Luciana Repici – «Uomini capovolti. Le piante nel pensiero dei greci». Un filosofo è pianta rara che difficilmente attecchisce ma facilmente deperisce e si corrompe, se non sussistono tutte le condizioni perché possa crescere. Diventare filosofi ed essere felici sono acquisizioni che non conseguono se non a prezzo di un duro lavoro.

Luciana Repici, Uomini capovolti. Le piante nel pensiero dei greci,
Scuola Normale Superiore, Pisa 2020.

Un filosofo è pianta rara che difficilmente attecchisce ma facilmente deperisce e si corrompe, se non sussistono tutte le condizioni perché possa crescere. Diventare filosofi ed essere felici sono acquisizioni che non conseguono se non a prezzo di un duro lavoro.


L’agricoltura dell’anima

Ricompare nelle parole di Timeo l’immagine, cara a sofisti e poeti, dell’educazione come coltivazione. Socrate usa nella Repubblica la stessa immagine per mostrare, come Timeo, le difficoltà di crescita che le nature filosofiche incontrano in contesti politici inadeguati. Un filosofo è pianta rara che difficilmente attecchisce ma facilmente deperisce e si corrompe, se non sussistono tutte le condizioni perché possa crescere. Si potrebbe riassumere in questi termini il quadro che in questo dialogo Socrate fornisce delle modalità di esistenza delle nature filosofiche sulla base del ricorso alla costituzione delle piante. La rarità dipende soprattutto dalla difficoltà di ritrovare tutte insieme in una sola natura l’intera gamma delle doti richieste in una natura filosofica. È raro infatti, secondo Socrate, che tali doti ‘concrescano’ (symphyesthai) come parti di un’unica natura, mentre possono «crescere (phyesthai) smembrate» in molti individui; perciò simili nature «crescono poche e poche volte». Molte e grandi sono invece le degenerazioni cui queste nature così rare vanno incontro.

L’allettamento ad opera dei ‘cosiddetti beni’ esterni e del corpo non è la causa più pericolosa della loro rovina. Molto più perniciosa è per Socrate la rovina che insorge dall’interno di esse a causa di una cattiva educazione. L’analogia con il modo di costituzione delle piante è introdotta proprio a questo punto. Un seme o una pianta, se non ‘si imbatte’ (tychòn) nel nutrimento conveniente e non gode di una stagione o di un luogo adatto, necessita di mezzi di sostentamento confacenti quanto maggiore è la sua forza. Allo stesso modo, nature ottime ma allevate con un nutrimento (trophè) ad esse troppo ‘estraneo’ riescono pessime. In tal caso, esse ‘si imbattono’ (tychousai) in una educazione che le manda tanto più in rovina quanto più sono forti e vigorose. Solo se ‘si imbattono’ nell’istruzione conveniente, esse possono crescere indirizzandosi necessariamente verso la virtù nella sua interezza; si volgono invece in direzione opposta se, dopo essere state ‘seminate’ (spareisa) e ‘piantate’ (phyteutheisa), non sono ‘alimentate’ (trephetai) in modo confacente, «a meno che un dio non càpiti (tychei) in suo soccorso».

La degenerazione è imputabile in parte ai cattivi educatori, ma dipende soprattutto per Socrate dal terreno in cui la natura filosofica si trova a crescere. Egli avverte che, in realtà, nessuna costituzione di città esistente è terreno adatto ad accogliere nature filosofiche. L’analogia con quel che accade alle piante è di nuovo illuminante. Le nature filosofiche infatti «mutano e degenerano», perdendo le loro specifiche proprietà e trapassando a carattere peggiore, per la stessa ragione per cui un ‘seme straniero’ (xenikòn) gettato in una ‘terra straniera’ diventa ‘debole’ (exitelon) e si avvia ‘forzatamente’ a diventare ‘indigeno’ (epichorion). Se ‘incontrano’ (lepsetai) nel loro cammino la costituzione politica migliore, esse possono mostrare la condizione ‘divina’ loro e della costituzione stessa; se invece non ‘si imbattono’ nella costituzione adatta, non possono accrescersi né conservarsi né cooperare al bene comune. Nelle città storicamente esistenti in realtà i filosofi «nascono spontaneamente (automatoi phyontai) senza che la città lo voglia», quasi come piante che si producano per qualche caso fortunato e, poiché ciò che cresce spontaneo non deve a nessuno il suo nutrimento, essi non si sentono neppure in dovere di rendersi utili alla comunità pagando le proprie ‘spese di mantenimento’ (tropheia).

Come si vede, Socrate non sottovaluta la componente di casualità che sembra circondare l’esistenza del filosofo e la preservazione della sua condizione in una città che non sia adatta a riceverlo. La mancata realizzazione del perfezionamento morale non dipende dall’individuo, ma è conseguenza del contesto politico in cui egli è allevato e nutrito. In un contesto politico inadeguato, ossia in una città ingiusta, il filosofo è come una pianta che cresce spontanea, cioè senza cure, in un terreno improprio e riceve un nutrimento improprio. La sua nascita è quindi casuale, cioè non voluta e la sua crescita debole e stentata; in tali condizioni, solo l’intervento di una divinità potrebbe portare a buon fine il suo sviluppo. Neppure l’opera dell’educatore/agricoltore varrebbe a molto e in ogni caso, ammesso che valesse, dovrebbe trattarsi di un tipo di educatore/agricoltore ben diverso da quello che Protagora professava di essere. Solo nella città giusta il filosofo troverebbe il terreno proprio di coltura e di crescita, anche se neppure in questo caso la sua esistenza e condizione avrebbero garanzia di durare indefinitamente.

Anche le costituzioni infatti, come Socrate rileva altrove nella stessa Repubblica, sono soggette a mutare e alterarsi allo stesso modo in cui gli esseri viventi, animali e piante, esauriscono i loro cicli vitali e attraversano periodi alternati di fertilità e in fertilità o nell’ambiente stagioni di siccità si alternano a stagioni piovose. Una questione che possiamo porci è se l’analogia con la costituzione delle piante serva ad evidenziare in Platone una certa fragilità della condizione del bene incarnato nel filosofo. In effetti, una pianta che cresce casualmente come può in un ambiente incurante della sua crescita potrebbe anche apparire come una pianta fragile perché debole, quindi più soggetta a fattori esterni di corruzione; il bene allo stesso modo, se non ricevesse costanti cure, sarebbe fragile perché malfermo, quindi più soggetto all’erosione dei rovesci fortuiti del caso. In un altro luogo della stessa Repubblica tuttavia Socrate indica le piante come modello di capacità di resistenza fisica al mutamento; ma anche in questo contesto l’elemento dell’accidentalità ha la sua parte. Nel passo egli argomenta che un corpo ‘sanissimo e fortissimo’ può resistere al mutamento ad opera di agenti esterni tanto quanto una pianta può opporre resistenza a fattori ambientali quali calore solare e venti e altre ‘accidentalità’ (pathemata) che possono interferire con la sua preservazione e tanto quanto un’anima ‘coraggiosissima e saggissima’ può contrastare un’ ‘affezione’. Si tratta in ogni caso, come Socrate mostra, di una capacità di resistenza relativa, quale si addice a nature di esseri mortali e non immortali e indistruttibili come la divinità”. In realtà, né la sanità o il vigore dei corpi né la virtù delle anime premuniscono interamente dall’azione erosiva di cause accidentali esterne, siano fattori climatici o desideri e passioni.

