dicevamo in precedenza, furono coloro che per primi – o maggiormente – posero l’uomo al centro dell’essere, ossia posero la massima cura alla felicità dell’uomo nel proprio contesto sociale, pur nel rispetto dei limiti imposti dalla natura. Seguendo gli antichi Greci, potremmo esercitare la sola possibilità che ci resta di arrestare il fiume antiumanistico prodotto dalla crematistica, la cui hybris rischia di distruggere l’uomo e il cosmo».6
Felicità
La ricerca della felicità, la valorizzazione dei talenti sul comune sostrato della natura umana razionale e comunitaria è negata in modo quotidiano nel sistema capitalistico. Gli effetti sono palesi, non necessitano di particolari capacità critiche per riconoscerli. Nel tempo in cui trasgredire è solo edonismo acquisitivo, gli antichi Greci ci riportano alla necessità della felicità quale esperienza comunitaria e razionale senza di essa nessuna vita è degna di essere vissuta, ma si consuma nel vespaio della violenza competitiva. In tale cornice l’identità si disperde, diviene liquida fino ad evaporare, alla fine non resta che il niente. Studiare i Greci nel tempo ordinario della distruzione dell’umano ha un senso più profondo che mai, in quanto nessun farmaco può restituirci i fondamenti senza i quali non siamo che fuscelli nella tempesta del capitale destinati a scomparire tra i flutti del PIL senza speranza.
Il testo di Luca Grecchi Perché non possiamo non dirci Greci fu scritto più di un decennio fa, ma oggi è più vero e autentico che mai, ci pone dinanzi alla verità del nostro tempo storico, ci conduce a pensarlo. Ciò potrebbe essere terapeutico, in quanto ci aiuta a capire le ragioni dell’infelicità che attanaglia innumerevoli vite malgrado le promesse della crematistica. I Greci sono trasgressivi, in quanto ci insegnano ad essere autenticamente trasgressivi, e questo non può essere tollerato da un sistema che prolifera nel culto clericale della crematistica:
«L’umanesimo, inteso, come cura dell’uomo rispettosa del cosmo, è a nostro avviso il primo pilastro della Grecità. Questo pilastro è però strutturalmente connesso ad un secondo pilastro, costituito da quella che potremmo definire “anticramatistica” greca. I due pilastri sono connessi in quanto la crematistica, intesa come “arte di far denaro”, è criticata da pressoché tutto il pensiero greco proprio in quanto “innaturale”, ossia contraria alla “natura umana”».7
Le buone letture sono silenziose, ma consentono di fuoriuscire dalla accidia in cui quotidianamente ci si vorrebbe imprigionare e dalla immateriale violenza di quella weberiana «gabbia d’acciaio» dagli opachi splendori che con ritmo serrato si rovesciano in funambolici ed interminabili supplizi, pubblici e privati.
Salvatore Bravo
1 Luca Grecchi, Perché non possiamo non dirci Greci, Petite Plaisance, Pistoia, 2010, pag. 66.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti E-Books gratuiti N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it,e saranno immediatamente rimossi.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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DIDIER A. CONTADINI è ricercatore in Storia della filosofia presso il Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” dell’Università di Milano-Bicocca. Insegna Teoria dello spazio urbano nel Corso di perfezionamento in Teoria critica della società, per cui è anche membro del comitato organizzatore e scientifico. È segretario di redazione della rivista Quaderni materialisti e della collana Quaderni di teoria critica della società. È membro della redazione della rivista Scienza e filosofia. Si occupa degli autori che si iscrivono nella cosiddetta teoria critica, da Th. W. Adorno, S. Kracauer e W. Benjamin a J. Butler, a cui ha dedicato diversi articoli e due volumi. Si occupa altresì del pensiero marxiano e della tradizione marxista, in particolare francese. Si dedica anche a tematiche di filosofia morale, disciplina per la quale ha ottenuto l’ASN nel 2014, quali la violenza, la menzogna e la costruzione del senso comune a partire dalla riflessione della filosofia kantiana e post-kantiana
