Macerata (5-6 dicembre 2018) – AL DI QUA DEL BENE E DEL MALE. Gli Antichi e la complessità del reale alla luce del Multifocal Approach *(Maurizio MIGLIORI – Paola Rosalba CAMACHO GARCIA – Lucia PALPACELLI – Mino IANNE – Federica PIANGERELLI – Luca GRECCHI – Arianna FERMANI – G. Angelini – R. Di Stefano – E. Napoletani – G. Teti)

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Unimc

Sfi

Multifocal

Università delle Marche

Al di qua del bene e del male

 

Gli Antichi e la complessità del reale

alla luce del Multifocal Approach

 

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5-6 dicembre 2018

VIA GARIBALDI, 20 / MACERATA

 

mercoledì 5 dicembre

ore 15.00-19.00 AULA D DI FILOLOGIA CLASSICA

 

Maurizio MIGLIORI (Università di Macerata):

 

La polivalenza dell’Uno in relazione ai processi costitutivi del reale nel Parmenide di Platone

 

Paola Rosalba CAMACHO GARCIA (Pontificia Università Antonianum):

 

Il bene e male nella fondazione dell’uomo interiore in Plotino

 

Lucia PALPACELLI (Università di Macerata):

 

Buoni e cattivi maestri per insegnare la virtù. Il gioco serio dell’Eutidemo di Platone

 

Mino IANNE (Università di Taranto):

 

Platone: l’approccio multifocale alla legge e alla giustizia nell’Apologia e nel Critone

 

 

giovedì 6 dicembre

ore 9.00-12.30 AULA D DI FILOSOFIA

 

Federica PIANGERELLI (Università di Macerata):

 

Una lettura multifocale del concetto di piacere in Epicuro

 

Luca GRECCHI (Università di Milano Bicocca):

 

Il rispetto e la cura come elementi costitutivi del bene. Riflessioni a partire dal primo pensiero greco

 

Francesca EUSTACCHI (Università di Macerata):

 

Bene e male nei Dissoi Logoi: una visione multifocale e antirelativista

 

Arianna FERMANI (Università di Macerata):

 

«Nobili in un solo modo, ignobili in tanti modi» (Etica Nicomachea, II, 6, 1106 b 35): bene e male in Aristotele

 

DISCUSSANT:

 

Giulia ANGELINI (Università di Padova);

 

Riccardo DI STEFANO (Unimc);

 

Erica NAPOLETANI (Unimc)

;

 

Giacomo TETI (Università Sapienza Roma)

 

INFO
arianna.fermani@unimc.it

 

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Al di qua del bene e del male.
Gli Antichi e la complessità del reale alla luce del Multifocal Approach


 

AA.VV- – «Multifocal Approach» – LA REALTÀ AMA NASCONDERSI? DOES REALITY LIKE HIDING? – Il multifocal approach come valorizzazione dei profili “visibili” e “invisibili” di una realtà complessa – PRIMO INCONTRO INTERNAZIONALE



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Anna Beltrametti – C’è anche un pensiero delle donne? Le donne del teatro greco sono laboratori di utopia infiniti. Sono talmente forti in questa loro energia utopica di un mondo da rifondare, da rinnovare, di un mondo possibile, che è la filosofia stessa ad attingere al loro pensiero.

Anna Beltrametti 001

Anna Beltrametti

Ci sono anche i pensieri delle donne?

Classici contro copia

 

Le donne.
Ho chiesto un punto interrogativo al tema che mi veniva suggerito.
C’è anche un pensiero delle donne?
Il punto interrogativo è d’obbligo, perché la cultura greca antica, che pure ci arriva con ricche testimonianze, non ha voci di donne dirette per noi. Se togliamo una voce incantevole che è quella della poetessa Saffo, le donne ci arrivano sempre come voci mediate, come voci indirette. Potrebbero anche essere voci in qualche modo manipolate, adulterate: saranno voci vere?
Socrate, quasi attraverso un ventriloquio, ci riporta Diotima nel Simposio, quel racconto meraviglioso di Eros, nato dalla povertà e dall’espediente che certa di rimediare alle crisi e alle mancanze della povertà. È ancora Socrate, nel Menesseno, che riporta la voce di Aspasia, una intellettuale di primo ordine, di cui sappiamo che aveva insegnato a Pericle la retorica gorgiana, gli aveva insegnato a parlare dunque, ad essere convincente. Ma Aspasia ci arriva attraverso Socrate.

Dall’altra parte abbiamo un teatro, che è la forma di comunicazione per eccellenza dell’Atene democratica del V secolo a.C., di questo secolo d’oro. Abbiamo un teatro tragico e un teatro comico che è abitato – è affollato direi – di personaggi femminili: numerosi, forti, dirompenti.
Non sono soltanto di donne quelle voci del passato che non passa, sono anche talvolta le voci del futuro che incombe. Voglio pensare alle Baccanti, un capolavoro dell’umanità (come lo è l’Orestea, come lo sono le Troiane). Una tragedia tarda, e postuma: Euripide la scrive in Macedonia. È una tragedia con un Dio in scena e con il palazzo del potere che crolla. Ci stiamo ancora domandando – come studiosi – come questo palazzo del potere crolli: con quali effetti, quali erano i mezzi, non c’era scenografia in questo teatro. Che cosa poteva succedere? Il pubblico comunque lo percepiva. E ne percepiva la paura. Il palazzo del potere crolla e il Dio si libera dai legami e dalla prigione in cui il tiranno Penteo crede di averlo costretto. E le donne, sedotte da Dioniso, lasciano le case per il monte, lasciano la città per il bosco: sono le prime ad avvertire quella forza che il Dio, pur se escluso dal potere, libera in ogni caso nella città che lo rifiuta. Sono le prime ad avvertirla quella energia, quella forza, e le prime a sottrarsi a quell’arroganza del potente, di Penteo, che cerca di trattenerle, che vorrebbe con la forza riportarle nelle case. E se le donne sono le prime, sono proprio i pilastri della società che crollano, perché le donne, come madri, come figlie, come sorelle, sono coloro che sorreggono la società nei legami capitali e fondamentali.
Tutto ciò ci fa capire come i classici più che ascoltarci ci debbano inquietare. Come siano ineludibili le provocazioni che ci vengono da questi testi e come nel teatro le donne siano gli strumenti privilegiati di questa critica potente. Quello sguardo eccentrico delle donne che prima coglie e poi colpisce i centri nevralgici di una logica del vivere collettivo che non è più condivisibile. Ci sono le donne comiche che sono laboratori di utopia infiniti oltre che di risata e di liberazione. Sono talmente forti in questa loro energia utopica di un mondo da rifondare, da rinnovare, di un mondo possibile, che è la filosofia stessa, la filosofia platonica, attraverso Socrate, ad attingere a questa meravigliosa capacità e potenza delle donne del teatro comico e delle donne del tetro tragico di cui abbiamo parlato: sono esse i granelli di sabbia, creature a volte minuscole, queste madri e queste vergini, che fanno inceppare i meccanismi di una città che sembra molto ben oliata, che sembra procedere quasi in automatico, ma che rivela – proprio sotto questo attacco e questa critica femminile – fragilità inattese.

Come con essere affascinate, come non essere affascinati?

Soprattutto in questa tristezza di una regressione culturale femminile, che forse va più veloce, e va oltre quello che ci aspetteremmo e ci aspettiamo anche dalla società nel suo complesso.

Anna Beltrametti


Pubblicato su YouTube da youcafoscari il 01-06-2012

A cura di Alberto Camerotto e Filippomaria Pontani – Università Ca’ Foscari Venezia – Dipartimento Studi Umanistici – Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali – Associazione Italiana di Cultura Classica Venezia – Centro Studi “Antropologia e Mondo Antico” – Università di Siena – Comune di Vicenza Assessorato alla Cultura – Liceo Classico Antonio Pigafetta Vicenza – Daniela Caracciolo, Luciano Chiodi, Stefano Strazzabosco, Dino Piovan.

Progetto video a cura di Emanuele Basso, Marco Del Monte, Luca Pili.

Disegno dell’Equus Troianus di Luciano De Nicolo.


Anna Beltrametti, La giustizia di Medea_Pagina_1

Anna Beltrametti, La giustizia di Medea


Alcuni libri di Anna Beltrametti

 

Anna Beltrametti, Erodoto, La Nuova Italia, 1986.

