Tavola rotonda sul libro di Luigi Ruggiu «Tempo Coscienza e Essere nella filosofia di Aristotele. Saggio sulle origini del nichilismo».

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ca foscari

 

Mercoledì 7 marzo 2018, ore 15.00

palazzo Malcanton Marcorà, aula Valent (4° piano), Ca’ Foscari  – Venezia

Tavola rotonda

con Luigi Ruggiu

Luigi Ruggiu

in occasione della riedizione del suo libro:
Tempo Coscienza e Essere nella filosofia di Aristotele
Saggio sulle origini del nichilismo

Introduce

Lucio Cortella

Lucio Cortella


Partecipano:

Enrico Berti_foto Baracchi e Campanini (46)

Enrico Berti

 ***

 

Stefano Maso

Stefano Maso


L’appuntamento è aperto a professori, studenti, soci SFI.


Locandina


Coperta 283

Luigi Ruggiu

Tempo Coscienza e Essere nella filosofia di Aristotele

Saggio sulle origini del nichilismo.

Prefazione di Emanuele Severino

 

ISBN 978-88-7588-186-3, 2017, pp. 496, formato 170×240 mm., Euro 35

indicepresentazioneautoresintesi

 

 

Aion Ostia nuova

Mosaico dello zodiaco e delle Quattro Stagioni. Ostia Antica, Magazzini.
Dalla Necropoli di Porto all’Isola Sacra, Tomba 101.

 

L’attualità di un testo si riconosce dalla centralità del tema, dalla novità nell’impostazione, dalla fecondità dei risultati. Non si tratta solo della conoscenza storica dell’autore, Aristotele, ma della penetrazione di una ricerca resa nuovamente disponibile per la sua capacità di interloquire con i problemi di metodo e di merito. Anche sul versante non direttamente filosofico della scienza, in particolare della fisica moderna e contemporanea. Il tempo analizzato nella Fisica è stato indagato iuxta propria principia. È quindi capace di sprigionare tutta la forza sintetica di penetrazione di un tema così impenetrabile e sfuggente.

«La parte del testo relativa alla trattazione del tempo si presenta come lo svolgimento sistematico più profondo ed articolato della tesi per cui il tempo viene costituito dall’anima attraverso l’atto di numerazione che esercita in rapporto al divenire, ed è quindi necessariamente relato ad essa. Questa grande sintesi operata da Ruggiu, che ricomprende tutti i contributi precedenti sulla definizione del tempo secondo Aristotele costituisce, sia per il rigore dell’argomentare che per la consistenza dell’impianto teoretico che assume come presupposto un confronto critico indispensabile per ogni interpretazione che da essa si differenzia; in questo senso rappresenta, insieme al testo di Conen, l’interpretazione attuale più interessante della dottrina aristotelica del tempo» (A. Giordani).

Il filo nascosto della indagine aristotelica è costituito dal ruolo che l’anima dell’uomo riveste nella physis. Attraverso una magistrale fenomenologia della coscienza del tempo, nella quale si mostra l’unità inscindibile di tempo e movimento, Aristotele mostra l’irriducibilità del tempo al movimento, ma anche la necessità del suo rapporto. Il “numero” che quindi compare nella definizione del tempo, non è il numero astratto, il numero matematico, ma il numero concreto, il numero numerato. Attraverso un’analisi penetrante dell’ora (νῦν) lo Stagirita mostra la necessità dell’identità e permanenza e insieme la struttura del differenza che è propria dell’istante e quindi del tempo. È l’istante che costituisce l’unità e la continuità del tempo, ma insieme anche la sua distinzione. Il tempo non si dà senza l’anima, cioè senza la chiamata in causa della memoria, della presenza e dell’attesa.

Nella contemporaneità, a lungo questa problematica è parsa monopolio della fisica, con le sue esplorazioni nel mondo dell’infinitamente piccolo e della fisica dei quanti. Ma qui il tempo con i suoi caratteri di irreversibilità e di ekstaticità scompare. La fisica conclude infine che il tempo è nulla, il prodotto di una semplice illusione, come ebbe a dire Einstein in una celebre lettera inviata ai familiari del suo amico Michele Besso: «Per tutti coloro che credono nella fisica, la divisione tra presente, passato e futuro ha solo il valore di un’ostinata illusione».

Oggi tuttavia assistiamo ad un ribaltamento di queste tesi. «La sintesi fra il tempo di Aristotele e quello di Newton è il gioiello dei pensieri di Einstein» (C. Rovelli). Se al livello più fondamentale “non c’è variabile tempo” e quindi non esiste differenza tra passato e futuro, esiste anche un movimento di ritorno (Nostos!) per comprendere come da questo mondo senza tempo possa emergere il tempo a noi familiare. Alla nostra scala, esiste anche la variabile tempo. Con una espressione alla Borges, si conclude che «il tempo siamo noi».

Ma quale Aristotele e soprattutto: quale tempo?

A questo interrogativo, il volume di Ruggiu fornisce una risposta convincente. Perciò oggi viene qui riproposto nella sua piena attualità.



Luigi Ruggiu è professore emerito di storia della filosofia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Già consigliere di amministrazione della Biennale di Venezia (1978-1986) e direttore della rivista di cultura e politica Il Progetto (1982-1992), a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta è stato Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Venezia. Nel 2000 è stato insignito della medaglia d’oro del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi dei “Benemeriti della scienza e della cultura”.

Le principali linee della sua ricerca sono:

I.

La problematica della temporalità nella storia della filosofia

Tempo Coscienza Essere nella filosofia di Aristotele. Saggio sulle origini del nichi-lismo, Brescia 1970; Il tempo in questione. Paradigmi della temporalità nel pensiero occidentale, a cura di L. Ruggiu, Guerini e Associati editore, Milano 1997; Filosofia del tempo, a cura di L. Ruggiu, Bruno Mondadori Editore, Milano 1998; Tempo della fisica e tempo dell’uomo: Parmenide, Aristotele, Agostino, Editrice Cafoscarina, Venezia 2006. Aristotele, Fisica. Testo greco a fronte. Saggio introduttivo, traduzione, note e apparati di L. Ruggiu, nuova edizione, Mimesis, Milano 2007; Tempo delle scienze, tempo della filosofia, in Pensare il tempo. Tra scienza e filosofia, a cura di U. Curi, Mimesis, Milano-Udine 2013, pp. 101-135; Lo spirito è tempo. Saggi su Hegel, Mimesis, Milano 2013; Parmenide e il tempo, in Parmenide. Nostos, L’essere e gli enti, Edizione rivista e ampliata, con testo e traduzione dei frammenti, e con un saggio: Mimesis, Milano-Udine 2014, pp. 455-512.

II.

Il problema dell’agire pratico e poietico

Teoria e prassi in Aristotele, Napoli 1973; La scienza ricercata. Economia politica e filosofia. Studi su Aristotele e Marx, Treviso 1978.

III.

Filosofia e economia

Genesi dello spazio economico. Il labirinto della ragione sociale: filosofia societá e autonomia dell’economia, Guida, Napoli 1982.

