«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
Nel tempo della pandemia (che, come ha sancito ufficialmente all’inizio di marzo l’Organizzazione mondiale della sanità, è l’epidemia di coronavirus o Covid-19 estesasi a livello planetario) siamo tutti riportati alla nudità della nostra esistenza, dell’essenza umana e la sofferenza è universale. In questi frangenti ci sono rivelate nel modo più brutale, spietato e collettivo la fragilità, la finitezza e la mortalità costitutive degli esseri umani, l’assurdità della dismisura, di ogni mito e culto dell’onnipotenza; si può fingere di meno a noi stessi e agli altri sulla nostra condizione, i nodi vengono maggiormente al pettine. Pensiamo, specialmente nelle fasi più gravi e drammatiche della pandemia, alla presenza massiccia della morte attorno a noi e sempre più vicina a noi, alla sua strapotenza, alla minaccia costante dell’annientamento che rappresenta. Ricorrendo al linguaggio della teologia, Claudio Magris ha parlato della prolixitas mortis (prolissità della morte), della sua incombenza e incontinenza, della sua ininterrotta narrazione.
Nei giorni della pandemia ci tocca sperimentare in modo particolarmente amaro e rivelatore la verità tragica della filosofia dell’esistenza circa la prossimità estrema della morte, la vicinanza del nulla, il forte senso della fragilità umana e del destino. Avvertiamo con maggiore nettezza la nostra totale appartenenza alla natura, la nostra dipendenza da essa, l’ineludibilità della nostra interdipendenza ecologica e globale, il fatto che non possiamo esistere fuori della natura e cavarcela senza un nuovo rapporto con l’ambiente naturale e sociale.
Tutti in qualche modo soffriamo, però in modi e forme anche notevolmente diversi. La sofferenza e il peso maggiori – non va mai dimenticato – riguardano i malati e gli emarginati, tutto il personale sanitario costretto a turni di lavoro massacranti e a prodigarsi in condizioni difficilissime, tutti quei lavoratori della produzione e dei servizi che sono in prima linea per aiutare in vari modi la società. Un’immensa gratitudine, non del tutto esprimibile a parole, va a tutti coloro che operano continuamente per gli altri, per risanare, provvedere ai bisogni essenziali della popolazione, alleviare le pene, limitare i danni, evitare il peggio. Va soprattutto agli umili e agli ultimi che sgobbano senza posa, ai tanti senza-nome e senza-storia che svolgono il loro prezioso lavoro quotidiano lontani dalle luci della società sirenico-spettacolare e senza alcuna ribalta mediatica.
Ci sono poi una sofferenza psichica e interiore, un disagio e un malessere, una paura e un’angoscia che ci concernono tutti indistintamente, in varia misura, coi quali dovremo imparare a convivere e che già cerchiamo faticosamente di gestire e controllare, in nome dell’amore per la vita e per la convivenza. Ci proviamo, almeno dobbiamo assolutamente provarci, perché la mera disperazione non conduce da nessuna parte, anzi ci paralizza e impedisce l’azione.
Anche la prospettiva che questa situazione, soprattutto il rischio di contagio, possa durare non pochi mesi o più di un anno, è davvero rattristante e inquietante. Per non parlare della crisi economico-sociale in cui siamo già precipitati, di proporzioni gigantesche, planetarie. I milioni di nuovi poveri e disoccupati reclamano giustamente aiuto, ma nessuno può fare miracoli, neppure il miglior governo del mondo, che del resto non esiste da nessuna parte. E’ impressionante l’impasse in cui la politica si dibatte oggi, oscillante fra demagogia, promesse impossibili da mantenere, irresponsabilità, serietà dell’impegno e pesanti responsabilità di governo, chiamata a dare risposte impossibili o per forza carenti in una situazione senza precedenti, invitata da ogni parte a tamponare faticosamente le ferite del corpo sociale e a dare risposte comunque inadeguate. Naturalmente, anche in questa situazione, c’è chi si dedica senza alcun pudore allo sciacallaggio, alla demagogia sfrenata e alla più vile strumentalizzazione politica, promettendo miracoli e cose del tutto aleatorie. Molti abboccano, ma non se ne può più della politica da bassa cucina elettorale, alla ricerca del consenso immediato, di corto respiro, menzognera. Come ha detto in un’intervista televisiva un medico intelligente, riferendosi a sé stesso e ai medici (ma il discorso andrebbe esteso a tutti), oggi “nessuno può fare lo Zarathustra” e atteggiarsi a facile profeta o a salvatore dalla bacchetta magica. Un pizzico di umorismo e di sana autoironia ci farebbe bene anche in questi frangenti, ma prevalgono di gran lunga in molti la rabbia, la violenza verbale, il disprezzo, il mugugno ininterrotto e l’opposizione inconcludente, il velleitarismo, la mancanza di lucidità e di alternative praticabili.
Fatti per la vita sociale, di gruppo e di relazione, abituati ai riti e ai culti della civiltà di massa, nelle presenti circostanze agli uomini è improvvisamente impedita la normalità di questa vita, pensiamo soltanto all’obbligo del mantenimento delle distanze tra le persone, all’impedimento degli abbracci, delle strette di mano, dei gesti affettuosi, dei contatti ravvicinati, etc. . Ognuno è in qualche modo paradossalmente invitato e per certi aspetti obbligato – proprio per amarci e rispettarci più profondamente – a diffidare dell’altro, a non aprirsi all’altro, a sospettare il contagio ovunque, a mantenere le distanze, appunto.
E’ amarissima – ancorché indispensabile e necessaria, beninteso – questa riduzione drastica e pesante, questa perdita secca dei livelli normali della qualità della vita, delle relazioni e della socialità nelle nostre città spettrali e desertificate, in cui le sirene delle ambulanze rompono sovente il silenzio delle vite sospese con suoni terribili, opprimenti l’animo ancor più del solito, di sventura e di morte.
Questa normalità degli affetti, dei sentimenti, dei rapporti umani schietti, delle relazioni fruttuose ci è assolutamente cara e indispensabile; non è così, invece, per la normalità alienata, per la normalità del conformismo e del consumismo, dell’inquinamento e del rumore, del traffico e della fretta, della società dell’individualismo e della competizione, del capitalismo edonistico e della cultura dello spreco, del totalitarismo del mercato, del mondo mercificato e del feticismo economico, dell’impero del capitale, delle merci, della tecnica e del Dio-denaro, in cui gli uomini sono ridotti essenzialmente a produttori/consumatori, valgono solo come tali, non sono più considerati innanzitutto come abitanti del pianeta, come esseri umani nella loro complessità e pienezza. Questa “normalità” va rimessa in discussione, perché sta inaridendo la convivenza sociale, sta distruggendo e forse distruggerà la vita sul pianeta.
Nei giorni della pandemia colpiscono molti volti, sguardi, movimenti, atteggiamenti, gesti, spesso muti, mesti, discreti e quasi impercettibili, ma anche pietosi, solidali, gentili, cortesi, partecipi, più che mai coscienti e rispettosi. E’ la ricchezza della nostra umanità colpita e ferita, che non può esprimersi pienamente, ma che scopre e vive la condizione comune di sofferenza, disagio e impedimento. Ci sono pure meravigliosi volontari che prestano aiuto come possono, veri e propri piccoli, grandi eroi della nostra vita quotidiana tribolata, testimonianze luminose della nostra umanità.
Molti, per fortuna, capiscono che siamo tutti “sulla stessa barca”, che nessuno – nemmeno Trump, Johnson e Bolsonaro – può permettersi di fare troppo a lungo il gradasso o lo sbruffone in questa situazione così tragica e dolorosa. Nessuno di quelli che, giovani o vecchi, sono ancora sani o non contagiati dovrebbe dimenticare che ci sono quelli che hanno bisogno, stanno male o, comunque, stanno peggio di loro.
Nell’isolamento, nell’apprensione e nella desolazione universale, io, ad esempio, riesco ancora, almeno per il momento, a lavorare e a scrivere queste note: ne sono pienamente cosciente e quasi me ne vergogno, ma è pur vero che devo, voglio, posso farlo e che ciascuno è chiamato anche al dovere sacrosanto di non cadere vittima di una depressione paralizzante e pericolosa (specialmente in queste condizioni di vita sociale), alle esigenze della convivenza, di proteggersi e di proteggere gli altri, come e per quanto possibile, almeno cercando di non ammalarsi e di non contagiare.
Non possiamo però dimenticare che, nemmeno in queste circostanze così aspre per tutti, continua ad agire l’umanità meschina, peggiore degli sciacalli e degli avvoltoi, degli approfittatori e degli opportunisti, del “familismo amorale”, di coloro per cui vale il motto “tanto peggio per gli altri” e che pensano soltanto a sé stessi, al proprio “particulare”: mi riferisco, ad esempio, a quegli sciagurati che cercano di truffare gli anziani introducendosi nelle abitazioni e spacciandosi per personale sanitario, a quelli che hanno consapevolmente contagiato altri andandosene tranquillamente in giro o speculato sul prezzo delle mascherine, a coloro che corrono all’accaparramento di beni alimentari nei supermercati o di prodotti sanitari nelle farmacie, a coloro che chiedono aiuti economici senza averne davvero bisogno. Occorre fare attenzione anche a questa umanità irresponsabile e incosciente o comunque scarsamente responsabile in servizio permanente effettivo.
Sperimentiamo infatti più che mai l’ambivalenza dell’umano e quella che Robert Musil chiamò, nel suo capolavoro incompiuto Der Mann ohne Eigenschaften (L’uomo senza qualità, 1930-1942), “la profonda duplicità del mondo” (die tiefe Zweideutigkeit der Welt), che ora ci abbassa e ora ci innalza, una volta ci deprime e una volta ci esalta.
Da un lato, troviamo tra l’altro l’opportunismo, l’arroganza e la presunzione, la malvagità, lo sciacallaggio economico e politico, la stupidità, insomma tutto il male di cui gli uomini sono capaci anche nelle situazioni che dovrebbero richiedere il massimo di aiuto, solidarietà e collaborazione; dall’altro le meravigliose qualità, caratteristiche ed energie di tutti coloro che danno il meglio di sé, impegnati ad arginare il peggio e a salvaguardare l’umano. Assistiamo a veri e propri prodigi quotidiani in termini di abnegazione, generosità, cura, attenzione, lavoro costante e scrupoloso, prodigalità e rispetto, quasi sempre senza alcuna grancassa mediatica.