Nel Fedro la metafora della coltivazione serve a Socrate a mostrare anche che tipo di lavoro occorre per educare un’anima alla filosofia.

Un agricoltore intelligente che volesse prendersi cura dei semi e farli fruttificare – così Socrate argomenta in questo dialogo – li pianterebbe d’estate nei giardini di Adone, per gioire nel vederli diventare belli in otto giorni, o farebbe così solo per gioco e nelloccasione della festa e userebbe invece la tecnica agricola e pianterebbe i semi di cui volesse seriamente prendersi cura nel tempo e nel terreno adatto, per l’amore di vederli giungere a maturità in otto mesi? A questa immagine Socrate ricorre quando vuole spiegare «in che modo nasce e quanto cresce (phyetaiil discorso che, «accompagnato da scienza», «è scritto nell’anima di chi apprende» ed è capace di difendersi da sé, sapendo con chi parlare e con chi tacere. Egli intende riferirsi al discorso orale.

Ai suoi occhi, al pari dell’agricoltore con i suoi semi, «chi ha scienza del giusto, del bello e del buono» non seminerà seriamente in discorsi «incapaci di parlare in propria difesa e incapaci di insegnare la verità»; nei «giardini scritti» costui seminerà e scriverà solo per gioco, in modo da accumulare per sé ricordi per la vecchiaia e consentire a quanti seguiranno le sue orme di gioire nel coglierne i ‘teneri frutti’.

Nella semina fatta seriamente invece, quella cioè analoga alla semina eseguita secondo i dettami della tecnica agricola, costui si servirà della dialettica. Prenderà perciò un’anima ‘adatta’ e vi pianterà e seminerà «discorsi accompagnati da scienza», capaci di «portare aiuto a se stessi e a chi li ha piantati» e non «infruttuosi (akarpoi), ma recanti un seme, da cui germoglieranno in altre indoli altri discorsi»; ed essi riusciranno a «rendere sempre immortale questo seme e ad assicurare a chi lo possiede la massima felicità possibile ad un uomo». Sono questi i discorsi che Socrate vuole siano considerati suoi ‘figli legittimi’; rinuncia invece a tutti gli altri, che non siano ‘figli o fratelli’ di questi ‘germogliati’ nella sua anima e nell’anima di altri uomini’.

L’agricoltura riprende così il suo aspetto metaforico per rispecchiare il processo di acquisizione del sapere filosofico. Non il sofista è il vero agricoltore, come Protagora pretendeva, ma il filosofo e i suoi semi sono i semi della verità gettati direttamente nel terreno dell’anima di chi si pone all’ascolto dei suoi discorsi. Anche in Platone l’analogia sottolinea che si tratta di un processo lungo e impegnativo. Neppure gli esiti appaiono scontati, se Socrate invita a diffidare di risultati brillanti ma effimeri. L’apprendimento della filosofia e il conseguimento della massima felicità per l’uomo non sono come la coltivazione delle piante nei giardini di Adone, dove le donne usano interrare i semi in vasi, orci e simili recipienti. I risultati vengono rapidamente in questa forma di coltivazione e l’operazione della semina è coronata dal successo della crescita di una vegetazione lussureggiante. Ma il verde si dissecca presto e in questi giardini quasi pietrificati la morte subentra presto alla vita. Diventare filosofi ed essere felici sono invece acquisizioni che non conseguono se non a prezzo di un duro lavoro, come quello dell’agricoltore che non per gioco, ma seriamente getta i suoi semi nei campi di Demetra. Per chi si dedica a questa forma di coltivazione i risultati verranno solo al termine del tempo necessario al compiersi del processo di germinazione e crescita e, ovviamente, solo a condizione che questo arrivi a buon fine. Ma, se il raccolto verrà, sarà ottimo e ogni sforzo sarà ricompensato. Socrate mostra di considerare essenziale la scelta del terreno in cui il filosofo agricoltore deve gettare i semi dei discorsi: solo nel terreno di un’anima adatta a riceverli essi potranno attecchire e germogliare. Essenziale è però anche la qualità dei semi. Il buon raccolto viene infatti se i discorsi sono orali, non scritti e se perciò possono iscriversi direttamente nell’anima di chi apprende; allora, questi semi germineranno e cresceranno in essa come cosa viva mettendo radici non superficiali, ma profonde e seguendo l’andamento della natura invece che forzandola. Poiché, come abbiamo appreso, i discorsi dei filosofi sono anche medicamenti, potremmo pensare ad essi come a piante medicamentose con radici che sprofondano nell’anima di chi ascolta, dispiegando in essa anche il loro potere curativo e risanatore.

Luciana Repici, Uomini capovolti. Le piante nel pensiero dei greci, Scuola Normale Superiore di Pisa, Pisa 2020, pp. 211-217.





M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Aldo Lo Schiavo – Omero filosofo. L’enciclopedia omerica e le origini del razionalismo greco.

Ad una filosofia attenta alle fonti storiche interessa non poco di conoscere come, dalle insufficienti intuizioni globalizzanti del mito e dal confronto con le più mature costruzioni teo-cosmogoniche, il pensiero razionale sia venuto lentamente precisando concetti, categorie, criteri costitutivi di una visione laica e scientifica del reale.


In cooertina: Archelao di Priene, Apoteosi di Omero, II sec. a.C., Londra, British Museum.

Aldo Lo Schiavo

Omero filosofo

L’enciclopedia omerica e le origini del razionalismo greco

Prefazione di Domenico Musti.

ISBN 978–88–7588–305–8, 2021, pp. 304, Euro 30 – Collana “Il giogo” [138].

indicepresentazioneautoresintesi


Il mondo rappresentato dai poemi omerici è così ricco e complesso da orientare i contenuti intellettuali della successiva letteratura greca. Lo stesso pensiero filosofico trasse spunti di riflessione dai canti epici, in cui era rifluita l’esperienza di generazioni. Omero dunque costituisce un «inizio» anche per la storia della filosofia. Nell’épos si era accumulata una «tradizione» che lasciò «residui» fecondi almeno su tre piani diversi: quello lessicale, della formazione cioè di un linguaggio scientifico (progressiva determinazione del polisemico lessico omerico); quello enciclopedico, ossia dei contenuti di vita, delle tecniche e dei valori elaborati da una cultura aperta sul variegato mondo della natura e degli uomini; quello del mito, le cui intuizioni intorno alle strutture del cosmo e alle forze dappertutto operanti implicano quasi un’architettura logica. Un’esigenza dell’indagine è quella di situare Iliade e Odissea nella loro età, un’altra consiste nel tentativo d’individuare il tessuto di significati o d’idee che il mito, esprimendosi nelle forme sue proprie, fu capace di costruire, fino a formare quasi una riserva di pensiero per le età che seguirono. Il mito costituisce una prima forma di sapere organizzato: in esso è come concentrata una larga esperienza di vita e di pensiero, offrendo materia di riflessione a chi si pose i primi interrogativi sui grandi temi dell’essere e del divenire. La religione olimpica, con la sua larga apertura sul mondo nella varietà molteplice delle sue forme, era già sulla via dell’incipiente filosofia greca, e non oppose al fiorire del pensiero razionale le resistenze di una religiosità diversamente orientata, mistica e dommatica. La reciproca interferenza di mito e pensiero razionale è rilevabile in quasi tutta la storia intellettuale della grecità: entrambe sono formazioni storiche, e come tali nella storia fanno registrare fra loro consonanze e divergenze, punti di contatto e fratture profonde. Ad una filosofia attenta alle fonti storiche interessa non poco di conoscere come, dalle insufficienti intuizioni globalizzanti del mito e dal confronto con le più mature costruzioni teo-cosmogoniche, il pensiero razionale sia venuto lentamente precisando concetti, categorie, criteri costitutivi di una visione laica e scientifica del reale.