IV.

Parmenide e la genesi dell’ontologia

Parmenide, Venezia-Padova 1975; Parmenide, Il Poema sulla natura, introd., traduzione di G. Reale; saggio introduttivo e commento di L. Ruggiu, Rusconi, Milano 1991; Parmenide di Elea, in Le radici del pensiero filosofico. I – La filosofia greca: dai presocratici ad Aristotele, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1993; Parmenide. Nostos, L’essere e gli enti, Edizione rivista e ampliata, con testo e traduzione dei frammenti, e con un saggio: Mimesis, Milano-Udine 2014.

V.

La filosofia di Hegel

L. Ruggiu – I. Testa (a cura), Hegel contemporaneo. La ricezione americana di Hegel a confronto con la tradizione europea, Guerini e Associati, Milano 2003; L. Ruggiu – J. M. Cordon (cura), La crisi dell’ontologia. Dall’idealismo tedesco alla filosofia contemporanea, Guerini e Associati, Milano 2004; L’assoluto come nulla e la ragione come negare: Hegel a Jena, in Hegel e il nichilismo, a cura di F. Michelini e R. Morani, Franco Angeli editore, Milano 2003, pp. 21-40; Intersoggettività e universale della comunicazione, in L’Universale ermeneutico, a cura di G. Nicolacci e L. Samonà, Biblioteca del Giornale di Metafisica, Tilgher, Genova 2003, pp. 13-28; Spirito assoluto, intersoggettività, socialità della ragione, «Giornale di Metafisica», nuova serie, XXV (2003), pp. 393-418; Lo spirito è tempo. Saggi su Hegel, Mimesis, Milano 2013.

 

VI.

Questioni di storia della storiografia

Il presente del passato. La ripresa del pensiero classico nella filosofia contemporanea, in L’oggetto della storia della filosofia. Storia della filosofia e filosofie contemporanee, a cura di R. Racinaro, La Città del Sole Editore, Napoli 1998, pp. 173-222; La ripresa dell’antico in Giordano Bruno, in Giordano Bruno: destino e verità, a cura di D. Goldoni – L. Ruggiu, Marsilio, Venezia 2002, pp. 185-224.


Aristotele, Fisica. A cura di L. Ruggiu

Aristotele, Fisica. A cura di L. Ruggiu

 

Aristotele, Fisica. Nuova edizione

Aristotele, Fisica. Nuova edizione

Genesi dello spazio economico

Genesi dello spazio economico

 

Il tempo in questione occidentale Paradigmi sulla temporalità nel pensiero occidentale

Il tempo in questione. Paradigmi sulla temporalità nel pensiero occidentale

 

Lo spazio sociale della ragione. Da Hegel in avanti

Lo spazio sociale della ragione. Da Hegel in avanti

 

Lo spirito è tempo. Saggi su Hegel

Lo spirito è tempo. Saggi su Hegel

 

Logica Metafisica Politica. Hegel a Jena

Logica Metafisica Politica. Hegel a Jena

 

Parmenide. Nostos. L'essere degli enti

Parmenide. Nostos. L’essere degli enti

 

Parmenide. Poema sulla Natura

Parmenide. Poema sulla Natura

 

Parmenide

Parmenide

 

Tempo della fisica e tempo dell'uomo. Parmenide, Aristotele, Agostino

Tempo della fisica e tempo dell’uomo. Parmenide, Aristotele, Agostino

 

Teoria e prassi in Aristotele

Teoria e prassi in Aristotele


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Byung-Chul Han – Non è l’assenza di legami e di radici a rendere liberi, ma la presenza di legami e di integrazione.

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011   «Essere liberi non significa semplicemente essere privi di legami e di vincoli. Non è l’assenza di legami e di radici a rendere liberi, ma la presenza di legami e di integrazione. La mancanza assoluta di relazioni crea invece angoscia e inquietudine. La stessa radice indogermanica fri, da cui derivano in tedesco termini come frei (libero), Friede (pace) e Freund (amico), significa “amare”. In questo senso “libero” oroginariamente significa “appartenente agli amici e agli amanti”».

Byung-Chul Han, Il profumo del tempo. L’arte di indugiare sulle cose, Vita e Pensiero, Milano, 2017, pp. 40- 41.

 

Quarta di copertina

Viviamo in perenne mancanza di tempo. Quasi in apnea, ci affrettiamo per poter fare esperienza di tutto quello che il nostro mondo iperproduttivo ci mette davanti. Accelerare per avere più tempo è diventato l’imperativo della nostra vita. Ma questa ‘epoca dell’affanno’, in definitiva, ci rende ansiosi, stressati, disorientati. L’accelerazione della tecnologia e delle trasformazioni sociali non solo ha annientato lo spazio e la geografia stessa (ogni luogo è a portata di un clic o di qualche ora di aereo), ma ha atomizzato il tempo, lo ha frammentato in tanti ‘attimi presenti’ che si sostituiscono l’uno all’altro, che non conoscono più pause e intervalli, soglie e passaggi, e soprattutto non costruiscono più un’unica storia: la nostra. Perché questa disgregazione riguarda anche la nostra identità, che si impoverisce e si riduce, soffocata dalle proprie attività senza durata. Sono queste le riflessioni che Byung-Chul Han, il filosofo coreano che ama riflettere sull’uomo svelandone la situazione critica di fronte agli stimoli della società contemporanea, mette a fuoco in questo libro dal titolo seducente. Percorrendo in modo originale il pensiero filosofico sul tempo, da Aristotele e Tommaso a Heidegger e Arendt, passando per Hegel, Marx e Nietzsche (ma soffermandosi anche a lungo sull’opera di Proust), egli ci mette di fronte a quella che riassume come un’assolutizzazione della vita activa: la necessità di produrre (e consumare) come forma di realizzazione umana, che finisce per sottrarre all’uomo respiro e spirito. Bisogna allora riguadagnare un posto alla vita contemplativa, nella sua forma più quotidiana e vicina. Vale a dire reimparare a fermarsi, a ‘indugiare’: bellissimo verbo che parla di pause, di ozio meditativo, di sguardo lungo e cordiale sulle cose. In una parola, lo sguardo contemplativo restituisce al tempo il suo ‘profumo’, che è lento e permanente, che sa di ricordo e di memoria. Acquista allora un senso nuovo e smette di essere solo una stravagante curiosità l’orologio ‘a profumo’ dell’antica Cina, cui l’autore dedica pagine piene di poesia, che misura il tempo col bruciare di un profumato sigillo d’incenso: alla fine, resta un’eccedenza speciale, un aroma che riempie lo spazio, che indugia nell’aria in un momento sospeso e denso che apre alla felicità.

 



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José Ortega y Gasset (1883-1955) – La scienza necessita di un lavoro di ricostruzione. Ciò richiede uno sforzo di unificare, ogni volta più difficile, regioni più vaste del sapere totale.

