Sigmund Freud (1856-1939) – Il valore della caducità è un valore di rarità nel tempo. La limitazione della possibilità di godimento aumenta il suo pregio. Se un fiore fiorisce una sola notte, non per ciò la sua fioritura ci appare meno splendida.

Sigmund Freud 01
Opere, Vol VIII

Opere, Vol VIII

Caducità

«Non molto tempo fa, in compagnia di un amico silenzioso e di un poeta già famoso nonostante la sua giovane età, feci una passeggiata in una contrada estiva in piena fioritura. Il poeta ammirava la bellezza della natura intorno a noi ma non ne traeva gioia. Lo turbava il pensiero che tutta quella bellezza era destinata a perire, che col sopraggiungere dell’inverno sarebbe scomparsa: come del resto ogni bellezza umana, come tutto ciò che di bello e nobile gli uomini hanno creato o potranno creare. Tutto ciò che egli avrebbe altrimenti amato e ammirato gli sembrava svilito dalla caducità cui era destinato. […] Il valore della caducità è un valore di rarità nel tempo. La limitazione della possibilità di godimento aumenta il suo pregio. […] Se un fiore fiorisce una sola notte, non per ciò la sua fioritura ci appare meno splendida. …».[L’intera pagina nel PDF allegato]

Sigmund Freud, Caducità, in Opere, a cura di C. L. Musatti, Boringhieri, 1982, vol. VIII, p. 174.

 

Sigmund Freud, Caducità

 

Saggi sull'arte, la letteratura e il linguaggio

Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio

 


Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word     

  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 03-12-2016)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


***********************************************
Seguici sul sito web 

cicogna petite***********************************************


Giorgio Morandi (1890-1964) – Ritrovare il significato delle cose per ricominciare a guardare le cose. Quello che importa è toccare il fondo, l’essenza delle cose.

Morandi Giorgio 01
La città di Morandi

La città di Morandi

***

«Esprimere ciò che è nella natura, cioè nel mondo visibile, è la cosa che maggiormente mi interessa. […] Ciò che noi vediamo, credo sia creazione, invenzione dell’artista, qualora egli sia capace di far cadere quei diaframmi, cioè quelle immagini convenzionali che si frappongono tra lui e le cose. […] Ritrovare le ragioni per riguardare le cose da un punto di vista formale, ritrovare il significato delle cose per ricominciare a guardare le cose. […] Quello che importa è toccare il fondo, l’essenza delle cose».

Giorgio Morandi, intervista per The Voice of America, 25 aprile 1957, cit. in R. Renzi, La città di Morandi, Cappelli, Bologna 1989, pp. 113-114.

***

Giorgio Morandi, Autoritratto, 1925

Giorgio Morandi, Autoritratto, 1925

 

 

Fiori

Fiori

 

Natura morta, 1941

Natura morta, 1941


Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word     

  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 03-12-2016)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


***********************************************
Seguici sul sito web 

cicogna petite***********************************************


Marco Perroni – … il libro è finito … l’angelo se n’è andato promettendomi un ritorno: «Non barattarlo mai, l’incanto che …».

Marco Perroni 01

foto-perroni-Marco-6936_34875_13828_t

Nell’ottobre del 2001 insieme al mio amico Antonio, tra bicchieri di rosso, è nata l’idea di creare un libro che non avesse la forma del catalogo d’arte. Gli spunti sono stati tanti e, muovendomi in completa libertà, ne è risultato una sorta di mio diario suddiviso in trentasette giorni e in trentanove notti vissuti tra città, campagna e mare. Ho ritratto amici, amori svaniti, il bello e il triste che i miei occhi hanno visto nelle persone più diverse: i senza tetto dei portici della città in cui vivo, uomini e donne con la fragilità disegnata sui propri volti, i prepotenti, gli allegri, i buffoni, gli autoconvinti padroni del mondo, i violenti e le persone ancora incantate … Ho rivolto il mio sguardo anche agli animali che si rivelano un mio rifugio per quando l’uomo mi stanca. Questo è un libro realizzato per me stesso e soprattutto per i tanti amici.

Notturni d'inchiostro e giorni tinti

M. Perroni, Notturni d’inchiostro e giorni tinti

01Sante, 2001. Puntasecca su rame.

Sante Notarnicola, 2001.

… ovviamente è stato di notte che l’ho conosciuto …

***

02L'irregolare, 2001. Puntasecca su zinco

L’irregolare, 2001.

… sentivo cigolare qualcosa dietro quell’angolo …

***

03 Mia camminata, 2001. Linoleografia

Mia camminata, 2001.