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Immagini della donna, maschere del logos, in I Greci, II/2, Torino, Einaudi, 1997.

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Euripide, Le tragedie

Tragedie di Euripide

Einaudi, 2002

Il volume raccoglie tutte le tragedie di Euripide nella traduzione di Filippo Maria Pontani. Ma la novità del commento, affidato a Anna Beltrametti, sta nella scelta di raggrupparle per temi, con introduzioni di tipo antropologico e storico-culturale per ogni sezione. Queste le aree tematiche: Eros e gamos; Alle radici del mito ateniese; Lo sguardo rovesciato delle donne di Troia; Dai legami di sangue ai crimini di famiglia; Gli eroi folli e la fine dell’eroe; Idoli e sostituzioni mitiche; Dioniso e Reso, il suo profeta.

***

Repubblica. Da Platone

Repubblica. Da Platone

 

Ets, 2003. Pubblicazione della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pavia.

Scegliendo la forma della riscrittura gli autori amplificano lo spazio interpretativo. Dei testi platonici il dramma svolge le implicazioni, sviluppa i sottintesi, esaspera le tensioni tra i personaggi. Dà la parola a quelli che erano muti nel dialogo platonico della kallipolis, evoca quelli che non erano là, nella casa di Cefalo, ma erano nella mente dei presenti, come Alcibiade, introduce quelli che non erano là per il dialogo, ma vi sarebbero entrati, per uccidere gli amici e confiscare i loro beni, all’alba del colpo di Stato. Innescate dalla memoria di Lisia, il sopravvissuto, riconsiderate dal punto di vista dei loro esiti di terrore e di orrore, di un futuro già del tutto compiuto, circostanze apparentemente slegate si concatenano in una sequenza sconcertante di cause e di effetti: il processo e la condanna di Socrate, su cui il dramma si apre e si chiude, appaiono l’ultimo episodio di una tragedia annunciata. Senza cercare facili effetti, il dramma, con le dislocazioni tipiche della tragedia greca e di tutto il buon teatro, proietta su Platone inquietudini della nostra contemporaneità, ma, soprattutto, scopre in Platone immagini, temi e personaggi che attraversano la storia e ancora sembrano cogliere, dire e far vedere, le ambiguità del nostro tempo. Nel montaggio incrociato di storia antica e disagio presente, personaggi forti, che si confrontano in scontri duri, su tutti i piani, secondo tutti i registri di linguaggio – colloquiale, quotidiano e colto; criptico; triviale, pragmatico e violento; nostalgico, sentimentale e introspettivo obbligano il pubblico a nuove domande sull’Atene che ha studiato e sull’attualità che sta vivendo (Anna Beltrametti).

 

***

La letteratura greca. Tempi e luoghi, occasioni e forme

La letteratura greca. Tempi, luoghi, forme

Carocci, 2005.

l volume presenta ciò che ci resta della letteratura greca antica non solo secondo la sequenza cronologica, ma anche secondo la distribuzione geografica. Alla base c’è l’intento di contrastare periodizzazioni secche (il tempo non passa con la stessa velocità nei vari luoghi) e il consolidarsi di false prospettive, di mostrare come le forme si modifichino o si conservino non solo nel tempo o in funzione delle occasioni a cui rispondono, ma anche in relazione ai luoghi, profondamente e durevolmente segnati da cerimonie e rituali specifici, da consuetudini culturali precise. Anna Beltrametti insegna Lingua e letteratura greca presso l’Università di Pavia.

 

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Studi e Materiali per le Baccanti di Euripide. Storia Memorie Spettacoli

Studi e Materiali per le Baccanti di Euripide. Storia Memorie Spettacoli

Ibis, 2007.

Le “Baccanti” sono state un classico di culto ricorrente nel Novecento e sono tornate al centro dell’attenzione sul volgere del secolo e del millennio. Perché questi ritorni? Perché l’ultima tragedia di Euripide, che aveva portato in scena un dio straniero fatto uomo e il crollo dei palazzi del potere, superando le regole di verosimiglianza e i mezzi di rappresentazione del teatro antico, ci si ripresenta con questa frequenza? Con quali significati? Le “Baccanti” hanno accompagnato la rivoluzione culturale degli Anni Sessanta, in Europa come in America: il dio della pace, dell’amore, del vino, delle corse montane e del ritorno alla natura traspariva allora in filigrana come memoria e come proiezione più o meno consapevole negli eccessi e negli abbandoni dei figli dei fiori. Ora, agli inizi del terzo millennio, ancora l’orizzonte sembra riempirsi di quel dio immaginato da Euripide, di quel dio giovane, nuovo, potente, seduttivo e crudele, di quello straniero che non tollerò rifiuti e condannò Penteo allo “sparagmos”. Anche per questo suo ripresentarsi, ciclico, nel nostro immaginario a interpretare gli snodi cruciali della nostra storia, questo studio mira a capire da quali radici storiche Euripide aveva maturato una divinità tanto diversa dagli altri dèi del pantheon politico coevo, attraverso un intreccio recepito fin dall’antichità come un affresco astorico, e come tale poi riproposto per diramazioni capricciose, re-immaginato e riaffabulato.

Il volume comprende studi di Anna Beltrametti, Stefano Caneva, Jesús Carruesco, Francesco Macrì, Francesco Massa, Giovanni Panno, Patrizia Pinotti, Ilaria Rizzini, Massimo Stella, Viviana Traficante, Martina Treu e altri.

 

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La storia sulla scena. Quello che gli storici antichi non hanno raccontato

La storia sulla scena. Quello che gli storici antichi non hanno raccontato

Carocci, 2011.

I maestri del teatro ateniese, come solo i più grandi artisti, hanno superato quasi miracolosamente la loro contemporaneità. Forse anche al di là delle loro intenzioni. Non scrivevano infatti per i posteri, ma radicavano le loro drammaturgie nei drammi sociali del momento, in conseguenza o in preparazione di grandi eventi, a seconda delle personalità che dominavano il clima politico. La storia del V secolo traspare chiara nella presa diretta dei comici che spesso hanno fatto teatro di vicende, persone e luoghi chiamati con il loro nome. E si lascia intravedere sottesa anche nelle trame mitiche della tragedia: perché gli stessi soggetti tragici sarebbero stati variati dai diversi drammaturghi e riscritti dal medesimo maestro per illustrare altri temi e sotto segni talvolta rovesciati? Perché Edipo appare come grande sovrano e capitale trasgressore nell’Edipo Re per ricomparire come baluardo di salvezza nell’Edipo a Colono? Perché Oreste, eroe eschileo della nuova giustizia politica delle leggi e dei tribunali, torna in Euripide come criminale recidivo e folle? Su questa dimensione storica forse più caduca, ma tanto più specifica e incisiva, sulle forme e sulla potenza del rapporto, talvolta dissimulato, tra il grande teatro ateniese e i suoi contemporanei vogliono fare luce gli studi raccolti nel libro.

 




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Koinè – «Per una scuola vera e buona». La scuola per essere buona deve essere prima di tutto vera. La scuola pietrificata di oggi disconosce la questione di fondo: vero è ciò che è conforme al fondamento. Bene è tutto ciò che si prende cura del fondamento, cioè dell’uomo.

Koinè 2018

Vero è ciò che è conforme al fondamento.
Bene è tutto ciò che del fondamento,
ossia dell’uomo,
si prende cura.

 

 

Per una scuola vera e buona

Per una scuola vera e buona

ISBN 978-88-7588-248-8, 2018, pp. 272,  Euro 25

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Locandina Koinè, Per una scuola vera e buona

Locandina Per una scuola vera e buona

 

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Testata KoinèLogo-Adobe-Acrobat-300x293  L’unione di conoscenza e virtù costituisce la struttura portante di ogni serio modello educativo, rivolto ad una concreta ricerca della verità  Logo-Adobe-Acrobat-300x293

Testata Koinè

 

La scuola per essere buona deve essere prima di tutto vera.