Sarebbe auspicabile che da questa tragedia potesse spuntare un “nuovo inizio”, una ri-nascita, affacciarsi un “cuore nuovo” o “di carne” (grande tema della sapienza e profezia biblica. Cfr. Ez 11, 19-20; Ez 36, 26-27; Ger 31, 31-34; 1Re 3, 9-12) in alternativa al “cuore di pietra”, avviarsi una conversione (non solo etica, ma pure una conversione ecologica dell’economia), un processo di umanizzazione reale, in nome di quella globalizzazione della fraternità e della cooperazione, della solidarietà e della condivisione indicata pure, profeticamente, da papa Francesco. Un’altra forma della globalizzazione, più ecologica e solidale, più giusta e fraterna, è drammaticamente urgente.
“Svegliati, o Signore!”, ha esclamato papa Francesco in un giorno di fine marzo, in una piazza san Pietro vuota e scura, sotto la pioggia, durante l’Urbi et orbi, invocando Dio perché intervenga e ci liberi dalla pandemia. “Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”: queste e altre parole del papa sono nel contempo pietose, lucide e profondamente umane, ma rivelano pure una drammatica impotenza.
Su “Avvenire” il sociologo cattolico Mauro Magatti ha espresso apertamente nei giorni più duri di questa tragedia il proprio smarrimento e la propria inquietudine di credente circa la difficoltà di cogliere i segni e le tracce del divino nella situazione odierna. Comunque la si pensi, credenti o non credenti, non c’è alcun “Dio tappabuchi” (Dietrich Bonhoeffer), Dio non risponde, non può risponderci. Siamo affidati a noi stessi, alle nostre scelte e responsabilità, alle nostre azioni e pratiche di vita.
Il silenzio e l’assenza di Dio – nel tempo presente che sparge paura, sofferenza e morte a piene mani fra gli uomini – ci lasciano particolarmente sgomenti e ci rivelano l’abisso della condizione umana, ma ci richiamano pure all’esigenza pressante dell’azione e della assunzione di responsabilità.
Le attuali tribolazioni e angustie richiedono una radicale conversione dei cuori e delle coscienze, una tensione alla giustizia, a contrastare le enormi diseguaglianze economico-sociali, i vergognosi squilibri di ricchezza e di potere esistenti nel mondo. Va riscoperta e praticata la compassione, che non è un atteggiamento di compatimento che va dall’alto al basso, ma la capacità di partecipare e di comprendere le sofferenze altrui, cercando di contrastarle e alleviarle. Il filosofo Mauro Ceruti ha osservato lucidamente che oggi la fraternità non è più soltanto un’aspirazione etica, ma comincia a diventare una necessità inscritta nella nuova condizione umana. Saremo capaci di riscoprire e praticare compassione e fraternità?
Nel momento attuale è ancora prevalente la ratio strumentale-calcolante rivolta agli interessi particolari, minoritaria è invece la ragione rivolta al bene comune, alla giustizia, alla verità.
Ci troviamo e ci troveremo sempre più in una situazione in cui sono e saranno richieste molte risorse economiche, in cui occorre e occorrerà applicare il sano e semplice principio secondo cui chi ha di più deve dare di più. Una maggiore giustizia sociale diventa un imperativo morale, se non vogliamo fare delle vane chiacchiere e della retorica insulsa, insopportabile.
E’ in gioco pure il destino dell’Europa, che è in crisi perché non è ancora la nostra vera casa comune, la nostra patria (Heimat). Soprattutto, essa non è ancora unita davvero, politicamente e culturalmente. L’immenso patrimonio e i tesori della grande cultura europea sono sotto i nostri occhi e nella nostra storia (per la verità, insieme a tante altre cose vergognose, come il colonialismo, l’imperialismo, la cultura della guerra, il razzismo, l’eurocentrismo, etc.), ma vanno riscoperti e fatti vivere. Ora vediamo lucidamente che l’Europa è posta davanti ad un aut-aut: senza spirito di solidarietà e fraternità, senza aiuto e collaborazione reali, senza vera unità – non solo economica, ma politica e culturale -, essa soccomberà, fallirà e lascerà rovinosamente il campo libero agli egoismi nazionali, alle rinnovate spinte sovraniste e nazionaliste.
Una delle verità principali che questa pandemia ci consente di riscoprire è quella che il buddhismo chiama la “co-produzione condizionata” o “genesi interdipendente” di tutti i fenomeni, ossia il fatto che l’interrelazione o interdipendenza universale concerne tutti gli esseri e le cose; nessuno o nessuna cosa può sognarsi uno “splendido isolamento”, può fare l’ “anima bella”. L’uomo non è un dio né una bestia, diceva già Aristotele, ma un animale razionale, sociale e politico.
In questa stessa direzione della “vita buona”, anche il grande pensiero filosofico europeo e italiano ha parlato sovente di intersoggettività, di relazionismo e di “ontologia chiasmatica”: penso qui soprattutto a Edmund Husserl, Enzo Paci e Maurice Merleau-Ponty.
Più che mai attuale è pure il messaggio della poesia La ginestra (1836) di Giacomo Leopardi, che richiama gli uomini – a partire dalla condizione umana e dalla sventura comune – a riscoprire le ragioni della fratellanza e dell’amore reciproco, della solidarietà e della cooperazione.
Molti potranno riconsiderare e rivalutare tutto ciò, ma non è scontato. Per il momento, siamo ancora nella bufera, ci occorrono molta pazienza e molto coraggio (o forza del cuore, come dice ottimamente Vito Mancuso), molta coscienza, responsabilità, azione solidale e concreta.
Questa pandemia che ha messo in scacco il pianeta è un segno inquietante dei tempi, da interpretare, crediamo, come un avviso estremo ai naviganti. Per chi suona la campana? Suona per te, per ciascuno di noi, per l’umanità e la civiltà planetaria. Se non ascolteremo questo suono – e tutto va purtroppo nella direzione del non-ascolto o di un ascolto scarso, solo parziale, della ripresa della normalità alienata, della continuazione della devastazione della Terra e dell’inaridimento dell’umano -, nuove sciagure si profileranno inevitabilmente all’orizzonte.
Franco Toscani (Piacenza, 14 marzo-30 aprile 2020)
“Socrate, crea ed esegui musica”. Ed io, nel passato, assumevo che esso mi comandasse e raccomandasse appunto quello che facevo: come fanno gli incitatori dei corridori, così anche a me il sogno raccomandava quello che facevo, di creare musica, [61a] siccome la filosofia è la musica massima, dunque io lo facevo.
Platone, Fedone, 61 a.
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«A proposito, hai fatto bene a ricordarmelo, per Giove,» intervenne, allora, Cebete, «perché molti e, appena l’altro ieri, lo stesso Eveno, mi hanno chiesto come mai da quando sei in carcere tu ti sia messo a far poesie sui ritmi di Esopo, e a comporre un inno in onore di Apollo dato che, prima d’ora, non avevi mai fatto cose del genere. Se tu, dunque, vuoi che risponda qualcosa ad Eveno, quando me lo domanderà (perché di sicuro egli me lo chiede), dimmi che cosa devo riferirgli.» «Digli la verità, Cebete: che io non mi son messo a far versi per competere con lui (il che non sarebbe stato facile), ma per spiegarmi cosa volessero dire certi sogni e mettermi così la coscienza in pace; se, per caso, non fosse proprio questo genere di musica che essi mi ordinavano di comporre. Spesso, infatti, mi è capitato, per il passato, che lo stesso sogno, in diversi modi, mi ripetesse la medesima cosa: ‹Socrate,› mi diceva, ‹scrivi e componi musica›; ed io, in un primo tempo, credevo che il sogno mi incoraggiasse a far quello che già facevo, cioè, come si incitano i corridori in una corsa, mi esortasse a dedicarmi sempre più alla filosofia, che consideravo la più alta espressione dell’armonia, ma dopo il giudizio, poiché la cerimonia in onore del dio aveva rimandato l’esecuzione della sentenza, pensai se il sogno non avesse voluto intendere che io avrei dovuto dedicarmi alla composizione di vera e propria musica e se, dunque, non fosse stato il caso di obbedire al sogno e, prima di andarmene, mettermi in pace con la coscienza componendo versi e rispettando il suggerimento. «Fu così che feci, per prima, una poesia per il dio di cui si celebrava la festa, poi, pensando che un poeta, per essere veramente tale, deve scrivere per immagini e non per deduzioni logiche ed io non essendone capace, decisi di prendere spunto da quelle favole di Esopo che ricordavo a memoria, così come mi venivano in mente.
«Si tratta di far apparire le pratiche discorsive nella loro complessità e nel loro spessore; far vedere che parlare significa fare qualcosa, qualcosa di diverso che esprimere quello che si pensa, tradurre quello che si sa, qualcosa di diverso anche che far funzionare le strutture di una lingua; far vedere che aggiungere un enunciato a una serie preesistente di enunciati, significa fare un gesto complicato e costoso, che implica delle condizioni (e non soltanto una situazione, un contesto, dei motivi) e che comporta delle regole (diverse dalla regole logistiche e linguistiche di costruzione); far vedere che un cambiamento, nell’ordine del discorso, non presuppone delle “idee nuove”, un po’ di invenzione e di creatività, una mentalità diversa, ma delle trasformazioni in una pratica, eventualmente in quelle che le sono vicine e nella loro articolazione comune. Non ho negato, e me ne guardo bene, la possibilità di cambiare il discorso: non ho tolto il diritto esclusivo e istantaneo alla sovranità del soggetto».
Michel Foucault, Archeologia del sapere. Una metodologia per la storia della cultura [L’archéologie du savoir, 1969], Rizzoli,1999.
«Oggi il vento soffia allegramente e le Ghiandaie abbaiano come Terrier Azzurri. Ti racconto quello che vedo. Il Paesaggio dello Spirito ha bisogno di polmoni, ma non della Lingua».
Emiliy Dickinson, Lettera a Mrs. J. G. Holland, inizio marzo 1866, traduzione di G. Ierolli.
Francesca Belloni Grecchi (3 ottobre 1919-16 marzo 2020).
Un ricordo
di Luca Grecchi
Mia nonna Francesca aveva cento anni. Sono figlio unico di figlio unico (come Odisseo), dunque ero il suo unico nipote. Abbiamo sempre vissuto vicini, ma lei, fino a 98 anni, nella sua casa, senza aiuti. Non era persona da chiedere aiuti. Preferiva essere di aiuto, soprattutto alla famiglia. Poche lamentele, ci teneva a far sì che i suoi cari vivessero il più tranquillamente possibile. Ma c’era. Sempre. Immancabile il suo speciale sugo alle verdure, fino a che è stata in casa. Lo prelevavo, facendo una piccola scorta, ogni volta che andavo da lei a pranzo, cosa che appunto, fino ad un paio di anni fa, avveniva una volta alla settimana. “Bravo”, mi dicevano, “per lei è importante sentirsi ancora utile”. Io, a dire la verità, lo facevo perché piaceva a me andare a trovarla.