Aldo Lo Schiavo (1934) si è laureato in giurisprudenza all’università di Bologna e in filosofia all’università La Sapienza di Roma. Dopo aver studiato l’idealismo di Giovanni Gentile (La filosofia politica di Giovanni Gentile, Roma, Armando, 1971; Introduzione a Gentile, Bari, Laterza, 1974) si è dedicato completamente allo studio del pensiero greco, dalle origini a Platone, pubblicando i seguenti lavori: Omero filosofo. L’enciclopedia omerica e le origini del razionalismo greco, Firenze, Le Monnier, 1983; Charites. Il segno della distinzione, Napoli, Bibliopolis, 1993; Themis e la sapienza dell’ordine cosmico, Napoli, Bibliopolis, 1997; Filosofia del mito greco, Roma, IPS Editrice, 2000; Il fondamento pluralista del pensiero greco, Napoli, Bibliopolis, 2003; Platone e le misure della sapienza, Napoli, Bibliopolis, 2008; La filosofia politica di Platone, Napoli, Bibliopolis, 2010. Ha anche sviluppato una approfondita analisi della civiltà romana, pubblicando Roma e la romanizzazione. I fondamenti della Civiltà Romana, Napoli, Bibliopolis, 2013.

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Di Aldo Lo Schiavo “petite plaisance” ha pubblicato, oltre a Omero filosofo:

Filosofia del mito greco. In Appendice: Themis, la dea del giusto consiglio, 2021

(indicepresentazioneautoresintesi).

 

Il contributo della tragedia attica al razionalismo antico, 2021

(indicepresentazioneautoresintesi).



Aldo Lo Schiavo – Il sapere filosofico, quando non si isola in un formalismo tecnico fine a se stesso, trae sostanziale giovamento dall’analisi delle origini e del radicamento delle rappresentazioni mentali nel fitto tessuto di esigenze, sentimenti, reazioni individuali e collettive espresse nelle concrete situazioni in cui gli uomini operano e costruiscono la loro civiltà.
Aldo Lo Schiavo – Themis sa guardare all’avvenire del mondo, per il quale auspica un ordinamento al tempo stesso stabile e giusto, senza prevaricazioni e violenze. Themis pertanto esprime una normatività non costrittiva, non cieca, perché portatrice di una specifica sapienza cosmica.
Aldo Lo Schiavo – La condanna platonica della tirannide è radicale. Per Platone la città perfetta è un prodotto della ragione filosofica. La politeia ideale è il coerente progetto di trasformazione etico-politica della società temperato dal concetto di unità nella diversità. Il manifesto del filosofo laico.
Aldo Lo Schiavo – Il contributo della tragedia attica al razionalismo antico

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Salvatore Bravo – Il velo dell’ignoranza sulla democrazia. Il linguaggio non è mai neutro, nel linguaggio è sedimentata la storia di un popolo

Salvatore Bravo

Il velo dell’ignoranza sulla democrazia.
Il linguaggio non è mai neutro, nel linguaggio è sedimentata la storia di un popolo

Il linguaggio non è mai neutro, nel linguaggio è sedimentata la storia di un popolo; le parole e i loro costrutti non sono forme affette da rigidità e astrattezza, ma fin quando si trasmettono e sono linguaggio vivo formano il modo di essere e di operare dei cittadini o dei sudditi. Il potere nella forma del dominio controlla l’ordine del discorso, filtra con le parole i significati in un vano tentativo di eternizzarsi. La storia ha i suoi snodi cruciali solo se l’esperienza linguistica è mediata dal logos.

L’uso delle parole comporta una visione del mondo, una modalità pratica di gestione delle relazioni. La lingua viva è il veicolo più impalpabile con cui la violenza entra nel presente dalle porte mai chiuse con il passato. Ci troviamo invischiati in un presente che ha ostracizzato molte parole, ma nel contempo sta riattivando semantiche e lessico del passato. L’esemplificazione della lingua sostenuta dalle tecnologie che “costringono” ad un linguaggio immediato e degradato è il fenomeno politico più importante degli ultimi decenni. In nome dell’utile e della velocità venerati come miti, la prassi politica si è degradata a slogan, le visioni politiche e progettuali sono state sostituite da provvedimenti d’urgenza nell’interesse del popolo e degli italiani. Nessun approfondimento, nessuna contestualizzazione o raffronto per meglio comprendere dati e riforme, solo il luccichio delle parole infilate senza spessore logico e argomentativo per ammaliare e zittire le eventuali critiche. Rendere tutto “semplice”, contrapporre gruppi umani senza ascoltarne le ragioni, anzi dipingere i dissenzienti come pubblico pericolo è l’arma con cui il dominio persegue i suoi criminali propositi con il consenso delle vittime. Abbattere la semantica e la capacità argomentativa di un popolo sono gli espedienti più efficaci con cui ammanettarlo e renderlo suddito. La distruzione della pubblica discussione è demolizione dell’abilità logica senza la quale non vi è che il velo dell’ignoranza a scendere sui cittadini per trasformarsi in ceppo. Il livello di democrazia di un popolo dipende dalle sue capacità linguistiche, non si tratta di retorica o sofistica, ma di abitudine all’uso pubblico e critico della ragione.

La sottrazione delle parole è un furto doloso ai danni della cittadinanza. Un popolo senza parole è in catene dinanzi ai padroni del discorso. La condizione attuale registra la sudditanza globale, in quanto le oligarchie transnazionali possiedono i mezzi di comunicazione e con il loro enorme reddito comprano i venditori di parole. Il circo mediatico è la breccia da fendere per arrivare a loro e smascherare i padroni dell’ordine del discorso. Il lessico del circo mediatico con i suoi giullari rivela l’intenzionalità politica degli oligarchi, il tentativo di riattivare vecchi e antichi fantasmi per conservare il dominio.

