Luca Grecchi – Scritti brevi su politica, scuola e società

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Scritti brevi su politica, scuola e società

Luca Grecchi
Scritti brevi su politica, scuola e società

ISBN 978-88-7588-209-9, 2019, pp. 192, Euro 15 – Collana “Il giogo” [101].

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Questo libro raccoglie diversi articoli per quotidiani e riviste composti dall’autore negli anni 2015 e 2016, relativi soprattutto ai temi della politica, della scuola e della società (intesa in senso ampio). Il filo conduttore degli stessi è costituito da una critica progettuale al nostro tempo alla luce del pensiero greco classico, soprattutto di Aristotele.


Indice

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Premessa

Aristotele e i politici di oggi

L’ideologia degli altri

Sbarchi: problemi, cause, soluzioni

Aristotele e la disoccupazione

I giovani e il bene

I giovani e il piacere

Gli stranieri nella cultura classica

Il “sociale” e il “famigliare”

Nutrire il pianeta. Davvero?

I filosofi in televisione

Considerazioni filosofiche sul jobs act

Il primato della teoria sulla prassi:

una riflessione per la politica

I giovani e l’amicizia

Aristotele e la politica come servizio

Andronico di Rodi ed il Partito Democratico

Aristotele e la guerra

Tutto scorre?5

Euro sì, euro no

Quale “buona scuola” se non si sa riflettere sul bene?

Le virtù teologali … per gli antichi Greci

Astratti i filosofi? Magari lo fossero i politici…

Perché la filosofia è necessaria per tutti

Riforme o tagli? Politica e retorica viste dagli antichi

Modernizzare la scuola?

Piagnistei o critiche?

La mafia e la filosofia greca classica

Essere se stessi?

Sulla scelta della Università (e del Liceo)

Platone e il piacere

Aristotele e gli elettori del PD

Le riforme per le riforme

Socrate ed il “sapere di non sapere”

“A chi non basta il necessario, non basta nulla”

Filosofia, verità, felicità

L’Italia che corre di Renzi, ed il Motore immobile di Aristotele

Tra Platone ed Aristotele

Scrivere o parlare? Sui vari modi di fare filosofia

Pochi insegnamenti, ma buoni

Chi non è con me è contro di me? Riflessioni sulla dialettica

Gli antichi e i moderni alle scuole elementari

Scienza, religione (e filosofia) alle scuole elementari

Scuola “elementare”?

Virtù e gloria

La metafisica umanistica

Aristotele, la democrazia e la riforma costituzionale

Platone, la democrazia e la riforma costituzionale

Aristotele: la rivoluzione è nel progetto

Sulla progettualità

 

 


Luca Grecchi – Quando il più non è meglio. Pochi insegnamenti, ma buoni: avere chiari i fondamenti, ovvero quei contenuti culturali cardinali che faranno dei nostri giovani degli uomini, in grado di avere rispetto e cura di se stessi e del mondo.

Luca Grecchi – A cosa non servono le “riforme” di stampo renziano e qual è la vera riforma da realizzare

Luca Grecchi – Cosa direbbe oggi Aristotele a un elettore (deluso) del PD

Luca Grecchi – Platone e il piacere: la felicità nell’era del consumismo

Luca Grecchi – Un mondo migliore è possibile. Ma per immaginarlo ci vuole filosofia

Luca Grecchi – «L’umanesimo nella cultura medioevale» (IV-XIII secolo) e «L’umanesimo nella cultura rinascimentale» (XIV-XV secolo), Diogene Multimedia.

Luca Grecchi – Il mito del “fare esperienza”: sulla alternanza scuola-lavoro.

Luca Grecchi – In filosofia parlate o scrivete, purché tocchiate l’anima.

Luca Grecchi – L’assoluto di Platone? Sostituito dal mercato e dalle sue leggi.

Luca Grecchi – L’Italia che corre di Renzi, ed il «Motore immobile» di Aristotele

Luca Grecchi – La natura politica della filosofia, tra verità e felicità

Luca Grecchi – Socrate in Tv. Quando il “sapere di non sapere” diventa un alibi per il disimpegno

Luca Grecchi – Scienza, religione (e filosofia) alle scuole elementari.

Luca Grecchi – La virtù è nell’esempio, non nelle parole. Chi ha contenuti filosofici importanti da trasmettere, che potrebbero favorire la realizzazione di buoni progetti comunitari, li rende credibili solo vivendo coerentemente in modo conforme a quei contenuti: ogni scissione tra il “detto” e il “vissuto” pregiudica l’affidabilità della comunicazione e non contribuisce in nulla alla persuasione.

Luca Grecchi – Aristotele: la rivoluzione è nel progetto. La «critica» rinvia alla «decisione» di delineare un progetto di modo di produzione alternativo. Se non conosciamo il fine da raggiungere, dove tiriamo la freccia, ossia dove orientiamo le nostre energie, come organizziamo i nostri strumenti?

Luca Grecchi – Sulla progettualità

Luca Grecchi – Perché la progettualità?

Luca Grecchi – «Commenti» [Nel merito dei commenti di Giacomo Pezzano]

Luca Grecchi – Aristotele, la democrazia e la riforma costituzionale.

Luca Grecchi – Platone, la democrazia e la riforma costituzionale.

Luca Grecchi – La metafisica umanistica non vuole limitarsi a descrivere come le cose sono e nemmeno a valutare negativamente l’attuale stato di cose. Deve dire come un modo di produzione sociale ha da strutturarsi per essere conforme al fondamento onto-assiologico.

Luca Grecchi – Scuola “elementare”? Dalla filosofia antica ai giorni nostri

Luca Grecchi – La metafisica umanistica è soprattutto importante nella nostra epoca, la più antiumanistica e filo-crematistica che sia mai esistita.

Luca Grecchi – Logos, pathos, ethos. La “Retorica” di Aristotele e la retorica… di oggi. È credibile solo quel filosofo che si comporta, nella vita, in maniera conforme a quello che argomenta essere il giusto modo di vivere.