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La ribellione delle masse, Il Mulino

La ribellione delle masse

 

007u  La filosofia non ha bisogno né di protezione, né di attenzione, né di simpatia da parte delle masse. Cura il suo aspetto di perfetta inutilità; e con ciò si affranca da ogni soggezione all’uomo-medio. Sa di essere per essenza problematica, e abbraccia allegramente il suo libero destino di uccello del buon Dio, senza chiedere a nessuno che l’accetti, senza raccomandarsi né difendersi.  J. Ortega y Gasset

 

«Il risultato più immediato di questo specialismo non compensato è che proprio oggi, quanto “gli uomini di scienza” sono più numerosi che mai, ci siano molti meno uomini “colti” di quanti ce ne fossero, ad esempio, intorno al 1750. E il peggio è che con questi furetti della caccia scientifica non si può neppure considerare assicurato il progresso della scienza. Perché la scienza necessita periodicamente, come organica regolazione del suo stesso sviluppo, di un lavoro di ricostruzione e, come ho già detto, questo richiede uno sforzo di unificare, ogni volta più difficile, regioni più vaste del sapere totale».

José Ortega y Gasset, La ribellione delle masse, Milano, 2001, p. 137.

 

La ribellione delle masse

La ribellione delle masse



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Temistio (317-388) – L’insegnamento silenzioso di Eraclito.

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«Gli abitanti di Efeso vivevano in mezzo al lusso e ai piaceri. Quando furono sorpresi dalla guerra e videro i Persiani circondare la loro città, continuarono a vivere come avevano sempre fatto. Solo quando le provviste cominciarono a diminuire e la fame si fece sentire, si riunirono in assemblea per decidere cosa fare per non terminare le provviste, ma non ci fu nessuno che ebbe il coraggio di proporre di mettere un freno al loro eccessivo tenore di vita.

Mentre se ne stavano seduti a discutere, un uomo chiamato Eraclito prese una manciata di farina d’orzo, la mescolò con acqua e si mise a mangiarla standosene seduto in mezzo a loro. In questo modo, diede a tutto il popolo un insegnamento silenzioso.

Si racconta che, dopo aver visto che, se volevano continuare a mangiare, dovevano ridurre in qualche modo gli sprechi della tavola, gli abitanti di Efeso sciolsero subito l’assemblea e se ne andarono a casa».

Temistio, La virtù.



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«Multifocal Approach» – LA REALTÀ AMA NASCONDERSI? DOES REALITY LIKE HIDING? – Il multifocal approach come valorizzazione dei profili “visibili” e “invisibili” di una realtà complessa – PRIMO INCONTRO INTERNAZIONALE

Multifocal Approach

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Universita_Macerata_Logo

 

UNIVERSITÀ   DI   MACERATA
Dipartimento di Studi Umanistici
lingue, mediazione,
storia, lettere, filosofia


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UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE


Sfimacerata



 

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LA REALTÀ AMA NASCONDERSI?

DOES REALITY LIKE HIDING?

***
Il multifocal approach come valorizzazione dei profili “visibili” e “invisibili”
di una realtà complessa – PRIMO INCONTRO INTERNAZIONALE
The multifocal approach as a valorisation of the “visible” and “invisible” profiles of a complex reality – FIRST INTERNATIONAL MEETING

 

INTERVENGONO

Francesco ADORNATO, Maria Rita AIANI, Manuel BERRÓN, Selene Iris S. BRUMANA, Lina CARACENI, Aldo CARDARELLI, Loredana CARDULLO, Elisabetta CATTANEI, Roberto CICCOCIOPPO, Roberto CRESTI, Carla DANANI, Francesca EUSTACCHI, Arianna FERMANI, Emanuele FRONTONI, Luca GRECCHI, Manuel KNOL, Giovanni LANZONE, Mauro MAGATTI, Roberto MEDDA, Maurizio MIGLIORI, Linda NAPOLITANO VALDITARA, Donatella PAGLIACCI, Lucia PALPACELLI, Carlo PONGETTI, Francesco ROCCHETTI, Carlo TOFFALORI, Mauro TULLI Maddalena VALLOZZA, Dennys Garcia XAVIER.

Ed ancora:

Giampaolo Abbate, Giada Capasso, Maria Teresa Carini, Edvaldo Antonio de Melo, Riccardo Di Stefano, Laura Gherardi, Antonio Governatori, Paola Mauri, Erica Napoletani, Federica Piangerelli, Cristiane Pieterzack, Elena Santilli, Roberto Mancini, Stefania Monteverde, Gianni Niccolò, Valerio Placidi.

 

Logo-Adobe-Acrobat-300x293 Scarica la Locandina Multifocal Approach

28 FEBBRAIO – 3 MARZO 2018

Sala Castiglioni, Biblioteca Comunale “Mozzi Borgetti” / Piazza Vittorio Veneto
Auditorium Unimc / Via Padre Matteo Ricci 2


MERCOLEDÌ 28 / BIBLIOTECA COMUNALE

Chair Arianna FERMANI

15.00 / Saluti Francesco ADORNATO /
Magnifico Rettore Carlo PONGETTI / Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici

15,30 / Maurizio MIGLIORI, Storia della filosofia antica, Macerata:
Introduzione. Le linee portanti del multifocal approach

16,15 / Roberto CICCOCIOPPO, Farmacologia, Camerino:
Struttura della memoria: esempio di complessità

Aldo CARDARELLI, Produttore video, Macerata:
Video e approccio multifocale: da risorsa a prospettiva di ricerca

Roberto CRESTI, Storia dell’arte contemporanea, Macerata:
L’Io-moderno e la riforma dell’arte contemporanea


 GIOVEDÌ 1  / BIBLIOTECA COMUNALE

Chair Donatella PAGLIACCI

h 9.00 / Manuel BERRÓN, Storia della Filosofia antica, Santa Fe / Paranà (Argentina):
Il metodo teorico, aporetico ed empirico in Politica A di Aristotele

Maria Rita AIANI, Medico, Prevenzione Ambienti di lavoro, ATS Como:
Il disordine ordinato dell’uomo e le infinite variabili in medicina

11.00 / Linda NAPOLITANO VALDITARA, Storia della filosofia antica, Verona:
Da Delfi alla mediazione stragiudiziale:
approcci multifocali alla conoscenza di sé e dell’altro

Francesca EUSTACCHI, Storia della filosofia antica, Macerata:
L’etica della situazione: l’uni-molteplicità nella prassi

 

15.00 / Chair Linda NAPOLITANO VALDITARA

Manuel KNOLL, Filosofia, Istanbul (Turchia):
Nietzsche’s Perspectivism

Loredana CARDULLO, Storia della filosofia antica, Catania:
Proclo, sui quattro τρόποι dell’insegnamento teologico in Platone

17.00 / Roberto MEDDA, Storia della filosofia antica, Cagliari:
Anthropos: un’indagine aristotelica ad alto grado di complessità

Dennys Garcia XAVIER, Filosofia antica ed Etica, Uberlândia (Brasile):
Il dibattito politico contemporaneo e la Filosofia Antica: un approccio paideutico


VENERDÌ 2 / BIBLIOTECA COMUNALE

Chair Elisabetta CATTANEI

11 / Mauro TULLI, Letteratura greca, Pisa
Esiodo multifocale: paradigmi arcaici di aggettivazion