Il libro affronta la questione della scuola pietrificata di oggi che disconosce una questione di fondo: vero è ciò che è conforme al fondamento, bene è tutto ciò che del fondamento, cioè dell’uomo, si prende cura. Qualsiasi approccio a questo tema in chiave riduttivamente economicistica o aziendalistica non consente infatti minimamente di coglierne lo spessore reale.
Né è possibile, sulla base di una concezione dell’umanità dell’uomo come semplice prassi empirica e funzionalismo sociale, capire realmente cosa è in giuoco nella scuola. Il tema della scuola rimanda infatti al significato dell’educazione umana, del rapporto tra le generazioni, della temporalità, della cultura. L’unione di conoscenza e virtù costituisce la struttura portante di ogni serio modello educativo, rivolto ad una concreta ricerca della verità.

Contributi di:

Eros Barone, Alberto G. Biuso, Salvatore A. Bravo, Giovanni Carosotti, Lucrezia Fava, Arianna Fermani, Carmine Fiorillo, Luca Grecchi, Silvia Gullino, Rossella Latempa, Claudio Lucchini, Romano Luperini, Fernanda Mazzoli, Alessandro Pallassini, Lucio Russo, Franco Toscani, Lorenzo Varaldo.

 

In copertina:
Marc Chagall, L’Acrobata (The Acrobat), 1914.
Per Marc Chagal l’acrobata è utopia che cerca – da una prospettiva inusuale –
un nuovo equilibrio, su un filo teso sull’orlo di un mondo alla rovescia.


 

Carmine Fiorillo – Luca Grecchi

Dalla Nota introduttiva

Luca GrecchiRingraziamo tutti gli studiosi
che a questo numero hanno partecipato,
apportando il proprio prezioso contributo di riflessione su un tema,
quello educativo,
sempre centrale e che,
anche quando non esplicitamente affrontato,Carmine Fiorillo
rimane sempre l‘implicito riferimento
di tutte le pubblicazioni
di Petite Plaisance.

 


Fernanda Mazzoli

La centralità delle conoscenze:
una bussola per uscire dalle secche dell’aziendalismo

 

Fernanda Mazzoli
L’educazione ai tempi del liberismo
La deconcettualizzazione dell’insegnamento
La storia negata
Il maestro negato
Una scuola forte è possibile?
Indicazioni bibliografiche sul tema


Franco Toscani

Sul senso e sul declino della nostra scuola

Scuola e panaziendalismo
L’alienazione scolasticaFranco Toscani
Don Lorenzo Milani
e l’esperienza della “scuola di Barbiana”:
una lotta per la cultura e il linguaggio,
per l’eguaglianza e la dignità delle persone
La testimonianza della ‘Scuola di Barbiana’ e la sua eredità odierna
La scuola e la “mutazione antropologica”
Maestri e allievi. Per una etica della responsabilità
Friedrich Nietzsche e gli interrogativi sull’avvenire delle nostre scuole
La Bildung e il destino della civiltà planetaria

 

 


Lucio Russo

Per una scuola in grado di trasmettere cultura

Per una scuola
in grado di trasmettere cultura,Lucio Russo
è essenziale interrogarsi
su quale cultura
si voglia trasmettere e perché


Claudio Lucchini

La merce a scuola ovvero la scuola della merce

La merce a scuolaClaudio Lucchini
ovvero la scuola della merce:
riflessioni

sulle tendenze
antropologico-sociali
sottese alla pratica scolastica attuale


Alberto Giovanni Biuso

Per la παιδεία

Scuola e politicaAlberto Biuso
Conoscenze e competenze
Socratismo e comportamentismo
Marketing e analfabetismo
Europa e παιδεία


Salvatore A. Bravo

Il freddo, implacabile strangolamento della παιδεία

L’ecolalia pedagogica
Pedagogia senza fondamento
La didattica breve e il neolinguaggio pedagogicoSalvatore Bravo
L’homo oeconomicus
La scuola azienda
Trascendere le classi per strutturare lo sradicamento
Conclusioni


Arianna Fermani

L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano
Riflessioni sulla παιδεία in Aristotele

I. Osservazioni preliminari
Originalità e attualità della riflessione aristotelica sull’educazione
II. Primo scenario educativo: l’educazione precede l’etica
II.a L’insegnabilità della virtù: limiti e caratteristiche
II.b L’emotional training e l’educazione “delle” passioniArianna Fermani
II.c Ulteriori articolazioni del modello educativo
III. Secondo scenario educativo: l’educazione è l’etica
III.a Educazione e metodo della ricerca
IV. Riflessioni conclusive


Romano Luperini

Insegnare la letteratura oggi

 

Ogni educazioneRomano Luperini
presuppone

una utopia,
la esige
***
Appendice


Alessandro Pallassini

Note sugli apparati riproduttivi societari, guardando alla scuola

I. Introduzione
II. Produzione e riproduzione societaria.Alessandro Pallassini
Brevi cenni
III. Mutamenti del sistema societario
e mutamenti nell’educazione latamente intesa
IV. Scuola-lavoro: possibili omologie
V. Conclusioni (molto provvisorie)
VI. Bibliografia utilizzata


Eros Barone

La crisi dei saperi socratici: una sfida per l’‘humanitas’

I. Società di mercato e saperi socratici
III. Quale rapporto tra il vero e l’utile nel sapereEros Barone
e nella formazione?
III. I “saperi che servono” fra nichilismo antisocratico
e ideologia del ‘politicamente corretto’
IV. Il riscatto dei saperi socratici: utilità, eredità, identità
IV. Futuro dell’‘humanitas’ e ‘humanitas’ del futuro


Giovanni Carosotti

L’«ideologia» della Buona Scuola

Una didattica autoproclamatasi “innovativa”
Un apparato ideologico per formare nuovi soggetti
Una dimostrazione di dissenso:
dall’Appello per la Scuola pubblica alla sua contestazione
Una critica delle ideologie rivolta al concetto di «competenza»
La scelta impositivaGiovanni Carosotti
Una salutare critica delle ideologie
La pseudo scienza delle competenze
L’azzeramento
della pluralità storiografica ed ermeneutica delle discipline
Una scuola di sorveglianti e sovergliati, misurati e misuratori
Breve riflessione sul quantitativo


Rossella Latempa

L’ossessione valutativa

Il mito dell’oggettivitàRossella Latempa
L’imbracatura ortopedica
della valutazione scolastica
Matematizzazione dell’essere umano


Lorenzo Varaldo

La posta in gioco

 

È in gioco il sapere dell’umanitàLorenzo Varaldo
La nostra Dichiarazione di oggi
***
Dichiarazione finale della Conferenza Nazionale
del 19 maggio 2018 per l’abrogazione della legge 107


Fernanda Mazzoli

Per una seria cultura generale comune

Una proposta di Lucio RussoFernanda Mazzoli
Recensione al libro
Lucio Russo,
Perché la cultura classica. La risposta di un non classicista


Lucrezia Fava

Λόγος, linguaggio, tempo

Dai seminari heideggerianiLucrezia Fava
di Le Thor
Recensione
al libro
Martin Heidegger, Seminari


 

 

Silvia Gullino

Una appassionata ricostruzione della filosofia aristotelica

Alla ricerca del luogo
in cui la sapienza teoretica si radica nell’umano
Recensione al libro
Claudia Baracchi, L’architettura dell’umano.
Aristotele e l’etica come filosofia prima



Per far memoria

del nostro impegno sul tema della scuola

Metamorfosi della scuola

Metamorfosi della scuola italiana

Anno 2000, pp. 304, Euro 20

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Testata Koinè

Contributi di:

Fabio Acerbi – Marino Badiale – Giuseppe Bailone – Fabio Bentivoglio – Piero Bernocchi – Lucio Bontempelli – Massimo Bontempelli – Paolo De Martis – Adolfo Scotto Di Luzio – Federico Dinucci – Giampiero Giampieri – Giulio Ferroni – Emanuele Narducci – Fabrizio Polacco – Costanzo Preve – Lucio Russo – Livio Sichirollo – Roberto Signorini – Lorenzo Varaldo