… sessantatré scalini e poi fuori dal portone il freddo.
Amo il silenzio, ma quello di questa notte mi crea disagio.
Le nostalgie mi si aggrappano addosso: non c’è più neanche quel cane
che abbaiava mentre lei mi parlava …

***

04 Gli insabbiati, 2001. Acrilico su carta.

Gli insabbiati, 2001.

… tre razzisti discutevano animatamente,
mentre il terreno sotto di loro si faceva morbido …

***

05 Incomprensione, 2001. Tecnica mista su carta

Incomprensione, 2001.

… oggi quei due nel tentativo di comunicare non si capivano:
era così forte il vento che le loro parole venivano respinte dentro …

***

06 Due mimi. Tempera su carta

Due mimi, 2001.

… li avevo incontrati poco prima in piazza durante la loro esibizione …



Rufoism (Marco Perroni)

Nato a Cantù nel 1970, vive, disegna e suona a Bologna. Nel 1993 inizia a collaborare con la Galleria Poleschi Arte di Lucca e Milano. Nel 1999 espone al Teatro Massimo di Palermo e, a distanza di pochi mesi, nella galleria Arte in cornice di Torino. Nel 2004 sigla un rapporto di collaborazione con la Galleria Montrasio di Milano e Monza. Nel 2007 tiene una personale, ricca di tempere e acquerelli su carta nella sede storica della Galleria Montrasio in via Brera a Milano. Nello stesso anno, insieme all’amico pittore Nicola Villa, si trasferisce a New York nell’ambito del progetto “Harlem Studio Fellowship” ideato da Raffaele Bedarida e da Ruggero Montrasio. Nel 2010 è protagonista di una grande personale, “Bestiario Umano”, allestita al Palazzo del Broletto di Como. Il “Piccolo Bestiario Umano” viene presentato alla Galleria il Punto di Bologna. Nel 2014 espone alla Galleria Morone di Milano nell’ambito della collettiva dal titolo “Muse inquietanti ritratte da uomini inquieti”. A ottobre del 2015 tiene una personale nell’Harlem Room di Montrasio Arte a Milano dove presenta disegni digitali, creati con tavoletta grafica, stampati su carta e ritoccati a mano con colori a tempera. Fra le mostre collettive, si segnala la partecipazione, nel 1998, a “Omaggi a Giorgio Morandi” (Grizzana) e “Grandi Formati” alla Galleria Poleschi (Milano); nel 2002 “Il Cuore: Arte, Scienza e tecnologia”, alla Fondazione Antonio Mazzotta (Milano); nel 2007 alla rassegna “SerrOne: Biennale Giovani”, presso il Serrone della Villa Reale (Monza) dove vince il premio acquisto della giuria; nel 2008 alla XXIV Rassegna Internazionale Giovanni Segantini (Nova Milanese); nel 2009 figura in “44 Gatti d’autore”, a Ca’ la Ghironda (Bologna). Nel 2012 espone a Scope Art Basel, con la galleria Oltre Dimore. È presente ad Artefiera Bologna, ad Artissima Torino e al Miart di Milano per numerose edizioni, dal 1995 in avanti. Nella primavera del 2016 si terrà una personale a Innsbruck nella Project Room della galleria Km0. Hanno scritto di lui, fra gli altri, Enrico Mascelloni, Dino Carlesi, Nicola Miceli, Chiara Gatti e Marco Mancassola. Nel 2011 è segnalato, fra gli artisti emergenti, su Art Journal.


Psycodrammi

Una mostra di Marco Perroni
alla GalleriaPiù di Bologna (26-11-2015/22-01-2016)
La locandina della mostra alla GalleriaPiù