Luca Grecchi – Educazione classica: educazione conservatrice? Il fine della formazione classica è dare ai giovani la “forma” della compiuta umanità, ossia aiutarli a realizzare, a porre in atto, le proprie migliori potenzialità, la loro natura di uomini

Luca Grecchi – Mario Vegetti: un ricordo personale e filosofico

Luca Grecchi – «Natura». Ogni mancanza di conoscenza, di rispetto e di cura verso la natura si traduce in una mancanza di rispetto e di cura verso la vita tutta. L’attuale modo di produzione sociale, avente come fine unico il profitto, tratta ogni ente naturale – compreso l’uomo – come mezzo, e dunque in maniera innaturale.


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Alberto Gajano – Dialettica della merce. Introduzione allo studio di «Per la critica dell’economia politica» di Marx

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Alberto Gajano

Dialettica della merce.

Introduzione allo studio di Per la critica dell’economia politica di Marx.

Postfazione di Roberto Finelli:
Il peso storico di un’astrazione: tra logica e realtà.

ISBN 978-88-7588-205-1, 2019, pp. 160, Euro 15. Collana “Divergenze” [62]

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Logo-Adobe-Acrobat-300x293   Alberto Gajano, Dialettica della merce   Logo-Adobe-Acrobat-300x293

 

Il volume propone un’analisi del primo capitolo, dedicato alla merce, di Per la critica dell’economia politica, opera che rappresenta il primo tentativo marxiano di esposizione scientifica delle categorie della critica dell’economia politica secondo il metodo elaborato nei Grundrisse. Nell’esposizione della categoria della merce il momento analitico muove dalle forme fenomeniche per introdurre, come presupposto esplicativo strutturale, una determinata divisione del lavoro. Il momento genetico del metodo consente di spiegare, dai punti di vista sistematico e storico, le forme della merce e del denaro come si sviluppano necessariamente dalla struttura esplicativa e dalle sue contraddizioni. La dialettica della merce costituisce, per tanti aspetti, una valida introduzione allo studio di Per la critica dell’economia politica, immettendosi nel vivo del dibattito sulla centralità che i Lineamenti fondamentali assumono per la comprensione del pensiero di Marx. Ad evidenziare la ricchezza di spessore teoretico e di dottrina filosofica del testo di Gajano interviene Roberto Finelli con la sua Postfazione dal titolo: Il peso storico di un’astrazione: tra logica e realtà.

 

Alberto Gajano ha insegnato Sociologia della conoscenza, Storia della filosofia e altre discipline filosofiche, prima nell’Università di Roma, poi in quella di Siena. I suoi interessi scientifici attraversano tutto l’arco cronologico, dalla filosofia antica a quella contemporanea, toccando una molteplicità di temi: anzitutto Descartes, sul quale ha scritto vari saggi; il commento tomista alla Metafisica di Aristotele; Platone, con i saggi sul Protagora, il Carmide e il Fedone, e sul rapporto fra giustizia e polis nella Repubblica; e ancora la filosofia di età moderna e contemporanea: Hegel e Marx, studiati in questo volume La dialettica della merce; e la Scuola di Francoforte, l’ermeneutica di Paul Ricoeur e il pensiero di Habermas.

 

 

Indice

Premessa

Valore d’uso e valore di scambio

Dal valore di scambio al lavoro

Il carattere determinato del lavoro

che si presenta nel valore di scambio

I punti di vista capitali

L’esistenza effettuale del lavoro astrattamente generale

Il carattere sociale specifico del lavoro che pone valore di scambio

Carattere duplice del lavoro

Il valore d’uso forma fenomenica del valore di scambio

Dalla considerazione analitica alla considerazione genetica

La considerazione genetico-sistematica

Dall’opposizione alla contraddizione

La soluzione dialettica della contraddizione

La considerazione genetico-storica

 

Postfazione di Roberto Finelli

Il peso storico di un’astrazione: tra logica e realtà


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Lucio Anneo Seneca (4 a.C. – 65) – Quale è la natura specifica dell’uomo? La ragione, che quando è retta e perfetta dà all’uomo la pienezza della felicità. Una tale ragione perfetta prende il nome di virtù, e altro non è che la coerenza morale.

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Lettere a Lucilio

Lettere a Lucilio

 

«Quale è la natura specifica dell’uomo?
La ragione,
che quando è retta e perfetta dà all’uomo la pienezza della felicità […].
Una tale ragione perfetta
prende il nome di virtù,
e altro non è che la coerenza morale».

 

Lucio Anneo Seneca, Epistole a Lucilio, 76,9.

 

*
***
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Busto in marmo di Seneca, scultura anonima del XVII secolo, Madrid, Museo del Prado

Busto in marmo di Seneca, scultura anonima del XVII secolo, Madrid, Museo del Prado

 

Le Epistulae morales ad Lucilium sono una raccolta di 124 lettere scritte da Lucio Anneo Seneca al termine della sua vita. L’opera venne scritta negli anni tra il 62 e il 65, ed è giunta a noi incompleta.


Seneca – De brevitate vitae. Non è breve la vita, ma tale la rendiamo

Lucio Anneo Seneca (4 a.C. – 65 d.C.) – Da quando il denaro ha iniziato a venire in onore, il reale valore delle cose è caduto in discredito. Gli uomini consacrano il denaro come espressione massima delle cose umane.


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Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – L’educazione è l’orientamento dell’anima alla virtù. La virtù è il piacere verso ciò che bisogna amare e l’avversione verso ciò che bisogna odiare

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Le leggi

 

«L’educazione è l’orientamento dell’anima alla virtù. […].

La virtù è il piacere verso ciò che bisogna amare

e l’avversione verso ciò che bisogna odiare».

Platone, Leggi, 653 a-c.