Nelle ultime settimane i giornali nostrani hanno dichiarato all’unisono «Draghi tira dritto», l’uomo della provvidenza non si fa distrarre da proteste e dubbi, ma mette in atto la ricetta preparata altrove. In una nazione con un livello medio di democrazia ciò recherebbe scandalo. Il circo mediatico, invece, sorregge l’azione dell’uomo della provvidenza senza critiche, anzi lo rappresenta come il “salvatore” del popolo dinanzi alle proteste che malgrado divieti e Daspo1 continuano nella nazione. L’uomo della provvidenza, di fascista memoria, implica la passività del popolo, che incapace attende il suo angelo custode, che nulla ha di trascendente, ma i suoi obiettivi sono bancocentrici.

Tira dritto” è la nuova versione del me ne frego fascista coniato da Gabriele D’annunzio a Fiume (1919-1920). Ecco che riemergono atteggiamenti fascisti per conservare il dominio delle oligarchie con l’assenso del circo mediatico asservito. Se è possibile l’ostentazione del “tira dritto”, che ammicca al peggior linguaggio autoritario a cui ci stiamo abituando, lo si deve al fatto che i conti con il fascismo non sono stati fatti. L’esperienza storica fascista non è stata collettivamente pensata, sin da subito il potere si è difeso dai processi di democratizzazione lasciando decantare i miti bugiardi del fascismo da ripescare nei momenti di crisi. Queste ultime divengono occasione con cui sottrarre spazi sempre più ampi di democrazia e diritti sociali per inoculare il virus mortale del nuovo “Me ne frego” con il quale perseverare con linguaggio demagogico all’annichilimento dei diritti delle classi lavoratrici e della classe media. La responsabilità della classe accademica e del giornalismo è impressionante: sono disponibili a vendersi pur di raccogliere le copiose briciole che cadono dalle tavolate dei Grandi, resi tali dalla debolezze degli ultimi e dalla complicità del giornalismo sempre pronto ad adattarsi nelle parole e nell’interpretazione dei fatti all’ultimo dei potenti arrivati. Non resta che denunciare la violenza antidemocratica di questi anni senza opposizione e senza idee. Ai fuchi dell’intelletto insteriliti dal meritricio della parola bisogna opporre la forza dialettica della parola che riuscirà a fendere il velo di Maya che impedisce di guardare la verità storica e di agire su di essa con gli innumerevoli mezzi della democrazia. La regressione di questi anni non è la fine della lotta, ma una parentesi in attesa vigile ed operativa di quello che sarà e verrà. Ognuno può fare qualcosa, può resistere e accumulare le energie per un nuovo soggetto politico alternativo che per ora non si profila, ma è da preparare con l’impegno paziente delle parole. All’ateismo dilagante dei spregiatori della verità si può opporre l’umanesimo filosofico integrale da cui ricominciare per ricostruire una prospettiva comunitaria:

È il marxismo un “ateismo”? A mio parere non lo è necessariamente. Il marxismo è indubbiamente un umanesimo filosofico integrale (non sono quindi d’accordo con la scuola francese di Louis Althusser). Ma l’umanesimo filosofico integrale è anche il terreno di incontro e di dialogo fra credenti e non-credenti, che spesso verificano nei fatti di pensare la stessa cosa. Nella misura in cui la prospettiva di Marx riguarda non certamente l’esistenza e la non-esistenza di Dio (non sono infatti d’accordo con chi ritiene che la critica alle ipostasi religiose sia il presupposto necessario per la critica alle ipostasi dell’economia politica – e non sono d’accordo anche se so bene che il giovane Marx pensava proprio questo), ma la teoria dei modi di produzione ed il comunismo, ritengo che l’ateismo non sia assolutamente un pezzo di motore necessario per la macchina di Marx. Non si tratta del carburatore, ma della bambolina che penzola sul cruscotto. In definitiva penso che alcuni preti cattolici “dissidenti” (Fernando Belo, Giulio Girardi ecc.) abbiano ragione nell’essenziale”. 2

1 D.A.SPO., acronimo di Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive.

2 Costanzo Preve, Considerazioni introduttive sugli attuali dibattiti fra laicismo, scienza, filosofia e verità, Petite Plaisance, Pistoia 2008, pag. 18.

indicepresentazioneautoresintesi

La filosofia è una pratica ermeneutica. La ricostruzione genetica della particolare postura filosofica di Costanzo Preve è un’operazione complessa, e certamente esercizio quanto mai laborioso, a causa della copiosa produzione di scritti e dell’ordito di mezzi da lui scelti per portarla a noi. Malgrado tali difficoltà, può senz’altro affermarsi che la filosofia di Costanzo Preve è stata costantemente dialogica, aliena all’innalzamento di sterili palizzate ideologiche, poiché al contrario mirava – facendo leva sulla forza del concetto – a scanalare brecce nelle cinte fortificate di purismi e ideologie rinchiuse in se stesse. È questa una capacità che gli ha consentito di elaborare una sintesi tra tradizioni e filosofi differenti, divergenti, allo scopo di ritrovare un sentiero che conducesse fuori dalla palude del nichilismo. Tale genesi composita fa sì che l’addentrarsi nel suo pensiero sia un’esperienza di “straniamento”, perché egli sa mettere proficuamente in crisi le facili e sterili dicotomie su cui reggono quei poteri sclerotizzati nell’abitudine, assieme a quei pregiudizi ideologici che favoriscono il consolidamento dei totalitarismi ideali, siano questi confessi e riconosciuti o meno.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Gabriele Guzzi, Diego Melegari, 
Alessandro Monchietto, Bruno Segre, Marco Veronese Passarella – Idee sottosopra. La sfida della pianificazione: controllo sociale o società del controllo?

Quando ci domandiamo se un altro mondo è possibile,
ci stiamo innanzitutto chiedendo:
esiste 
un metodo alternativo per ripartire le risorse?
Come distribuiremo le cose in modo diverso?

E chi deciderà come vengono distribuite?

 

Per quanto possa sembrare futuristico, la visione di individui e gruppi considerati come entità da tracciare continuamente ha una storia lunga. È cominciata circa sessant’anni fa alle Galapagos, dove una tartaruga si trovò ad ingoiare un succulento boccone nel quale uno scienziato aveva amorevolmente inserito un sensore.
L’aspetto interessante è che le soluzioni adottate all’epoca da chi studiava alci, tartarughe e oche sono oggi adottate dai capitalisti della sorveglianza e presentate come una caratteristica inevitabile della vita nel Ventunesimo secolo.
Quel che è cambiato è che ora gli animali da tracciare siamo noi.

In fin dei conti, cosa fanno Facebook e Google? Ci stimolano – delicatamente e con il nostro consenso – a rivelare informazioni su noi stessi. Gli utenti di queste piattaforme non devono pagare un prezzo in denaro, devono solo lasciare che i loro dati vengano estratti. Per ora, i dati accumulati sono perlopiù usati per vendere prodotti o spazi pubblicitari, ma le possibilità sono molto più ampie.
Come sottolinea Shoshana Zuboff, una delle grandi domande del XXI secolo sarà: chi possiede e controlla i dati che stanno rapidamente diventando una risorsa economica chiave? Il loro uso servirà a favorire processi democratici, o si rivelerà il propellente di un nuovo capitalismo della sorveglianza?

È possibile che pezzi di un mondo migliore stiano lentamente spuntando, e che il capitalismo abbia infine creato i propri becchini (solo che saranno algoritmi, non lavoratori)?

