Simone Weil (1909-1943) – Il desiderio di luce produce luce: un tesoro che nulla al mondo ci può sottrarre.

Weil 009

 

Il desiderio di luce produce luce.

C’è vero desiderio quando c’è uno sforzo d’attenzione.

E si desidera realmente la luce

quando manca qualunque altro movente.

Se anche gli sforzi d’attenzione

rimanessero per noi apparentemente sterili,

un giorno una luce a essi esattamente proporzionale

infonderà l’anima.

Ogni sforzo aggiunge un po’ d’oro

a un tesoro che nulla al mondo ci può sottrarre.

 

                                       Simone Weil


Simone Weil (1909-1943) – Silenzi che educano l’intelligenza

Simone Weil, «Oppressione e libertà», Orthotes Editrice, 2015

Simone Weil (1909-1943) – Trovare uomini che amino la verità


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Eugène Minkowski (1885-1972) – La ricchezza dell’avvenire che libera dalla morsa dell’attesa

Minkowski 01
Il tempo vissuto

Il tempo vissuto

«La speranza va più lontano nell’avvenire dell’attesa. Io non spero nulla né per l’istante presente né per quello che immediatamente gli subentra, ma per l’avvenire che si dispiega dietro. Liberato dalla norma dell’avvenire immediato, io vivo, nella speranza, un avvenire più lontano, più ampio, pieno di promesse. E la ricchezza dell’avvenire si apre adesso daventi a me […] Ma la speranza va “più lontano” anche in un altro senso: la speranza allontana da noi il contatto immediato del divenire ambiente, sopprime la morsa dell’attesa e mi consente di guardare liberamente lontano nello spazio vissuto che si apre adesso davanti a me».

Eugène Minkowski, Il tempo vissuto. Fenomenologia e psicopatologia, Einaudi, 2004.


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Eugène Minkowski – Il tempo vissuto – L’azione etica apre l’avvenire davanti a noi perché resiste al divenire: è la realizzazione di quanto vi è di più elevato in noi
Eugène Minkowski (1885-1972)  – La morte, mettendo fine alla vita, la inquadra interamente, in tutto il suo percorso. È la morte che trasforma il succedersi o la trama degli avvenimenti della vita in “una” vita. Non è nel nascere ma è col morire che si diventa un’unità, “un uomo”.


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György Lukács (1885 – 1971) – Il fuoco che arde nell’anima partecipa all’essenza delle stelle. Perché il fuoco è l’anima di ogni luce, e nella luce si avvolge il fuoco.

Lukács 003

lukacs

«Il romanzo è la forma dell'avventura [...];
il suo contenuto è la storia di un'anima
che si mette in cammino per conoscersi,
che cerca l'avventura per mettersi alla prova,
per trovarvi, confermando se stessa,
la propria essenzialità».

György Lukács

 

Teoria del romanzo

Teoria del romanzo

 

 

«Felice il tempo nel quale la volta stellata è la mappa dei sentieri praticabili e da percorrere, che il fulgore delle stelle rischiara. Ogni cosa gli è nuova e tuttavia familiare, ignota come l’avventura e insieme certezza inalienabile. Il mondo è sconfinato e in pari tempo come la propria casa, perché il fuoco che arde nell’anima partecipa all’essenza delle stelle; come la luce del fuoco, così il mondo è nettamente separato dall’io, epperò mai si fanno per sempre estranei l’uno all’altro. Perché il fuoco è l’anima di ogni luce, e nella luce si avvolge il fuoco. Così ogni atto dell’anima riceve un senso e giunge al compimento entro questa duplicità: esso è compiuto nel senso e compiuto per i sensi, è perfetto perché l’anima riposa in se stessa mentre muove all’azione; è perfetto, ancora, perché il suo agire si stacca da essa e, fattosi autonomo, perviene al proprio centro e si iscrive in un suo conchiuso ambito».

György Lukács, Teoria del romanzo, SE.

 


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Søren Kierkegaard (1813-1855) – Occorre essere sinceri di fronte alla possibilità

Il concetto dell'angoscia

«[…] soltanto chi è formato dalla possibilità, è formato secondo la sua infinità. Perciò la possibilità è la più pesante di tutte le categorie. Veramente si sente dire spesso il contrario, che la possibilità è così lieve e la realtà invece tanto pesante. Ma da chi si sentono fare tali discorsi? Da alcuni uomini miserabili, che non hanno mai saputo che cosa sia la possibilità, e avendo dimostrato la realtà che costoro non sono buoni a nulla, si son rifatta a furia di menzogne una possibilità che fu così bella, così affascinante; alla base di questa possibilità sta tutt’al più un po’ di presunzione giovanile di cui sarebbe meglio vergognarsi.
Di solito la possibilità di cui si dice che è così lieve, si intende come possibilità di felicità, di fortuna, ecc. Ma questa non è affatto la possibilità; questa è una invenzione fallace che gli uomini, nella loro corruzione, imbellettano per avere almeno un pretesto di lamentarsi della vita e della Provvidenza e per avere un’occasione di farsi importanti ai propri occhi.
No, nella possibilità tutto è ugualmente possibile e chi fu realmente educato mediante la possibilità, ha compreso tanto il lato terribile quanto quello piacevole. Se un tale esce dalla scuola delle possibilità sapendo […] che