La locandina della mostra alla GalleriaPiù

Marco Perroni, in arte Rufoism, presenta alla GALLLERIAPIÙ un ciclo recente di lavori dedicati ai grandi temi dell’esistenza – l’amore, la morte, il destino, la solitudine – tutti riletti in chiave contemporanea, dal suo segno istintivo, graffiante, feroce. Una cinquantina di opere, su carta e su tela, mescolano tecniche diverse, la tempera, la grafite, la matita, la china, il pennarello, l’acquerello, e affrontano, con ironia amara, soggetti di scottante attualità: l’individualismo e l’ordinaria follia, il sesso come antidoto all’abbandono, il conformismo e la provocazione.
È una piccola commedia delle umane debolezze quella che Rufoism mette in scena, in un viaggio nelle tenebre del quotidiano, che ripensa iconografie classiche, come quella medievale del cavaliere, la morte e il diavolo (di matrice düreriana) e motivi ispirati invece all’espressionismo nordico, nei nudi alla Schiele, nei tramonti alla Nolde. C’è sofferenza e insieme riscatto, ossessione di un corpo torturato dal piacere e pace stremata sulle coste di un mare che accoglie, ma non consola.
Il gesto rapido della mano, la commistione fra i linguaggi della pittura figurativa e la nevrosi dell’informale, segnano immagini che commuovo e respingono allo stesso tempo. Come la realtà odierna dei fatti, sospesa in bilico fra aspettative e appagamento. Protagonisti di questo gap ansiogeno sono orde di personaggi in cerca d’autore, battitori liberi, businessman, fumatori, bevitori, modelle, asini e cani, che recitano a soggetto, trascinandosi storie personali, pesanti come macigni.
Spesso, Rufoism ritorna al suo antico bestiario, allegorie di tipi umani nascosti dietro gli occhi vitrei delle civette, fra i denti aguzzi dei caimano, nelle code mozze dei meticci, piccoli come pulci. Donne che hanno corpi di pesci, pesci che hanno corpi di donne nuotano in acque opache. L’erotismo che aleggia nell’aria si taglia col coltello e Rufoism lo seziona come un analista, un investigatore dell’inconscio armato di matita e temperino. Affilatissimo.Un po’ di pace – come sempre accade alle anime inquiete – viene dagli umori della terra e della natura. In certi paesaggi romantici e imprevisti, nei fiori recisi, nel mare che si muove e bagna le caviglie dei suoi villeggianti distratti, Rufoism riscopre il ritmo lento della pittura, che si spande sulle carte assorbenti. Macchie di presenze, spettri, apparizioni, epifanie in non-luoghi della mente, in quel non-nulla che fa la differenza fra attesa e felicità.
Una sezione collaterale della mostra, allestita nella project room della galleria, ospita “Porno Pop”, opere scelte di Rufoism sul tema dell’eros, del corpo e dell’amore senza tabù.

a cura di Chiara Gatti

 

 

 

Schermata 2016-12-02 a 10.06.35

Big black swimming pool

Schermata 2016-12-02 a 10.10.53

 

Schermata 2016-12-02 a 10.10.27

Schermata 2016-12-02 a 10.07.14

Schermata 2016-12-02 a 10.09.58

Schermata 2016-12-02 a 10.11.54

Schermata 2016-12-02 a 10.11.39

Schermata 2016-12-02 a 10.09.42


Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word     

  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 30-11-2016)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


***********************************************
Seguici sul sito web 

cicogna petite***********************************************


Andrea Marcolongo – I Greci si esprimevano in un modo che considerava l’effetto delle azioni sui parlanti. Loro, liberi, si chiedevano sempre “come”. Noi, prigionieri, ci chiediamo sempre “quando”.

***

«Ho amato quella lingua per la sua flessibilità di corpo allenato,
la ricchezza del vocabolario nel quale a ogni parola
si afferma il contatto diretto e vario della realtà.
L'ho amata perché quasi tutto quel che gli uomini hanno detto di meglio
è stato detto in greco».
Marguerite Yourcenar



Andrea Marcolongo

La lingua geniale.
9 ragioni per amare il greco

marcolongo_sitobis

Laterza, 2016.

 

 

«I Greci si esprimevano in un modo che considerava l’effetto delle azioni sui parlanti. Loro, liberi, si chiedevano sempre come. Noi, prigionieri, ci chiediamo sempre quando» (p. 3)

Un piccolo brano

«Il greco antico, grammaticalmente parlando, contava fino a tre: uno, due, due o più. Oltre agli stessi numeri con cui si contano le cose e quindi si misura la vita in italiano, il singolare -io- e il plurale -noi-, la lingua greca conteneva anche un terzo numero: il duale -noi due-. […] Il numero duale non esprimeva una mera somma matematica […] esprimeva invece una entità duplice, uno più uno uguale uno formato da due cose o persone legate tra loro da un’intima connessione. Il duale è il numero del patto, dell’accordo, dell’intesa. È il numero della coppia, per natura, o del farsi coppia, per scelta.
Il duale è allo stesso tempo il numero dell’alleanza e dell’esclusione. Due non è solo la coppia. Due è anche il contrario di uno: è il contrario della solitudine. […] Si tratta di un numero antico, puro. Un modo di dare numericamente senso al mondo. […] Era un numero […] molto umano. […] Ecco la mia personalissima definizione di duale: uno più uno uguale uno formato da due, non semplicemente ‘due’» (pp. 56-59).