Sommario

Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana?, di Massimo Bontempelli
La scuola sospesa, di Giulio Ferroni
Alcune osservazioni sui contenuti dell’insegnamento, di Lucio Russo
Orwell 2000, di Fabrizio Polacco
Sulle sorti della matematica e della fisica nella scuola superiore, di Fabio Acerbi
L’insegnamento delle discipline scientifiche e la storia della scienza, di Lucio Bontempelli
30 tesi contro la Scuola-Azienda e l’Istruzione-Merce, di Piero Bernocchi
La catena dei perché. Riflessioni sulle radici del “Concorso Berlinguer”, di Costanzo Preve
Autonomia didattica e libertà di insegnamento, di Federico Dinucci
Chi non sa nulla, insegna ad insegnare, di Paolo De Martis
Che buon pro facesse (e faccia) il “Verbo”, di Giampiero Giampieri
“L’agonia della scuola italiana”: un libro controcorrente, di Fabio Bentivoglio
Una lettura critica del libro “L’agonia della scuola italiana”, di Roberto Signorini
Il libro di Antonio La Penna “Sulla scuola”, di Emanuele Narducci
L’insegnante trova le sue parole. Perché un “no” ai salari di merito, di Lorenzo Varaldo
Il libro verde della Pubblica istruzione, di Giuseppe Bailone
Il Liceo classico, di Adolfo Scotto di Luzio
Il resistibile declino dell’università. Ragioni per un titolo, di Livio Sichirollo
Il nome delle libellule. Breve riflessione sulle culture popolari, di Marino Badiale


L'agonia della scuola italiana

Massimo Bontempelli

L’agonia della scuola italiana

Anno 2000, pp. 144, € 10,00

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La scuola italiana nel suo insieme è oggetto, per la prima volta dopo tre quarti di secolo, di una riforma complessiva ed incisiva. Le innovazioni che vi sono introdotte, però, esaminate attentamente nei loro effetti concreti, risultano tutte profondamente negative, sia sul piano della formazione educativa dei giovani, che su quello della professionalità degli insegnanti e della trasmissione di un sapere degno di questo nome. Il carattere pubblico e nazionale del sistema dell’istruzione, e la sua capacità di promuovere lo spirito critico e l’autonomia di giudizio dei giovani, ne risultano gravemente compromessi.
Questo disastro è il prodotto di una cultura dogmatica e ideologizzata dei promotori della riforma, che li rende incapaci di pensare su un piano conoscitivamente alto, ed eticamente valido, il nesso tra scuola e società. Tale cultura è peraltro funzionale alle inconfessate esigenze totalitarie di un determinato sistema di potere.
La scuola italiana, a questo punto, potrà essere salvata soltanto dalla resistenza consapevole degli insegnanti che vogliono continuare ad essere educatori.

Il libro si articola in sette capitoli:
L’innovazione distruttiva
Il didatticismo di regime
L’autonomia aziendalistica
L’educazione negata
La stupidità rivelata
La scuola del totalitarismo neoliberista
Il destino della scuola


Buoni e cattivi maestri

Visioni di scuola. Buoni e cattivi maestri

Anno 2003, pp. 160, Euro 15

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Testata Koinè

Contributi di:

Guido Armellini – Andrea Bagni – Antonia Baraldi Sani – Fabio Bentivoglio – Carlo Bolelli – Massimo Bontempelli – Francesco Borciani – Marcello Cini – Vittorio Cogliati Dezza – Luca Grecchi – Corrado Maceri – Fabiano Minni – Bruno Moretto – Cesare Pianciola – Gianna Tirandola – Marcello Vigli

La scuola e il fondamento, di Luca Grecchi
Visioni di scuola. Buoni e cattivi maestri, di Francesco Borciani
Sapere di polis, di Andrea Bagni
Il quinto postulato, di Fabio Bentivoglio
Quale scuola per quale Stato?, di Marcello Vigli
L’intelligenza del tranviere, di Guido Armellini
Partiamo dalle nuove sfide, di Vittorio Cogliati Dezza
Il cappotto del professore, di Antonia Baraldi Sani
La scuola della Repubblica tra Stato, Regioni e sussidiarietà, di Corrado Mauceri
Evoluzionismo: un ponte tra due culture, di Marcello Cini
Sul sapere critico, di Carlo Bolelli
La convergenza del centrosinistra e del centrodestra
nella distruzione della scuola italiana, di Massimo Bontempelli
Il tutto e le parti, di Guido Armellini
L’esperienza del referendum in Emilia Romagna, di Bruno Moretto
Intervista immaginaria di Ignazio Olloy al Professor E. De Candi, di Fabiano Minni
L’esperienza del referendum in Veneto, di Gianna Tirondola
Lettera aperta ai partiti della sinistra sulla scuola
Venti anni di attività, di Cesare Pianciola


Il sogno di una scuola

Maria Luisa Tornesello

Il sogno di una scuola

Lotte ed esperienze didattiche negli anni Settanta: controscuola, tempo pieno, 150 ore.

Allegato il CD-ROM per Windows con l’audiovisivo Oltre il libro di testo: parole ed esperienze di opposizione nella scuola dell’obbligo degli anni Settanta,
di Maria Luisa Tornesello e Roberto Signorini.

ISBN 978-88-7588-006-4, 2006, pp. 416, Euro 27

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Si manifesta ormai da più parti l’esigenza di considerare con metodo scientifico la storia degli anni Settanta, superando sia l’urgenza della testimonianza personale che la rimozione di un materiale impegnativo e «scomodo». Questo discorso vale in modo particolare per la scuola, in quegli anni al centro dell’attenzione con analisi, pratiche, lotte, che presto e abbastanza superficialmente sono state liquidate o «demonizzate».
In realtà la scuola, e in particolare la scuola dell’obbligo, è il punto d’incontro dei problemi che in quel momento agitano la società italiana. È un vero e proprio laboratorio di idee e progetti vissuti come rivoluzionari: partecipazione democratica, non delega, autonomia e potere dal basso.
Questo libro è una prima ricostruzione di quei fermenti, caotici ma aperti e vitali. Esso si basa su una documentazione inconsueta (prese di posizione politiche e sindacali dei «nuovi insegnanti», lavori degli studenti, materiale didattico delle scuole sperimentali e dei corsi 150 ore, documenti di programmazione didattica, produzione dell’editoria didattica alternativa), in cui è possibile cogliere il profondo cambiamento rispetto al passato, la ricchezza del dibattito e delle proposte didattiche, l’impegno civile.

 

 


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Aristotele (384-322 a.C.) – Le radici della ‘paideia’ sono amare, ma i frutti sono dolci. Il modello più razionale di ‘paideia’ abbisogna di tre condizioni: natura, apprendimento, esercizio.

Aristotele 008

Diogene Laerzio, Vite e

scritta aristo01

«Le radici della παιδεία sono amare, ma i frutti sono dolci».

«Il modello più razionale di παιδεία abbisogna di tre condizioni:
natura, apprendimento, esercizio».

Aristotele, citato da Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, V, 18.


Aristotele – Questa è la vita secondo intelletto: vivere secondo la parte più nobile che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – La «crematistica»: la polis e la logica del profitto. Il commercio è un’arte più scaltrita per realizzare un profitto maggiore. Il denaro è l’oggetto del commercio e della crematistica. Ma il denaro è una mera convenzione, priva di valore naturale.
Aristotele (384-322 a.C.) – La mano di Aristotele: più intelligente dev’essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; la mano costituisce non uno ma più strumenti, è uno strumento preposto ad altri strumenti.
Aristotele (384-322 a.C.) – Da ciascun seme non si forma a caso una creatura qualunque. La nascita viene dal seme.
Aristotele (384-322 a.C.) – In tutte le cose naturali si trova qualcosa di meraviglioso.
Aristotele (384-322 a.C.) – Se l’intelletto costituisce qualcosa di divino rispetto all’essere umano, anche la vita secondo l’intelletto sarà divina rispetto alla vita umana. Per quanto è possibile, ci si deve immortalare e fare di tutto per vivere secondo la parte migliore che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – Se uno possiede la teoria senza l’esperienza e conosce l’universale ma non conosce il particolare che vi è contenuto, più volte sbaglierà la cura, perché ciò cui è diretta la cura è, appunto, l’individuo particolare.
Aristotele (384-322 a.C.) – Diventiamo giusti facendo ciò che è giusto. Nessuno che vuol diventare buono lo diventerà senza fare cose buone. Il fine deve essere ipotizzato come un inizio perché il fine è l’inizio del pensiero, e il completamento del pensiero è l’inizio di azione. ⇒ Una Trilogia su Aristotele: «Sistema e sistematicità in Aristotele». «Immanenza e trascendenza in Aristotele». «Teoria e prassi in Aristotele».