Gli ultimi due anni, in casa di riposo, sono stati difficili. La memoria cedeva. Mi ha sempre riconosciuto, fino all’ultima telefonata della scorsa settimana. L’unica parola che ho capito è stata “Luca”. Telefonata, sì, non visita, perché dall’inizio dell’emergenza per il corona virus non si può entrare nella casa di riposo di Codogno, se non appunto per un estremo saluto, fatto da mio padre. Ma l’ultima visita, poco più di tre settimane fa, era ancora stata bella. Un caffè insieme, sulle sue gambe. E se qualcuno chiedeva, mi presentava: “E’ mio nipote, Luca”. Poi il saluto finale, sempre con la mano e col sorriso.
Non le siamo potuti essere vicini in questi ultimi giorni. Ma forse lei avrebbe preferito così. Meglio andarsene senza disturbare, senza tenere impegnati i suoi cari in ore lunghe e dolorose. Forse. In ogni caso niente funerale. Anche per questo il presente ricordo, che lascio breve non perché non avrei tante cose da dire, ma perché era una persona semplice, che non voleva stare in primo piano. Prima gli altri, poi lei.
In occasione dei suoi cento anni il quotidiano locale, come d’uso, era venuto a fotografarla e farle una piccola intervista. Lei, alla domanda: “Quale è il segreto per arrivare così in forma a cento anni?” rispose: “Una vita tranquilla, con tanta gioia”.
Ora non sono più un nipote, sono un papà. A me il compito in questo momento, principalmente, di attenuare le emozioni di mia figlia Benedetta (anche lei figlia unica, in tutti i sensi). Averla vista crescere fino ai suoi 12 anni è stata, per la nonna Francesca, una delle gioie più grandi. Gioia reciproca.
Noi non ti dimentichiamo nonna. Grazie per esserci stata sempre vicina. Semplicemente, e sempre, grazie.
«La parola esprime tutto. Le cose reali e quelle immaginarie, le materiali e le ideali. A volte le gonfia, a volte le rimpicciolisce. Comunque, alla fine, le salva. Tutte, la vita e la morte, l’amore e l’odio, il razionalismo e la passione, la società e l’individuo, l’economia e la politica, i nuovi interrogativi e le risposte antiquate, la ricerca della verità e la sopravvivenza della menzogna, la rivolta e la sottomissione, la libertà e la schiavitù: tutto ciò che sostiene la parola, e ciò che la mina, solo essa lo esprime. E noi, che produciamo parole, abbiamo la grande responsabilità della parola. La responsabilità di donarla come atto che può cambiare la vita nostra, le vite degli altri: sono le parole a trovarci, loro a stanarci dalle nostre presunte certezze, loro ad aprire strade dentro di noi».
La poesia ti trova si intitola un poemetto della sua più recente produzione.
«La filosofia è un grande desiderio di trasparenza e una risoluta volontà di mezzogiorno. Il suo praposito radicale è evidenziare, dichiarare, scoprire l’occulto o ciò che è velato; e del resto in Grecia la filosofia cominciò col chiamarsi alètheia, che significa disoccultamento, rivelazione o disvelamento; insomma, manifestazione. E non vi è manifestazione senza parola, cioè logos. Se il misticismo è silenzio, la filosofia è parola, scoprire nella più grande nudità e trasparenza della parola l’essere delle cose, dire l ‘essere».
José Ortega y Gasset, Cosa è filosofia?, trad. di Armando Sevignano, Marietti, Genova 1994, p. 65.
«Bisogna difendere nei limiti delle proprie forze coloro che patiscono ingiustizia, e non lasciar correre: giacché un tale atteggiamento è giusto e coraggioso, l’atteggiamento contrario è ingiusto e vile» (Democrito, B261).
L’anima umana come fondamento della verità (2002) delinea, in maniera stilizzata, il sistema metafisico umanistico su cui sono poi strutturati molti suoi libri successivi. La tesi centrale di questo libro è appunto che l’anima umana, intesa come la natura razionale e morale dell’uomo, è il fondamento onto-assiologico della verità dell’essere. Questo sistema costituisce la base per una analisi critica della totalità sociale, e per una progettualità comunitaria finalizzata alla realizzazione di un modo di produzione sociale conforme alle esigenze razionali e morali della natura umana. [ indice – presentazione – sintesi]
Karl Marx nel sentiero della verità (2003) costituisce una interpretazione metafisico-umanistica del pensiero di Marx, che viene analizzato nei suoi nodi essenziali, spesso in aperta critica con la secolare tradizione marxista. Nato originariamente come elaborazione degli studi di economia politica dall’autore compiuti negli anni Novanta del Novecento, il testo assume carattere filosofico-politico. Marx è analizzato come il pensatore moderno che, rifacendosi implicitamente al pensiero greco, realizza la migliore critica al modo di produzione capitalistico, pur non elaborando – per carenza di fondazione filosofica – un adeguato discorso progettuale. [ indice – presentazione – sintesi]
Verità e dialettica. La dialettica di Hegel e la teoria di Marx (2003) costituisce una integrazione del precedente Karl Marx nel sentiero della verità. Il testo effettua una sintesi comparata, appunto, sia della dialettica di Hegel che della teoria di Marx. Pur riconoscendo l’influenza del pensiero di Hegel nelle opere del Marx maturo, l’autore propone la tesi che il pensiero di Marx, strutturatosi nei suoi punti cardinali prima del suo studio attento ed approfondito della Scienza della Logica, sia nella sua essenza non dialettico (in senso hegeliano). Una versione sintetica di questo libro è stata pubblicata sulla rivista Il Protagora nel 2007. [indice – presentazione]
La verità umana nel pensiero religioso di Sergio Quinzio (2004), con introduzione di Franco Toscani, è una sintesi monografica sul pensiero del grande teologo scomparso nel 1996. Il testo presenta al proprio interno una analisi del pensiero ebraico e cristiano, unita ad una rilettura umanistica del testo biblico. Il tema centrale è quello della morte, e della speranza nella resurrezione su cui Quinzio ripetutamente riflette, e che vede continuamente delusa. Al di là dei riferimenti religiosi, la riflessione del teologo si presta ad una profonda considerazione sulla fragilità della vita umana. [indice – presentazione]
Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino (2005), con introduzione di Alberto Giovanni Biuso, è una sintesi monografica sul pensiero del grande filosofo italiano. Il testo presenta al proprio interno una analisi critica del nucleo essenziale della ontologia di Severino e delle sue analisi storico-filosofiche e politiche. Esiste uno scambio di lettere fra Severino e Grecchi in cui il filosofo bresciano mostra la sua netta contrarietà alla interpretazione ricevuta. Il testo, tuttavia, è segnalato nella Enciclopedia filosofica Bompiani come uno dei libri di riferimento per la interpretazione del pensiero severiniano. [indice – presentazione]
Il necessario fondamento umanistico della metafisica (2005) è un breve saggio in cui, prendendo come riferimento la metafisica classica (ed in particolare le posizioni di Carmelo Vigna), l’autore critica la centralità dell’approccio logico-fenomenologico rispetto al tema della verità, ritenendo necessario anche l’approccio onto-assiologico. Per Grecchi infatti la verità consiste non solo nella descrizione corretta di come la realtà è, ma anche nella valutazione di come essa – la parte che può modificarsi – deve essere per conformarsi alla natura razionale e morale dell’uomo. Si tratta del primo confronto esplicito fra la proposta di Grecchi della metafisica umanistica e la metafisica classica di matrice aristotelico-tomista. [indice – presentazione]
Filosofia e biografia (2005) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Umberto Galimberti. Nel testo si ripercorre il pensiero galimbertiano nei suoi contenuti essenziali, ma si pone in essere anche una serrata analisi di molti temi filosofici, politici e sociali, in cui spesso emerge una sostanziale differenza di posizioni fra i due autori. Di particolare interesse le pagine dedicate al pensiero simbolico, all’analisi della società, ed alla interpretazione dell’opera di Emanuele Severino. Percorre il testo la tesi per cui la genesi di un pensiero filosofico deve necessariamente essere indagata, per giungere alla piena comprensione dell’opera di un autore. [indice – presentazione]
Il pensiero filosofico di Umberto Galimberti (2005), con introduzione di Carmelo Vigna, è un testo monografico completo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo. Si tratta di un testo in cui Grecchi, sintetizzando la complessa opera di questo autore, prende al contempo posizione non solo nei confronti della medesima, ma anche di filosofi quali Nietzsche, Heidegger, Jaspers, che nel pensiero di Galimberti costituiscono riferimenti imprescindibili. Vigna, nella sua introduzione, ha definito il libro “una ricostruzione seria ed attendibile del pensiero del filosofo” in esame. [indice – presentazione]
Conoscenza della felicità (2005), con introduzione di Mario Vegetti, è uno dei testi principali di Grecchi, in cui l’autore applica il proprio approccio classico umanistico alla attuale totalità sociale, mostrando come essa si ponga in radicale opposizione alle possibilità di felicità degli uomini. L’autore, seguendo la matrice onto-assiologica del pensiero greco, mostra che solo conoscendo che cosa è l’uomo risulta possibile conoscere cosa sia la felicità. Il testo è caratterizzato da una analisi delle strutture della personalità oggi più diffuse, per l’autore “prodotte” dai processi di funzionamento del modo di produzione capitalistico. Scrive Vegetti, nella introduzione, che Grecchi è “pensatore a suo modo classico”, per il suo “andar diritto verso il cuore dei problemi”. [indice – presentazione]
Marx e gli antichi Greci (2006) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Costanzo Preve. Nel testo viene effettuata una analisi non tanto filologica, quanto ermeneutica e teoretica dei rapporti del pensiero di Marx col pensiero greco. I due autori, concordando su molti punti, colmano così in parte una lacuna della pubblicistica su questo tema, che risulta essere stato nel tempo assai poco indagato. Di particolare interesse l’analisi effettuata dai due autori di quale potrebbe essere, sulla base insieme del pensiero dei Greci e di Marx, il miglior modo di produzione sociale alternativo rispetto a quello attuale. [indice – presentazione ]
Vivere o morire. Dialogo sul senso dell’esistenza fra Platone e Nietzsche (2006), con introduzione di Enrico Berti, è un saggio composto ponendo in ideale dialogo Platone e Nietzsche su importanti temi filosofici, politico e morali: l’amore, la morte, la metafisica, la vita ed altro ancora. Scrive Berti, nella sua introduzione, che, come accadeva nel genere letterario antico dell’invenzione, Grecchi non nasconde lo scopo “politico” della sua opera, la quale “risulta essere innanzitutto un documento significativo di amore per la filosofia e di vitalità di quest’ultima, in un momento in cui l’epoca della filosofia sembrava conclusa”.