Indice

In breve

Innanzitutto questo libro parla di amore: il greco antico è stata la storia più lunga e bella della mia vita. Non importa che sappiate il greco oppure no. Se sì, vi svelerò particolarità di cui al liceo nessuno vi ha parlato, mentre vi tormentavano tra declinazioni e paradigmi. Se no, ma state cominciando a studiarlo, ancora meglio. La vostra curiosità sarà una pagina bianca da riempire. Per tutti, questa lingua nasconde modi di dire che vi faranno sentire a casa, permettendovi di esprimere parole o concetti ai quali pensate ogni giorno, ma che proprio non si possono dire in italiano. Ad esempio, i numeri delle parole erano tre, singolare, plurale e duale – due per gli occhi, due per gli amanti; esisteva un modo verbale per esprimere il desiderio, l’ottativo, e non esisteva il futuro. Insomma, il greco antico era un modo di vedere il mondo, un modo ancora e soprattutto oggi utile e geniale. Non sono previsti esami né compiti in classe: se alla fine della lettura sarò riuscita a coinvolgervi e a rispondere a domande che mai vi eravate posti, se finalmente avrete capito la ragione di tante ore di studio, avrò raggiunto il mio obiettivo.

***


Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word     

  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 30-11-2016)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


***********************************************
Seguici sul sito web 

cicogna petite***********************************************


Claudia Baracchi – Incontrare l’antico può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci. E l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto.

Baracchi Claudia 01

31eMqFKLMWL._SX331_BO1,204,203,200_

Claudia Baracchi

Amicizia

Mursia, 2016

 

 «L’amicizia sorge in seno all’estraneità, rivolgendosi all’esterno: cerca il rapporto non tanto con chi sta vicino, ma con chi viene da lontano. Ancora prima di designare l’approfondimento dell’intimità e della consuetudine, l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto.»

Affrontare il tema dell’amicizia nell’epoca di Facebook e dei social network richiede coraggio e perfino una certa impertinenza. La relazione amicale comporta fiducia, fedeltà, disponibilità alla condivisione profonda. Ebbene, assicurano i sociologi, mai questo atteggiamento fu più improbabile che nel nostro tempo di drammatica riconfigurazione antropologica. La ricerca sull’amicizia non può dunque prescindere dal pensiero antico: con profondità ineguagliata esso ne indovina le più ampie implicazioni, affettive quanto politiche. Le epoche successive non oseranno tanto, e l’amicizia scomparirà dal pensiero politico così come da ogni considerazione complessiva sull’essere umano. L’Autrice percorre gli snodi della riflessione antica, nella convinzione che abbia a che fare con mondi a venire.

 


larchitettura-dellumano-188733

Claudia Baracchi

L’architettura dell’umano
Aristotele e l’etica come filosofia prima

Vita e Pensiero, 2014

Il secolo scorso ha variamente proclamato la fine della filosofia in quanto metafisica. Nel nuovo millennio si indovinano, a livello istituzionale, sintomi di una sempre più conclamata obsolescenza degli studi umanistici, e quindi della filosofia intesa come disciplina accademica ed esercizio puramente intellettuale. Eppure, nel gesto ampio di questo transito epocale, trovarsi di fronte ai testi antichi può essere occasione di esperienze sorprendenti. Vale a dire, avvicinarsi al testo nella sua materialità impervia, nell’effetto straniante della sua opacità, nella sua refrattarietà alla risoluzione interpretativa o manualistica, può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci – che interrogano l’umano, le sue vicende e possibili configurazioni, le scelte, i percorsi, l’ipotesi della felicità. Incontrare l’antico (Aristotele, per esempio) in questo modo implica coltivare l’intimità con ciò che ancora ci elude. Allora diagnosticare la fine, intravedere altri inizi, non significa superare, passare oltre, né ancora andare altrove. L’origine ci scruta enigmatica. Il suo mistero inconsumato ci sta davanti. Lungi dal comportare una deposizione o un ritorno, lo sguardo volto al passato si espone a ciò che nel passato resta impensato, inaudito. Forse è proprio cogliendo l’antico nel suo carattere insondabile che si vi può intravedere la possibilità inespressa, ciò che si annuncia ma resta in ombra: nella fine, in seme, il compito del pensiero a venire.


314y2bXAlTL._BO1,204,203,200_

Claudia Baracchi

Aristotle’s Ethics as First Philosophy

Cambridge University Press, 2007

In Aristotle’s Ethics as First Philosophy Claudia Baracchi demonstrates the indissoluble links between practical and theoretical wisdom in Aristotle’s thinking. Referring to a broad range of texts from the Aristotelian corpus, Baracchi shows how the theoretical is always informed by a set of practices, and specifically, how one’s encounter with phenomena, the world, or nature in the broadest sense, is always a matter of ethos. Such a ‘modern’ intimation can, thus, be found at the heart of Greek thought. Baracchi’s book opens the way for a comprehensively reconfigured approach to classical Greek philosophy.