 

 


Platone, «Filebo» – Senza possedere né intelletto né memoria né scienza né opinione vera, tu saresti vuoto di ogni elemento di coscienza

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Coloro che sono privi della conoscenza di ogni cosa che è, e che non hanno nell’anima alcun chiaro modello, non possono rivolgere lo sguardo verso ciò che è più vero e non possono istituire norme relative alle cose belle e giuste e buone.

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Le relazioni con gli stranieri sono atti di particolare sacralità. Lo straniero si trova ad essere privo di amici e parenti, e quindi è affidato in modo particolare alla solidarietà degli dei e degli uomini. Non c’è colpa peggiore per un uomo che un torto fatto ai supplici

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Non esiste male maggiore che un uomo possa patire che prendere in odio i ragionamenti. L’odio contro i ragionamenti, e quello contro gli uomini, nascono nella stessa maniera.

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – È questo il momento nella vita che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un essere umano: quando contempla il bello in sé. La misura e la proporzione risultano essere dappertutto bellezza e virtù.

 


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Giovanni Casertano – La conoscenza, che è il fine più alto che un uomo possa proporsi, non è fine a se stessa, e non è limitata a pochi: ha e deve affermare una valenza etica, ed anche politica, per il concreto miglioramento della vita umana.

Tra Orfeo e Pitagora

Tra Orfeo e Pitagora

«La conoscenza, che è il fine più alto che un uomo possa proporsi, non è fine a se stessa, e non è limitata a pochi: ha e deve affermare una valenza etica, ed anche politica, per il concreto miglioramento della vita umana»

 

Giovanni Casertano, Orfismo e pitagorismo in Empedocle?, in: Tortorelli Ghidini M. – Storchi Marino A. – Visconti A., a cura di, Tra Orfeo e Pitagora. Tra origini e incontri di culture nella antichità, Bibliopolis, Napoli 2000, p. 234.

 

 

 


318 ISBN

Giovanni Casertano

Venticinque studi sui Preplatonici

Introduzione di Luca Grecchi

ISBN 978-88-7588-251-8, 2019, pp. 488, formato 170×240 mm., Euro 35

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Descrizione
Dalla matematica all’astronomia, dalla cosmologia alla botanica, dalla biologia alla psicologia, allo studio delle passioni, dell’anima, dell’amore e della morte, dell’amicizia, della logica, del metodo di ricerca: tutti questi campi costituiscono il nucleo ricco e variegato sul quale indagarono i Presocratici (o, se si vuole, i Preplatonici), i veri iniziatori del nostro pensiero scientifico e filosofico, tra VI e IV sec. a.C. Del loro enorme e ricchissimo patrimonio culturale si servì poi, inquadrandolo in nuovi orizzonti, e con nuove prospettive, il genio di Platone e di Aristotele. I saggi raccolti in questo volume, scritti in un arco di tempo di circa quarant’anni, vogliono essere una testimonianza del girovagare e del cercare, in quel vastissimo campo, consonanze e divergenze non solo tra alcuni dei grandi protagonisti di quelle avventure intellettuali, ma anche tra di loro e noi uomini dell’oggi: una testimonianza di quanto ancora oggi quelle indagini e quelle intuizioni ci servano a pensare e a riflettere su di noi e sul nostro mondo.

 

***

Sommario

Introduzione di Luca Grecchi

Generalia
Ricomposizione o rilettura del passato?
L’infanzia di Eros (da Omero a Parmenide)
La regina, l’anello e la necessità
L’immagine nei Presocratici

Epimenide
Che cosa ha “veramente” detto Epimenide

Ionici
Può ancora Talete essere considerato il “primo filosofo”?
Tempo, movimento e morte nella filosofia degli Ionici

Pitagorici
I Pitagorici e il potere: i molti sensi di un rapporto
Il numero-corpo, l’anima pulviscolo ed il respiro del tempo
Quel che Pitagora non ha detto
I primi Pitagorici nella testimonianza aristotelica

Parmenide
ΠIΣΤOΣ ΛΟΓΟΣ ed ΑΠΑΤΗΛΟΣ ΚΟΣΜΟΣ ΕΠΕΩΝ in Parmenide di Elea
Astrazione ed esperienza: Parmenide (e Protagora)
Noterelle parmenidee
Aristotele critico di Parmenide

Eraclito
Piacere e morte in Eraclito (Una “filosofia” dell’ambiguità)
Eraclito in Sesto Empirico

Empedocle
Amore e morte in Empedocle
Orfismo e pitagorismo in Empedocle?
Una volta fui arbusto e muto pesce del mare

Democrito
Logos e nous in Democrito
L’amicizia, un sentimento complesso: Democrito

Gorgia
L’ambigua realtà del discorso nel perì tou me ontos di Gorgia
Verità, errore e inganno in Gorgia

Hegel sui sofisti
Hegel e i sofisti

 

Anassimandro copia

Anassimandro


Alcuni libri di

Giovanni Casertano

Casertano 01

1974 Un discorso sui sofisti

Un discorso sui sofisti, Edizioni Il Tripode, 1974


1983 Deemocrito. Dall'atomo alla città

Democrito. Dall’atomo alla città, Loffredo Editore, 1983.


1983 Il piacere, l'amore ee la morte nelle dottrine dei presocratici

Il piacere, l’amore e la morte nelle dottrine dei presocratici, Loffredo Editore, 1983.


1987 Forme del sapere nei Presocratici, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1987.

Forme del sapere nei Presocratici, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1987.


1991 L'eterna malattia del discorso

L’eterna malattia del discorso, Liguori, 1991.


1994 Le filosofie antiche

Le filosofie antiche, Loffredo Editore, 1994.


1996 Il nome della cosa. Linguaggio e realtà negli ultimi dialoghi di Platone

Il nome della cosa.
Linguaggio e realtà negli ultimi dialoghi di Platone, Loffredo Editore, 1996.


2000 La struttura del dialogo platonico

La struttura del dialogo platonico, Loffredo Editore, 2000.


 

2002 Il Teeteto

Il Teeteto, Loffredo Editore, 2002.


2003 Morte

Morte, Guida. 2003.