Lina CARACENI, Diritto penitenziario, Macerata:
Meno carcere più sicurezza sociale:
l’apparente ossimoro che si cela dietro il finalismo rieducativo della pena

 

11.00 / Carlo TOFFALORI, Matematica, Camerino:
Hilbert e Pirandello, vite parallele

Maddalena VALLOZZA, Letteratura greca, Viterbo:
Isocrate: il Panatenaico nel dibattito della scuola

 

15.00 / Chair Maurizio MIGLIORI

Emanuele FRONTONI, Sistemi elaborazioni informazioni, Ancona:
Intelligenza Artificiale e Big Data:
strumenti a supporto dell’uomo per la valutazione e la scelta

Francesco ROCCHETTI, Psicologia politica (Macerata):
La relazione e l’impresa: il contributo della psicologia sociale

17.00 / Giovanni LANZONE, Saggista e giornalista, Milano:
L’impresa umanistica

Mauro MAGATTI, Sociologia, Milano:
La qualità integrale delle organizzazioni generative

 

17.30 / TAVOLA ROTONDA coordinata da Carla DANANI

Multifocal e Imprenditoria:
Guardare il futuro costruendo scenari con nuovi paradigmi

Partecipano: Mascia di Prima (Angelini A.C.R.A.F.) / Emanuele Frontoni (Univ. Politecnica delle Marche) / Roberto Mancini (Univ. di Macerata) / Stefania Monteverde (Assessore alla cultura – Comune di Macerata) / Gianni Niccolò (Direttore della Confindustria di Macerata) / Valerio Placidi (Grottini Lab) / Mario Ronchetti (Atena Informatica)


SABATO 3 / AUDITORIUM UNIMC

Chair: Mauro TULLI
h. 9.00 / Luca GRECCHI, Storia della filosofia, Milano
Mulifocal approach: una critica costruttiva ad un paradigma in costruzione

Arianna FERMANI, Storia della filosofia antica, Macerata:
Quando il rischio è bello.
Strategie operative, gestione della complessità
e “decision making” in dialogo con Aristotele

h. 11.00 / Lucia PALPACELLI, Storia della filosofia antica, Macerata
Zenone e Platone: due dialettiche a confronto.
Da una realtà aporetica a una realtà uni-molteplice.

Selene Iris S. BRUMANA, Storia della filosofia antica, Milano
Le uni-molteplicità del danzatore.
Aspetti della poikilia orchestica nel pensiero filosofico antico

 

Discussant: Giampaolo Abbate, Giada Capasso, Maria Teresa Carini, Edvaldo Antonio de Melo, Riccardo Di Stefano, Laura Gherardi, Antonio Governatori, Paola Mauri, Erica Napoletani, Federica Piangerelli, Cristiane Pieterzack, Elena Santilli.

 



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Salvatore Antonio Bravo – L’industria culturale capitalistica utilizza solo autori che interpretino K. Marx in senso riduttivo, proprio per evitare possibilità di sviluppo teorico progettuale con una conseguente prassi rivoluzionaria.

Marx e la divisione del lavoro
  • MarxEngels tondo  «E infine la divisione del lavoro offre anche il primo esempio del fatto che fin tanto che gli uomini si trovano nella società naturale, fin tanto che esiste, quindi, la scissione fra interesse particolare e interesse comune, fin tanto che l’attività, quindi, è divisa non volontariamente ma naturalmente, l’azione propria dell’uomo diventa una potenza a lui estranea, che lo sovrasta, che lo soggioga, invece di essere da lui dominata. Cioè appena il lavoro cominci a ad essere diviso ciascuno ha una sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore, o critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi per vivere; laddove nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico».

 L’idelogia tedesca, 1846.

 

 

L’epoca ideologica per antonomasia è proprio l’epoca attuale, nella quale il dicitur mediatico – a tambur battente – ci annuncia che le ideologie sono morte. Da tale postulato si deduce che viviamo nell’epoca dell’oggettivo, la verità è stata svelata e dunque è inutile sporgersi oltre l’orizzonte attuale.
Marx ci aiuta, con i suoi fendenti dialettici e con il suo apparato concettuale, a non cadere nella trappola ideologica: ogni produzione culturale è condizionata dalla struttura e, in ragione di tale necessitato condizionamento, è finalizzata ad occultarne la storicità. La produzione culturale è interna ai rapporti (Verkehr) di produzione. L’odierno successo del pensiero di Hannah Arendt dovrebbe muovere al sospetto che tale successo, malgrado la pensatrice, sia tutto interno ad una postura ideologica del turbocapitalismo: è una delle formule dell’adaequatio ad rem. L’opera della Arendt assimila, in un’unica categoria interpretativa, il Totalitarismo, sia l’esperienza sovietica che nazista. La semplificazione, o meglio, il riduzionismo interpretativo messo in atto, favorisce l’uso ideologico del pensiero della Arendt. Nei suoi scritti inoltre, al riduzionismo esemplificante della categoria di Totalitarismo, si aggiunge la sua discutibile interpretazione del pensiero di Marx. Nell’opera Le origini del Totalitarismo non è messo in opportuna evidenza la relazione tra i totalitarismi e l’economia liberista, ovvero l’arretramento dello Stato dinanzi alla crisi economica del 1929. L’atomismo su cui avrebbero agito i totalitarismi sono l’effetto delle politiche internazionali volte al saccheggio finanziario ed umano dei popoli. I totalitarismi sono l’effetto di una malattia, il suo epifenomeno. La malattia è il liberismo capitalista  con le sue sperequazioni e contraddizioni che si acuiscono nei periodi di crisi economica. Le crisi economiche mostrano la sostanza del liberismo, è il regno animale dello Spirito (G.W. Hegel, Fenomenologia dello Spirito), nel quale si perseguono unicamente gli interessi particolari a discapito della comunità: è il regno dell’atomismo sociale. Ciò che appare come “male minore”, il liberismo, se si effettua un’operazione di cambio di prospettiva mediante la quale i fenomeni storici sono letti in modo olistico, può svelarsi come la causa del problema, piuttosto che la soluzione. Come non legare l’ascesa del nazionalsocialismo all’austerità del governo Bruning e lo stalinismo come la corrente fredda favorita dall’aggressione internazionale verso il comunismo sovietico. La genetica della storia dimostra scientificamente l’azione annichilente del liberismo, novello e perverso Prometeo scatenato, che lasciando i popoli alla mercé violenta dell’economia, induce a reazioni di difesa estrema. È il sistema della paura, delle solitudini dinanzi al precariato ed alla flessibilità.

Pifferaio-Magico-Vetrata

Il Pifferaio Magico.