Gli incalcolabili miliardi di gigabyte che Amazon raccoglie – e le meraviglie dei software utilizzati per analizzare questi dati – forniscono un quadro incredibilmente dettagliato di ciò che la gente desidera. Come ogni società Dot-com, Amazon raccoglie quantità improbabili di dati sui suoi consumatori: un negozio convenzionale non sa quali prodotti osservate, quanto tempo passate a guardarli, quali mettete nel carrello e poi riponete sullo scaffale prima di arrivare alla cassa, o anche quali “vorreste” avere. Ma Amazon lo fa. 
Nel frattempo, l’integrazione delle operazioni con i fornitori gli assicura che i prodotti possano essere pronti in quantità sufficienti e in tempi rapidi, così da poter esser consegnati in 24 ore.

Considerata l’enorme scala di questa economia, vediamo affiorare una riorganizzazione rivoluzionaria della produzione capitalista, che potrebbe indurci a porre domande audaci: e se Jeff Bezos si stesse in realtà rivelando un maestro della pianificazione, avvicinandosi nelle sue pratiche molto più al pensiero dei padri del socialismo che ai mentori dell’epoca neoliberale?

I capitalisti dell’epoca IoT (Internet of Things) pianificano quotidianamente più di quanto non si riesca ad immaginare, ma se la buona notizia è che la pianificazione evidentemente funziona, la cattiva è che attualmente si esercita entro i confini di un sistema di profitto che limita ciò che può essere prodotto a ciò che è redditizio.

È tuttavia lecito domandarsi se i piani che i campioni del capitalismo di piattaforma usano ogni giorno per portare beni e servizi nelle mani di coloro che possono pagarli, possano un giorno esser trasformati per assicurare che ciò che produciamo arrivi a coloro che ne hanno più bisogno. Detto diversamente, potremmo conquistare le attuali centrali logistiche e di pianificazione – i Google e le Amazon del mondo – e riconvertirle per costruire civiltà egualitarie ed ecologicamente sostenibili?
Trasformando il modo in cui distribuiamo le cose, potremmo forse iniziare a trasformare tutto il resto dell’economia – da quali cose produciamo e come, a chi lavora e per quanto tempo?

È giunto il momento di riconoscere che il capitalismo è inadeguato a risolvere i problemi che ha creato, dall’ambiente alle diseguaglianze sociali. E che sia ormai impossibile rimettere il dentifricio nel tubetto.
Quello che si può – e si deve – fare, è ridurre progressivamente il campo in cui è il meccanismo impersonale del mercato a regolare i nostri rapporti, ed estendere il campo in cui sono le nostre volontà coscienti a riunirsi su basi paritetiche nel formare una scelta collettiva. Realizzare una società in cui siano i bisogni degli individui e della collettività a muovere la produzione e l’allocazione delle risorse, e non la semplice e inarrestabile sete di profitto.

Di queste ed altre questioni discuteranno – sabato 27 novembre a partire dalle ore 14.30, presso il Polo del ‘900 di Torino – Gabriele Guzzi, Diego Melegari e Marco Veronese Passarella. 
Presiede: Bruno Segre. Modera: Alessandro Monchietto. 


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Gli uomini saggi sono sempre veritieri, sia nella loro condotta, sia nei loro discorsi. Non dicono tutto quello he pensano, ma pensano tutto quello che dicono.

Gli uomini saggi sono sempre veritieri,

sia nella loro condotta,

sia nei loro discorsi.

 

Non dicono tutto quello he pensano,

ma pensano tutto quello che dicono.

 

Gotthold E. Lessing, L’educazione del genere umano, Sellerio.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Piero Di Giovanni – Platone direbbe: finché vive, l’uomo deve cercare la verità, così come Socrate la seppe cercare. Conoscere è un guardare in alto, verso la luce del sole: ed è anche un agire, ma un agire che presuppone il miglioramento, se non il cambiamento radicale, delle condizioni dell’uomo nei suoi rapporti con gli altri. Non è vuoto conoscere privo di contenuti.

Platone e l’antiplatonismo di oggi

Il significato allegorico dello splendore della luce del sole non rimanda ad un altro mondo. Platone direbbe: finché vive, l’uomo deve cercare la verità in questo mondo così come Socrate la seppe cercare […].

Per Platone la possibilità del conoscere dipende dal sapere volgere lo sguardo non verso le tenebre ma verso la luce del sole perché solo la luce del sole consente che la verità venga fuori. Ed anche perché la luce del sole […] coincide con l’idea di sommo bene, rappresenta il fondamento costitutivo della conoscenza umana. «Ora – dice Platone –, questo elemento che agli oggetti conosciuti conferisce la verità e a chi conosce dà la facoltà di conoscere, di’ pure che è l’idea del bene; e devi pensarla causa della scienza e della verità, in quanto conosciute» (Repubblica, 508 d-e).

[…] Per Platone la luce e la vista sono «simili» al sole, ma non sono il bene, così come la scienza e la verità sono simili al bene ma non sono il bene; giacché il sole, cioè il bene, consente mediante la luce la vista al soggetto, ossia la conoscenza dell’oggetto in sé e per sé. Per esprimere tale concetto, Platone si serve di una metafora-similitudine, definendo «il sole prole del bene, generato dal bene a propria immagine» (Repubblica, 508 b-c). Il sole, in quanto generato dal bene, consente la vista del bene, poiché ogni azione dell’uomo dovrebbe essere finalizzata al bene. Solo chi non vuol vedere o preferisce tenere gli occhi chiusi non riesce a scorgere, mediante la luce del sole, il bene. […]

Non è operazione facile quella degli uomini: cogliere l’essenza della verità è arduo, perché si tratta di abituarsi ad una luce che in un primo momento acceca provocando un disorientamento generale; un arretramento e uno sbigottimento dinanzi allo splendore del sole. Così accade che, se per caso un uomo arriva a cogliere il senso autentico della realtà, non è detto che anche gli altri uomini sappiano recepirla, perché impreparati a tal punto da non credere a quanto suggerito da chi invece, per primo, ha colto la verità.

Conoscere è un guardare in alto, ma un guardare in alto metaforicamente parlando, perché l’uomo non resti schiavo della sua ignoranza e della sua condizione sociale. Il guardare in alto sta per volgere il viso alla chiara luce del sole per fuggire dalle tenebre della schiavitù. Il conoscere è un agire, ma un agire che presuppone il miglioramento, se non il cambiamento radicale, delle condizioni dell’uomo nei suoi rapporti con gli altri. Non è un vuoto conoscere privo di contenuti banalmente proiettato verso l’aldilà, così come testimonierebbe la figura del saggio Talete mediante l’aneddoto del Teeteto; è invece il conoscere per cambiare questo stato di cose.

Il filosofo, propugnato da Platone, non sta con la testa tra le nuvole completamente distaccato e disinteressato dalle cose di questo mondo. E ciò anche se alcune posizioni «politico-ideologiche» espresse da Platone non lascerebbero dubbi su una certa sua visione dei mondo in cui si muoveva. Egli riteneva tra l’altro che il vero filosofo non fosse interessato ai beni materiali; eppure conferiva ai filosofi il compito e la capacità di guidare lo Stato. […] Platone non pensava ad uno Stato fondato sulla conflittualità e tanto meno sul dominio di una classe sulle altre, ma […] assume a fondamento del sistema socio-politico l’idea di bene nella sua concezione universale di bene da realizzare per tutti quanti i cittadini.