“Sapevo di averlo generato mortale”: questa fu la risposta che Anassagora, nel V secolo a.C., dette a colui che lo informava della morte del figlio. Risposta a prima vista agghiacciante, quasi disumana. Eppure, da quella risposta, non traspariva soltanto un astratto razionalismo: dai Presocratici a Platone, troviamo sia la trama delle riflessioni teoriche, sia lo scavo dei sentimenti che hanno sempre accompagnato quell’atto alla fine sempre coraggioso con il quale l’uomo guarda non soltanto alla morte, ma anche alla propria morte: la considerazione razionale come quella mitologica, quella drammatica come quella rasserenante, quella di un’etica ‘eroica’ come quella di un’etica comune, ‘quotidiana’. Questo saggio ripercorre e ricostruisce non le tappe di una riflessione che si svolgerebbe ordinatamente e diacronicamente, ma le complesse e sfaccettate sfumature del concetto di ‘morte’ quale fu pensato, all’interno di prospettive diverse e con accentuazioni diverse, dai primi filosofi greci, da Talete a Platone.


2004 Il Protagora di Platone. Struttura e problematiche

Il Protagora di Platone. Struttura e problematiche, Loffredo editore, 2004.

Un dialogo in apparenza “facile” (ma quale dialogo di Platone è veramente “facile”?) come il Protagora può essere affrontato da prospettive diverse e con proposte ermeneutiche diverse. È quanto hanno fatto 32 studiosi, italiani e non, di filosofia antica, in un Convegno Internazionale tenutosi a Napoli nel settembre 2002: non leggendo relazioni o comunicazioni, ma fornendo in anticipo i propri interventi scritti a tutti i partecipanti, e costruendo così un ampio e reale spazio di confronto e di discussione che ha coinvolto tutto il pubblico dei presenti. Ne è scaturita una lettura del dialogo ricca, articolata, problematica e complessa, che certamente incontrerà l’interesse di tutti i lettori di Platone e di filosofia. Perché la diversità, a volte sostanziale, tra i diversi punti di vista critici non ha impedito di mettere in luce e di sottolineare alcuni nuclei fondamentali di questo dialogo, e, in prospettiva, della filosofia platonica. Che conservano intatti ancora oggi tutto il loro valore teoretico ed etico: il gioco delle parti tra i personaggi che si affrontano, in una discussione o nella vita concreta d’ogni giorno; l’indagine sulla virtù – o sulle virtù – in relazione al piacere e al bene dell’uomo; il ruolo che ha la poesia, anche nella sua relazione con la filosofia, nell’influenzare e nel determinare le anime degli uomini in vista delle proprie scelte di vita; l’eterno dilemma che accompagna la distinzione tra volere e sapere, tra viltà e coraggio, tra ignoranza e male. Nello stile, tipicamente platonico, dello sconvolgimento, del capovolgimento, della messa in crisi di ogni opinione precostituita e acriticamente accettata: perché infine, ma non per ultimo, quella che va (che andrebbe) sempre salvata e curata nelle discussioni e nei contrasti tra gli uomini, ieri come oggi, è la vita di un discorso razionale che possa armonizzare le diversità.

 


2004 Sofista

Sofista, Guida, 2004.

Scopo di questo saggio è tracciare le coordinate della “irruzione” dei sofisti sulla scena culturale e politica della Grecia antica, nonché della difficoltà che lo stesso maggior responsabile della loro cattiva fama, cioè Platone, incontrò quando decise di tracciare seriamente una netta distinzione tra il sofista e il filosofo. Inoltre si è cercato di dare un’idea dell’importanza delle riflessioni dei sofisti, perlomeno di quelli maggiori, nel campo della filosofia, dell’etica, della politica: riflessioni che ancora oggi, a 2500 anni dalla loro comparsa, nulla hanno perso della loro vivacità e della loro attualità.


2005 Il Cratilo di Platone, struttura e problematiche

Il Cratilo di Platone, struttura e problematiche, Loffredo editore, 2005.


2006 Da Parmenide di Elea al Parmenide di Platone

Da Parmenide di Elea al Parmenide di Platone, 2006


2007 Empedocle tra poesia, medicina, filosofia e politica, Loffredo

Empedocle tra poesia, medicina, filosofia e politica, Loffredo editore, 2007.


2007 La nascita della filosofia vista dai Greci

La nascita della filosofia vista dai Greci, Petite Plaisance, 2007.

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Che cosa hanno pensato i Greci della loro filosofia? e che cosa hanno pensato del loro debito culturale con l’Oriente? Queste due domande in effetti rispecchiano due importanti problemi storiografici, ma, per così dire, in un’ottica capovolta. Il problema della “nascita” della filosofia in Grecia (quando, come, con chi, e perché) ed il problema dei rapporti della nuova cultura filosofica e scientifica greca con le culture che la avevano preceduto (specialmente con quella egiziana), hanno sollevato, e continuano a sollevare, l’interesse degli studiosi, e non solo di filosofia. Importanti studi hanno visto la luce su questi problemi, e hanno aperto molte e nuove prospettive, con approcci diversi, e naturalmente risultati diversi, che hanno contribuito ad arricchire e ad ampliare gli orizzonti ermeneutici entro i quali essi potevano venir colti ed esaminati. Questo studio si pone gli stessi problemi, ma cerca di esaminarli da un altro punto di vista, quello dei Greci. Che cosa pensavano i Greci, dal V secolo a.C. al II d.C., della loro filosofia, e in che cosa pensavano di dipendere (se pensavano di dipendere) da altre e più antiche culture? Naturalmente, questo saggio non vuole dare risposte definitive a queste domande, ma solo aprire un’altra via di indagine, non secondaria certamente, per poterle affrontare in un orizzonte più ampio.


2007 Paradigmi della verità in Platone

Paradigmi della verità in Platone, Editori Riuniti Univ. Press, 2007.