, […] si ricorderà che essa [la realtà] è molto più leggera di quanto non fosse la possibilità.
È soltanto in questo modo che la possibilità può formare; perché la finitezza e le condizioni finite nelle quali è assegnato all’individuo il suo posto, siano esse piccole e comuni o di grandezza storica, formano soltanto in un modo finito; si può sempre ingannarle, sempre ricavarne un’altra cosa, sempre mercanteggiare, sempre svignarsela in qualche punto, sempre tenersene un po’ fuori, sempre evitare di imparare da loro qualche principio di valore assoluto.
Per imparare così l’individuo deve avere di nuovo la possibilità in sé e formare da sé quello da cui deve imparare […].
Ma perché un individuo sia formato così assolutamente e infinitamente mediante la possibilità, egli deve essere sincero di fronte alla possibilità e deve avere fede. Per fede io intendo qui quello che una volta Hegel, a modo suo, determina molto giustamente: la certezza interiore che anticipa l’infinito».

Søren Kierkegaard, Il concetto dell’angoscia. La malattia mortale, Sansoni, Firenze 1965, pp. 194-195.

 


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Rainer Maria Rilke (1875 – 1926) – La pazienza è tutto

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Rilke, Lettere a un giovane poeta

 

«Aspettate con umilità e con pazienza l’ora della nascita di un nuovo chiarore. […] Il tempo, qui, non è una misura. Un anno non conta. Dieci anni non sono niente. Essere artisti non vuol dire contare, vuol dire crescere come l’albero che non sollecita la sua linfa, che resiste fiducioso ai grandi venti della primavera, senza temere che l’estate possa non venire. L’estate viene. Ma non viene che per quelli che sanno attendere, tanto tranquilli e aperti che se avessero l’eternità davanti a loro. Lo imparo tutti i giorni a prezzo di sofferenze che benedico: la pazienza è tutto“.

Rainer Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta.

Rilke nel 1901, ritratto da Helmuth Westhoff.

Rilke nel 1901, ritratto da Helmuth Westhoff.

 


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William Morris (1834 – 1896) – I partiti ‘fingevano’ soltanto di avere serie divergenze di opinione, e il ‘fingere’, smentito da ogni loro azione, era sufficiente allo scopo ….

Morris William
Notizie da nessun luogo

Notizie da nessun luogo

 

«[…] i partiti ‘fingevano’ soltanto di avere serie divergenze di opinione, perché se tali divergenze fossero esistite davvero, come avrebbero potuto i loro rappresentanti andare d’accordo nelle normali occupazioni della vita: come avrebbero potuto mangiare insieme … far traffici insieme, truffare la gente insieme; si sarebbero scontrati ad ogni occasione […] Il gioco dei padroni della politica consisteva nell’indurre con l’inganno, o nel costringere, la gente comune a sostenere le spese della vita lussuosa e degli svaghi eccitanti di poche cricche di ambiziosi; e il ‘fingere’ serie divergenze di opinioni, smentito da ogni loro azione, era sufficiente allo scopo ….

William Morris, News from Nowhere (1891), Notizie da nessun luogo, Garzanti, 1984

William Morris, Ophelia

William Morris, Ophelia.

 


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Ernst Bloch (1885 – 1977) – Chi è scialbo si colora come se ardesse. La via esteriore è la più facile. Apparire più che essere: questo il suo motto.

Bloch Ernst

Bloch-Il principio speranza

«Non tutti fanno una certa figura. Ma i più vogliono fare buona impressione e si sforzano di piacere. La via esteriore è la più facile. Chi è scialbo si colora come se ardesse. E allora c’è chi compare più di altri, si mette in mostra.

Ad agghindarsi si impara rapidamente. Il corteggiatore si mostra, come si suol dire, dal lato migliore. L’io si trasforma in merce, facile da spacciare, anche splendida. Egli osserva come altri si atteggiano, che cosa portano, che cosa c’è in vetrina, e ci si mette anche lui. Certo, nessuno può fare di sé quel che già prima non è cominciato in lui. E fuori, nei begli involucri, nei gesti e nelle cose, lo attira solo quel che già da lungo tempo vive nei suoi desideri, anche se vagamente, e perciò volentieri si lascia sedurre. Rossetto, trucco, piumaggi altrui aiutano per così dire il sogno di se stessi a uscire dalla caverna. Ed eccolo che va e si mette in posa, incipria quel poco che c’è e lo falsifica. Però non proprio come se uno potesse falsificarsi completamente; almeno il suo desiderio è autentico. Nell’atteggiamento preso esso si mostra, anzi si tradisce… Apparire più che essere è tutto ciò che così gli viene consentito nell’assillo di passare per qualcuno di migliore. Ma essere più che apparire, questa inversione non c’è nessun agghindarsi che la contraffaccia; perciò da nessuna parte c’è tanto kitsch quanto nel ceto che sopporta se stesso come inautentico”.