Estratto:

Leggi l'estratto


Claudia Baracchi, Ph.D. in Filosofia, docente di Filosofia antica e Filosofia continentale alla University of Oregon (1996-1998) e alla New School for Social Research di New York (1999-2009), dal 2007 insegna Filosofia morale e Filosofia della relazione e del dialogo all’Università di Milano-Bicocca. È membro fondatore della Ancient Philosophy Society. È docente a Philo-Scuola Superiore di Pratiche Filosofiche. È analista membro della Società di Analisi Biografica a Orientamento Filosofico (SABOF)



Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word     

  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 26-11-2016)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


***********************************************
Seguici sul sito web 

cicogna petite***********************************************


Luigina Mortari – “Pensare” risponde alla necessità di stare alla ricerca di orizzonti di senso. A muovere il pensare è il desiderio di significato. Il non pensare liberamente è segno di una vita non vissuta nella sua essenza.

Mortari Luigina 03

 

 

A scuola di libertà

Logo Cortina

«Gli esseri umani […] sono innanzitutto esseri pensanti, nel senso che disegnano il cammino del proprio esistere con il pensiero, perché il pensare risponde alla necessità di stare alla ricerca di orizzonti di senso alla luce dei quali rischiarare il cammino esistenziale.
Ne consegue che la libertà ha una necessità irrevocabile del pensare, così come, reciprocamente, il pensare ha bisogno di libertà. Il filosofo, la figura che rappresenta chi ama pensare, è infatti colui che è “allevato davvero nella libertà”, perché solo chi ha esperienza della libertà può apprezzarla e averne cura. L’arte del pensare è, dunque, quella che si apprende per essere liberi cittadini.
[…] La ragione calcolante è mossa dall’ansia di dominio, dal desiderio di tenere sotto controllo gli eventi, da una volontà di potenza che deve far presa sulle cose. È rispetto a questo tipo di ragione che tutte le cose, viventi e non viventi, sono ridotte a mera risorsa, dal momento che non sarebbero di alcun valore se non per quello che noi possiamo fare di loro.
A muovere il pensare, invece, non è l’ansia di dominio, ma il desiderio di significato, ossia la tensione a cercare modi esistentivi capaci di inverare l’esistenza. In questo senso, pensare è “l’assoluto essere desti”, cioè stare con consapevolezza radicati nel presente per dare un’impronta originale al proprio esserci.
La mancanza di pensiero si rende evidente in un linguaggio dominato dai cliché, dalle frasi consumate, dall’adesione a codici di espressione e di condotta convenzionali e standardizzati, nell’incurante superficialità con cui si affrontano molte questioni decisive per la qualità dell’esistenza umana. Quando il pensiero manca, la mente diviene preda delle mezze verità, che altro non sono se non mere opinioni messe a lucido. Affidarsi a unità standardizzate di pensiero risponde al bisogno di difendersi dall’intensa problematicità dell’ esperienza umana […].
Usare pensieri già pensati e affidarsi a regole routinarie non può esaurire l’intera vita cognitiva, perché il male si compie non solo quando ci si lascia muovere da motivi abietti, ma anche, semplicemente, lasciando che le cose accadano così come stanno per accadere, poiché ci si astiene dal prestare attenzione al reale, dall’interrogarlo per comprenderlo.
Quando il processo di decisione relativo all’ agire si affida alle regole date, senza avvertire la necessità di interrogare il senso di ciò che si fa, si finisce per dismettere la responsabilità dell’esercizio della propria libertà di decidere consapevolmente.
Se l’essere umano è l’ente chiamato a decidere il possibile, allora il non pensare liberamente è segno di una vita non vissuta nella sua essenza: una situazione, questa, decisamente problematica, perché fa dipendere il nostro agire dalle decisioni di altri. La storia dimostra come tutte le volte che, in un contesto nel quale il pensare fatica a essere coltivato, arriva qualcuno che con forza intende modificare le regole di condotta vigenti sostituendole con altre senza passare attraverso un processo di negoziazione condivisa […]; infatti, chi tende a restare nel non-pensare si adegua passivamente ai nuovi codici senza avvertire la necessità di un’interrogazione etica sulla sensatezza o meno di quanto sta accadendo.
[…] È in atto una grave erosione della libertà individuale di pensare da sé per decidere da sé, e poiché questa è la qualità che definisce l’essenza dell’ essere umano rispetto agli altri viventi, allora è in atto anche una mancanza di rispetto dell’umanità dell’altro. Nel momento in cui si legittima l’azione di sottrarre all’altro la facoltà di decidere, si presuppone che il volere non appartenga più alla persona come sua disposizione sostanziale […]. Sottrarre all’altro la responsabilità di decidere significa, invece, decurtarlo della possibilità di rispondere alla chiamata a esistere, che consiste nel rispondere alla chiamata di scegliere di scegliere.
Arroganza e mancanza di rispetto sono due tra i fenomeni più gravi che ogni coscienza dovrebbe combattere, perché […] allora c’è il rischio del proliferare della crudeltà e dove c’è crudeltà viene meno la condizione di una buona qualità della vita, quel “vivere e fare bene” in cui consiste l’eudaimonia, cioè una vita buona per l’essere umano [Aristotele, Etica Nicomachea, I, 3, 1095a 19]» (pp. XI-XVIII).