C’è una immagine di Platone che viaggia dall’antichità ad oggi, l’immagine cioè di una filosofia che stabilisce nettamente i confini e l’opposizione tra corpo e anima, tra sensi e ragione, tra cose e idee, tra opinione e conoscenza. Tra vero e falso. Ma una lettura diretta e senza preconcetti della pagina platonica, inserita volta a volta nel singolo contesto di ogni singolo dialogo, non conferma quasi mai quell’immagine. Questo studio si propone di inseguire l’idea della verità in tutti i dialoghi di Platone. Per scoprire che anche la “verità platonica” non è quella che vive in un ipotetico mondo delle idee, separato da ogni possibile contatto col mondo concreto e reale, così come l’ “amore platonico”, il “proposito platonico”, e tutto ciò che, ancora oggi, qualifichiamo con quell’aggettivo, con l’esplicito proposito di individuarlo in termini di pura astrattezza. La verità platonica ha a che fare esattamente col nostro mondo di incertezze, inquietudini, errori, fallimenti; ma anche col nostro mondo di relative certezze, di aspettative, di volontà di cambiamento, di ricerca di un orizzonte più ampio di espressione e di comunicazione: in una parola, col nostro concreto vivere in un mondo reale, col nostro concreto atteggiarci nelle molteplici prospettive, private e pubbliche, entro le quali lo viviamo. Per scoprire, alla fine, che essa è una questione, più che di logica o di metafisica, di vita e di scelte di vita.


2009 I presocratici

I presocratici, Carocci editore, 2009.

Con i Presocratici, nella Grecia del VI secolo a. C., inizia la riflessione filosofica nella cultura occidentale. Inizia anche quella che oggi viene chiamata la “storia della filosofia”. Il volume affronta i seguenti argomenti: chi sono i presocratici. Modalità e problematicità della ricostruzione del loro pensiero; Creta e Mileto; i pitagorici; la poesia filosofica del VI e V secolo, Eraclito; Empedocle; medicina e matematica tra V e IV secolo; la filosofia giunge ad Atene; filosofia e scienza ad Abdera.


2011 Il Fedro di Platone, struttura e problematiche

Il Fedro di Platone, struttura e problematiche, Loffredo editore, 2011.


2015 Giustizia, filosofia e felicità

Giustizia, filosofia e felicità, Aracne, 2015.


L. Palumbo, a cura di, Logon didonai. La filosofia come esercizio del rendere ragione. Studi in onore di Giovanni Casertano, Loffredo, Napoli 2011

L. Palumbo, a cura di, Logon didonai. La filosofia come esercizio del rendere ragione. Studi in onore di Giovanni Casertano, Loffredo, Napoli 2011.


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Salvatore A. Bravo – I barbari e l’Occidente. La comunità è il luogo del dono. La barbarie è l’incapacità di pensare la possibilità del dono. La bellezza germina nel pensiero che medita sull’esperienza. L’edonismo struttura un mondo senza intelligenza.

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Salvatore A. Bravo

I barbari e l’Occidente

I barbari non sono alle porte, sono nell’Occidente, fino ad essere l’Occidente. La barbarie è la cifra di un vivere civile senza dono, società senza comunità: è la condizione del capitalismo assoluto, niente è gratuito, ma tutto è usato, strumentalizzato per ottenere risultati immediati.
La comunità è il luogo del dono, è nella parola stessa il significato etico. Il bene che tale parola veicola è espresso nel suo significato etimologico: comunità, dal latino communitas (composto di cum e munus): il cumfa riferimento alla dualità nella quale è possibile e si materializza il dono. Quest’ultimo è gratuito, ed è nella forma del tempo solidale. Offrire il proprio tempo, donarlo, significa donare la vita.
La barbarie è l’incapacità, non tanto di donare, ma – più in profondità – è l’incapacità di pensare la possibilità del dono. Il capitalismo assoluto ha eroso e corroso ogni idea di bene sostituendola con la violenza acquisitiva delle merci. In tal modo il bene ed il male – quali categorieassiologiche – sono scomparse, per lasciare il posto ad una società in-civile nella quale l’atomistica delle solitudini è segnata dalla volontà acquisitiva.

Società senza dono è dunque la barbarie
Non si è giunti allo stato presente in modo improvviso. A tutto ciò ha contribuito anche l’adattamento della filosofia, e di coloro che si autoproclamano filosofi, al modo di produzione capitalistico nelle sue forme integraliste ed assolute. Tale responsabilità della filosofia è da rintracciare nella fuga dall’universale, nell’indicare quale vera ricerca del bene solo ed unicamente l’adattarsi al trionfo delle scienze. Il positivismo con la sua filosofia adialettica, ancora vigente nel mondo accademico, ha rinunciato all’autonomia epistemica della filosofia per inseguire un modello di assimilazione che l’ha ridotta a presenza dipendente dalle scienze ed in una posizione subordinata. La filosofia, nel migliore dei casi, come in Herbert Spencer, astrae dai risultati delle scienze principi generalissimi, ha abdicato ad ogni ricerca del trascendentale nell’immanenza, come svolta dall’Idealismo, perdisperdersi nell’empirico, e rinunciare ad ogni catabasipolitica e sociale. La rinuncia all’universale significa declinare da ogni impegno politico e sociale per divenire lo sgabello silenzioso e servile del sistema capitale-azienda. Nel migliore dei casi la filosofia assume il ruolo di controllo ed esplicitazione per generalizzazione dei risultati scientifici:

«Le verità della filosofia, quindi, hanno lo stesso rapporto rispetto alle verità scientifiche superiori che queste ultime hanno rispetto alle verità scientifiche inferiori. Così come ogni più ampia generalizzazione della scienza ricomprende e consolida le generalizzazioni più ristrette di una certa branca, le generalizzazioni della filosofia ricomprendono e consolidano le generalizzazioni più ampie della scienza. Si tratta dunque di una conoscenza che si trova all’estremo opposto, per genere, a quella che l’esperienza accumula. È il prodotto finale del processo che muove da un mero collegamento di osservazioni non elaborate, istituisce proposizioni via via sempre più ampie e disgiunte da casi particolari, ed esita nella formulazione di proposizioni universali. Per semplificare al massimo questa definizione, diciamo che la conoscenza di genere più basso è una conoscenza non unificata, la conoscenza della scienza è parzialmente unificata, e la conoscenza della filosofia è completamente unificata».[1]