Piero Di Giovanni, Platone e l’antiplatonismo di oggi, Palumbo, Palermo 1982, pp. 131-135.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Luca Grecchi – L’umanesimo della antica filosofia cinese. «Il denaro può comprare una casa ma non un focolare. Può comprare un letto ma non il sonno. Può comprare un orologio ma non il tempo. Può comprare un libro ma non la conoscenza e la saggezza. Può comprare una posizione ma non il rispetto. Può pagare il dottore ma non la salute. Può comprare il sesso ma non l’amore».

Luca Grecchi

L’umanesimo della antica filosofia cinese

ISBN 88-7588-030-1, 2009, pp. 128, Euro 15. Collana “Il giogo”

indicepresentazioneautoresintesi invito alla lettura


«Il denaro può comprare una casa ma non un focolare.

Può comprare un letto ma non il sonno.

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Può comprare un libro ma non la conoscenza e la saggezza.

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Costanzo Preve (1943-2013) – In ricordo di Costanzo Preve. Un libro e un articolo di Salvatore Bravo.

Salvatore Bravo

Pratica filosofica e politica in Costanzo Preve

ISBN 978-88-7588-293-8, 2021, pp. 216, Euro 20 – Collana “Divergenze” [77].

indicepresentazioneautoresintesi


In copertina: Immagine “straniante” di Erwin Piscator che entra nel Teatro Nollendorf, Berlino, 1929.Straniamento è il concetto – legato al teatro di Piscator e di Brecht – adottato da Preve come metafora dell’operazione filosofica per eccellenza e dello scopo della propria opera: mettere in moto un «riorientamento gestaltico», uno “scuotimento” associato a un mutamento radicale di prospettiva, alla trasformazione dello sguardo con cui ci si accosta al mondo, inteso innanzitutto come mondo dei rapporti sociali. Invitare a fare ingresso nel pensiero di Preve significa invitare a familiarizzare con lo straniamento, a prendere confidenza con la problematizzazione del proprio tempo.


I filosofi e l’idra del dominio


 

La verità si svela nel tempo, ci sono filosofi che vivono e pensano il travaglio del proprio tempo storico, hanno il coraggio di “pensare il noto del proprio tempo” e di non arretrare. Concettualizzare il proprio tempo è attività filosofica e politica, il filosofo pensa il proprio tempo per astrarne l’universale concreto, per porre in tensione universale e particolare.

Senza verità non vi è filosofia, non vi è filosofo: non resta che un accademico uso di linguaggi specialistici che non comportano effetti trasformativi della realtà sociale.

Senza verità non vi è politica, ma solo conservazione e comportamento ideologico. La filosofia è giudizio riflettente che prepara la prassi, la trasformazione di sé e del contesto sociale. La prassi necessita della teoria: si costituisce così una relazione feconda tra teoria e prassi che conduce alla responsabilità politica. La prassi filosofica è vita comunitaria che ha cura del singolo nella comunità, in modo che le soggettività possano vivere pienamente la propria indole singolare senza scindere la relazione con l’universale. L’attività filosofica è, dunque, dialettica, deve attraversare la contraddizione del proprio tempo, deve ricondurre alla pubblica ragione ciò che la pigrizia emotiva e cognitiva rimuovono in nome del quieto vivere. Il tafano con cui Socrate simbolizzava il filosofare è verità sempre attuale, in quanto è la sostanza della filosofia, la quale è dialogica, ma non conosce manierismi o recite di ruoli, ma solo interlocuzione umana a tutto raggio con cui capire il proprio tempo in vista della sua assiologica trasformazione.

Negli ultimi decenni dominati dalla filosofia analitica e dagli specialismi la filosofia è diventatasolo una presenza da salotto, da utilizzare in modo strategico nel circo mediatico per sostenere le oligarchie, è divenuta parte della sovrastruttura che sorregge e vela la struttura economica, come ci ha insegnato Marx. In un’epoca perversa la filosofia da passione per il sapere si è tramutata in uno dei tanti veli dell’ignoranza con cui il dominio perpetua se stesso fino a ridurre i popoli a plebi belanti.

Eppure, anche se la cornice socio-economica è tale, non bisogna disperare, poiché l’essere umano è certo condizionabile, ma non determinabile come un semplice oggetto. Vi sono persone che più di altre sfuggono alle maglie dei condizionamenti per pensare il proprio tempo. Il dominio vorrebbe ostracizzare i pensatori, sfiancarli con la forza degli innumerevoli tentacoli dell’idra del potere, ma i veri filosofi non cadono sotto i colpi tentacolari, e malgrado l’idra appaia invincibile la sfidano con la forza del concetto. Da tale lotta non si esce indenni, si pagano evidentemente dei prezzi, e la vittoria consiste unicamente nell’essere stati fedeli alle proprie scelte di vita e di pensiero. Siamo responsabili, pertanto, non solo della memoria del passato, ma anche dell’arduo compito di far continuare a vivere nel presente in modo plastico e creativo i filosofi che si sono lasciati attraversare dalle contraddizioni del loro tempo storico.

 

Costanzo Preve filosofo del nostro tempo

Il filosofo non è mai presenza atomistica, ma creatura concreta, non è l’anima bella che si ritira nella turris eburnea, ma è intessuto del mondo di relazioni con cui ha interagito. Costanzo Preve è stato non solo filosofo di calibro metafisico, ma anche politico. Potrebbe sembrare un’eccezione nel clima specialistico dei nostri tempi, in realtà ha testimoniato “la normalità della postura filosofica”, la quale è prassi che presuppone la metafisica senza la quale la politica si degrada a società dei bisogni, ad utile dell’ultimo uomo. Senza fondazione metafisica la filosofia è addomesticata, è il cucciolo ai piedi del potere pronto a ringhiare contro i dissenzienti.

La lettura degli innumerevoli testi di Costanzo Preve è esperienza di “straniamento”: il lettore deve inoltrarsi nei propri stereotipi, deve gradualmente abbandonarli per mettersi in ascolto di una visione filosofica che non conosce purismi, ma solo ricerca inesorabile e dura della verità. Nei suoi testi riecheggia la maieutica socratica, che non è un’eco lontana, ma vivida presenza sempre attuale.

Ricordare Costanzo Preve, quindi, non è un’operazione di circostanza, ma è un’assunzione di responsabilità verso il proprio tempo storico e verso la tradizione filosofica. Ci ha insegnato che non bisogna intimorirsi dinanzi ai poteri sempre più pervasivi che confinano la filosofia in un passato mitico che mai più ritornerà, perché il pensiero nella forma del logos – e non del solo calcolo quantitativo – è parte essenziale della natura umana e nessun totalitarismo riuscirà a cambiare il bisogno di pensare proprio della natura umana che si determina nella storia.