La contemporaneità è segnata dai neologismi ideologici del regno animale dello Spirito, allo scopo di occultare il vero, mediante una sovrastruttura di false rappresentazioni. Il cittadino globale è dato in olocausto al liberismo: si pensi all’emigrazione forzata, allo sradicamento di intere generazioni dai luoghi di origine, così come dal proprio futuro. Le vite dei cittadini globali sono paradigmatiche, caratterizzate come sono dall’eterno presente del precariato. La vita materiale di ciascuno diviene il luogo dove si annidano paure ed aggressività pronte a seguire il pifferaio magico di turno che intona motivi di ideologica ir-razionalità: si fa appello ad un modello di pseudo razionalità presentato nello splendore della sua oggettività, ma che in realtà è solo ideologia. Si induce a seguire un percorso predeterminato negli interessi di pochi, ma rappresentato come universale: e ciò nell’applicazione di una razionalità (irrazionale) sempre strumentale e mai veramente oggettiva. Terrorizzare, diffondere un senso di insicurezza, è una manovra per impedire percorsi alternativi e congelare la dialettica democratica:

«Intervistato recentemente dalla televisione britannica, un alto funzionario dei servizi di sicurezza sudafricani ha messo le carte in tavola: l’A.N.C. costituisce un pericolo reale, a suo parere, non per i propri atti di sabotaggio – per quanto spettacolari o dannosi – ma perché potrebbe indurre la popolazione nera, o gran parte di essa, a trasgredire “la legge e l’ordine”; se ciò avvenisse, anche i migliori servizi di informazione e le più potenti forze di sicurezza sarebbero impotenti (una previsione confermata di recente dall’esperienza dell’Intifada). Il terrore resta efficace finché la bolla d’aria della razionalità non viene squarciata. Il più sinistro, crudele, sanguinario dei tiranni deve restare un devoto predicatore e difensore della razionalità, o perire. Nel rivolgersi ai propri sudditi egli deve “parlare alla ragione”. Deve proteggere la ragione, lodare le virtù del calcolo dei costi e degli effetti, difendere la logica dalle passioni e dai valori che, irragionevolmente, non tengono conto dei costi e si rifiutano di obbedire alla logica. Tutti i governanti possono contare, in buona misura, sul fatto che la razionalità è dalla loro parte. I nazisti, inoltre, manipolarono la posta in palio in modo che la razionalità della sopravvivenza rendesse irrazionali tutte le altre motivazioni dell’azione umana. All’interno del mondo creato dai nazisti la ragione era nemica della morale. La difesa razionale della propria sopravvivenza richiedeva la non resistenza alla distruzione dell’altro. Questa razionalità spingeva i perseguitati gli uni contro gli altri e cancellava la loro comune umanità. Inoltre, li trasformava in una minaccia e in un nemico per tutti coloro che non erano ancora stati condannati a morte e ai quali veniva garantito, momentaneamente, il ruolo di spettatori. Il nobile credo della razionalità assolveva benevolmente sia le vittime sia gli spettatori dall’accusa di immoralità e dal senso di colpa. Avendo ridotto la vita umana al calcolo dell’autoconservazione, la razionalità la derubava della sua umanità»[1]

Bauman coglie appieno il falso dispositivo di razionalità, utilissimo a cementare sistemi con la paura ed il terrore dell’alternativa. Il pensiero della Arendt è interno al dispositivo di potere, è divenuto uno dei mezzi con i quali si chiude la discussione sull’alternativa a tale sistema. Serve ad omaggiare il liberal-liberismo come unica possibilità pensabile; il resto, è stato solo Terrore, pertanto non vi è alternativa al presente. Lo stivale sul volto dei popoli è anche l’industria della cultura, gli autori utilizzati come mezzo per necrotizzare il pensiero divergente. Si orientano le scelte facendole apparire come fatali, ritagliando lo spazio d’intervento dell’attività della mente. Si omette quanto il secolo precedente sia stato una possibilità non realizzata, perché in esso hanno convissuto una pluralità di potenziali modelli economici che oggi appaiono stigmatizzati tutti sotto la voce “utopici” o “male assoluto”.
La Arendt fa dunque parte dell’industria ideologica del capitalismo, “cultura di regime”. Si presta a tale logica l’analisi che la Arendt fa del pensiero di Marx. Sostiene infatti – e mi soffermo solo su questo punto – che Marx ha posto le condizioni per l’abbrutimento dell’uomo, poiché ha posto l’essenza dell’uomo nel lavoro, nella trasformazione della natura, in tal modo ha fatto dell’uomo una parte della natura, lo ha sottoposto ai cicli naturali, necrotizzando l’agere, la libertà, la creazione ex novo. Il materialismo dialettico nasce con un peccato originale, nega la libertà del genere umano, e dunque si presta ad essere lo sgabello ideologico di ogni dittatura. Una tale erratissima visione, spiega la motivazione del successo della Arendt, la quale educa ad associare al comunismo il Totalitarismo. Così si esprime la Arendt:

«Marx e le conseguenze. Poiché la scoperta centrale di Marx consiste nella descrizione dell’uomo come essere che lavora – da cui la posizione centrale della classe dei lavoratori e del cosiddetto materialismo (metabolismo con la natura), egli concepisce l’uomo come essenzialmente isolato. Colui che lavora, concepito e descritto secondo l’antico modello greco del fabbricante, in effetti è in linea di principio solo con ciò che produce; gli altri appaiono unicamente come aiutanti (mastro e assistente). Le categorie di mezzo-fine, che sono pienamente adeguate all’uomo alla fabbricazione, nel processo lavorativo si estendono all’uomo; da nessuna parte è tanto evidente e in un certo senso legittimo trattare gli uomini come mezzi quanto nl processo lavorativo»[2].

Si comprende quanto sia stata ribaltata la realtà. Per Marx l’essenza dell’uomo è generica: qui invece diventa strettamente legata alla produzione, in modo atemporale e meccanico. Marx, nel Frammento sulle macchine, ipotizza l’uso delle tecnologie per liberare gli uomini dal bisogno, per permettere l’espressione delle potenzialità infinite della mente di ciascuno. Ciò che secondo Marx è l’essenza dell’uomo, diviene nel discorso della Arendt unicamente e soltanto il lavoro legato alla necessità economica. Trasforma e rappresenta così il materialismo storico in un un materialismo adialettico ed acefalo. Marx, invece, concepisce la storia come dialettica evolutiva; pertanto, al di là di alcune derive naturalistiche e positivistiche, si struttura per una trasformazione progressiva quantitativa e qualitativa: la storia si evolve da uno stato di necessità ad uno di libertà mediante la mediazione dell’evoluzione storica, dalla legge della giungla produttivista e dello sfruttamento al regno dell’umano. Il genere umano pone nella storia le condizioni per la propria liberazione, per la scoperta consapevole di sé. La verità dunque si svela con una processualità che porta alla libertà, al superamento dell’estraniamento di sé. Il genere umano è parte della natura come della storia, ma non appartiene completamente ad esse, si rende libero con la processualità dialettica, la quale vuole il lavoro sociale come condizione imprescindibile per un processo evolutivo di liberazione del genere umano. Anzi, è in tale processo che si svela gradualmente quanto l’essere umano non abbia, come gli altri esseri viventi, una natura specifica, ma poliedrica, per cui il fine dell’evoluzione materialistica è la concretizzazione di tale disposizione tarpata dai processi di sfruttamento e di necessaria sopravvivenza. Marx è esplicito nell’affermare che la natura umana è generale e creativa:

karl marx  «regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi viene voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico»[3].