 

Attività senza metafisica: medicina e ginnastica
La rinuncia ad ogni metafisica ha favorito il prevalere della razionalità strumentale sulla razionalità oggettiva. Con il rifiuto preconcetto della metafisica, vero ossimoro filosofico, la filosofia servile dell’oggi ha ricusato la problematizzazione.
La Filosofia, invece, è dove il logos – attraverso processi di indagine mediati dall’argomentare logico e dialettico – trascende l’immediato per orientare la visuale verso l’universale, verso il bene: ogni attività scissa dall’universale e consegnata al particolare non può che mostrare gli effetti dell’assenza di senso e di fine.
Nel Gorgia Platone dimostra come la ginnastica senza l’oggettività razionale del suo agire, perde il suo senso, si svilisce in pura attività volta allo scopo di agghindarsi perdendo così la sua ragion d’essere oggettiva, ovvero la cura e la disciplina delle pulsioni al fine di ordinare la vita psichica. L’armonia è un processo di controllo delle pulsioni per sublimarle nell’universale comunitario. L’anima necessità del controllo del corpo, per poter fiorire, mentre la pratica della ginnastica funzionale all’estetica non può che far precipitare l’anima nel corpo, fino a far trascinare l’anima dal corpo. Anche la medicina, il cui fine è la cura, può essere sostituita dalla culinaria che offre i suoi alimenti per il piacere immediato, senza conoscere i significati profondi e gli effetti dei cibi-farmaci somministrati. La culinaria e l’agghindarsi sono una forma di positivismo, di risultato empirico scisso dall’universale. Si insegue l’edonismo per soddisfare le pulsioni, celando dietro il velo di Maya del piacere immediato il male. L’empiria fine a se stessa, in realtà è solo corpo (Körper), in quanto ha rinunciato ad ogni fine universale per essere corpo e parola del nichilismo (nihil, nulla). Il male è nella rinuncia al sommo bene, alla razionalità che fonda il senso dell’essere sociale in ogni attività quotidiana:

«Nell’arte politica, poi, l’arte della legiferazione è l’equivalente della ginnastica, mentre alla medicina corrisponde la giustizia. L’una e l’altra arte di ogni singola coppia sono fra loro in stretta relazione, dal momento che hanno a che fare col medesimo oggetto: la medicina con la ginnastica e la giustizia con l’arte della legiferazione; tuttavia in qualcosa si distinguono l’una dall’altra. Ebbene, che queste arti sono quattro e che curano, mirando sempre al meglio, le une il corpo, le altre l’anima, se n’è accorta la lusinga, non per via di conoscenza ma per averlo indovinato, e, divisasi in quattro, si è insinuata sotto ciascuna di queste parti, e finge di essere quell’arte sotto cui si è insinuata; di ciò che sia meglio non si dà alcun pensiero e con quello che di volta in volta è la cosa più piacevole tende trappole agli stolti e li inganna, al punto dì far credere loro di essere cosa di grandissimo valore. Dunque, sotto la medicina si è insinuata la culinaria, e finge di sapere quali siano i cibi migliori per il corpo così abilmente che, se un cuoco e un medico dovessero competere davanti ad una giuria di fanciulli, o di uomini tanto stolti quanto lo sono i fanciulli, per decidere chi dei due si intenda dei cibi buoni e dei cibi dannosi, se il medico o il cuoco, il medico morirebbe di fame. Ebbene, questo io lo chiamo lusinga, e dico che è una brutta cosa, o Polo, e con questo rispondo alla tua domanda, perché mira al piacere senza tener conto del sommo bene. E non la definisco arte ma attività empirica, perché offre le cose che offre senza avere alcuna intelligenza di quale sia mai la loro natura, sicché non può spiegare la ragione di ciascuna di esse. Ed io non chiamo arte un’opera che non si possa razionalmente giustificare. Ma se non sei d’accordo su queste mie affermazioni, sono disposto a renderne conto. Sotto la medicina, dunque, sta, come dicevo, la lusinga culinaria; sotto la ginnastica, parimenti, la lusinga dell’agghindarsi, malefica, ingannevole, ignobile e servile, che inganna con figure esteriori, colori, leziosità e vesti, al punto da far sì che gli uomini preoccupati di attirare su di sé una bellezza estranea, trascurino la propria, quella cioè che si ottiene grazie alla ginnastica. Ma per non farla troppo lunga, voglio spiegarmi usando il gergo dei geometri, perché così , forse, riuscirai a seguirmi, e voglio dirti che, come l’arte di agghindarsi sta alla ginnastica, così la sofistica sta all’arte della legiferazione, e che, come la culinaria sta alla medicina, così la retorica sta alla giustizia. Ebbene, quello che intendo dire è che, pur essendo le due arti per natura distinte, dal momento, però, che sono fra loro vicine, sofisti e retori si confondono in uno, e così le cose di cui si occupano, e non sanno che funzione attribuire né loro a se stessi né gli altri a loro. Se, infatti, l’anima non governasse il corpo, ma questo si governasse da sé, e se non fosse l’anima a riconoscere e a distinguere la culinaria e la medicina, ma fosse il corpo a giudicarle stimandole in base ai piaceri che gliene vengono, allora, o Polo, varrebbe quanto dice Anassagora visto che tu di queste cose sei pratico, e tutte le cose si confonderebbero in una, senza che si potessero più distinguere le cose della medicina, della salute e della culinaria. Hai sentito, dunque, quello che io sostengo che la retorica sia: essa è per l’anima l’equivalente di quello che la culinaria è per il corpo. Ma ecco che, forse, ho fatto una cosa assurda: pur non permettendo a te di fare lunghi discorsi, proprio io ho tirato il mio discorso per le lunghe. Ma merito il perdono: quando parlavo in modo conciso, non capivi, e non sapevi cavare nulla dalla risposta che ti avevo dato, ma avevi bisogno che ti venisse spiegata per esteso. Ebbene, se anch’io, a una tua risposta, non saprò cavarne nulla, allora anche tu potrai sviluppare il tuo discorso; se, invece, io saprò che utilità cavarne, lascia che ne faccia buon uso, come è giusto che sia. E ora, fa’ pure quello che vuoi di questa mia risposta». [2]