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Antonio Gramsci (1891-1937) – Cultura è capacità di comprendere la vita. Ha cultura chi ha la coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri.

Quaderni del carcere

Quaderni del carcere

 

«Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha la coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri».

Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino 1975.

 


Antonio Gramsci (1891-1937) – Odio gli indifferenti. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. Vivere vuol dire essere partigiani. L’indifferenza non è vita.



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Antifonte (480 a.C. circa – 410 a.C. circa) – Nell’effimera vigilia della vita nessuno di noi può esser definito né come barbaro, né come greco. Tutti infatti respiriamo l’aria con la bocca e con le narici, poiché di natura tutti siamo assolutamente uguali. Se violentiamo le norme poste in noi da natura si offende non l’opinione, ma la verità.

Antifonte 001

Un papiro del III secolo a.C. che riporta un frammento dello scritto Sulla verità

Un papiro del III secolo a.C. che riporta un frammento dello scritto Sulla verità di Antifonte

«Il vivere somiglia (ἔοικε) a un’effimera vigilia (φρουρᾷ ἐφημέρῳ), la lunghezza della vita alla durata, per così dire, d’un giorno; nel quale, appena dato uno sguardo alla luce, lasciamo la consegna agli altri che sopravverranno».

Antifonte, Fr. 50 = DK87B50.
Cfr. I presocratici. Testimonianze e frammenti,
a cura di G. Giannantoni,
Bari 1983.

«Vigilia» nel senso di «turno di guardia».

 

La verità

La verità

 

Sugli stranieri

«Rispettiamo e veneriamo chi è di nobile origine, ma chi è di natali oscuri, né lo rispettiamo, né l’onoriamo. In questo, ci comportiamo gli uni verso gli altri da barbari, poiché di natura tutti siamo assolutamente uguali, sia Greci che barbari. Basta osservare le necessità naturali proprie di tutti gli uomini […] nessuno di noi può esser definito né come barbaro, né come greco. Tutti infatti respiriamo l’aria con la bocca e con le narici».

Antifonte, La Verità

***

 

 

Migranti-italiani-121

1876-1915: 39 Anni durante i quali Emigrarono 14 Milioni di Italiani.

 

***

 

Foto-copertina-articolo-Affondamento-Sirio-19-agosto-1906-copertina-domenica-del-Corriere-di-AchilleBeltrame

Affondamento della nave Sirio, 19 agosto 1906.

 

Emigranti-italiani-annegati-dopo-laffondaemnto-della-nave-Sirio-sulla-spiaggia

Emigranti italiani annegati dopo l’affondamento della nave Sirio sulla spiaggia.

***

 

 

 

Sulla legge

«[…] Giustizia consiste nel non trasgredire alcuna delle leggi dello Stato di cui uno sia cittadino; e perciò l’individuo applicherà nel modo a lui piú vantaggioso la giustizia, se farà gran conto delle leggi, di fronte a testimoni; ma in assenza di testimoni, seguirà piuttosto le norme di natura; perché le norme di legge sono accessorie, quelle di natura, essenziali; quelle di legge sono concordate, non native: quelle di natura, sono native, non concordate. Perciò, se uno trasgredisce le norme di legge, finché sfugge agli autori di esse, va esente da biasimo e da pena; se non sfugge, no. Ma se invece violenta oltre il possibile le norme poste in noi da natura, se anche nessuno se ne accorga, non minore è il male, né è maggiore se anche tutti lo sappiano; perché si offende non l’opinione, ma la verità».

Antifonte, Fr. 87 B 44 A DK, Papiro di Oxyrinco, XI n. 1364.

***

Mente e corpo

In tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo e verso la salute, e verso la malattia e verso tutti gli altri aspetti della vita.

Antifonte, fr. DK 87 B 2

***

«Non ci è concesso ricollocare la vita come una pedina».

Antifonte, Della concordia, fr. DK 87 B 52.

 

 



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Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Le relazioni con gli stranieri sono atti di particolare sacralità. Lo straniero si trova ad essere privo di amici e parenti, e quindi è affidato in modo particolare alla solidarietà degli dei e degli uomini. Non c’è colpa peggiore per un uomo che un torto fatto ai supplici

Platone 002

Nel mio paese nessuno è straniero

Nel mio paese nessuno è straniero

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Platone

«Le relazioni con gli stranieri sono atti di particolare sacralità […] non c’è colpa peggiore per un uomo che un torto fatto ai supplici». Platone, V, 729 e -730 b

.

 

Le leggi

Le leggi

 

 

 

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Esiodo

La principale condizione di prosperità, per una città, è che una rigorosa giustizia regni «per gli stranieri e per i membri della comunità», in quanto «il delitto di chi maltratta un mendico (iketen), un ospite […], è colpa ripugnante», paragonabile a quella di chi fa torto ad un orfano, o di chi offende il proprio padre anziano. Esiodo, Opere e giorni, (225-227, 327 ss.).

 

 

Opere e giorni

Opere e giorni

***

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Pindaro

Con riferimento alla Grecia Pindaro afferma che «un decreto degli immortali ha eretto, come una tenda divina, per gli stranieri di qualsiasi stirpe questa terra, in cui vengono ad infrangersi i flutti». Pindaro, Olimpiche (VIII, 28)

.

 

 

Olimpiche

Olimpiche

 

 

***

Euripide-1

Euripide

«È una legge per i mortali […] accogliere i mendicanti che il mare ha danneggiato, far loro il dono dell’ospitalità, soccorrerli e vestirli». Euripide, Ciclope, (vv. 299-303).

***

 

 

statua-di-platone copia

«Le relazioni con gli stranieri sono atti di particolare sacralità, perché si può dire che non ci siano colpe […] di nostri concittadini a danno di stranieri, che non comportino la riprovazione di un dio, molto più che le ingiustizie nei confronti dei concittadini. E questo è ovvio, perché lo straniero si trova ad essere privo di amici e parenti, e quindi è affidato in modo particolare alla solidarietà degli dei e degli uomini […]. Un uomo che sia almeno un po’ assennato dovrà mettere ogni cura per giungere alla fine dei suoi giorni, senza avere commesso errori nei rapporti con gli stranieri. Inoltre […] non c’è colpa peggiore per un uomo che un torto fatto ai supplici, giacché il supplice, nel momento in cui invoca aiuto, ha un dio come garante delle sue richieste, e questo dio diventa un invincibile protettore».

Platone, Leggi, V, 729 e -730 b.


Platone, «Filebo» – Senza possedere né intelletto né memoria né scienza né opinione vera, tu saresti vuoto di ogni elemento di coscienza

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Coloro che sono privi della conoscenza di ogni cosa che è, e che non hanno nell’anima alcun chiaro modello, non possono rivolgere lo sguardo verso ciò che è più vero e non possono istituire norme relative alle cose belle e giuste e buone.

 



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Proclo Licio Diadoco (412-485) – La ricerca muove l’occhio dell’anima verso l’alto e lo esercita alla visione della verità.

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L'immaginario e il Simbolico. Il commentario di Proclo all'Alcibiade primo

L’immaginario e il Simbolico. Commentario di Proclo all’Alcibiade primo

«La ricerca muove l’occhio dell’anima

verso l’alto e lo esercita alla visione della verità».

 

Proclo, Commentario all’Alcibiade primo di Platone, 236, 1.

 

 

Dai commentari al Timeo di Platone

Dai commentari al Timeo di Platone

 

«Con quale intenzione Dio, dopo una inerzia di durata infinita, penserà di creare? Perché pensa che è meglio? Ma prima, o lo ignorava, o lo sapeva. Dire che lo ignorava è assurdo; ma se lo sapeva, perché non ha cominciato prima?».

Proclo, Commentario al Timeo, 115 e.

 

 

Stele funeraria di Proclo

Stele funeraria di Proclo

Πρόκλος ἐγὼ γενόμην Λύκιος γένος, ὃν Συριανὸς

ἐνθάδ’ ἀμοιβὸν ἑῆς θρέψε διδασκαλίης.

ξυνὸς δ᾽ ἀμφοτέρων ὅδε σώματα δέξατο τύμβος·

αἴθε δὲ καὶ ψυχὰς χῶρος ἕεις λελάχοι

«Io, Proclo, fui Licio di stirpe, e Siriano
mi formò qui per succedergli nell’insegnamento.
Questa tomba comune accolse il corpo d’entrambi;
oh, se un solo luogo ricevesse anche le anime!».