Costanzo Preve ha testimoniato fina alla fine della sua via tale verità. Filosofo della politica ha anticipato ciò che oggi è verità lapalissiana: destra e sinistra sono affette dallo stesso morbo: il nichilismo crematistico, per cui sono indistinguibili, si sorreggono l’un l’altra pur fingendo di essere diverse. Se Costanzo Preve è riuscito ad anticipare nei suoi scritti il tempo presente non è certo per suoi celati poteri paranormali, ma in quanto ha usato il metodo filosofico per capire il presente e delineare il futuro.

La filosofia è pratica olistica: pertanto, se si ha la pazienza di riportare le parti al tutto con onestà intellettuale e con capacità critica e documentata, si scorgono non solo le tendenze in atto, ma con esse si svelano i problemi e le urgenze del proprio tempo. In un periodo storico in cui regna la sola quantità, la filosofia e i filosofi sono trasgressivi, poiché sono in movimento verso la verità. Costanzo Preve ha trasgredito le leggi del politicamente corretto, ed ha mostrato che è possibile testimoniare l’esperienza filosofica anche in un’epoca assuefatta all’utile e alla prostituzione intellettuale. Ciò presuppone una profonda passione disinteressata, vera forza erotica di elevazione che può conoscere cadute, arresti improvvisi, ma è sempre orientata alla verità immanente.

Costanzo Preve è stato tutto questo.

Nel mese in cui ricorre la sua scomparsa, il modo migliore per rammentarlo è leggere i suoi scritti, avventurarsi in un’Odissea filosofica dalla quale non si tornerà eguali. Naturalmente il dissenso critico dev’essere parte imprescindibile dell’ascolto delle sue parole, non vi sono presenze totemiche in filosofia, ma autori che incarnano un’epoca e aspettano di essere superati senza essere dimenticati. Se è maturata la necessità di un riorientamento gestaltico Costanzo Preve può favorire questo ripensamento metafisico e assiologico di cui non pochi sentono il bisogno, ma non hanno punti di riferimento da cui iniziare un nuovo percorso veritativo che sembra impossibile. Per riorientarsi si dev’essere disponibili al disorientamento, a rimettere in discussione categorie sclerotizzate da automatismi sostenuti dal clero mediatico.

Non è semplice nascere a nuova vita, perché si tratta di partorire tra le doglie un nuovo esserci, ma è l’unico modo per umanizzare la propria esistenza. Leggere i testi di Costanzo Preve provoca uno stato di epochè, dal quale poter risemantizzare la propria prassi, comprendendo che fino a quel momento si è stati all’interno di un meccanismo autoreferenziale, in cui gesti e parole appartenevano al dominio.

Senza verità non vi è futuro, ma solo un lungo logorarsi nelle miserie e nelle complicità di un’abbondanza senza qualità e concetto.

Per non lasciarci cannibalizzare da un tempo così pericoloso, con le sue vuote e vane illusioni, può essere benefico ricominciare dai pensatori che hanno negato criticamente il loro tempo per affermare una nuova prospettiva politica e filosofica.

La filosofia, in quanto amore del sapere senza possesso, è comunitaria, è la disciplina per eccellenza che può guidarci fuori dalla palude in cui annaspiamo.

Costanzo Preve ha guadato la palude del nichilismo, il suo impegno attende uomini e donne disponibili a riprendere il suo cammino. Ricominciamo a riaprire la catena dei perché, come ci ha insegnato, per poter ripensare le parole e i pensieri che ci chiudono nella weberiana gabbia d’acciaio delle appartenenze senza concetto. Può essere l’incipit per una nuova e buona vita. Sta a ciascuno di noi cominciare l’esodo che non può che concretizzarsi in compagnia di pensatori fuori dal nostro tempo empirico, ma sempre presenti con la loro meditata testimonianza:

«Bisogna dunque riprovare a riaprire la catena dei perché. Questa volta, però, bisogna riaprire questa catena con un altro approccio e con altri destinatari. L’approccio dev’essere molto più radicale, e i destinatari non possono più essere i cosiddetti “militanti”, il “popolo di sinistra”, eccetera. I destinatari sono tutti coloro che vogliono riflettere e comprendere, del tutto indipendentemente da come si collocano (o non si collocano) topologicamente nel teatrino politico. Per chi scrive l’appartenenza è nulla, e la comprensione è tutto. Cerchiamo allora di riaprire la catena dei perché partendo da un anello della catena che ci permetta di stringere con sicurezza qualcosa di solido».1

Salvatore Bravo

1 C. Preve, Marx e Nietzsche, Petite Plaisance, Pistoia 2004, p. 6

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Giovanni Casertano – Una filosofia degli uomini per gli uomini. Venticinque studi su Platone.


Giovanni Casertano

Una filosofia degli uomini per gli uomini.
Venticinque studi su Platone

Presentazione di Luca Grecchi

ISBN 978–88–7588–328–7, 2021, pp. 752, Euro 40 – Collana “Il giogo” [139]

indicepresentazioneautoresintesi


Giovanni Casertano è stato professore ordinario di Storia della Filosofia Antica nell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. È stato Visiting Professor in varie Università dell’Europa e dell’America del Sud. Ha ricevuto la cittadinanza onoraria dell’antica città di Elea per i suoi studi su Parmenide, e il Dottorato in Filosofia honoris causa dall’Università di Brasilia, con la quale collabora in qualità di Permanent fellow dell’Archai UNESCO Chair (Filosofia Antiga); è Enseignant-chercheur, Professeur des Universités, Membre statutaire rattaché à l’«Unité de Recherche Institut d’histoire de la philosophie» (E.A. 3276) de l’Université de Provence (Aix-Marseille 1). Il suo campo di ricerca sono principalmente i Presocratici e Platone, ed ha al suo attivo più di trecento pubblicazioni, tra volumi, articoli, saggi. Tra i suoi volumi: Parmenide il metodo la scienza l’esperienza, Napoli 1989 (1978); Il nome della cosa. Linguaggio e realtà negli ultimi dialoghi di Platone, Napoli 1996; Morte, Napoli 2003; Sofista, Napoli 2004; La nascita della filosofia vista dai Greci, Pistoia 2007; Paradigmi della verità in Platone, Roma 2007; I Presocratici, Roma 2009; O prazer, a morte e o amor nas doutrinas dos Pré-socráticos, São Paulo 2012; Da Parmenide di Elea al Parmenide di Platone, Sankt Augustin 2015; Giustizia, filosofia e felicità. Un’introduzione alla Repubblica di Platone, Roma 2015; Platone, Fedone, o dell’anima. Dramma etico in tre atti (traduzione, commento e note di G.C.), Napoli 2015; I proverbi di Platone, Napoli 2019; Venticinque studi sui preplatonici, Pistoia 2019.


Premessa

Su gentile invito dell’amico Luca Grecchi, ripubblico qui un insieme di alcuni dei miei studi sui dialoghi platonici. Spero che da essi risulti chiara (e documentata) la prospettiva della mia lettura di Platone, così come si è venuta costruendo negli ultimi decenni. Tesa a dare un’immagine non convenzionale del grande filosofo/drammaturgo, che costituisce una figura unica nei secoli della nostra cultura.