Il filosofo e la politica. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la vita politica (2006) è una ricostruzione del pensiero filosofico-politico di Platone effettuata in un continuo confronto con le vicende della attualità. In questo libro Grecchi pone esplicitamente Platone, sul piano politico, come proprio pensatore di riferimento. Il filosofo ateniese infatti, a suo avviso, pur scrivendo molti secoli or sono, rimane tuttora colui che ha offerto le migliori analisi, e le migliori soluzioni, per pensare una migliore totalità sociale, ossia un ambiente comunitario adatto alla buona vita dell’uomo
La filosofia politica di Eschilo. Il pensiero “filosofico-politico” del più grande tragediografo greco (2007) costituisce una interpretazione, in chiave appunto filosofico-politica, dell’opera di Eschilo. Lo scopo principale di questo libro è quello di “scorporare” Eschilo dallo specialismo degli studi poetico-letterari, per inserirlo – come si dovrebbe fare per tutti i tragici greci – nell’ambito del pensiero filosofico-politico. Nel testo viene presa in carico l’analisi precedentemente svolta da Emanuele Severino ne Il giogo (1988), ritenendone validi molti aspetti ma giungendo, alla fine, a conclusioni opposte circa il presunto “nichilismo” di Eschilo.
Il presente della filosofia italiana (2007) è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i più importanti filosofi italiani contemporanei pubblicati dopo il 2000. Gli autori analizzati vengono ripartiti in quattro categorie: 1) pensatori “ermeneutici-simbolici” (Sini, Vattimo, Cacciari, Natoli); 2) pensatori “scientifici-razionalisti” (Tarca, Antiseri, Giorello); 3) pensatori “marxisti-radicali” (Preve, Losurdo); 4) pensatori “metafisici-teologici” (Reale). Il testo è arricchito da due appendici e da una ampia postfazione di Costanzo Preve. In questi testi Grecchi oppone criticamente, ai vari approcci, il proprio discorso metafisico-umanistico. [indice – presentazione ]
Corrispondenze di metafisica umanistica (2007) è una raccolta di testi in cui sono contenuti scambi epistolari, nonché risposte di Grecchi ad introduzioni e recensioni di suoi libri. [indice – presentazionesintesi ]
L’umanesimo della antica filosofia greca (2007) è il primo libro in cui Grecchi effettua la propria interpretazione complessiva della Grecità. Partendo da Omero, e giungendo fino al pensiero ellenistico, l’autore mostra come non la natura, né il divino, né l’essere furono i temi centrali del pensiero greco, bensì l’uomo, soprattutto nella sua dimensione razionale e morale. [indice – presentazione ]
L’umanesimo di Platone (2007) è un testo monografico sul pensiero di Platone. Ponendo in essere una analisi delle principali interpretazioni finora effettuate del pensiero platonico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Platone la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la rilevanza della posizione anti-crematistica. [indice – presentazione ]
L’umanesimo di Aristotele (2008) è un testo monografico sul pensiero di Aristotele. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse tematiche del pensiero aristotelico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Aristotele – così come in Platone, ma in forma differente – la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la rilevanza della posizione anti-crematistica. [indice – presentazione ]
Chi fu il primo filosofo? E dunque: cos’è la filosofia? (2008), con introduzione di Giovanni Casertano, è un libro suddiviso in due parti. Nella prima parte, prendendo come riferimento alcuni fra i principali manuali di storia della filosofia italiani, Grecchi mostra come essi spesso non definiscano l’oggetto del loro studio, ossia la filosofia, dichiarandola talvolta addirittura indefinibile. L’autore, invece, offre in questo libro la propria definizione di filosofia come caratterizzata da due contenuti imprescindibili: a) l’essere ricerca, il più possibile fondata ed argomentata, della verità dell’intero; b) l’assumere come riferimento, insieme descrittivo e valutativo (la filosofia si occupa non solo della verità, ma anche del bene), l’Uomo. Nella seconda parte l’autore esamina dieci possibilità alternative su “chi fu il primo filosofo”, giungendo a concludere che, pur all’interno del contesto comunitario della riflessione greca, il candidato più accreditato risulta per vari motivi essere Socrate.
Socrate. Discorso su Le Nuvole di Aristofane (2008) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore Guida, di un discorso da Socrate ad Atene l’indomani della rappresentazione della famosa commedia di Aristofane. Si tratta, come è nello stile della collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e spiritosa, in cui Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria interpretazione, insieme umanistica ed anticrematistica, del pensiero socratico. Tale interpretazione risulta convergente con quelle offerte, nella medesima collana, da Mario Vegetti su Platone e da Enrico Berti su Aristotele.
Il filosofo e la vita. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la buona vita (2008), è una raccolta di brevi saggi in cui l’autore, prendendo spunto da alcuni passi del pensiero platonico, e più in generale del pensiero greco classico, affronta sinteticamente alcune tematiche centrali per la vita umana (l’amore, la famiglia, la filosofia, la storia, le leggi, la democrazia, l’educazione, l’università, la mafia, la libertà, ecc.), col consueto approccio attualizzante, ovvero facendo interagire – nel rispetto del contesto storico-sociale dell’epoca in cui tale pensiero nacque – il pensiero platonico col nostro tempo. Il libro è arricchito da un lungo saggio finale di Costanzo Preve, intitolato “Luca Grecchi interprete dei filosofi classici Greci” (con risposta), in c ui il filosofo torinese sintetizza le posizioni dell’autore. [indice – presentazione ]
Occidente: radici, essenza, futuro (2009), con introduzione di Diego Fusaro, è un testo in cui l’autore analizza il concetto di Occidente e le sue tradizioni culturali costitutive, sempre in base al proprio sistema metafisico-umanistico. Analizzando le radici greche, ebraiche, cristiane, romane e moderne, ma soprattutto l’attuale contesto storico-sociale, Grecchi coglie nella prevaricazione derivante dalla smodata ricerca crematistica l’essenza dell’Occidente, ed individua per lo stesso un futuro cupo. Il testo è arricchito dal dialogo con Fusaro, alla cui introduzione Grecchi risponde in una appendice finale.
L’umanesimo della antica filosofia cinese (2009) costituisce il primo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale (l’unica nel nostro paese effettuata da un solo autore). Il libro parte dalla constatazione che la cultura orientale risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. In base tuttavia alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero cinese risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia cinese, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero cinese. [indice – presentazione ]
L’umanesimo della antica filosofia indiana (2009) costituisce il secondo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che la cultura orientale risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. In base tuttavia alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero indiano risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia indiana, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero indiano. [indice – presentazione ]
L’umanesimo della antica filosofia islamica (2009) costituisce il terzo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che la filosofia orientale risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. In base tuttavia alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero islamico risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia islamica, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero islamico. [indice – presentazione ]
A partire dai filosofi antichi (2009), con introduzione di Carmelo Vigna, è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Enrico Berti. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, apportando interpretazioni originali non soltanto dei principali filosofi antichi, ma anche di quelli moderni e contemporanei. Non mancano inoltre considerazioni su temi di attualità, nonché su temi di interesse generale, quali l’educazione, la scuola e la politica. Scrive Vigna, nella introduzione, che “questo testo è tra le cose più interessanti che si possano leggere oggi nel panorama della filosofia italiana”.
L’umanesimo di Plotino (2010) è un libro in cui l’autore cerca di colmare la distanza storico-culturale fra il periodo classico ed il periodo ellenistico e postellenistico. Il testo si divide in due parti. Nella prima, considerando che ogni pensiero filosofico deve essere inserito all’interno del proprio contesto storico-sociale (anche in quanto è all’interno del medesimo che esso “produce” le proprie categorie), l’autore realizza una analisi del modo di produzione sociale greco e di quello ellenistico, per tracciare alcune differenze importanti fra l’epoca classica e l’epoca ellenistica/postellenistica. Nella seconda parte, che è la più ampia, è invece analizzato, in base alle dieci tematiche ritenute centrali, il pensiero di Plotino. [indice – presentazione ]
La filosofia della storia nella Grecia classica (2010) è il testo ermeneutico forse più originale di Grecchi. Alla cultura greca si attribuisce infatti, solitamente, la nascita di pressoché tutte le discipline filosofiche, ad eccezione della filosofia della storia, tuttora ritenuta di genesi moderna. Analizzando l’opera di storici, letterati e filosofi dell’epoca preclassica e classica, l’autore mostra invece le radici antiche anche di questo campo di studi, contribuendo ad un chiarimento teoretico della disciplina stessa. [indice – presentazione ]
Perché non possiamo non dirci Greci (2010) è un libro in cui l’autore sintetizza, in termini divulgativi, le proprie posizioni generali sui Greci. Il testo prende spunto dalla rilettura, in controluce, del classico di Benedetto Croce intitolato Perché non possiamo non dirci cristiani, per mostrare non solo come le radici greche siano almeno altrettanto importanti di quelle cristiane per la cultura europea, ma soprattutto che una loro ripresa sarebbe fortemente auspicabile. Il testo è completato da una ampia appendice inedita che costituisce una analisi critica del pensiero ellenistico (in rapporto a quello classico) incentrata sulle opere di Epicuro e di Luciano di Samosata. [indice – presentazione ]
Sulla verità e sul bene (2011), con introduzione di Enrico Berti e postfazione di Costanzo Preve, è un libro-dialogo con uno dei maggiori filosofi italiani, Carmelo Vigna. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, insieme agli importanti temi teoretici ed etici che danno il titolo al volume. Scrive Berti, nella introduzione, che si tratta di “una serie di discussioni oltremodo interessanti tra due filosofi che sono divisi da due diverse, anzi opposte, concezioni della metafisica, ma sono accomunati dalla considerazione per la filosofia classica e soprattutto da un grande amore per la filosofia in sé stessa”. [indice – presentazione ]
Gli stranieri nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore, prendendo distanza dalle interpretazioni tradizionali, mostra come, sin dall’epoca omerica, gli antichi Greci furono aperti all’ospitalità verso gli stranieri. Preceduto da una analisi anti-ideologica delle categorie di “razza”, “etnia”, “multiculturalismo” ed altre, Grecchi rimarca come sia stato centrale, nel pensiero greco classico, il concetto di “natura umana”. Esso possiede basi teoretiche salde ed una costante presenza nella riflessione greca, che l’autore appunto caratterizza come “umanistica”. [indice – presentazione]
Diritto e proprietà nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore prende in carico i temi poco indagati del diritto e della proprietà nella antica Grecia. Si tratta di temi molto importanti per comprendere il contesto storico-sociale in cui nacque la cultura greca, e che pertanto non possono essere ignorati da chi studia la filosofia di questo periodo. Il testo sviluppa inoltre un confronto con il diritto romano – che si rivela assai meno comunitario di quello greco – e con il nostro tempo, per mostrare come la cultura greca possieda, anche sul piano giuridico, contenuti che sarebbero tuttora importanti da applicare. [indice – presentazione ]
Confucio. Sulla buona vita, sul buon governo e su me stesso (2011) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore Guida, di alcuni discorsi tenuti dall’antico pensatore cinese. Si tratta, come è nello stile della collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e spiritosa, in cui Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria interpretazione, insieme umanistica ed anticrematistica, del pensiero di Confucio, già delineata ne L’umanesimo della antica filosofia cinese.