 

 



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Giulio A. Lucchetta – L’ulivo è immagine del processo di produzione del cosmo, perché esso è eterno ed è prodotto dell’intelligenza. Il profumo dell’olio è il profumo dell’utopia, cioè simbolo di un rapporto lavorativo dove regni una spiccata armonia d’intenti e una grande sagacia organizzativa.

Giulio Lucchetta 002

 

 

oil_ancient

Il profumo dell’olio è il profumo dell’utopia

 

313 ISBN

L’olio profumato di Itaca

 

Giulio A. Lucchetta

L’olio profumato di Itaca

La coltivazione esemplare dell’ulivo e il proficuo modello produttivo dell’olio nell’Odissea

indicepresentazioneautoresintesi

 

L’ulivo è immagine del processo di produzione del cosmo, perché esso è eterno ed è prodotto dell’intelligenza. Il profumo dell’olio è riconducibile a una particolarità nel modo di trasformare le olive in olio ed è il profumo dell’utopia, cioè simbolo di un rapporto lavorativo dove regni una spiccata armonia d’intenti e una grande sagacia organizzativa.



La salvezza della città

La salvezza della città


Tornare a credere nell’educazione e nella crescita culturale dei “cittadini” è l’unica premessa possibile all’esercizio della “buona politica”: in questo senso, collante dell’intero lavoro che qui proponiamo sono i temi del linguaggio, della razionalità, dell’ethos, dell’ideale di una cittadinanza consapevole e “attiva” che ha il proprio modello di riferimento nella “città”.

Giulio LucchettaMaurizio De Innocentiis, La salvezza della città. Ethos e logos in democrazia, Carabba, 2012.



Altri libri di Giulio Lucchetta

La natura della sfera

La natura della sfera

La natura e la sfera. La scienza antica e le sue metafore nella critica di Razi

Milella, 1988

Il trattato sulla Metafisica del medico-filosofo persiano Abu Bakr Mahammad ibn Zakariyya’ al Razi (IX-X sec.) è un testo enciclopedico interamente dedicato alle dottrine naturalistiche dell’antichità. Partendo da questo ultimo approdo della traduzione del pensiero scientifico antico, l’autore di questo saggio, Giulio Lucchetta, studioso di filosofia antica, ripercorre a ritroso, operando il rinvenimento delle fonti ora esplicite ora implicite, la scia lasciata da alcune forme tipiche del sapere greco nell’attraversare l’età ellenistica e tardo-antica. Proprio il trattato di Razi in questione offre la possibilità di una incursione nelle tradizioni metaforiche della scienza di quelle età, attento com’è a rilevare le aprioristiche distinzioni e le pratiche analogiche da queste assunte per produrre leggi e previsioni. Così quella di Razi si presenta come una riflessione critica, forse epistemologica, sulle capacità di cogliere e raffigurare la realtà attraverso strategie linguistiche, più che sperimentali messe a punto dal sapere scientifico dell’antichità nella sua ricca seppur breve evoluzione.

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Scienza e retorica in Aristotele. Sulle radici omeriche delle metafore aristoteliche

il Mulino, 1990

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Le ragioni di Odisseo

Le ragioni di Odisseo

 

Le ragioni di Odisseo Pensiero,
azione e argomentazione nelle forme narrative dell’Odissea

Métis Editrice, 1996

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Sotto il segno di Boezio

Sotto il segno di Boezio

Sotto il segno di Boezio.
Memoria, tempo, sogno, scrittura e confronto dall’intellettualità

Troilo Editore, Bomba, 2001

 

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Allegoria. L'età classica

Allegoria. L’età classica

Allegoria. Vol. I. L’età classica

Autori: Giulio Lucchetta, Ilaria Ramelli

Vita e pensiero, 2004

 

L’allegoria come tentativo di razionalizzare la mitologia e, di conseguenza, la religione ebbe grande diffusione in Grecia fino dalle età più remote. Con l’avvento della filosofia essa assunse via via maggiore profondità e una più coerente strutturazione: l’allegoria divenne così allegoresi. è soprattutto a partire da questa trasformazione che Giulio Lucchetta e Ilaria Ramelli intraprendono la paziente e meticolosa ricostruzione della storia dell’allegoresi nel periodo classico (fino al I-II secolo d.C.) facendo emergere due principali linee di tendenza, rispettivamente a carattere stoico e aristotelico. La prima linea risulta senza dubbio predominante, al punto da poter affermare che l’allegoresi fu ‘una creazione degli Stoici’ e assunse da loro la varia e specifica terminologia che venne poi trasmessa a tutti gli allegoristi.
Questo libro costituisce un fondamentale strumento di ricerca sul tema dei rapporti fra religione e filosofia e sui complessi sviluppi della teologia greca; esso inaugura una serie di tre volumi che, avvalendosi del contributo di numerosi studiosi, intende coprire tutta la storia dell’allegoria antica: dall’allegoria classica (vol. I), a quella giudaico-alessandrina (vol. II), fino all’allegoria tardo-pagana e proto-cristiana (vol. III).

 

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Mente, anima e corpo nel mondo antico. Immagini e funzioni

Mente, anima e corpo nel mondo antico. Immagini e funzioni

 

Mente, anima e corpo nel mondo antico. Immagini e funzioni

Autori: Giulio Lucchetta, Ugo La Palombara
Opera Editrice, 2006

 

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Metafisica I. La sophia degli antichi. Volume II, linguaggio, mito, metafora in Aristotele

Metafisica I. La sophia degli antichi. Volume II, linguaggio, mito, metafora in Aristotele

 

Metafisica 1. La sophia degli antichi.
Vol. 1: Vailati traduce Aristotele.

Carabba, 2009

 

Questo volume inaugura la collana “Nuove prospettive sulla cultura dell’anima”, una serie di studi sui titoli, i traduttori, i curatori e i commentatori della collana “Cultura dell’anima” diretta da Papini dal 1909 al 1938 e che la Carabba ha iniziato a ristampare in anastatica dal maggio 2008 e che conta oggi già 60 titoli disponibili. Questo primo lavoro prende spunto dal numero 1 “Il primo libro della metafisica di Aristotele” tradotto e commentato da G. Vailati.

 

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Metafisica I. La sophia degli antichi. Volume II, linguaggio, mito, metafora in Aristotele

Metafisica I. La sophia degli antichi. Volume II, linguaggio, mito, metafora in Aristotele

 

Metafisica I. La sophia degli antichi.
Vol. 2: Linguaggio, mito, metafora in Aristotele.

Carabba, 2010

Con questo secondo volume Giulio Lucchetta termina il commento al numero 1 “Il primo libro della metafisica di Aristotele” tradotto e commentato da G. Vailati.

 

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Shoah e schiavitù

Shoah e schiavitù

 

Shoah e schiavitù. Storie di antica disuguaglianza e di rinnovati colonialismi

Carabba, 2011

Nel porre in parallelo le storie di sfruttamento schiavistico nel Congo per il reperimento di avorio e quelle nei lager per la produzione della gomma sintetica, Finkelstein suggerisce l’ipotesi che quanto si tentò di realizzare sotto il Nazismo non sia altro che una riproposta, nel Continente Europeo, del modo di produzione schiavistico realizzato in Età Moderna a scapito delle popolazioni indigene del Nuovo Mondo e, su più larga scala, in Africa durante il Colonialismo. D’altronde che il Vecchio Continente si fosse ormai assuefatto al modo eurocentrico di considerare altri popoli e altre etnie in funzione del mantenimento del proprio alto tenore di vita, ne dava prova lo sguardo non ancora ideologico di Conrad. Si trattava di poter costruire all’alba del Novecento un “altro da noi” di cui disporre dentro le pareti di casa: si interrogò l’ambiente scientifico alla ricerca di un avallo in tal senso e dagli antropobiologi fu posto in essere il concetto di “razza”. Anche in Italia, in ragione della promulgazione delle leggi razziali, non mancarono casi eclatanti di collusione tra Accademia e Regime, di cui si dà testimonianza. Risulta rilevante il ruolo ispiratore assunto da I Protocolli dei “Savi anziani” di Sion data la totale assenza di riscontri biologici, al punto che con modalità parascientifiche ci si spinse a rintracciare i contorni decisi della “razza” nell’ereditarietà di atteggiamenti psicologici. Ma il futuro sul quale già da allora ci eravamo incamminati non sembra meglio del nostro passato: sul filo dei processi di deculturazione rilevati da Latouche è possibile cogliere drammatiche analogie tra il testo dei Protocolli e quanto prospettato da Bradbury in Fahrenheit 451, come linee guida che all’interno del Mercato rendano inevitabile un generale destino da sfruttati. Il retroterra classicistico dell’Autore, infine, offre termini di paragone per cogliere le profonde differenze di questa rinnovata schiavitù che, in quanto rispecchiamento dei processi di produzione capitalistica, è in grado di parlarci delle differenti finalità perseguite dalle diverse forme di organizzazione e di subordinazione sociale.