Un Platone non metafisico, né dispregiatore della sensibilità di contro alla razionalità, o del corpo rispetto all’anima, ma sempre attento a scovare tutti i risvolti (psicologici, morali, politici) dei personaggi che mette in scena, nel costruire (o nel tentativo di costruire) dialogicamente una filosofia che sia la più rispondente ai concreti problemi dell’essere umano. Il dialogo, per Platone, è appunto il segno di una filosofia degli uomini e per gli uomini, senza presupposti né “aiuti” trascendenti; e sono appunto dialoghi che in originali drammi filosofici tentano di fondare una ricerca che si trova di fronte a problemi che riguardano la concretezza della posizione nel mondo degli uomini, come singoli individui e come comunità, che affronta difficoltà di vario tipo nel determinare il senso delle cose e della vita, che si trova di fronte ad impasses apparentemente insuperabili, che conosce anche sconfitte e fallimenti, che raggiunge mete e conclusioni importanti, ma sempre con la coscienza di non doversi mai contentare dei risultati raggiunti, e di dover sempre tendere al meglio. Filosofia dunque come via da seguire, quella via della quale il personaggio Socrate (il simbolo della filosofia, sapientemente e appassionatamente costruito da Platone), in un bellissimo passo del Filebo, dichiara di essere da sempre innamorato, e alla quale è sempre rimasto fedele, anche a costo di rimanere solo.

Ringrazio Graça, che come sempre mi è stata vicina e mi ha aiutato nell’allestimento del volume, e Silvio, che mi è stato di aiuto nella correzione delle bozze. E, naturalmente, ringrazio ancora Luca per l’opportunità che mi ha offerto di ripresentare qui alcuni risultati (ovviamente provvisori) delle mie ricerche su Platone.

G. Casertano

Presentazione

Da alcuni anni, Petite Plaisance si è impegnata in riedizioni di testi – spesso arricchite da introduzioni, con notevole cura dei dettagli: mai mere riproduzioni fotostatiche – di grandi antichisti (Rodolfo Mondolfo, Marino Gentile, Diego Lanza, Mario Vegetti, Giovanni Casertano, Livio Rossetti, solo per citare alcuni nomi). Inoltre, ha raccolto in volume articoli di importanti studiosi, presenti in riviste o testi collettanei assai difficilmente reperibili. Questi articoli, presentando una prospettiva di insieme, risultano ancor più apprezzabili, se riuniti, nella loro significatività complessiva. Per questo motivo si è deciso di realizzare, di Enrico Berti, Incontri con la filosofia contemporanea; di Mario Vegetti Scritti sulla medicina ippocratica, Scritti sulla medicina galenica e Scritti con la mano sinistra; di Maurizio Migliori La bellezza della complessità, e di Diego Lanza Nous e thanatos. Scritti su Anassagora e sulla filosofia antica, di imminente pubblicazione.

Per quanto concerne Giovanni Casertano, già nel 2019 avevamo pubblicato Venticinque studi sui preplatonici. Abbiamo ritenuto però, per il grande valore dell’opera di questo studioso in merito anche all’interpretazione di Platone, che i suoi testi su questo argomento, che coprono un arco di anni assai ampio, dovessero essi pure essere raggruppati in un unico volume. Ciò, infatti, non solo, come detto, ne agevola la fruizione, ma contribuisce in certo modo, in una ideale libreria dei grandi interpreti del pensiero antico, a tenere l’opera di questi grandi studiosi più vicina. Questa si presenta, almeno per me – ma credo di non essere l’unico a pensarla così: chi ama i classici ama anche gli interpreti che meglio se ne sono occupati, nonché i libri che ne raccolgono le riflessioni –, come una cosa bella, il che mi fa particolarmente piacere, in quanto sono, o sono stato (alcuni, purtroppo, sono mancati), amico di molti di loro.

I testi qui esposti sono numerosi, sicché una sintesi dei medesimi, nel breve spazio di questa presentazione, non è sicuramente possibile. Una rapida scorsa dell’indice mostra del resto che essi si occupano di pressoché tutti i campi dell’opera platonica, prendendo in considerazione vari dialoghi, con la consueta attenzione al testo che ha sempre caratterizzato il nostro studioso. Pur nella grande cura, anche filologica, che emerge dagli studi di Casertano, il presente volume risulta facilmente leggibile anche dal lettore non specialista, perché lo stile dell’amico Gianni è sempre chiaro ed essenziale. I riferimenti alla letteratura secondaria, nelle note, certo non mancano, ma essi risultano realmente – come accade quasi sempre nella “vecchia scuola” degli antichisti – come un contorno volto a far assaporare meglio la portata principale, non come l’unico piatto, come invece talvolta accade in alcune pubblicazioni recenti. Ciò deriva da un approccio filosofico concreto che cerca di far risaltare, pur senza tacerne le problematicità, le singole argomentazioni di Platone, nella convinzione che il filosofo ateniese abbia ancora molto da dire anche al nostro tempo.

Il volume che qui si pubblica risulta già molto corposo, e lo studioso che lo ha composto, per la sua notorietà, non abbisogna di ulteriori presentazioni. Lascio pertanto il lettore godersi tutto ciò che l’amico Gianni, in questi anni, ha preparato, non prima di essere io, ancora una volta, a ringraziarlo, sia per il fatto di avere accettato l’invito di Petite, e sia, soprattutto, per come ha fatto fruttare a beneficio di tutti, nelle opere, la sua vita di studioso.

Luca Grecchi


Indice

Presentazione

Premessa

L’amicizia, qualcosa che non si può spiegare

La struttura del dialogo (o di quando la filosofia si fa teatro)

Mηχαν πειθος: metodo e verità nel Gorgia

Il (in) nome di Eros. Una lettura del discorso di Diotima

In cerca dell’anima nel Simposio platonico

La difficile analogia tra poesia e amore

La linea e la caverna: tra analogia, immagine,

conoscenza e prassi

L’idea, il letto e la virtù

Caratteristiche e funzioni del logos.

Sulla forma e la struttura del Teeteto

Teeteto 201d8: perché «un sogno in cambio di un sogno»?

Ogni uno di fronte a gioventù e vecchiaia

Il falso: un’esistenza che non esiste tra cose esistenti

Il Politico di Platone: o della distinzione, in politica,

tra sembrare ed essere, tra costituzione vera e sue imitazioni

Vero e corretto nel Politico

Il piacere falso nel Filebo

Scrivere e dipingere nell’anima. Sullo statuto di λόγος nel Filebo

La ricostruzione dei ricordi. Funzionalità e verità

del discorso che interpreta la realtà: Plat. Tim. 19c6-29d2

Causa (e concausa) in Platone

Le parti, le forme ed i nomi del tempo nel Timeo platonico

L’istante: un tempo fuori del tempo, secondo Platone

Nome, discorso e metodo nelle Leggi

Dialettica

Il ridicolo in Platone

Tragedia e commedia nella (della) vita umana

nei dialoghi platonici

Il vino di Platone


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Presentazione del libro «Dolcezza» di Luca Grecchi, in dialogo con Claudia Baracchi e Silvia Vegetti Finzi.

V. Van Gogh, Primi passi.
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