Luigina Mortari,
A scuola di libertà. Formazione e pensiero autonomo, Raffaello Cortina Editore, 2008.

 

Logo You Tube

Luigina Mortari,
Educare la persona alla passione della progettazione esistenziale

 

 



Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word     

  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 26-11-2016)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


***********************************************
Seguici sul sito web 

cicogna petite***********************************************


Ludwig von Bertalanffy (1901-1971) – La società umana non è una comunità di formiche controllata dalle leggi della totalità sovraordinata

von Bertalanffy
Teoria generale dei sistemi

Teoria generale dei sistemi

 

«I valori reali dell’umanità non sono quelli che essa ha in comune con le entità biologiche, e cioè il funzionamento di un organismo oppure di una comunità di animali, ma quelli che sorgono dalla mente individuale. La società umana non è una comunità di formiche o termiti, governata da un istinto intrinseco e controllata dalle leggi della totalità sovraordinata; essa si fonda sulle realizzazioni dell’individuo, ed è condannata se l’individuo è reso pari a un ingranaggio della macchina sociale».

Ludwih von Bertalanffy, Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppi, applicazioni, Mondadori, 2010, p. 94).

 

***

Quarta di copertina
Le ultime ricerche in ogni campo della scienza hanno evidenziato come, nei più diversi fenomeni (dall'andamento dei mercati allo sviluppo di epidemie) sia necessario un approccio che analizzi non solo i singoli elementi, ma l'intera realtà generata dall'interazione di tutti i componenti del sistema. Questo metodo di analisi ha le sue origini in un saggio pubblicato nel 1969: la Teoria generale dei sistemi del biologo austriaco Ludwig von Bertalanffy. Un'opera che è ormai diventata un classico della letteratura scientifica e filosofica, mantenendo inalterata la sua dirompente attualità, e che ha influenzato in profondità la cultura odierna generando quell'atteggiamento interdisciplinare rivelatosi tanto proficuo.

***



Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word     

  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 18-11-2016)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


***********************************************
Seguici sul sito web 

cicogna petite***********************************************


Mario Lancisi – “Processo all’obbedienza. La vera storia di don Milani”: «Ognuno deve sentirsi responsabile di tutto».

Lancisi Mario

 

Libri: Don Milani 'Processo all'obbedienza' di Mario Lancisi

Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia.
Come ha libertà di parola e di stampa.
Come il cristiano reagisce anche al sacerdote
e perfino al vescovo che erra.
Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto.
don Lorenzo Milani

 

CvsqlIkXEAAej-_

Il 15 febbraio del 1966 si concluse a Roma un processo destinato a segnare la storia politica e culturale del nostro paese. In quel giorno, infatti, don Lorenzo Milani venne processato per il reato di apologia e incitamento alla diserzione e alla disobbedienza civile.
La colpa del priore di Barbiana era quella di aver scritto la Lettera ai cappellani militari in cui aveva difeso l’obiezione di coscienza al servizio militare e il dovere della disobbedienza a ordini sbagliati. Nel pieno della guerra fredda, questa provocazione doveva essere punita in modo esemplare.
Don Lorenzo, già gravemente malato, si difese con una Lettera ai giudici poi pubblicata in L’obbedienza non è più una virtù, uno dei testi antesignani del ’68 italiano. Assolto in primo grado, il priore di Barbiana fu condannato nel processo di appello, tenutosi nell’ottobre del 1967, ma la pena fu estinta per la morte del ‘reo’ avvenuta il 26 giugno dello stesso anno. Disobbediente alla sua famiglia, alla Chiesa e allo Stato in nome di un’obbedienza a Dio e ai poveri, questa condanna conferisce, mezzo secolo dopo la sua morte, dolore e stupore alla vera storia di don Milani, vissuto, come ha scritto Mario Luzi, «nel fuoco della controversia».
Seguendo il filo della vicenda processuale, il libro ricostruisce il clima di quegli anni cruciali, i dibattiti e le polemiche intorno al Concilio Vaticano II, il ruolo e il peso di personalità straordinarie come il teologo del dissenso Ernesto Balducci, il ‘sindaco-santo’ Giorgio La Pira e il cardinale di Firenze Ermenegildo Florit. E soprattutto ricorda a tutti noi la grande lezione di don Milani: non esiste obbedienza vera, profonda, non formale, senza disobbedienza come processo critico di assunzione di responsabilità.