Ernst Bloch, Das Prinzip Hoffnung (1959) [Il principio speranza (Garzanti, 1994)].

 

 


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Thomas Mann (1875 – 1955) – L’arte è come se ricominciasse ogni volta da capo. Essa non minaccia la vita poiché è creata per dare alla vita la vita dello spirito. È alleata del bene, e nel suo fondo vi è la bontà. Nata dalla solitudine, il suo effetto è il ricongiungimento.

«L’arte, nelle sue realizzazioni ed espressioni individuali, è come se ricominciasse ogni volta da capo, come se, indossata la maschera dell’ingenuità, inconsapevole di sé, senza conoscersi o, per meglio dire, senza riconoscersi, facesse, ogni volta di nuovo e come per un caso fortuito e irripetibile, il proprio ingresso nella vita. Ogni sua apparizione è un caso unico, specialissimo e di impronta eminentemente personale, e per colui che lo rappresenta risulta assai arduo sussumerlo alla grande idea generale dell’arte; anzi, sulle prime non gli viene neppure in mente di farlo. […]

L’arte non minaccia la vita con gelido pugno demoniaco, poiché essa è creata per dare alla vita la vita dello spirito. Essa è alleata del bene, e nel suo fondo vi è la bontà, affine alla saggezza e ancor più vicina all’amore. Volentieri essa induce gli uomini al riso, ma ciò che suscita in loro non è mai una risata di scherno, bensì una letizia in cui l’odio e la stupidità si dissolvono, una letizia che libera e che ricongiunge.
Nata ogni giorno di nuovo dalla solitudine, il suo effetto è il ricongiungimento. Essa è l’ultima a nutrire illusioni riguardo alla propria influenza sul destino umano. Spregiatrice di ciò che è cattivo, non è mai stata in grado di arrestare la vittoria del male; sempre tesa ad attribuire un senso, non ha mai impedito le più sanguinose insensatezze.
Essa non è una forza, è soltanto una consolazione.
E tuttavia; gioco profondissimamente serio, paradigma di ogni aspirazione al compimento, essa è stata data come compagna all’umanità sin dall’inizio, e mai quest’ultima potrà distogliere del tutto dall’innocenza dell’arte il proprio occhio ottenebrato dalla colpa».

Thomas Mann, L’artista e la società, in Id., Nobiltà dello spirito e altri saggi, Mondadori, 2015, pp. 1614, 1626.

 


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Epicuro (341 a.C. – 270 a.C.) – Con maggior piacere gode dell’abbondanza chi meno di essa ha bisogno

Epicuro 006
Epistola a Meneceo

Epistola a Meneceo

 

«Consideriamo un grande bene l’autosufficienza, non perché in ogni caso dobbiamo vivere del poco, ma perché, se non abbiamo il molto, sappiamo accontentarci del poco, sinceramente convinti che con maggior piacere gode dell’abbondanza chi meno di essa ha bisogno, e che tutto ciò che è naturale è facile a procurarsi, invece ciò che è vano è difficile ad ottenersi; e i cibi frugali danno lo stesso piacere di un vitto sontuoso, una volta che sia eliminato del tutto il dolore del bisogno, e pane e acqua danno il più alto piacere, quando se ne cibi chi ne ha bisogno.
Pertanto l’abituarsi a un vitto semplice e non ricco, da un lato dà salute e dall’altro rende l’uomo sollecito verso i necessari bisogni della vita, e quando di tanto in tanto ci accostiamo a una vita sontuosa ci dispone meglio verso di essa e ci rende impavidi di fronte alla sorte».

Epistola a Meneceo

Epicuro, Lettera a Meneceo, 130,5-131,7; trad. di F. Scopece.

 


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Lucio Anneo Seneca (4 a.C. – 65 d.C.) – Da quando il denaro ha iniziato a venire in onore, il reale valore delle cose è caduto in discredito. Gli uomini consacrano il denaro come espressione massima delle cose umane.

Seneca 005

 

Seneca, Lettere a Lucilio

«Da quando il denaro, che tanti magistrati e tanti giudici tiene avvinti, che addirittura crea magistrati e giudici, ha iniziato a venire in onore, il reale valore delle cose è caduto in discredito, e noi, diventati ora mercanti ora merce in vendita, non esaminiamo più la qualità, ma il prezzo.
Per interesse siamo onesti, per interesse siamo disonesti, e inseguiamo la virtù fin tanto che c’è la speranza di guadagnarci, pronti a cambiare rotta se il vizio promette di più.
I nostri genitori ci hanno inculcato l’ammirazione per l’oro e l’argento, e la cupidigia, instillata in noi fin da piccoli, ha messo radici profonde ed è cresciuta con noi. Cosi il popolo intero, in tutte le altre cose discorde, su questo soltanto conviene: questo ammirano, questo si augurano per i loro cari, questo consacrano agli dèi, come espressione massima delle cose umane […]. I costumi si sono ridotti a un livello tale che la povertà è considerata maledetta e infamante, disprezzata dai ricchi, invisa ai poveri».

Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, 115, 10-11; trad. di C. Nonni.


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