L’umanesimo di Omero (2012) è un libro in cui l’autore effettua una analisi teoretica ed etica del pensiero omerico, inserendo l’antico poeta nel novero del pensiero filosofico, rompendo il tradizionale isolamento nel campo letterario che da secoli caratterizza la sua opera. Grecchi insiste in particolare sul carattere di educazione filosofica dei poemi omerici, mostrando come essi abbozzino temi ontologici e soprattutto assiologici poi elaborati dalla intera riflessione classica. Il testo si caratterizza anche per il continuo aggancio dei miti omerici alla contemporaneità. [indice – presentazione]
L’umanesimo politico dei “Presocratici” (2012) è un libro in cui l’autore, centralizzando il carattere politico-sociale del loro pensiero, prende distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano questi pensatori esclusivamente come “naturalisti”, che li separano in maniera eccessiva sia dalla poesia epica precedente, sia dalla filosofia classica successiva. Risultano centrali, in questa trattazione, le figure anticipatrici di Solone e Clistene, oltre a quelle più consuete di Eraclito, Parmenide e Pitagora. [indice – presentazione]
Il presente della filosofia nel mondo (2012), con postfazione di Giacomo Pezzano, è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i maggiori filosofi contemporanei non italiani (fra gli altri Bauman, Habermas, Hobsbawm, Latouche, Nussbaum, Onfray, Zizek). Nella introduzione si rileva, come caratteristica principale della filosofia del nostro tempo, la presenza in solidarietà antitetico-polare di una corrente scientifico-razionalistica e di una corrente aurorale-simbolica. Esse occupano il centro della scena escludendo dal “campo di gioco” la filosofia onto-assiologica di matrice classica, elaborata oramai, in maniera teoreticamente originale, solo da un numero limitato di studiosi. [indice – presentazione]
Il pensiero filosofico di Enrico Berti (2013), con presentazione di Carmelo Vigna e postfazione di Enrico Berti, è un testo monografico introduttivo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo, uno dei maggiori studiosi mondiali del pensiero di Aristotele. Rapportandosi a tematiche quali l’interpretazione degli antichi, la storia della filosofia, l’educazione, l’etica, la politica, la metafisica, la religione, Grecchi descrive il pensiero dell’autore quasi sempre concordando con lui, tranne che nella opposizione – su cui si sofferma anche Berti nella postfazione – fra metafisica classica e metafisica umanistica. [indice – presentazione]
Il necessario fondamento umanistico del “comunismo” (2013) è un libro scritto a quattro mani con Carmine Fiorillo, in cui gli autori mostrano come la diffusa critica (marxista e non) al modo di produzione capitalistico, priva di una fondata progettualità, risulti largamente insufficiente. Assumendo come base di riferimento il pensiero greco classico (ma anche le componenti umanistiche di altri orizzonti culturali), gli autori mostrano che solo mediante una solida fondazione filosofica è possibile favorire la progettualità di un ideale modo di produzione sociale in cui vivere, che gli autori ancora definiscono – per mancanza di validi termini alternativi, ma differenziandosi fortemente dalla tradizione marxista – “comunismo”. [indice – presentazione]
Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia (2013) è un pamphlet in cui si mostra che le attuali modalità accademiche di insegnamento della filosofia, incentrate sullo specialismo, non ripropongono più il modello greco classico della filosofia come ricerca fondata ed argomentata della verità onto-assiologica dell’intero. L’autore mostra come la causa principale di questa situazione sia attribuibile ai processi socio-culturali del modo di produzione capitalistico. [indice – presentazione]
La musa metafisica. Lettere su filosofia e università (2013), con Giovanni Stelli, costituisce uno scambio epistolare nato dal commento di Stelli al pamphlet Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia. A partire da questo tema lo scambio ha assunto una rilevanza ed una ampiezza tale, estendendosi a contenuti storici, culturali e politici, da renderne di qualche utilità la pubblicazione. [indice – presentazione]
Discorsi di filosofia antica (2014) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sull’uomo nella cultura greca, da Omero all’ellenismo, tenuto dall’autore alla Università degli studi di Milano Bicocca nel 2013. Esso accoglie inoltre i testi di alcune conferenze sul pensiero antico svolte dall’autore nel 2013 e 2014, ed in particolare, in appendice, un saggio inedito sulla alienazione nella antica Grecia. [indice – presentazione]
Omero tra padre e figlia (2014) è un libro-dialogo con Benedetta Grecchi, figlia di 6 anni dell’autore, sulle vicende di Odisseo narrate appunto nella Odissea di Omero. Il testo costituisce – come recita il sottotitolo – una “piccola introduzione alla filosofia”, passando attraverso i contenuti educativi dell’opera omerica già delineati dall’autore nel libro L’umanesimo di Omero. Questo dialogo tra padre e figlia mostra come la filosofia possa passare anche ai bambini evitando, da un lato, di essere ridotta a “gioco logico”, e dal lato opposto di essere presentata come “chiacchiera inconcludente”. [indice – presentazione]
Discorsi sul bene (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sul bene tenuto dall’autore alla Università degli studi di Milano Bicocca nel 2014. In appendice sono aggiunte una intervista filosofica e due relazioni su temi etico-politici. Il testo si rivela importante in quanto, all’interno di un approccio aristotelico – in cui in sostanza il bene è il fine verso cui ogni ente, per natura, tende –, Grecchi indica nel rispetto e nella cura dell’uomo (e del cosmo: gli elementi portanti del suo Umanesimo) i contenuti fondamentali del bene. [indice – presentazione]
Discorsi sulla morte (2016) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni tenuto dall’autore alla Università degli studi di Milano Bicocca nel 2015. L’autore, delineando le principali concezioni della morte presenti nella storia della filosofia, con particolare riferimento agli antichi Greci ed a Giacomo Leopardi, mostra come la rimozione di questo tema costituisca una delle principali concause di alcune psicopatologie del nostro tempo. [indice – presentazione]
L’umanesimo della cultura medievale (2016) è un libro che raccoglie i contenuti umanistici del pensiero medievale. Rispetto alle interpretazioni tradizionali, ancora caratterizzate da una descrizione del Medioevo come età oscura, questo testo mostra il carattere umanistico in particolare della Scolastica aristotelica. Rispetto ai consueti autori di riferimento della tradizione cristiana, ossia Agostino e Tommaso, particolare importanza è attribuita in questo volume a due autori del XIII secolo solitamente poco considerati, Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia, nonché alle ripetute condanne ecclesiastico-accademiche dell’Aristotelismo che ebbero il loro momento culminante nel 1277.
L’umanesimo della cultura rinascimentale (2016) è un libro che pone in essere una critica costruttiva della tradizionale interpretazione umanistica del pensiero rinascimentale del XIV e XV secolo. Rispetto, infatti, alla vulgata comune, che ritiene centrale in questo periodo la riscoperta filologica ed ermeneutica dei testi di Platone e di altri autori antichi, Grecchi reputa centrale in esso la filocrematistica, e dunque la rottura – operata da modalità sociali sempre più privatistiche e mercificate, cui la cultura dell’epoca si adeguò – del legame sociale comunitario proprio dell’epoca medievale. Il Rinascimento costituì dunque la prima apertura culturale verso la modernità capitalistica.
Compendio di metafisica umanistica (2017) è un libro che espone in sintesi la struttura onto-assiologica della verità dell’essere per come in vari luoghi delineata dall’autore col nome di “metafisica umanistica”. Il testo fornisce alcuni capisaldi del futuro Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere (cui l’autore sta lavorando dal 2003), distinguendo le nozioni di Cominciamento, Principio e Fondamento, nonché elaborando la tematica dell’essere e della sua sistematicità. Il volume si sofferma anche sulla tematica del trascendente, e sul nesso descrittivo-normativo necessario alla progettualità sociale. [indice – presentazione]
Natura (2018) è un libro che si colloca nella collana Questioni di filosofia antica della casa editrice Unicopli. Il testo analizza in maniera specialistica oltre dieci secoli di riflessioni del pensiero antico sulla natura, da Omero a Plotino. Trattandosi di un tema vastissimo, i riferimenti sono di tipo sia filosofico, sia scientifico, sia letterario. Il tema riveste particolare importanza in quanto gli antichi, per primi, compresero che ogni mancanza di rispetto e di cura nei confronti della natura – attività che solo l’uomo, fra gli enti naturali, è in grado di porre in essere – costituisce una mancanza di rispetto e di cura nei confronti della vita tutta
Scritti brevi su politica, scuola e società (2019) costituisce una raccolta di articoli pubblicati dall’autore negli anni 2015 e 2016 su vari quotidiani, settimanali e riviste su tematiche di particolare attualità. Il filo conduttore di questi scritti è costituito da una critica progettuale al nostro tempo alla luce del pensiero greco classico, soprattutto di Aristotele. Per l’importanza delle tematiche trattate, e per l’approccio classico utilizzato, si tratta di riflessioni che forniscono un orientamento in grado di trascendere l’orizzonte del momento storico in cui sono state effettuate. [indice – presentazione]
Uomo (2019) è un libro che si colloca nella collana Questioni di filosofia antica della casa editrice Unicopli. Il testo analizza in maniera specialistica oltre dieci secoli di riflessioni del pensiero antico sull’uomo, da Omero a Plotino. Trattandosi di un tema vastissimo, i riferimenti sono di tipo sia filosofico, sia scientifico, sia letterario. Il tema riveste particolare importanza in quanto gli antichi, per primi, compresero la centralità dell’uomo nella natura, ovvero il suo essere il solo ente in grado di fornire un senso ed un valore alla realtà, nonché di avere rispetto e cura della realtà stessa .
L’umanesimo greco classico di Spinoza (2019) costituisce una analisi della filosofia di Spinoza alla luce del pensiero greco classico. Nonostante il filosofo olandese citi pochissimo Platone ed Aristotele, Grecchi mostra come forti siano i legami coi due più grandi pensatori antichi. Le tematiche esaminate sono alcune fra le principali del pensiero filosofico, quali la verità, il bene, la conoscenza, la sistematicità, la religione, la libertà, la crematistica, la politica. Frequenti sono anche i riferimenti ed i paralleli con il nostro tempo.