***

Indice del volume

***

ANSA TOSCANA

Don-Milani-696x392

Papa Francesco a Barbiana per i 50 anni dalla morte di don Lorenzo Milani, che saranno ricordati nel giugno del prossimo anno? E’ per ora solo un’ipotesi suggestiva e il sogno segreto degli ex allievi del priore. E Bergoglio è al centro dell’ultimo libro di Mario Lancisi: “Processo all’obbedienza. La vera storia di don Milani” (Laterza, 158 pagine, 16 euro). Poco prima di morire – scrive Lancisi – in uno dei suoi concitati rapporti con il cardinale Florit, don Milani se ne usci’ con questa battuta: “Sa quale e’ la differenza, eminenza, tra me e lei? Io sono avanti di  cinquant’anni…”. Mezzo secolo dopo – scrive Lancisi, giornalista e esperto ‘milaniano’ – papa Francesco ha pareggiato il conto. Il 10 maggio 2014, in piazza San Pietro, sottolineando che il segreto della scuola e’ “imparare ad imparare” per educare i giovani ad essere aperti alla realta’, ha detto: “Questo lo insegnava anche un grande educatore italiano, che era un prete: don Lorenzo Milani”. Non solo. Papa Francesco ha sottratto Esperienze pastorali, il primo libro di don Milani, “dal cassetto dei testi proibiti per restituirlo al popolo di Dio come vangelo vissuto nelle strade operaie e comuniste di San Donato di Calenzano“, ricorda Lancisi. Il libro di Lancisi esce a cinquant’anni dal processo (15 febbraio 1966) che fu intentato a don Milani per la lettera ai cappellani militari che avevano attaccato duramente l’obiezione di coscienza. Il priore di Barbiana difende il diritto ad obiettare ad ordini ingiusti. La sua lettera diventa la bandiera del mondo pacifista.

ANSA 

***

donmilani

***



Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word     

  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 18-11-2016)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


***********************************************
Seguici sul sito web 

cicogna petite***********************************************


Benjamin Hunnicutt – È il tempo disponibile la vera ricchezza per l’uomo. Abbandonando l’obiettivo della riduzione dell’orario di lavoro, sia la “sinistra” che la destra si sono unite per sostenere una cultura dominata dall’etica capitalistica della produzione per la produzione.

Benjamin Hunnicutt

Il frutto perverso del Jobs Act
è l’ossimoro assoluto della precarietà lavorativa:
Permanently Temporary = Permanentemente temporanei

Take back your time, 2003

Take back your time, 2003

Come ha sottolineato Benjamin Hunnicut nel volume collettaneo curato da John de Graaf, Take Back Your Time: Fighting Overwork and Time Poverty in America (2003):«Neppure la maggioranza degli schiavi nel mondo antico e i servi durante il medioevo lavoravano così duramente, così regolarmente, e così a lungo come noi».

***

mazzettihunnicutt

LA RIDUZIONE DEL TEMPO DI LAVORO SULLE DUE SPONDE DELL ’ATLANTICO

Un dialogo tra

Benjamin Hunnicutt e Giovanni Mazzetti

Abbandonando l’obiettivo della riduzione dell’orario, legandosi sempre di più alla creazione di lavoro, di un “lavoro senza fine”, sia la sinistra che la destra si sono unite per sostenere una cultura dominata dalla nuova etica capitalistica della produzione per la produzione, secondo la quale solo il lavoro sembra avere valore e garantire la creazione di valore. La distinzione tra il marxismo materialista e il capitalismo materialista è così andata perduta, perché entrambi negano il valore del tempo disponibile e accettano il lavoro come assoluto. Per superare questo potente accordo c’è bisogno di una nuova visione politica[…]. A livello teorico è necessario ristrutturare le fondamenta ideologiche del modo di pensare, recuperando una più antica, alternativa, visione della Libertà, basata sulla riduzione dell’orario, e sulla rinuncia alla continua crescita economica. Mi riferisco alla liberazione dal lavoro e dai padroni – alla disponibilità di un tempo libero, da impiegare in attività più importanti dell’avere e del comperare. Gorz ha descritto tutto ciò come “un’attività autodeterminata …. il pieno perseguimento dei propri sogni, […] un’attività che può garantire la rigenerazione spirituale connessa con la disponibilità di un tempo libero”. Lo ripeto, quello di cui abbiamo bisogno è un nuovo approccio, che riprenda il vecchio principio socialista secondo il quale il tempo disponibile è la vera ricchezza […]. Il riemergere di un simile approccio rovescerebbe le priorità imposta dall’economia a rivoluzionerebbe la politica. Ma l’opposizione è formidabile.
Benjamin Hunnicut

***

Ibrahim A. Warde, NEGLI STATI UNITI TRIONFA LA RELIGIONE DEL LAVORO: Alienazione gioiosa nelle imprese americane, Le Monde diplomatique, 2002.



Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word     

  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 18-11-2016)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


***********************************************
Seguici sul sito web 

cicogna petite***********************************************


Johann Joachim Winckelmann (1717-1768) – La generale e principale caratteristica dei capolavori greci è una nobile semplicità e una quieta grandezza.

Johann Joachim Winckelmann
I greci, secondo Winckelmann,
furono la civiltà che più di ogni altra
riuscì nel realizzare un’arte caratterizzata
da purezza formale, armonia, equilibrio e assenza di turbamento:
e questo, proprio in virtù della loro elevatissima libertà.
Ed è pertanto qui che si inserisce la definizione dei capolavori dell’arte greca
come capolavori caratterizzati da nobile semplicità e quieta grandezza.



 

winckelmann

testataE

«La generale e principale caratteristica dei capolavori greci è una nobile semplicità e una quieta grandezza, sia nella posizione che nell’espressione. Come la profondità del mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l’espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un’anima grande e posata».

 

Johann Joachim Winckelmann,
Pensieri sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura
, Dresda 1763.

 

 

220px-Johann_Joachim_Winckelmann_(Raphael_Mengs_after_1755)

Anton Raphael Mengs, Johann Joachim Winckelmann (1755 circa);
olio su tela, 63,5×49,2 cm, Metropolitan Museum of Art, New York.

220px-Johann_Joachim_Winckelmann

Anonimo, Ritratto di Johann Joachim Winckelmann su paesaggio classico (dopo il 1760); olio su tela, 71×85 cm, castello Reale di Varsavia.

220px-Johann_Joachim_Winckelmann_(Anton_von_Maron_1768)

Anton von Maron, Ritratto di Johann Joachim Winckelmann (1768);
olio su tela, 136×99 cm, castello di Weimar

Nel giugno del 1755 un oscuro bibliotecario di provincia, Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), pubblicò a Dresda a proprie spese, in una tiratura di appena 50 esemplari, un anonimo e minuscolo libretto dal titolo Pensieri sull'Imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura. Questo breve testo incontrò subito un'enorme fortuna, tanto da circolare addirittura in copie manoscritte, e divenne in breve famoso in tutta Europa. Darà impulso alle più potenti speculazioni dell'epoca: Mendelssohn, Lessing, Herder e Goethe lo idolatreranno come un classico; e persino gli acerrimi nemici del classicismo weimariano, come Heinse o Hirt, non poterono fare a meno di confrontarsi con Winckelmann. Né si sottrassero ad un doveroso omaggio i grandi del Romanticismo e dell'Idealismo filosofico, da Moritz a Schelling, da Schlegel a Hegel. Ma cosa rese - e rende tutt'ora - tanto ammaliante la minuscola "opera prima" di Winckelmann? Il fatto che nei Pensieri sull'Imitazione, e ancor più nel Commento che ad esso Winckelmann fece seguire a distanza di un anno, parla il "grecista" e il filosofo che impostava il modello di un'utopia estetica cui faranno riferimento intere generazioni successive; l'antiquario raffinato; lo storico dell'arte che ha saputo trapiantare in Germania la trattatistica italiana, francese e inglese, inventando la storia dell'arte in senso moderno; e infine il dilettante, amico del pittore Adam Friedrich Oeser, studioso attento alle tecniche degli artisti. Queste molteplici componenti, che fecero definire opera "bizzarra e barocca" (Goethe) i Pensieri di Winckelmann, contribuirono in realtà a creare l'humus teorico per la grande stagione del Classicismo tedesco e più in generale dell'epoca Neoclassica. Già presentati per la prima volta in italiano da Aesthetica Edizioni di Palermo (1992) insieme all'indispensabile Commento, e corredati da un esaustivo apparato esegetico, critico e bibliografico magistralmente curato da Michele Cometa, i Pensieri sull'Imitazione sono ora riproposti in una riedizione che migliora e aggiorna la prima.

Nell’immagine in evidenza: Bertel Thorvaldsen, Zeus e Ganimede, 1817, Copenaghen, Thorvaldsens Museum



Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word     

  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 18-11-2016)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


***********************************************
Seguici sul sito web 

cicogna petite***********************************************


1 26 27 28 29 30 45