La Arendt afferma che l’essere umano ridotto a fabbricante, a homo faber, diviene un essere isolato. Il fraintendimento è qui notevole poiché per Marx la natura sociale dell’essere umano è libertaria e sociale. Non è un caso che nel Capitale, l’autore più citato è Aristotele. La tesi di laurea dello stesso Marx, Differenze tra le filosofie delle nature di Democrito ed Epicuro, è una contrapposizione tra il determinismo e l’indeterminismo, a favore di quest’ultimo. In tale tesi ricorre frequentemente il termine “autocoscienza”: nel linguaggio idealistico utilizzato da Marx, tale termine è speculare non all’homo faber ma alla libertà ed alla prassi.

Costanzo Preve, autore non utilizzabile a livello ideologico, delinea nei suoi testi lo spessore libertario ed emancipativo della natura generica e sociale di Marx:

 

Costanzo   «La socialità dell’uomo, che viene appunto alienata da questo processo di espropriazione, viene così delegata alle merci ed allo scambio sul mercato. Il rapporto sociale tra le persone si presenta per così dire rovesciato, come rapporto sociale fra le cose e non più fra gli esseri umani (reificazione, Verdinglichung). La merce assume così il ruolo di feticcio (feticcio delle merci, Warenfetizismus), in quanto appare dotata di valore autonomo ed originario, rimanendo così occulti i rapporti sociali umani che tale valore hanno prodotto (cfr. Il Capitale, I, La merce, 4), il che comporta un programma pratico di rovesciamento “dialettico” di questa situazione storica»[4].

Costanzo Preve coglie il pensiero di Marx nella sua pienezza emancipativa (ed ecco allora perché si tende a “silenziare l’elaborazione teorica di C. Preve, in quanto disfunzionale rispetto all’industria culturale). L’esame critico delle fonti deve educarci a vagliare, ancor più in tale contesto, l’uso ideologico degli autori.

Malgrado la contemporaneità sia presentata come laica e razionale, viviamo in un’epoca non solo fortemente ideologica, ma specialmente superstiziosa, poiché l’educazione alla passività, alla sudditanza ideologica totemica, diseduca al pensiero come attività consapevole di verifica. L’industria culturale, o a voler usare il linguaggio di Preve, il clero orante ed ideologico, utilizza i suoi spazi per diseducare alla prassi come alla speranza.

Marx è un autore che inquieta, che ci pone dei problemi, ed ipotizza soluzioni al plurale. Nell’industria culturale odierna pertanto sono utilizzati solo autori che lo interpretino in senso riduttivo, proprio per evitare possibilità di sviluppo teorico progettuale con una conseguente prassi rivoluzionaria. Alla Miseria dello Storicismo di Popper, altro autore utilizzato in senso ideologico, dovremmo contrapporre le miserie ideologiche dell’attuale sistema superstizioso e feticistico. In contrapposizione alla cultura conformista ed ideologica, dovremmo mettere in atto un’epochè culturale sostenuta dagli autori che svelano e rilevano la densità ideologica dei nostri giorni. In Ateismo nel cristianesimo, E. Bloch riporta l’aneddoto metaforico dei baffi di Hindenburg, il quale non avendo consistenza pilifera sul labbro superiore, cercava di coprire la pochezza pilifera con la messa in scena di baffi sempre più teatrali, rivolti verso l’alto[5]. Ora l’industria culturale asservita, alla stessa maniera, copre il vuoto con la vendita massiccia di taluni autori, che servono a coprire il volto truce e violento del nulla dei giorni del mero presente.

Salvatore Antonio Bravo

***

[1] Z. Bauman, Modernità ed Olocausto, Il Mulino, 1992, p. 198.

[2] H. Arendt, Nel deserto del pensiero, Beat, 2015, p. 70.

[3] K. Marx, Ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1983, p. 24.

[4] C. Preve, Storia della dialettica, Petite Plaisance, Pistoia, 2006, pp. 102-103

[5] E. Bloch, Ateismo nel cristianesimo, Feltrinelli, 1968: «I poveri che non possono parlare ad alta voce sono costretti a farlo in disparte; mentre invece quei ricchi, che pur non avendo nulla voglio tuttavia rappresentare qualcosa, agiscono sempre a voce spiegata […]. Estendendo, migliorando, talvolta anche falsificando tutto quanto hanno a disposizione e facendolo apparire tutt’altro, essi lo ricoprono delle penne di un pavone che nel migliore dei casi non c’entra per nulla. Un esempio, se si vuole un po’ sciocco ma pur sempre allegorico, lo abbiamo nei baffi di Hindenburg. Costui volendo essere baffuto ed essendo troppo scarsa la forza pilifera nel suo labbro superiore, convogliò in quella zona una parte dei peli delle guance, spazzolandoli verso l’esterno per meglio ingannare. Ecco nato così un surrogato, qualcosa che certo non fu succhiato col latte materno, un abbellimento esterno che ricorre ad elementi estranei. E per liberarci di Hindenburg, dissolvendo nel contempo la patria tradizione in una rossa realtà un tempo antitetica, dobbiamo ricordare che il surrogato è utile solo quando sia vuota del tutto l’antica culla che certo è artistica, ma manca pur sempre di sogni e di visioni. Abbiamo così il vantaggio di illuminare e comprendere sinceramente, lasciando apparire le cose come sono, il giusto che si è fatto sciocco».