Curatele
È veramente noiosa la storia della filosofia antica? (2008, con Diego Fusaro), con scritti di E. Berti, G. Casertano, D. Fusaro, G. Girgenti, L. Grecchi, C. Preve e M. Vegetti .
Sistema e sistematicità in Aristotele (2016), con scritti di C. Baracchi, E. Berti, B. Botter, M. Cosci, S. Fazzo, A. Fermani, G.R. Giardina, L. Grecchi, C. Vigna, M. Zanatta. [indice – presentazione – sintesi].
Immanenza e trascendenza in Aristotele (2017), con scritti di G. Abbate, C. Baracchi, E. Berti, B. Botter, M. Cosci, A. D’Atri, A. Falcon, A. Fermani, L. Grecchi, A. Jori, D. Quarantotto, M. Ugaglia, C. Vigna, M. Zanatta. [indice – presentazione – sintesi ]
Teoria e prassi in Aristotele (2018), con scritti di C. Baracchi, E. Berti, A. Fermani, S. Gastaldi, L. Grecchi, S. Gullino, A. Jori, G. Lucchetta, L. Palpacelli, L. Ruggiu, M. Vegetti, C. Vigna, M. Zanatta. [indice – presentazione – sintesi ]
Nei Manoscritti economici-filosofici del 1844, poco prima di formulare la contrapposizione tra «assoluta povertà» e «ricchezza interiore» e criticare esplicitamente l’unilateralità e ottusità prodotte nell’uomo dal «senso dell’avere», K. Marx sostiene che, con la soppressione della proprietà privata, «l’uomo si appropria del suo essere onnilaterale in maniera onnilaterale e quindi come uomo totale» (K. Marx, Manoscritti economici-filosofici del 1844, Einaudi, Torino 1949, p. 116). L’uomo «totale», dunque, è l’uomo che si appropria del suo essere onnilaterale, che supera le unilateralità effetto della proprietà privata e del dominio del senso dell’avere ed è capace di dare attuazione alla «realtà umana», composta da una pluralità di sensi fisici e spirituali (ibidem, p. 116) .
Scriveva, infatti:
«La proprietà privata ci ha resi così ottusi ed unilaterali che un oggetto è considerato nostro soltanto quando lo abbiamo […]. Al posto di tutti i sensi fisici e spirituali è quindi subentrata la semplice alienazione di tutti questi sensi, il senso dell’avere. L’essere umano doveva essere ridotto a questa assoluta povertà, affinché potesse estrarre da sé la sua ricchezza interiore» (ibidem, pp. 116 e ss.).
«Si vede come al posto della ricchezza e della miseria come le considera l’economia politica, subentri l’uomo ricco e la ricchezza dei bisogni umani. L’uomo ricco è ad un tempo l’uomo che ha bisogno di una totalità di manifestazioni di vita umane, l’uomo in cui la propria realizzazione esiste come necessità interna, come bisogno» (ibidem, , pp. 123) .
Dobbiamo produrre la nostra totalità:
«Ma in fact, una volta cancellata la limitata forma borghese, che cosa è la ricchezza se non l’universalità dei bisogni, delle capacità, dei godimenti, delle forze produttive, ecc. degli individui, creata nello scambio universale? Che cosa è se non il pieno sviluppo del dominio dell’uomo sulle forze della natura, sia su quelle della cosiddetta natura, sia su quelle della propria natura? Che cosa è se non l’estrinsecazione assoluta delle sue doti creative […], che rende fine a se stessa questa totalità dello sviluppo, cioè lo sviluppo di tutte le forze umane come tali, non misurate su di un metro già dato? Nella quale l’uomo non si riproduce in una dimensione determinata, ma produce la propria totalità?» (K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica [Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie], 2 voll., La Nuova Italia, Firenze 19773, vol. II, p. 112).
E perfezionarci in qualsiasi ramo a piacere:
«Appena il lavoro comincia ad essere diviso ciascuno ha una sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore. o critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi per vivere; laddove nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina di andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico» (K. Marx, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma 20005, p. 24) 78 .
L’aporeticità dell’eristica e la risolvibilità della dialettica
Abstract: Nel Menone, attraverso il vivace canovaccio narrativo, si evidenzia il dinamismo del pensare platonico, che può essere interpretato, senza intendere effettuare forzature ermeneutiche, bensì semplicemente valorizzando i risultati della Wirkungsgeschichte, come un dinamismo di riconduzione a essenza (analogo a quello della fenomenologia husserliana) che dischiude in sé l’esigenza di un’ulteriorità dialogica, all’interno della concettualizzazione dej temi principali del dialogo, o un dinamismo di pensiero speculativo (a modo della fenomenologia hegeliana), invitando al pensiero l’intera comunità ermeneutica delle opere platoniche, e infine sottendendo la centralità della teoria sui principi supremi o protologia in Platone, che informa di sé la teoria delle idee. Il presente articolo intende mostrare non solo l’autoevidenza di una esigenza di dialogicità all’interno della suddetta ermeneutica ma evidenziare un confronto attualizzante, con sguardo filosofico della storia, tra Platone, Husserl ed Hegel. Quest’ultimo, in particolare, con il suo considerare l’essenza, nella dottrina dell’essenza della sua fenomenologia come fondamento dell’esistenza (das Wesen als Grund der Existenz ), si rivela come un autentico interprete del pensiero platonico essenziale.
Wie gründer sich Gott? Gott gründt sich ohne Grund und mißt sich ohne Maß: Bist du ein Geist mit ihm, Mensch, so verstehst du das. Angelus Silesius, Cherubinischer Wandersmann
Lo scopo di questo articolo non è dimostrativo in senso razional-strumentale, bensì strettamente filosofico. L’articolo vuole essere un invito al pensiero, e, utilizzando come guida la posizione di Erich Przywara sulla “filosofia dell’essenza”, intende mostrare che sia possibile un confronto attualizzante (ossia oltre che storico-filosofico, filosofico-storico[2]), tra Platone, Husserl ed Hegel, osservando in tali autori una profondità speculativa, reciprocamente analoga. Presentando inoltre esso stesso un dinamismo speculativo, che rischia di apparire criptico ai più, il presente scritto ha l’intento di rendere autoevidente l’esigenza, all’interno della concettualizzazione[3] di alcuni temi del Menone platonico, di un’ulteriorità del pensare stesso, che produca a sua volta pensiero, e di una dialogicità intrinseca ai concetti stessi utilizzati da Platone, non tanto dunque per evidenziare “diaireticamente” il ventaglio delle possibilità esegetiche dell’opera platonica ma per rendere autenticamente scientifica, cioè pensante, la sua ermeneutica. Ma che significa pensare se non, platonicamente, ma anche husserlianamente ed hegelianamente, (e questa è la posizione specifica della scrivente posta all’attenzione del lettore) spingere i concetti attraverso il dinamismo essenzializzante, fino a preludere a un cominciamento (noetico), che abbia a che fare con una libera asserzione iniziale, analoga a un assenso di fede? Dire (affermare, assentire) infatti che la speculazione sia dialogica in sé, e tale lo sia il pensiero, al di là dei vincoli della catalogazione dossografica, non significa, a mio parere, porsi apoditticamente e dogmaticanente nel circuito della comunità pensante, ma invitare i componenti attuali di questa stessa comunità, alla profondità della meditazione e della riflessione, oltre ogni chiusura. L’intento è pensare insieme al Platone del Menone, soffermandosi sui suoi stessi contenuti essenziali e con la medesima apertura problematica e il medesimo stupore caratterizzanti il Platone stesso del suo tempo. Considerando altrimenti l’approccio al testo, la deriva manualistica sarebbe sempre una possibilità, e ciò, all’interno della ricerca, non gioverebbe certamente all’ermeneutica platonica. Dire teoreticismo manualistico è a mio parere dire anche irresolutività sofistica in senso platonico. L’aporeticità del dire eristico appare infatti ben evidente nelle argomentazioni del personaggio platonico intitolato a Menone, l’intellettuale ateniese dalla parlantina sicura e da una forte determinazione d’intenti, che incontriamo nell’omonimo dialogo. Essa deriva dal fatto che egli non possiede i requisiti adeguati a soddisfare i criteri di un’“intellezione[4]” che sia capace di “iniziare” un processo autenticamente ideativo (o di essenzializzazione). Essenzializzazione è termine che desumiamo dalla fenomenologia husserliana e dalla speculazione hegeliana, orientati dalla trattazione dell’analogia entis di Erich Przywara[5]. Per Husserl, la riduzione fenomenologica, che conduce alla coscienza intenzionale è “essenzialmente” (eideticamente) un processo di riconduzione a essenza dell’esperienza fenomenologica[6], che è, husserlianamente, fondativa dell’esperienza conoscitiva e dunque epistemologia. Coscienza intenzionale è coscienza dell’apertura della coscienza stessa a una intenzionalità primigenia, ovvero a una interna ed esterna dialogicità tra un mondo soggettivo e un mondo oggettivo. Una essenzializzazione è a mio parere, e significativamente, ben rintracciabile nel canovaccio delle opere platoniche, desumibile dal rimando continuo a un’esigenza fondazionale (protologica[7]) di tutto il processo di pensiero che si sviluppa attraverso i dialoghi. Ciò che non si conosce autenticamente è ciò di cui non si intuisce l’essenziale, e ciò di cui non si intuisce l’essenziale (v. intellezione) non si può indagare, perché l’approccio meramente teoretico o logico in senso astratto produce contraddizioni insanabili (eristikos logos). Chi già conosce in senso meramente gnoseologico (della conoscenza come nozione) non è necessario che aggiunga nozione a nozione, perché il criterio sarebbe qui meramente quantitativo, chi invece non conosce, come tabula rasa o mero recipiente da riempire, non saprebbe che cosa varrebbe la pena conoscere, non possedendo l’attitudine valutante di un sapere noetico. Il discorso eristico non ha rilevanza filosofica, poiché si trova al di fuori dell’essenza come causa formale a cui accedere con l’aitias logismos[8]. Esso è aporetico, teoreticistico, ossia inutile. La stessa sofistica lo disvela. L’aporia appare come un’esigenza del discorso, intesa in senso hegeliano, di senso ulteriore (essenzializzazione nella fenomenologia hegeliana[9]). Riconoscere tale problematicità inerente all’aporia significa trovarsi già nello “speculativo”. La mancanza di significatività del dire aporetico allude all’esigenza di un’apertura a livello originario. Mancando tale apertura, vengono a mancare le basi della pensabilità. Ma dove si rinviene, e se così si può dire, agostinianamente, tale apertura originaria, dove essa si deve ricercare? Platone è chiarissimo. La via deve essere anamnestica. Lo schiavo di Menone accede nell’immediato a una “orthe doxa”, guidato sapientemente da Socrate partendo dal suo interiore ricordare. Ma dapprima va detto in mythologein ciò che si riferisce a un’ulteriorità che supera ogni concezione riduttivistica del sapere. Che l’anima sia immortale e che abbia a che fare con quell’ulteriorità, i poeti e i sacerdoti, familiari ai racconti sugli dèi, già da sempre lo dicono. Ma occorre giungervi filosoficamente, ovvero dialetticamente (per aitias logismos). Se rimanesse solo nell’alveo di una divina mania non sarebbe condivisibile, comunicabile[10]. Occorre invece farne oggetto di pensiero, di quella ratio-relatio che converte integralmente (speculativamente) a una vita virtuosa. Il racconto di un’anima immortale diviene racconto di una