 

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2012 La salvezza della città

 La salvezza della città

La salvezza della città. Ethos e logos in democrazia

Autori: Giulio LucchettaMaurizio De Innocentiis

Carabba, 2012

Tornare a credere nell’educazione e nella crescita culturale dei “cittadini” è l’unica premessa possibile all’esercizio della “buona politica”: in questo senso, collante dell’intero lavoro che qui proponiamo sono i temi del linguaggio, della razionalità, dell’ethos, dell’ideale di una cittadinanza consapevole e “attiva” che ha il proprio modello di riferimento nella “città”.

 

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Tuphlòs perì chromáton.
Parlare di natura a partire dal movimento: cause e privazione (Phys. I e II)

RIVISTA DI FILOSOFIA NEO-SCOLASTICA – 2015 – 4

Vita e Pensiero, 2015

According to Wieland and Düring, a narrow interpretation of the doctrine of four causes may engender a misunderstanding of Aristotleʼs theory of nature. Talking about nature we have to determine natural movements: for that, as Heidegger said, it needs to use potency in order to avoid the opposition between absolute being and not-being; but it is also necessary a large notion of accident. Then it should be crucial the role of privation, as contrary of matter or of form.

 

Rivista di Filosofia neo-scolastica

Rivista di Filosofia neo-scolastica


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Pierre Hadot (1922–2010) – La riflessione filosofica è motivata e diretta dalla scelta di un modo di vita. “Teoretico” non si oppone a “pratico”. Il “teoretico” esige una filosofia praticata, vissuta, attiva, apportatrice di felicità.

Pierre Hadot 001

Che cos'è la filosofia antica?

Che cos’è la filosofia antica?

Che cos’è la Filosofia?

di Salvatore A. Bravo

L’addomesticamento funzionale della Filosofia

Il capitalismo è il regno dell’astratto, trasforma ogni attività vitale in mezzo e non in fine, con l’effetto schizoide di dividere, parcellizzare, strumentalizzare. La Filosofia è anch’essa minacciata, si insegna Filosofia, la si usa, per carriere accademiche. Spesso nel circolo mediatico è solo passerella per gratificare narcisismi primari. La parola bella e ad effetto, la imperante citatologia, la riduce ad ente morto, ad orpello da salotto. Il rischio è che le giovani generazioni la intendano unicamente nella forma astratta, utile per rafforzare le capacità logiche, o come preistoria della scienza.
La società dell’astratto, è il regno dell’omogeneità: ogni ente, come ogni campo di ricerca deve rispondere a funzioni, essere organica al capitale. L’omogeneità omologante è l’epifenomeno della corrente fredda del plusvalore. La passione triste dell’utile astrae e sottrae fino a ridurre ogni manifestazione dello spirito a forma cava senza determinazione e concetto. La Filosofia come forma trasmissiva, senza alcun intento o fine educativo, è la neutralizzazione della stessa, l’anestesia del pensiero.
La Filosofia è prassi, ovvero trasformazione attiva e consapevole di se stessi e della comunità, cura di sé e della comunità. Il fondamento di essa riposa in una scelta, nella passione durevole alla resistenza propositiva. Il pensiero filosofico affonda le sue determinazioni nella carne, in un riorientamento gestaltico grazie al quale il filosofo decide la libertà di esserci contro il potere. Il pensiero, l’adesione ad una corrente filosofica è l’effetto della testimonianza individuale ed irripetibile, ad un modello di vita che si disegna nella carne e che si eleva verso l’universale: filosofare è pensare questa elevazione, senza la quale non vi è che logorroica sequela di parole ripiegate su se stesse. Il filosofo è bimondano appartiene a due mondi: a se stesso ed alla comunità, fa dono di sé alla comunità perché è autentico. Senza autenticità, senza il disporsi ad una verità personale – e nel contempo oggettiva perché pensata – non vi è che il freddo adeguarsi al mondo, al suo chiasso che astrae, distrae ed aliena. Il filosofo vive dentro di sé, stende il confine tra sé ed il mondo, non per isolarsi, o per iattanza, ma per riconfigurare il concetto, per formarlo, dopo non sarà più lo stesso, nel processo di autocoscienza avrà messo in atto un avanzamento.
La Filosofia è “il proprio tempo pensato”, affermava Hegel. Il filosofo è bimondano perché pensa il mondo, lo concettualizza, e tale attività implica un doppio movimento: ritirarsi dal mondo con i suoi stimoli, per rinascere a nuova vita e donarsi, con la semplice testimonianza, con la coerenza tra parola e comportamento. La Filosofia testimonia, in tal modo, che la vita è al plurale, contro ogni cinico riduzionismo nichilista.

 

La Filosofia come atopos

Hadot nelle sue ricerche ha posto attenzione sui processi genetici di formazione della Filosofia. Il filosofo è atopos, è stravagante, non ha collocazione spaziale e temporale convenzionale, si pone in un’ottica nuova, ha il coraggio del “no”, ascolta fortemente la passione del pensiero.

«I suoi concittadini non possono percepire il suo invito a rimettere in discussione tutti i loro valori, tutti i loro modi di agire, a prendere cura di se stessi, se non come un taglio radicale con la vita quotidiana, con le abitudini e le convenzioni della vita di tutti i giorni, con il mondo che è loro familiare. E inoltre, l’esortazione a prendere cura di se stessi non è forse un invito a distaccarsi dalla città, invito che viene da un uomo che sembra lui stesso essere un po’ fuori dal mondo, atopos, ossia sconcertante, non catalogabile, inquietante? Socrate non verrebbe ad essere così il prototipo dell’immagine, tanto diffusa e altrettanto falsa, del filosofo che fugge le difficoltà della vita per rifugiarsi nella sua buona coscienza».[1]

Il filosofo è atopos, ma non fugge dalla città, il suo ritirarsi in sé è l’inizio della catabasi, della discesa tra i concittadini, nella comunità, per condividere un percorso, senza obblighi, cerca amici con cui dividere il dono del pensiero per moltiplicarlo. Non è un caso che la sophia è un “saper fare”, è un ridisporsi per praticare la buona vita, non è un fatale destino l’eccedenza della sofferenza, essa è una condizione scelta solo in apparenza, è la doxa che si materializza in un’esistenza esposta alla tirannia dei sensi come dei dicitur mediatici.

 

La saggezza come mancanza

La sophia inizia con una mancanza, con una lucida constatazione di una privazione, ovvero la saggezza, la pratica di vita, insegna la necessità di una vita saggia, in cui si possa discernere l’autentico dall’inautentico nel rispetto della natura umana. Il metron ed il katechon, la misura ed il limite sono un ideale verso cui tendere, la saggezza è dunque un’assenza e nel contempo una presenza da completare, da ridefinire.