ANDREA IGNAZIO DADDI è Dottore di Ricerca in Scienze della Formazione e della Comunicazione e collabora con le Cattedre di Filosofia morale e Pratiche filosofiche all’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Docente di scuola secondaria di secondo grado, pedagogista e analista filosofo in formazione, è particolarmente interessato ai rapporti tra formazione, vita filosofica e psicologie del profondo e ha al suo attivo svariate pubblicazioni tra cui la monografia Filosofia del profondo, formazione continua, cura di sé. Apologia di una psicoanalisi misconosciuta (Ipoc, 2016) e la traduzione italiana del volume a cura di Alan Bainbridge e Linden West, Educazione e psicoanalisi. Un dialogo da riavviare (Ipoc, 2017). Fondatore di Philo Liguria, ha scritto in Aprire mondi. Un percorso nella pedagogia di Riccardo Massa (a cura del Centro Studi Riccardo Massa, FrancoAngeli, 2020) ed è tra i curatori del volume collettaneo Il futuro dell’antico. Filosofia antica e mondo contemporaneo (Petite Plaisance, 2020)
CARLA DI QUINZIO, pedagogista e analista filosofa, svolge privatamente attività di analisi biografica a orientamento filosofico ed è consulente educatrice professionale presso un SerD di Milano. Svolge attività di formazione rivolta a educatori e docenti e conduce laboratori di pratiche filosofiche e di scrittura autobiografica nella cura delle dipendenze. Collabora con il centro culturale di Philo – Pratiche filosofiche e con l’associazione Smallfamilies per la quale ha ideato, insieme a Benedetta Silj, lo sportello di analisi biografica a orientamento filosofico per madri sole e padri soli. Ha inoltre scritto un saggio nel libro collettivo L’analisi filosofica. Avventure del senso e ricerca mito-biografica (a cura di P. Bartolini e C. Mirabelli), Mimesis, Milano-Udine, 2019
SUSANNA FRESKO è analista filosofa e lavora in ambito formativo su autobiografia e mitobiografia, in particolare attraverso il ricorso alla parola, scritta e orale, come strumento conoscitivo di sé e del mondo attorno a sé. Per Philo – Pratiche filosofiche è docente e responsabile del coordinamento didattico di Mitobiografica – Percorsi per il mestiere di vivere. Dal 2013 si occupa inoltre della gestione organizzativa delle attività di Philo nel suo insieme. Tra le sue pubblicazioni la monografia Dall’intimità del roveto. Verso la terra del dono (Ipoc, 2014). Ha inoltre scritto un saggio nel libro collettivo Qual è il tuo mito? Mappe per il mestiere di vivere (a cura sua e di Chiara Mirabelli, Mimesis, 2016). Un suo contributo è presente anche nel volume collettaneo L’analisi filosofica. Cura del senso e ricerca mito-biografica (a cura di P. Bartolini e C. Mirabelli, Mimesis, 2019) e nel più recente Verrà la pace e avrà i tuoi occhi. Piccolo vademecum per la pace (a cura di M. Montanari e S. Oliva Boch, AnimaMundi, 2022).
LUCA GRECCHI collabora con le Cattedre di Filosofia morale e Storia della filosofia all’Università degli Studi di Milano-Bicocca. È direttore dal 2003 della rivista di filosofia Koinè e della collana di studi filosofici Il giogo presso la casa editrice Petite Plaisance di Pistoia. Ha pubblicato recentemente, nella collana Questioni di filosofia antica delle Edizioni Unicopli, i volumi Natura (2018) e Uomo (2019), e, per Morcelliana, Leggere i Presocratici (2020). Ha curato inoltre tre volumi aristotelici: Sistema e sistematicità in Aristotele, Immanenza e trascendenza in Aristotele, Teoria e prassi in Aristotele (Petite Plaisance, rispettivamente 2016, 2017, 2018).
ROMANO MÀDERA è filosofo e psicoanalista. Ha insegnato presso le Università della Calabria, Ca’ Foscari di Venezia e Milano-Bicocca. Ha ideato e sviluppato la proposta nel campo della ricerca e della cura del senso denominata «analisi biografica a orientamento filosofico», fondando nel 2007 SABOF Società degli Analisti Filosofi a Orientamento Filosofico. Tra le sue opere più recenti ricordiamo: Il nudo piacere di vivere (Mondadori, 2006); La carta del senso. Psicologia del profondo e vita filosofica (Cortina, 2012); Una filosofia per l’anima. All’incrocio di psicologia analitica e pratiche filosofiche, a cura di C. Mirabelli (Ipoc, 2013); Carl Gustav Jung. L’opera al rosso (Feltrinelli, 2016); Sconfitta e utopia. Identità e feticismo attraverso Marx e Nietzsche (Mimesis, 2018); Il caos del mondo e il caos degli affetti (con G. Cappelletty, Claudiana, 2020); Il metodo biografico come formazione, cura, filosofia (Cortina, 2022).