Salvatore Antonio Bravo – Una morale per M. Foucault?
Salvatore Bravo – Aldo Capitini e la omnicrazia. L’apertura è sentire la compresenza dell’altro, sentire la propria vita fluire nell’altro, lasciarlo essere, amarlo per quello che è, liberarlo dalla paura del potere, della mercificazione.
Salvatore Bravo – L’abitudine alla mera sopravvivenza diviene abitudine a subire. Ma possiamo scoprire, con il pensiero filosofico, che “oltre”, defatalizzando l’esistente, c’è la buona vita.
Salvatore Bravo – La filosofia è nella domanda di chi ha deciso di guardare il dolore del mondo. Responsabilità della filosofia è il riposizionarsi epistemico per mostrare la realtà della caverna e rimettere in azione la storia.
Salvatore Antonio Bravo – L’epoca del PILinguaggio. Il depotenziamento del linguaggio è attuato dalla globalizzazione capitalistica, nel suo allontanamento dalla persona e dalla comunità.
Salvatore Bravo – Sentire se stessi è possibile attraverso l’uscita dalla caverna dei cattivi pensieri quotidianamente inoculati assumendo la libertà di vivere i poliedrici colori del possibile.
Salvatore Bravo – La tolleranza è parola invocata nel quotidiano terrore dei giorni. La tolleranza nasconde il volto aggressivo della globalizzazione. È la concessione della legge del più forte, il diritto di vivere concesso dal potere.
Salvatore Antonio Bravo – Il tempo che ha la sua base nella produzione delle merci è esso stesso una merce consumabile. Ogni resistenza dev’essere svuotata della sua temporalità e colonizzata dalle immagini dello spettacolo globale.
Salvatore Antonio Bravo – Le miserie della società dell’abbondanza. La verità del consumo è che essa è in funzione non del godimento, bensì della produzione.
Salvatore Antonio Bravo – La società dei cacciatori. L’atomismo sociale e la deriva individualista dei nostri giorni, trovano la loro sostanza in un’immagine esplicativa della condizione umana postmoderna: il cacciatore.
Salvatore Antonio Bravo – «Le vespe di Panama» di Z. Bauman. La filosofia perde la sua credibilità e la sua natura critica e costruttiva se vive nel mondo temperato delle accademie e degli studi televisivi e mediatici, dove campeggia l’uomo economico: turista della vita, vagabondo tra le mercificazioni.
Salvatore Antonio Bravo – Il comunista è un pensatore militante, consapevole dunque che la sua azione è perenne: non vi sono sistemi o regimi che concludono la storia e pacificano gli animi. In Marx l’idea del comunismo si concretizza anzitutto nell’immagine di una società in cui l’individuo, liberato dall’alienazione, diventa un uomo totale, universale, cioè capace di dar pieno sviluppo alla sua personalità.
Salvatore Antonio Bravo – Theodor L. Adorno, in «Minima moralia. Meditazioni sulla vita offesa», ci comunica l’urgenza di un nuovo esserci. Chi vuol apprendere la verità sulla vita immediata, deve scrutare la sua forma alienata, le potenze oggettive che determinano l’esistenza individuale fin negli anditi più riposti. Colui che non vede e non ha più nient’altro da amare, finisce per amare le mura e le inferriate. In entrambi i casi trionfa la stessa ignominia dell’adattamento.
Salvatore Antonio Bravo – «Viva la Revoluciòn» di E. Hobsbawm.
Salvatore Antonio Bravo – Evald Ilyenkov e la logica dialettica. Occorre studiare il pensiero come un’attività collettiva, in cooperazione. Il capitalismo è profondamente anticomunitario, trasforma tutto in merce, disintegra le comunità, smantella la vita nella sua forma più alta: il pensiero comunitario consapevole.
Salvatore Antonio Bravo – «Il giovane Marx», di György Lukács. L’intera opera di Marx è finalizzata dall’amore per l’umanità che si fa pensiero consapevole della disumanità di ogni condizione di alienazione, e di ogni reificazione negatrice della libertà.
Salvatore Antonio Bravo – Il libro di Norman G. Finkelstein, «L’industria dell’olocausto. Lo sfruttamento della sofferenza degli ebrei».
Salvatore Antonio Bravo – Il mercato e l’asservimento della Scuola: il mito dell’orientamento consapevole. Ciò che occorre invece è tempo per un’educazione da esseri umani, per lo sviluppo intellettuale, per l’adempimento di funzioni sociali, per rapporti socievoli, per il libero gioco delle energie vitali fisiche e mentali.
Salvatore Antonio Bravo – Marx poeta nel suo anelito all’universale: «Non rimaniamo immobili Senza volere né fare niente. Non subiamo passivamente il giogo ignominioso. Il desiderio, la passione, l’azione sono parte di noi».


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Levis Mumford (1895-1990) – Gli utopisti trattano sempre la società come un tutto unico. La nostra civiltà ha poi diviso la vita in compartimenti. Sono giunto dunque a considerare il pensiero utopista come l’opposto dello spirito unilaterale, partigiano, specialistico.

Levis Mumford

Anche la più ingenua utopia possiede qualità umane
che mancano del tutto nei progetti dei super-uomini.
L. Mumford

 

Storia dell'utopia

Storia dell’utopia

Introduzione di Franco Crespi Traduzione di Roberto D’Agostino, Donzelli, 2008.


014  

«Ogni comunità, oltre alle istituzioni in vigore, possiede una riserva di potenzialità, che in parte sono radicate nel passato, ancora vive anche se celate, e in parte derivano da nuovi rapporti e mutamenti, che aprono la via ad ulteriori sviluppi».

 

Levis Mumford, Storia dell’utopia.


 

 

008   «Poco dopo la prima guerra mondiale, io vivevo ancora nel clima di speranza della generazione passata; ma mi rendevo conto che l’entusiasmo del grande XIX secolo era giunto alla fine. Quando ho iniziato ad esaminare storicamente le utopie, intendevo chiarire che cosa in esse fosse andato perduto e definire che cosa fosse ancora valido. Fin dal principio ero conscio di una virtù che era stata inspiegabilmente trascurata: le opere classiche degli utopisti trattavano sempre la società come un tutto unico e tenevano conto dei rapporti esistenti tra funzioni, istituzioni e fini dell’uomo. La nostra civiltà ha poi diviso la vita in compartimenti. Sono giunto dunque a considerare il pensiero utopista come l’opposto dello spirito unilaterale, partigiano, specialistico»

Anche la più ingenua utopia che sia stata mai scritta, possiede qualità umane che mancano del tutto nei progetti dei «super-uomini» di scienza e degli individui dalla cieca morale che hanno inventato l’attuale strategia russo-americana di sterminio totale. Gli utopisti, pur avendo sopravvalutato le forze degli ideali, sono chiaramente in possesso delle loro facoltà e vicini alla realtà umana, molto più dei «realisti» – scienziati e militari – che hanno trasformato l’uso delle armi assolute in un ideale di costrizione. Questi cervelli sottosviluppati sono pronti a decimare e ad annientare la razza umana piuttosto di rinnegare le arbitrarie e irrazionali premesse sulle quali hanno posato la loro corrotta e ormai fallimentare strategia. I responsabili delle attività scientifiche, tecnologiche e militari che hanno più disprezzato la funzione degli ideali, trasformano oggi in un nuovo ideale l’espansione della loro capacità di distruzione e di sterminio.

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Karl Mannheim (1893-1947) – L’utopia impedisce alla realtà esistente di tramutarsi in assoluta. Noi consideriamo come utopie tutte le idee trascendenti una situazione data, le quali hanno comunque un effetto nella trasformazione dell’ordine storico-sociale esistente. Una mentalità si dice utopica quando è in contraddizione con la realtà presente.

Karl Mannheim

 

MANNHEIM

 


014  

«Ogni evento storico si presenta come una continua liberazione dell’ordine esistente, per mezzo dell’utopia, che da esso ha origine […] Noi consideriamo come utopie tutte le idee trascendenti una situazione data, le quali hanno comunque un effetto nella trasformazione dell’ordine storico-sociale esistente».

 

Karl Mannheim, Ideologia e utopia, il Mulino, Bologna 1957.