«Ancora una volta si può riconoscere nelle sembianze di Eros non soltanto il filosofo, ma Socrate che, in apparenza, proprio come gli stolti non sapeva niente, ma che al tempo stesso era cosciente di non sapere niente: e dunque era diverso dagli stolti per il fatto di essere cosciente del suo non-sapere, tuttavia desiderando di sapere, anche se, come ho detto, la sua raffigurazione del sapere era profondamente diversa dalla raffigurazione tradizionale. Socrate, il filosofo, è dunque Eros: privato della saggezza, della bellezza, del bene, egli desidera, ama la saggezza, la bellezza, il bene. Egli è Eros e dunque è Desiderio, non un desiderio passivo e nostalgico, ma un desiderio impetuoso, degno di quel “pericoloso cacciatore” che è Eros. In apparenza, non vi è nulla di più semplice e di più naturale di questa posizione intermedia del filosofo: a metà strada tra il sapere e l’ignoranza. Si potrebbe supporre che gli sarà sufficiente praticare la sua attività di filosofo per superare definitivamente l’ignoranza e raggiungere la saggezza. Ma le cose sono alquanto più complesse».[2]

 Il filosofo accoglie la difficoltà della scelta, e la sua prassi, deliberare rettamente secondo virtù, aretè, esige il confronto con la propria medietà, ovvero desiderare la saggezza, in quanto l’assenza di essa, del suo totale possesso, invita ad un orizzonte di ricerca e confronto. Il demone socratico è l’ascolto del logos: non vi è attività più difficile che l’ascolto della parole, del pensiero che si concentra per concettualizzare e deliberare. La sophia con il daimon, e con i propri demoni che confliggono con il logos. L’autodominio è ideale deliberativo ed in quanto tale libero.

«Con il Simposio, l’etimologia della parola philosophia, “amore, desiderio di saggezza”», diventa il programma stesso della filosofia. Si può dire che con il Socrate del Simposio la filosofia assuma, definitivamente nella storia, una colorazione ironica e tragica. Ironica, perché il vero filosofo è colui che sa di non sapere, che sa di non essere saggio e che dunque non è né saggio né non-saggio, che non si sente al suo posto né nel mondo degli stolti, né nel mondo dei saggi, né totalmente nel mondo degli uomini, né totalmente in quello degli dei; che è dunque un non catalogabile, un senza fissa dimora, come Eros e come Socrate. Tragica, perché quest’essere bizzarro è torturato, straziato dal desiderio di raggiungere la saggezza che gli sfugge e che ama».[3]

 

La Filosofia come pratica olistica

Filosofare è confrontarsi con se stessi, trasformare la parola in carne viva, fare del logos una divinità a cui ci si dedica, che vuole dedizione ed attenzione, in cammino delle quali un passo in avanti è stato svolto nella caverna o nella gabbia d’acciaio, ma quel passo è il senso di una vita, è la verità di noi stessi, separa l’inautentico dall’inautentico. Filosofare è una pratica olistica, distante dalle contraddizioni del nostro oggi: il teoretico non è scisso dalla pratica. Per teoretico si intende la buona vita, essa è il vivere per attività conoscitive per se stesse. Lo scandalo oggi è la sospensione dell’utile: il sistema salterebbe senza l’abitudine all’utile. La libertà è gioia, se non dipende dall’utile, o dai risultati, ma è attività vissuta risponde al profondo di sé, per cui il chiasso del mondo diviene secondario. La teoretica implica la pratica, poiché il sapere teoretico dev’essere vissuto, la gioia è nel rendere comunitario ciò che umanizza.

«Nel linguaggio moderno “teorico” si oppone a “pratico” in quanto astratto, speculativo, in contrapposizione a ciò che ha a che fare con l’azione e la concretezza. Sarà dunque lecito, in questa prospettiva, contrapporre un discorso filosofico puramente teorico a una vita filosofica praticata e vissuta. Ma Aristotele stesso non utilizza che la parola “teoretico”, e la utilizza per indicare da una parte il modo di conoscenza che ha come scopo il sapere per il sapere e non un fine esterno a se stesso e, dall’ altra parte, il modo di vita che consiste nel consacrare la vita a questo modo di conoscenza. In quest’ultimo senso, “teoretico” non si oppone a “pratico”; in altre parole, “teoretico” può essere applicato a una filosofia praticata, vissuta, attiva, apportatrice di felicità».[4]

La Filosofia è dunque una pratica, l’adesione ad una scuola sottintende un ridisporsi gestaltico, la scelta concettuale è l’effetto della prassi, del deliberare. Lo studio della Filosofia come sequenza di concetti, nasconde l’essenziale: essa è riposizionamento ed attività nella carne, la concettualizzazione è complementare a tale pratica, il cui fine è formare un habitus ed operare la prassi.

«Penso che sarebbe anche utile precisare in breve la rappresentazione che io stesso mi faccio della filosofia. Ammetto senz’altro che, nell’antichità come ai giorni nostri, la filosofia sia un’attività teorica e “concettualizzante”. Ma penso anche che, nell’antichità, è la scelta compiuta dal filosofo riguardo a un modo di vita a condizionare e determinare le tendenze fondamentali del suo discorso filosofico, e credo, infine, che questo sia valido per tutte le filosofie. Non intendo naturalmente dire che la filosofia sia determinata da una scelta cieca ed arbitraria, ma intendo piuttosto che ci sia un primato della ragione pratica sulla ragione teorica: la riflessione filosofica è motivata e diretta da “ciò che interessa la ragione”, come dice Kant, ovvero dalla scelta di un modo di vita».[5]

 

La Filosofia come pratica dell’inutile concreto

Sono così svelati i pregiudizi con cui si cerca di rimuovere la sua presenza, quando liberata dalle liturgie del clero orante, afferma il diritto alla verità, al fondamento. La Filosofia, si afferma, è astratta ed inutile. Nulla di più menzognero. La Filosofia è concretezza, in quanto riporta l’unità dive vige la divisione, la genealogia dove i processi sono naturalmente ipostatizzati, e specialmente ricongiunge il teoretico con la prassi. In quanto tale, ha un valore etico di per se stessa. Il logos del teoretico con la prassi è un invito, mai un obbligo per la comunità. Se l’uditore non vuole collaborare, è recalcitrante all’ascolto, il Filosofo devia il suo cammino per altri ascolti ed ascoltatori.

«Nell’ordine teoretico non è sufficiente ascoltare un discorso, e nemmeno essere in grado di ripeterlo a memoria, per sapere, vale a dire per accedere alla verità e alla realtà. Prima di tutto, per capire il discorso sarà necessario che chi ascolta abbia già una certa l’esperienza delle cose trattate, una qualche familiarità con l’argomento».[6]

Il logos non è espresso solo con le parole, ma specialmente con la pratica di vita, come già detto, per cui l’esempio è la paideia fattasi carne, e dunque ricerca, etica sociale, ed educazione si ricongiungono per fare della Filosofia una possibilità necessaria della natura umana, senza la quale l’umanità – indebolita dal caos degli stimoli e dai falsi miti – compare e scompare dalla scena della vita e della Storia come semplice attrice che recita un copione scritto da altri.

«Il maestro dovrà dunque prepararsi a subire degli scacchi, tentare e ritentare di correggere il comportamento del discepolo compatendo le sue difficoltà. Per fare ciò è necessario, però, che il discepolo non esiti ad ammettere le proprie difficoltà e i propri errori, e che parli con libertà assoluta. Si vede, dunque, come la tradizione epicurea riconosca il valore terapeutico della parola. Il maestro, da parte sua, dovrà ascoltare con simpatia, senza irrisione né malevolenza. In risposta alla “confessione” del discepolo, il maestro dovrà anch’egli parlare liberamente per ammonire il discepolo, facendogli capire lo scopo effettivo dei rimproveri che gli ha rivolto. Epicuro, nota Filodemo, non aveva esitato a rimproverare vivamente il suo discepolo Apollonide in una lettera a quest’ultimo indirizzata. Occorre che l’ammonimento sia sereno, senza mancare di benevolenza. Si noterà che Filodemo aggiunge anche che il filosofo non deve temere di rivolgere rimproveri agli uomini politici».[7]

L’ostilità verso la Filosofia, il suo addomesticamento mediatico, celano il timore di una posizione etica all’interno di un contesto globale, che ha fatto dell’indifferenza ed del cinismo il paradigma di una libertà quantitativa, senza qualità. Necessitiamo di strutture di pensiero, e non solo di PIL. Ma urge fare chiarezza su cosa sia la Filosofia, affinché la speranza del logos possa riportare nella «gabbia d’acciaio» del disincanto una deviazione, un clinamen significativo.

Salvatore A. Bravo

[1] Pierre Hadot, Che cos’è la filosofia antica?, Einaudi, Torino 2010, p. 38.

[2] Ibidem, pp. 46-47.

[3] Ibidem, p. 48.

[4] Ibidem, pp. 79-80.

[5] Ibidem, p. 260.

[6] Ibidem, p. 87.

[7] Ibidem, p. 206.


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