MONICA MARINONI è pedagogista e Dottore di Ricerca in Scienze della Formazione e della Comunicazione. Dal 2013 al 2016 è stata Cultrice della materia per le cattedre di Filosofia morale e Pratiche filosofiche presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e ha collaborato alla realizzazione dei Seminari Aperti di Pratiche Filosofiche. Si occupa di temi ambientali, relazioni tra umano e natura e intercultura ed è attivamente impegnata in campo politico per promuovere un nuovo immaginario ecosostenibile. Dal 2017 presenta contributi al Convegno Internazionale ‘Educazione Terra Natura’ presso la Libera Università di Bolzano. Tra le sue pubblicazioni: Dalla parte del Mondo. Per una cura della sua Anima attraverso il pensiero di James Hillman (Feltrinelli, 2014); Ambiente e educazione all’ecosostenibilità: alcune indicazioni da una ricerca, in M. Giusti (a cura di), Pratiche didattiche di partecipazione e inclusione (Universitas Studiorum, 2018); Abitare la terra difendendone la bellezza: la prospettiva di James Hillman, in M. Gallerani, C. Birbes(a cura di), L’abitare come progetto, cura e responsabilità (Zeroseiup, 2019).
CHIARA MIRABELLI è analista biografica a orientamento filosofico e formatrice. Lavora da diversi anni nell’ambito della formazione degli adulti – sui temi dell’autobiografia, della cura attraverso la narrazione e della mitobiografia – per associazioni, scuole ed enti. A Philo è docente della Scuola in Abof e di Mitobiografica, responsabile organizzativa della Scuola in Abof, del Centro culturale e curatrice del sito. Con Ivano Gamelli è autrice di Non solo a parole. Corpo e narrazione nell’educazione e nella cura (Cortina, 2019). Ha scritto in Verrà la pace e avrà i tuoi occhi. Piccolo vademecum per la pace (a cura di M. Montanari e S. Oliva Boch, AnimaMundi, 2022), I gesti di Eros. L’amore e le sue parole (a cura sua e di P. Bartolini, Mursia, 2020), L’analisi filosofica. Avventure del senso e ricerca mito-biografica (a cura sua e di P. Bartolini, Mimesis, 2019), Qual è il tuo mito? Mappe per il mestiere di vivere (a cura sua e di S. Fresko, Mimesis, 2016) e Philo. Una nuova formazione alla cura (a cura sua e di A. Prandin, Ipoc, 2015). Ha inoltre curato il libro di Romano Màdera, Una filosofia per l’anima. All’incrocio di psicologia analitica e pratiche filosofiche (Ipoc, 2013). È autrice di articoli sulla Rivista di psicologia analitica
STEFANO PIPPAha conseguito un PhD in Philosophy presso il Centre for Research in Modern and Contemporary Philosophy della Kingston University, Londra. È stato Lecturer in Philosophy all’università di Wolverhampton dal 2016 al 2018 ed è attualmente ricercatore in Filosofia politica presso il Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” dell’Università di Milano-Bicocca, dove ha fatto parte del progetto dipartimentale Education for Social Justice. I suoi interessi di ricerca si collocano nell’ambito della teoria critica contemporanea e delle teorie della giustizia. Dal 2020 tiene un corso di Filosofia politica all’interno del Corso di perfezionamento in Teoria critica della società (Università di Milano-Bicocca). Ha pubblicato due monografie sul pensiero di Louis Althusser (Althusser and Contingency, Mimesis, 2019; Il soggetto surinterpellato. Ideologia, resistenza e conflitto in Althusser e Pêcheux, Mimesis, 2022) e numerosi articoli su riviste italiane e internazionali (Radical Philosophy, Rethinking Marxism, Quaderni materialisti, Soft Power, Stasis, MeTis). Fa parte del comitato editoriale della rivista Quaderni materialisti e della collana Quaderni di Teoria Critica.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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