 

 

008   «La tesi principale della sociologia della conoscenza è che ci sono aspetti del pensare, i quali non possono venire adeguatamente interpretati, finché le loro origini sociali rimangono oscure. È senz’altro vero che l’individuo pensa. Non esiste sopra o sotto di lui un’entità metafisica, quale la coscienza di gruppo, di cui il singolo potrebbe, nel migliore dei casi, riprodurre le idee. Nondimeno, sarebbe falso dedurre da un tale fatto che le idee e i sentimenti di un individuo abbiano origine in lui solo e possano essere convenientemente spiegati sull’unica base della sua esperienza» (p. 8).
«A rigore, non è corretto dire che il singolo individuo pensa. È molto più esatto affermare che egli contribuisce a portare avanti il pensiero dei suoi predecessori. Egli si trova ad ereditare una situazione in cui sono presenti dei modelli di pensiero ad essa appropriati e cerca di elaborali ulteriormente, o di sostituirli con altri, per rispondere, nel modo più conveniente, alle nuove esigenze, nate dai mutamenti e dalle trasformazioni occorse nella realtà» (p. 9).

 

«Il conoscere è ideologico, quando non riesce a rendersi conto dei nuovi elementi insiti nella situazione o quando tenta di passare loro sopra considerandoli in termini ormai del tutto inadeguati» (p. 103).

 

 

049    La funzione dell’utopia è proprio quella di portare alla luce questi nuovi elementi
e di valorizzarli in massimo grado:
«Una mentalità si dice utopica
quando è in contraddizione con la realtà presente
» (p. 211).

«Utopici possono invero considerarsi soltanto quegli orientamenti che, quando si traducono in pratica, tendono, in maniera parziale o totale, a rompere l’ordine prevalente» (p. 211).

«Noi consideriamo utopie tutte le idee (e non soltanto, quindi, la proiezione dei desideri) trascendenti una situazione data, le quali hanno comunque un effetto nella trasformazione dell’ordine storico-sociale esistente» (p. 225).

«Da questo punto di vista, ogni evento storico si presenta come una continua liberazione dall’ordine esistente per mezzo dell’utopia, che da esso ha origine. Solo nell’utopia e nella rivoluzione si dà una vita autentica, mentre l’ordine istituzionale non rappresenta altro che il cattivo residuo delle rivoluzioni e delle utopie in fase di declino» (p. 217).

«In opposizione all’idea conservatrice di un ordine stabilito, l’utopia impedisce alla realtà esistente di tramutarsi in assoluta, concependola invece come una delle possibili “topie”, da cui scaturiranno quegli elementi utopici che a loro volta porranno in crisi lo stato attuale” (p. 217).

«Ogni epoca produce (nei gruppi sociali diversamente situati) quelle idee e quei valori in cui si condensano, per così dire, le tendenze non ancora realizzate e soddisfatte, che rappresentano i bisogni di ciascuna età. Codesti elementi intellettuali costituiscono allora il materiale esplosivo per far saltare in aria l’ordinamento esistente. La realtà presente dà origine alle utopie che, a loro volta, ne rompono i confini per lasciarla libera di svilupparsi nella direzione dell’ordine successivo» (p. 218).



Karl Mannheim, Ideologia e utopia, il Mulino, Bologna 1957.


 Per leggere ancora sull’argomento


Maria Luisa Bernieri, Attualità delle Utopie, in Volontà n. 6/7 1949.
Martin Buber, Sentieri in utopia, ed. Comunità, Milano 1967.

Thomas A. Reiner, Utopia e urbanistica, Marsilio, Padova 1967.
Leonardo Benevolo, Le utopie del secolo XIX,  in Le origini dell’urbanistica moderna,  Laterza, Bari 1968.
Lewis Mumford, Storia dell’utopia, ed. Calderini, Bologna 1969.
Pierluigi Giordani, Il futuro dell’utopia, Calderini, Bologna 1969.
Claudio Stroppa, Comunità e Utopia, Dedalo, Bari 1970.
Françoise Choay, La città. Utopie e realtà, vol. I e II, Einaudi, Torino 1973.
Massimo Baldini, Il pensiero utopico, Città Nuova, Roma 1974.
Otto Rühle , Il coraggio dell’utopia, ed. Guaraldi, Firenze 1972.
Rita Cirio e Pietro Favari (a cura), Utopia rivisitata, Bompiani, Milano 1974.
Maria Luisa Berneri, Viaggio attraverso Utopia, Arch. Fam. Berneri, (1950) Pistoia 1981
AA.VV., La cittàdell’utopia, pp.291, cheiwiller, Milano 1999.
Salvatore Santuccio, L’utopia nell’architettura del ‘900, Alinea, Firenze 2003


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Bronisław Baczko (1924-2016) – Rari sono coloro che spontaneamente proclamano di essere utopisti. Di norma sono gli altri a chiamarli così, intendendo con ciò presentarli come sognatori, inventori di chimere.

Bronisław Baczko

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Bronisław Baczko, L’utopia.
Immaginazione sociale e rappresentazioni utopiche nell’età dell’illuminismo
(Einaudi, Torino 1979)


014  «Essere uno storico non significa soltanto studiare il passato come professione, o mestiere; non soltanto disporre di una certa forma di erudizione o appropriarsi di un certo numero di tecniche di indagine. I grandi storici si sono distinti per il fatto che per loro essere storico significava anche un particolare modo di essere e di radicarsi nel mondo sociale, pensarlo in un modo proprio».

B. Baczko, Se n’è andato uno storico, “società e storia”, n. 42, 1988.


 

 

008«Rari sono coloro che spontaneamente proclamano di essere utopisti. Di norma sono gli altri a chiamarli così, intendendo con ciò presentarli come sognatori, inventori di chimere».



Bronisław Baczko, Lumières de l’utopie (Payot, Paris 1978), Utopia, in Enciclopedia Einaudi, Vol. XIV, Einaudi, Torino 1981, p. 870.




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Moses Israel Finley (1912-1986) – Apatia e ignoranza politica sono oggi un dato fondamentale. Forme nuove di partecipazione popolare, ateniesi nello spirito se non nella sostanza devono essere inventate. L’utopia trascende la realtà sociale, ma non è trascendentale.

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«L’utopia trascende la realtà sociale, ma non è trascendentale».

Moses Israel Finley, Utopie antiche e moderne,
in Uso ed abuso della storia, Einaudi, Torino 1981, p. 270.


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008«Apatia e ignoranza politica sono oggi un dato fondamentale, al di là di ogni possibile discussione; le decisioni non sono il frutto del voto popolare, che al massimo ha un occasionale potere di veto a fatto compiuto, ma sono prese dai leader politici. Il punto è stabilire se nella situazione odierna questo stato di cose è necessario e auspicabile o se forme nuove di partecipazione popolare, ateniesi nello spirito se non nella sostanza – se così mi posso esprimere – devono invece essere inventate».



Moses Israel Finley, La democrazia degli antichi e dei moderni, trad. di G. Di Benedetto e F. de Martino – postfazione di C. Ampolo, Milano, 1992, p. 36. [nuova ed. 2010].


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Indice

Prefazione alla seconda edizione

Prefazione alla prima edizione

I. Governanti e governati

II. La democrazia, il consenso e l’interesse nazionale

III. Socrate e dopo

Appendice Censura nell’antichità classica

Postfazione di Carmine Ampolo

Indice dei nomi



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