Giorgio Gaber – Se ci fosse un uomo (poesia cantata)

 

 

Giorgio Gaber

«Se ci fosse un uomo
un uomo nuovo e forte
forte nel guardare sorridente
la sua oscura realtà del presente.

Se ci fosse un uomo…

Forte di una tendenza senza nome
se non quella di umana elevazione
forte come una vita che è in attesa
di una rinascita improvvisa.

Se ci fosse un uomo.

Se ci fosse un uomo generoso e forte
forte nel gestire ciò che ha intorno
senza intaccare il suo equilibrio interno
forte nell’odiare l’arroganza
di chi esibisce una falsa coscienza
forte nel custodire con impegno
la parte più viva del suo sogno
se ci fosse un uomo.

Se ci fosse un uomo.

Questo nostro mondo ormai è impazzito
e diventa sempre più volgare
popolato da un assurdo mito
che è il potere.
Questo nostro mondo è avido e incapace
sempre in corsa e sempre più infelice
popolato da un bisogno estremo
e da una smania vuota che sarebbe vita
se ci fosse un uomo.

Se ci fosse un uomo.
Se ci fosse un uomo.

Allora si potrebbe immaginare
un umanesimo nuovo
con la speranza di veder morire
questo nostro medioevo
col desiderio che in una terra sconosciuta
ci sia di nuovo l’uomo al centro della vita.

Allora si potrebbe immaginare un neo rinascimento
un individuo tutto da inventare
in continuo movimento.
Con la certezza
che in un futuro non lontano
al centro della vita ci sia di nuovo l’uomo.

[parlato]
Un uomo affascinato da uno spazio vuoto che va ancora popolato.
Popolato da corpi e da anime gioiose che sanno entrare di slancio nel cuore delle cose
popolato di fervore e di gente innamorata ma che crede all’amore come una cosa concreta
popolato da un uomo che ha scelto il suo cammino senza gesti clamorosi per sentirsi qualcuno
popolato da chi vive senza alcuna ipocrisia col rispetto di se stesso e della propria pulizia.
Uno spazio vuoto che va ancora popolato.
Popolato da un uomo talmente vero che non ha la presunzione di abbracciare il mondo intero
popolato da chi crede nell’individualismo ma combatte con forza qualsiasi forma di egoismo
popolato da chi odia il potere e i suoi eccessi ma che apprezza un potere esercitato su se stessi
popolato da chi ignora il passato e il futuro e che inizia la sua storia dal punto zero.
Uno spazio vuoto che va ancora popolato.
Popolato da chi è certo che la donna e l’uomo siano il grande motore del cammino umano
popolato da un bisogno che diventa l’espressione
di un gran senso religioso ma non di religione
popolato da chi crede in una fede sconosciuta dov’è la morte che scompare quando appare la vita
popolato da un uomo cui non basta il crocefisso ma che cerca di trovare un Dio dentro se stesso.

Allora si potrebbe immaginare
un umanesimo nuovo
con la speranza di veder morire
questo nostro medioevo
col desiderio
che in una terra sconosciuta
ci sia di nuovo l’uomo
al centro della vita.

Con la certezza
che in un futuro non lontano
al centro della vita
ci sia di nuovo l’uomo».

 

Grazie a Giulia Stanghini
che ci ha suggerito di inserire questa poesia cantata tra le pagine scelte.

Wislawa Szymborska – «SULLA MORTE SENZA ESAGERARE». Non c’è vita che almeno per un attimo non sia stata immortale. La morte è sempre in ritardo di quell’attimo.

Wisawa_Szymborska

SULLA MORTE SENZA ESAGERARE
Non si intende di scherzi,
stelle, ponti,
tessitura, miniere, lavoro dei campi,
costruzione di navi e cottura di dolci.
Quando conversiamo del domani
intromette la sua ultima parola
a sproposito.
Non sa fare neppure ciò
che attiene al suo mestiere:
né scavare una fossa,
né mettere insieme una bara
né rassettare il disordine che lascia.
Occupata a uccidere,
lo fa in modo maldestro,
senza metodo né abilità.
Come se con ognuno di noi stesse imparando.
Vada per i trionfi,
ma quante disfatte,
colpi a vuoto
e tentativi ripetuti da capo!
A volte le manca la forza
di far cadere una mosca in volo.
Più d’un bruco
la batte in velocità.
Tutti quei bulbi, baccelli,
antenne, pinne, trachee,
piumaggi nunziali e pelame invernale
testimoniano i ritardi
nel suo gravoso lavoro.
La cattiva volontà non basta
e anche il nostro aiuto con guerre e rivoluzioni
è, almeno finora, insufficiente.
I cuori battono nelle uova.
Crescono gli scheletri dei neonati.
Dai semi spuntano le prime due foglioline,
e spesso anche grandi alberi all’orizzonte.
Chi ne afferma l’onnipotenza,
egli stesso è la prova vivente
che essa onnipotente non è.
Non c’è vita
che almeno per u n attimo
non sia stata immortale.
La morte
è sempre in ritardo di quell’attimo.
Invano scuote la maniglia
d’una porta invisibile.
A nessuno può sottrarre
il tempo raggiunto.

Wislawa Szymborska

Giuseppe Conte – Materia madre

Giuseppe Conte

La materia è la madre nostra comune
siamo le zolle di terra da dove scocca
le sue frecce di primavera il papavero
e da dove cresce il grano –
siamo l’erba sottile e i rami
giganti del cedro e le foglie del banano,
la materia è la madre, siamo le gocce
della pioggia che benedice e feconda
l’acqua dei fiumi che si può bere
l’acqua salata dell’onda
e della marea, siamo la pietra rocciosa
che strapiomba tra agavi e cactus
la sabbia del deserto tutta rosa
di nebbia e di miraggi.
La materia è la madre nostra comune
in lei siamo fratelli, siamo i raggi
del pianeta Venere, i ghiacci delle comete
le corolle abissali delle nebulose
costellazioni ancora segrete
e quelle dell’Orsa, del Toro, delle Pleiadi.
Lo Spirito che ci genera
come uomini e ci dà il canto
ama la materia e il suo grembo
come l’amò all’inizio, quando
la penetrò con un moto
vorticoso e veloce
finché fu luce.
Giuseppe Conte, in Ferite e rifioriture, 2006
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