intuizione originaria. L’anima ha già visto tutte le cose di questo mondo e dell’Ade, nascendo più volte (pollakis gegonouia), come occorre rinascere a quell’origine di divina significanza, per poter riformulare, ripensare l’ordine delle cose e del mondo, a partire da una iniziale “syngeneia”, congenericità e consentaneità[11]. Syngeneia è quell’affinità della natura con se stessa e con l’anima dell’uomo (a motivo dell’iniziale conoscenza), affinché essa stessa congenere e consentanea intuisca l’imprescindibilità di un pensiero che debba riguardare la totalità delle cose e dell’uomo (che in termini hegeliani può tradursi come quel vero che sia l’intero, ovvero che lo riguardi dall’inizio e come risultato). La syngeneia, di chiara ascendenza pitagorica, risulta essere “uno dei filosofemi più importanti dell’epistemolgià platonica”[12]. Esso rappresenta l’inizio del pensiero speculativo che non può che riferirsi a una dimensione protologica, all’interno di una disposizione volta a una costante unificazione delle cose del mondo e del divenire[13]. Cosicché non ci riferiamo a una collocazione provvisoria dell’oggetto del pensiero ma a una integrazione vitale, come vera e propria “condizione” dell’anima. Essa esprime l’ordine speculativo, come scaturigine dell’esperienza pensante a partire dall’intuizione iniziale di una integralità e totalità mai pienamente e compiutamente esauribili razionalmente. L’anima immortale rappresenta ovvero l’anima pensante, sintonizzata con la condizione del pensare, cioè l’archè anypotheton[14]. La mitologica dimenticanza di ciò che si è visto nella pianura della verità, di quel cominciamento che vada continuamente riconquistato e riattualizzato per essere riaffermato, rappresenta l’esigenza del pensare come riposizionamento rispetto all’epoca del soggetto pensante[15]. La syngeneia è intuizione ontologica, poiché è affermazione dell’affinità di tutti i generi nel pensiero sull’essere, ovvero la massima realtà di tutto l’esistente. Il mito qui, in tanto è utilizzato, in quanto riconduce a un cambiamento di ordine morale. Il mito è ancora una volta ordinato alla prassi. Lo schiavo è guidato da Socrate a effettuare un’inferenza geometrica laddove il risultato del problema postogli non sia commensurabile numericamente. Il giovane, non consono al sapere epistemico, privo dell’attitudine integrale ad acquisirlo, ma dotato di quella sincerità immediata che lo porta a intraprendere il sentiero contingente dell‘orthe doxa, della quale si sente naturalmente congenere, viene guidato a quell’intuizione geometrica capace di superare e contenere, come una specie di unità eraclitea, l’uno in se stesso distinto, l’aporeticità e il riduttivismo di una matematica considerata secondo un aspetto meramente gnoseologico e privata di quell’essenziale ampliamento che solo una visione noetica in senso protologico avrebbe potuto fornire. Che cos’è quell’irrazionalità all’interno della misurazione che se considerata fine a se stessa può decettivamente essere scambiata per irrapportabilità? È “realmente” irrapportabile il valore numerico della diagonale con il lato del quadrato? Ovvero cosa ci suggerisce l’ontologia platonica a riguardo? È come se Platone volesse indicarci un’estensione significativa all’interno della misurazione. La misurazione esige una forma significativa che rimandi al di là della misurazione stessa, ovvero rimandi a una figurazione geometrica al fine di un’attuazione pragmatica di essa. Quale pensiero poté inquietare i pitagorici quando estromisero dalla loro cerchia il tale Ippaso di Metaponto? L’irrapportabilità all’interno della numerazione può intaccare fino a squalificare la valenza universale dei numero nella gerarchia dei livelli di realtà? Eppure numero è misura e la misura è il meglio (metron ariston). Forse i pitagorici temevano che si confondesse la criticità all’interno della mera misurazione con la vera finalità della scuola pitagorica che probabilmente era la stessa di tutta quanta la grecità nel suo complesso. La stessa dedizione dei greci allo studio della proporzione denota un interesse che va al di là della mera metodologia, che si poteva invece osservare in popoli ad essi coevi[16]. Il loro interesse era di ordine etico-religioso, oltre che gnoseologico e ontologico. Ma qual è la via per giungere a tale obbiettivo? Una umile ricerca, come quella che intraprendono coloro che non sanno (ὄμοιος εἶ οὐκ εἰδότι, simile a uno che non sa)[17], come Socrate stesso usa autodefinirsi. Egli dopo aver domandato maieuticamente a Menone intorno alla virtù, che cosa essa sia nella sua totalità, dopo aver accompagnato l’interlocutore sulla via diairetica, e averlo indotto nell’aporia, e dopo averlo intorpidito, come una “piatta torpedine marina” , conviene che occorre ancora una volta una comune indagine (ἐθέλω μετὰ σοῦ σκέψασθαι καὶ συζητῆσαι ὄτι ποτέ ἐστιν, voglio cercare e indagare con te cosa essa sia), sempre e di nuovo (πάλιν ἐξ ἀρχῆς, di nuovo , dall’inizio) su ciò che fino a ora si era maieuticamente domandato. Ma il dire di Socrate diventa opportunità per delle trovate eristiche da parte del suo interlocutore. Se ignori qualcosa, come farai a cercarla? Chiede Menone. E se la trovassi, come la riconosceresti? Il filosofo ateniese comprende l’antinomia sottesa a tale discorso. Egli intendeva sicuramente giungere a dire, che sia nel caso si affermi di sapere, sia nel caso contrario, l’indagine non possa avere alcun utile risultato. L’eristica, infatti, è il domandare fine a se stesso. ἐριστικὸν λόγον è quell’argomento secondo il quale non si ritiene possibile ricercare sia ciò che si sa, sia ciò che non si sa, perché nella prima istanza è inutile, già conoscendo l’oggetto della ricerca, nella seconda si ignora persino ciò che si dovrebbe cercare. Qui c’è un uso improprio della logica, e ciò può essere valutato solo a partire da un’apertura protologica dei principi supremi. Quale risvolto pragmatico può avere il gusto della confutazione senza via possibile di risoluzione argomentativa? Lo zelo socratico per il bene della città degli uomini non può trovare soddisfazione vitale nella mera argomentazione di ordine descrittivo. Egli allora si rivolge al mythos, per trovare la base ideale adeguata a fondare un’argomentazione che soddisfi i criteri di quei principi ai quali abbiamo accennato. Ai sacerdoti, alle sacerdotesse e ai poeti preme dare ragione (logon didonai) del loro ministero che pratica col divino. Essi dicono che occorre trascorrere la vita più santamente possibile (ὡς ὁσιώτατα διαβιῶναι τὸν βἰον·)[18]. Essi parlano di un’anima immortale sottoposta a processi di purificazione nel mondo dell’Ade, che gli fa guadagnare lo status di sapienza e di eroicità nel bene quando rinasce fra i mortali. Ma soprattutto di ciò che l’anima apprende in tutte le vite, e nei mondi nei quali è vissuta, e che può ricordare. Perché “ cercare e apprendere sono, nel loro complesso, reminiscenza [anamnesi]”, (τὸ γὰρ ζητεῖν ἄρα καὶ τὸ μανθάνειν ἀνάμνησις ὅλον ἐστίν). Occorre infatti un ragionamento che renda operosi e non pigri[19]. Esso riguarda la questione della postulazione necessaria al darsi della conoscenza autentica e dell’epistemologia. Quando nel “dioti” si possono includere la questione dell’incommensurabilità numerica e della commensurabilità geometrica, ci si può incamminarsi sul sentiero dell’epistemologia. Dal “che è”, luogo del discreto e della descrizione, al “perché”, procedurale, istorico, causale, continuo, archetipico. Occorre postulare un continuo sulla infinitudine del discreto: l’unità della primigenia apertura generatrice della possibilità duale. L’uno, come il punto, che si estende ai molti, si continua, offrendosi alla propria negazione come discreto, generando la linea. Ecco il geometrico. La questione dell’incommensurabilità è quel “salto” protologico verso l’intero assiologico che valorizza l’ontologico e lo gnoseologico: la conoscenza in libertà, ovvero di un libero pensiero “ex autou”, dall’interiorità di sé, ciò che è l’anima (cfr. 85 d): libertà da libertà, come affermazione iniziale. È possibile, con Erich Przywara, che scorge una “presenza fondativa della dimensione religiosa nella conoscenza filosofica”, rimanendo però sempre al di fuori di ogni assolutizzazione del “dato creaturale”, accostare la postulazione “anipotetica” che si evince dai dialoghi in generale ma rappresenta un implicito rimando soprattutto nel tessuto dialogante e pensante del Menone stesso con la questione della dimensione della fede religiosa, e della necessità in relazione a essa di un assenso iniziale del soggetto[20]; cosicché risulta possibile rintracciare tale esigenza, inerente a una postulazione iniziale, effettuando uno studio sulla metodologia della ricerca umana e veritativa, oltre che teologica, all’interno del testo biblico, il quale, seppur appartenente alla tradizione ebraico-cristiana, rimane una delle grandi radici, sia nella recezione positiva sia negativa del suo messaggio, che ha inciso maggiormente nella configurazione della civiltà occidentale. Anche il testo biblico è scritto in mythologein, proprio come tentativo fondazionale e come sapere kerigmatico, ovvero prefigurativo di un mondo, a partire dalla grande cosmogenesi del primo capitolo del suo primo libro, come racconto fondazionale cosmogonico; cosicché risulta possibile scorgere un intento analogo, (proprio come analogia nel senso di discorso sulla somiglianza e sulla proporzionalità di Erich Przywara), nel mythos descritto nel Menone. Il mythos esprime il limite di una conoscenza intellettiva in senso hegeliano, che diventa, descrivendo puramente il metodo, senza utilizzarlo consapevolmente in relazione a un intero speculativo, mera gnoseologia, “Il difetto fondamentale del conoscere finito”[21]. Esso non è consapevole del suo metodo: a orientarlo è la “necessità” delle determinazioni concettuali (der Notwendigkeit der Begriffsbestimmungen). Per Hegel la geometria possiede il perfetto metodo sintetico del conoscere finito (die Geometrie hat deswegen allein die synthetische Methode des endlichen Erkennens in ihrer Vollkommenheit). Essa ha a che fare con l’intuizione sensibile, ma astratta. Nel suo procedimento si scontra con entità incommensurabili e dunque irrazionali che esigono che essa si spinga oltre il principio meramente intellettivo, cosicché tale “irrazionale” divenga “inizio” o prima traccia di Razionalità (concettuale e ideale)[22]. Laddove la necessità del mero intelletto (casualità seriale ed efficiente) è esteriore e “deve” essere considerata in vista di una “intellezione soggettiva” (subjektive Einsicht). Tale necessità esteriore, come mero intelletto gnoseologico, esige un soggetto che gli restituisca senso ulteriore e metaintellettuale, pensante ed essenziale. Hegel in questo passo dell’ Enzyklopädie rivela la sua vicinanza al dinamismo del pensare platonico. Ecco che l’ermeneutica può cogliere dei segnavia, all’interno del pensiero di alcuni autori della Wirkungsgeschichte, per andare oltre il mero posizionamento della contrapposizione manualistica, che esprime una mentalità, come usava dire Giovanni Reale, da “deuteragonista”, e la quale, come Platone insegna, è propria della sofistica, e così entrare finalmente e in modo “autoriale” a un convito del pensiero che costruisca il nuovo e una prassi possibile e concreta.