 

Immediatezza e diniego
Le arti, i saperi dispersi nel gioco del subitaneo, divengono oggetto delle peggiori passioni, si danno allo spettacolo, alla competizione, scambiano il piacere per il bene, fanno di sé un mezzo per gratificazioni impossibili, e dunque sono degli orci bucati, metafora che Platone espone nel dialogo con Callicle nel Gorgia: dove l’universale pone il limite consapevole, si ritrovano gli orci che vivono la pienezza di sé in essi sedimentata. L’orcio bucato è l’edonismo (dal greco antico ἡδονή, edoné, piacere) nichilistico, mentre l’orcio che pensa e dà ordine alle esperienze crea un ordine, un cosmo ed è dunque disposto all’eudemonia (dal gr. εὐδαιμονία, der. di εὐδαίμων «felice», comp. di εὖ «bene» e δαίμων, «demone, sorte»).
La bellezza germina nel pensiero che media e medita sull’esperienza per trarne la vita, l’agere, un nuovo inizio radicato nell’identità e nella consapevolezza di sé. Il buon demone conduce l’essere umano dal particolare all’universale, lo umanizza, ne scolpisce la potenzialità, la rende atto.
L’edonismo, l’empiria, strutturano un mondo senza intelligenza, senza armonia e benessere. Il pratico inerte, secondo la definizione di Sartre, è la condizione della passività. E l’edonismo addestra: è la caduta del soggetto nella mobilitazione edonistica di massa, il suo evaporare nella plebe. Si ha così l’individualismo senza soggetto, l’individuo è interscambiabile, sostituibile, rilevante solo per la quantità dei consumi.
L’immediatezza è il trionfo della scomparsa del soggetto, la cui libertà è nell’assenza di forma e di contenuti.
Il diniego è l’altro volto del consumismo totale. L’abitudine all’automatismo acquisitivo struttura il diniego del malessere che, pur sentito, non è ascoltato e accolto: il diniego è la rimozione del male che puntualmente ritorna. La barbarie è il diniego dello stato presente obnubilato dai miti che la sovrastruttura del capitalismo assoluto offre quali oppiacei per sopportare la notte del mondo.

Subitaneo e trascendentale
Nella filosofia antica il problema è stato posto: la condizione umana si dibatte nel tentativo di superare la scissione tra il subitaneo e il trascendentale. Non si è umani se non si ascolta e si vive il problema. Con il trionfo della adialettica positivistica, la filosofia, in particolare la filosofia accademica, ha rinunciato ad ogni fondazione metafisica, consegnandosi all’empiria con l’effetto che ha sostenuto i processi di scissione e frammentazione, per cui l’insegnamento scisso dal senso profondo è divenuto didattica, la politica propaganda narcisistica, la medicina arte della cura di organi e non arte sistemica della persona e così via.
Dalla scissione si può uscire, ancora una volta il potenziale è conservato nel grembo della filosofia. Platone, nel Parmenide, teorizza l’essere, il fondamento come unità nel molteplice. In tale maniera il fondamento non nega la molteplicità, ma le parti si ricompongono in un’unità più grande. Il fondamento comunitario è nella consapevolezza di appartenere ad una comune natura, e ciò dispone al dono, al limite (katéchon), al fine di accogliere la parola dell’altro. In tal maniera le parti si ritrovano nel tutto, senza la violenza della parte che confligge con le altre parti, perché non ne riconosce il comune fondamento:

«è necessario che il tutto e la parte prendano parte dell’uno. Il tutto sarà un uno di cui parti sono le parti; mentre ciascuna parte del tutto, quale che sia, sarà una parte del tutto». «è così ». «Ciò che partecipa dell’uno non vi prenderà parte essendo diverso dall’uno?» «Come no?» «Molte saranno le cose diverse dall’uno: se infatti le cose diverse dall’uno non fossero né uno, né più di uno, nulla sarebbero». «No, certo». «Dal momento che sono più di uno quelle cose che partecipano dell’uno come parte e dell’uno come tutto, non è necessario siano molteplici e infinite queste cose che prendono parte dell’uno?» «Come?» «Osserva. Esse, allorquando partecipano dell’uno, vi prendono parte non essendo uno e non partecipandovi?» «è chiaro». «Non è dunque molteplicità in cui l’uno non è?» «Sì , lo è». «E allora? Se volessimo con il pensiero sottrarre da tale molteplicità la parte più piccola che riusciamo a sottrarre, non sarebbe necessario che anche la parte che abbiamo separato, se è vero che non prende parte dell’uno, sia molteplicità e non uno?» «Per forza». «Dunque analizzando sempre in questo modo quella natura, presa di per sé, diversa dalla specie dell’uno, quale che sia la parte di essa che noi sempre osserviamo, non sarà infinita e molteplice?» «Assolutamente». «Non appena ciascuna parte diviene parte, esse saranno già fornite di un limite le une verso le altre e verso il tutto, e il tutto verso esse».[3]

 L’uscita dalle barbarie trova nella filosofia una delle vie privilegiate, perché la filosofia è metafisica. Solo riportando il bene nella centralità della discussione culturale ed umana si avrà la possibilità, non la certezza, di uscire dalla caverna al cui buio ci si è abituati.

La normalità della caverna è la barbarie dell’Occidente, ma non è un destino.

 

Salvatore A. Bravo

 

*
***
*

[1] Herbert Spencer, I princìpi primi, Williams and Norgate, Londra 1867, traduzione di Angelo Magliocco, pag. 87.

[2] Platone, Gorgia, ww.ousia.it, pag. 17.

[3] Platone, Parmenide, ww.ousia.it, pag. 20.

 

 

 

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Democrito (460 – 370 a.C. circa) – Bisogna difendere nei limiti delle proprie forze coloro che patiscono ingiustizia, e non lasciar correre: giacché un tale atteggiamento è giusto e coraggioso, l’atteggiamento contrario è ingiusto e vile.

Massime

«Bisogna difendere nei limiti delle proprie forze coloro che patiscono ingiustizia, e non lasciar correre: giacché un tale atteggiamento è giusto e coraggioso, l’atteggiamento contrario è ingiusto e vile».

Democrito, B261.


Democrito (460 – 370 a.C. circa) – Si deve essere veraci, non loquaci. Chi si compiace nel contraddire e chiacchiera molto non ha attitudine ad apprendere ciò che è necessario. Né arte né scienza si può conseguire da chi non apprende.


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Giacomo Leopardi (1798-1837) – Niente nella natura annunzia l’infinito, l’esistenza di alcuna cosa infinita. L’infinito è un parto della nostra immaginazione, della nostra piccolezza ad un tempo e della nostra superbia.

Leopardi Giacomo 036
Zibaldone 01

Zibaldone

 «Niente nella natura annunzia l’infinito, l’esistenza di alcuna cosa infinita. L’infinito è un parto della nostra immaginazione, della nostra piccolezza ad un tempo e della nostra superbia. […] Pare che solamente quello che non esiste, la negazione dell’essere, il nulla, possa essere senza limiti, e che l’infinito venga in sostanza a esser lo stesso che il nulla».

 

Giacomo Leopardi, Zibaldone, a cura di Rolando Damiani, Mondadori, Milano 2015, 4178,  vol. Il, pp. 2738-2739 (annotazione del 2 maggio 1826).


Giacomo Leopardi – Cos’è la lettura per l’arte dello scrivere

Giacomo Leopardi (1798-1837) – Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione

Giacomo Leopardi (1798-1837) – La felicità non è che la perfezione, il compimento della vita.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – Un sorriso e una poesia possono aggiungere un filo alla trama brevissima della vita, accrescendo la nostra vitalità.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – La più sublime, la più nobile tra le Fisiche scienze ella è senza dubbio l’Astronomia. L’uomo s’innalza per mezzo di essa come al di sopra di se medesimo.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – «Dialogo della Moda e della Morte». La moda appartiene perciò a quel tipo di fenomeni che tendono a un’estensione illimitata. Cara Morte, mostri di non conoscere la potenza della Moda, perché ho messo nel mondo tali ordini e tali costumi, che la vita stessa, così per rispetto del corpo come dell’animo, è più morta che viva.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – Parlerò della miseria umana, degli assurdi della politica, dei vizi e delle infamie non degli uomini ma dell’uomo.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – Come l’uomo dimostra la grandezza e la potenza dell’umano intelletto, l’altezza e nobiltà sua, l’immensa capacità della sua mente.


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Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – È questo il momento nella vita che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un essere umano: quando contempla il bello in sé. La misura e la proporzione risultano essere dappertutto bellezza e virtù.

Platone 014a
Simposio
«È questo il momento nella vita
che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un essere umano:
quando contempla il bello in sé».

Platone, Simposio 211 d.


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FIlebo

«La misura e la proporzione
risultano essere dappertutto
bellezza e virtù».

Platone, Filebo, 64 e.


Platone, «Filebo» – Senza possedere né intelletto né memoria né scienza né opinione vera, tu saresti vuoto di ogni elemento di coscienza

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Coloro che sono privi della conoscenza di ogni cosa che è, e che non hanno nell’anima alcun chiaro modello, non possono rivolgere lo sguardo verso ciò che è più vero e non possono istituire norme relative alle cose belle e giuste e buone.

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Le relazioni con gli stranieri sono atti di particolare sacralità. Lo straniero si trova ad essere privo di amici e parenti, e quindi è affidato in modo particolare alla solidarietà degli dei e degli uomini. Non c’è colpa peggiore per un uomo che un torto fatto ai supplici

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Non esiste male maggiore che un uomo possa patire che prendere in odio i ragionamenti. L’odio contro i ragionamenti, e quello contro gli uomini, nascono nella stessa maniera.

 


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Jean Baudrillard (1929-2007) – L’uomo non smette di espellere quello che egli è, quello che prova, quello che significa ai propri occhi con tutti gli artefatti tecnici che egli ha inventato, e all’orizzonte dei quali sta scomparendo.

Jean Baudrillard 03
Il delitto perfetto

Il delitto perfetto

 

«Abbiamo rinunciato a considerare noi stessi […] come i soggetti della storia;
ci siamo detronizzati e al nostro posto abbiamo collocato altri soggetti della storia,
anzi un solo soggetto: la tecnica».

G. Anders, L’uomo è antiquato, volume II, Bollati Boringhieri, Milano, p. 258.

 

 

«L’uomo non smette di espellere quello che egli è, quello che prova, quello che significa ai propri occhi: sia che questo accada con il linguaggio, il quale ha una funzione di esorcismo; sia che ciò capiti con tutti gli artefatti tecnici che egli ha inventato, e all’orizzonte dei quali sta scomparendo, in un processo irreversibile di transfert e di sostituzione. McLuhan considerava le tecnologie moderne delle ‘‘estensioni dell’uomo’’; bisognerebbe piuttosto considerarle delle “espulsioni dell’uomo”».

 

Jean Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, Raffaello Cortina, Milano 1996, p. 41.

 


Jean Baudrillard (1929-2007) – La morte è immanente all’economia politica. È per questo che essa si vuole immortale.
Salvatore Antonio Bravo – Le miserie della società dell’abbondanza. La verità del consumo è che essa è in funzione non del godimento, bensì della produzione.

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