Stefania Massari
[1] V. “Essenzializzazione” in Erich Przywara, come atto formale della filosofia dell’essenza, nel mondo antico; Id., Analogia entis, La struttura originaria e il ritmo cosmico, introd. e trad. di Paolo Volonté, Vita e Pensiero, Milano 1995, p. 210. In tale concetto, a partire dalla sua trattazione della metafisica come “essenza dentro–fuori l’esistenza”, Przywara trova l’apertura necessaria per accostare la metafisica dell’essenza dell’essere, nel triplice irradiamento “vero-buono-bello” in relazione al problema dell’uno e del molteplice, in Platone, Aristotele, Agostino, Tommaso, Kant ed Hegel; cfr. pp. 24. 33-34-35, e infine in Husserl, distinguendo il criterio metaontico degli antichi da quello metanoetico dei moderni.
[2] Per sguardo filosofico-storico si vuole intendere, proprio nel senso filosofico canonico, una valorizzazione dei canoni storiografici mediante un uso pensante della Wirkungsgeschichte, alla maniera del dinamismo speculativo presente all’interno del sistema storico-filosofico in Hegel.
[3] Per concettualizzazione di temi platonici s’intende l’evidenziazione della dinamica “essenzializzante” degli stessi, oltre che la loro pensabilità dalla parte del lettore e dell’interprete.
[4] Cfr. Maurizio Migliori, Il recupero della trascendenza platonica e il nuovo paradigma, Rivista di Filosofia Neo-scolastica, Vol. 79, No. 3 (luglio-settembre 1987), p. 363 – v. nota n. 59, nella quale Migliori cita K. Gaiser. La paideia platonica, destinata ai filosofi, che è di tipo matematico-dialettico, e di lunga durata, è tesa a un’assimilazione interiore che culmina con la pura “intellezione” del Bene stesso, ma l’elaborazione dialettica, sostiene Gaiser, «doveva essere accompagnata e verificata da un’esperienza di certezza immediata ed evidente, da una dischiusura della verità tramite intuizione intellettuale (noesis)». Per un confronto col senso comune di tale concetto, e ai fini di una più proficua attualizzazione, si potrebbe considerare il significato della parola “intellezione”, presente in uno dei dizionari in uso più diffuso (es. v. la voce “intellezione” in vocabolario Treccani: – Il processo dell’intendere mediante la facoltà dell’intelletto, concepito in filosofia come sintesi di due elementi opposti: quello intelligente o «soggetto» [principio attivo dell’intendere] e quello che è inteso o «oggetto» [termine dell’azione del soggetto]).
[5] Cfr. Erich Przywara, Analogia entis, La struttura originaria e il ritmo cosmico, op. cit., II, Il ritmo cosmico.
[6] Cfr. Edmund Husserl , Aufsätze und Vorträge (1911-1921), Martinus Nijhoff Publishers, 1987, pp. 3-62: Id. Philosophie als strenge Wissenschaft, Traduzione italiana di Corrado Sinigaglia. Filosofia come scienza rigorosa, con prefazione di Giuseppe Semeraro, Economica Laterza, Bari 2010, p. 55: “Fin dove arriva l’intuizione, l’aver coscienza intuitivo, giunge anche la possibilità della corrispondente ideazione”.
[7] Si possono vedere, sul senso essenziale della “protologia”: Giovanni Reale, Per una nuova interpretazione di Platone alla luce delle “dottrine non scritte”, Bompiani, Milano 2002; M. I. Parente, Platone e il problema degli agrapha, in “Méthexis“, 6, 1993.
[8] Cfr. Richard Kraut, The Cambridge Companion to Plato, Cambridge University Press, Chicago 1992, p. 221.
[9] Cfr. G. W. F. Hegel, Fenomenologia della Spirito, Introduzione, Traduzione, note e apparati di Vincenzo Cicero, Bompiani, Milano 2013, p. 1005: “Lo Spirito, rappresentato inizialmente come sostanza dell’elemento del pensiero puro, è con ciò immediatamente l’essenza semplice, uguale a se stessa ed eterna, la quale però non ha questo significato astratto dell’assenza, bensì il significato dello Spirito assoluto. Lo Spirito però non è semplicemente un significato, non è l’interno, ma è il reale. L’essenza semplice ed eterna, perciò se restasse nell’ambito della rappresentazione e dell’enunciazione di tale semplicità ed eternità, sarebbe Spirito solo nella vacuità di questa parola. Per il fatto di essere l’astrazione, invece, l’essenza semplice è di fatto il negativo in se stesso, e precisamente la negatività del pensiero, la negatività così com’è, in sé, nell’essenza: è la differenza assoluta da sé, cioè il suo puro divenire-altro.”
[10] Cfr. ciò che riferisce Cristina Ionescu, in The mythical introduction of recollection in the Meno (81 a 5 – e 1), Journal of philosophical research, Volume 31, 2006, sulla valenza pedagogica e comunicativa del mito in riferimento ai destinatari del messaggio “The main reason why recollection is introduced by appeal to myth is to facilitate our access to truth in direct correspondence to our specific pedagogical needs, and in this sense the myth has a substantial role complementing logical arguments. At one level, Socrates’ appeal to myth is motivated by his intention to persuade Meno to continue the investigation of virtue. Since Meno’s intellectual resources are scarce, introducing recollection by means of a story which appeals to his emotions and whose content is, even if only at the superficial level, attractive to him has the desired effect.”
[11] Cfr. Platone, Menone 81c9-d5 : ἅτε γὰρ τῆς φύσεος ἁπάσης συγγενοῦς οὐσης, καὶ μεμαθηκυίας τῆς ψυχῆς ἅπαντα οὐδὲν κωλύλει ἓν μόνον ἀναμνησθέντα ὃ δὴ μὰθησιν καλοῦσιν ἄνθρωποι τἆλλα πάντα αὐτὸν ἀνευρεῖν, ἐάν τις ἀνδρεῖος ἦ καὶ μὴ ἀποκάμνη ζητῶν· (Dal momento che tutta quanta la natura è affine e che l’anima ha appreso tutte quante le cose, nulla impedisce che, ricordandosi di una cosa soltanto – ciò che gli uomini chiamano appunto apprendimento – riscopra tutte le altre, sempre che si tratti di qualcuno coraggioso e che non resiste dal conoscere). “Syngeneia” è il termine che usano i Greci, da Omero in poi per definire l’affinità nei rapporti fra Dio e la natura dell’uomo e che solo in Platone (presente prevalentemente nel Timeo) viene giustificato. Cfr. Giovanni Reale, Storia della Filosofia greca e romana, a c. di Vincenzo Cicero, premessa di Maria Bettetini, Bompiani, Milano 2018, p. 2366.
[12] Cfr. Platone, Menone, a c. di Franco Ferrari, Rizzoli, Milano 2016, pag. 47.
[13] “Protologia” ed “henologia” sono, com’è noto, termini introdotti dalla speculazione della scuola interpretativa di Tubinga e di Milano. Essi sono, all’interno di tale scuola, considerati condizione essenziale nel dinamismo del pensare. Sull’henologia come attributo preminente e imprescindibile del “Principio” in Platone, Plotino, Porfirio e Proclo, in una dialettica con l’ontologia aristotelica e nella sua recezione tomista, e ancora, come criterio imprescindibile per l’intelligibilità della storia della filosofia antica e moderna, si può vedere: Giuseppe Girgenti, Il pensiero forte di Porfirio, Mediazione fra henologia platonica e ontologia aristotelica, Vita e Pensiero, Milano 1996. Si veda inoltre, Giovanni Reale, Per una nuova interpretazione di Platone alla luce delle “dottrine non scritte”, Bompiani, Milano 2002
[14] Άρχή Άνυπόθετον è, per Hans Krämer, quel bene (άγαθόν) che è al di sopra delle idee e dell’ούσία , e che, come principio che non è più solo postulato, costituisce il fine della dialettica. Cfr. H. Krämer, Dialettica è definizione del bene in Platone, introduzione di G. Reale e traduzione di Enrico Peroli, Vita e Pensiero, Milano 1996, pag. 37.
[16] Simone Weil, nelle lettere che scrive al fratello André sulla matematica dei greci, distingue tra la metodologia dei calcoli babilonesi, per i quali non si presentava la preoccupazione dell’approssimazione numerica, applicandosi a risolvere problemi a partire da risoluzioni note, facendo dunque intendere di prediligere l’analisi delle metodologie, piuttosto che altri interessi, e l’interesse dei greci di ordine religioso ed estetico. Non fu un dramma, secondo la Weil, il dover distinguere la geometria dalla misurazione numerica da parte dei pitagorici, a motivo dell’incommensurabilità di alcune grandezze matematiche, anzi il fatto che avessero assunto come simbolo dei loro circoli il pentagono stellato, figura significativa riguardo al rapporto fra incommensurabili, denota quanto la loro preoccupazione fosse altra. Propriamente, dai circoli pitagorici scaturiscono l’estensione degli insiemi numerici (Eudosso, allievo di Archita) e le nozioni di limite ed integrazione. È noto che Platone apponeva sulla porta dell’Accademia la frase: “Non entri chi non sia geometra”, e che diceva frequentemente: “Dio è un perpetuo geometra”, frase attribuitagli da Plutarco (Questiones Conviviales). La preoccupazione unica di tutti i greci, continua la Weil, era la purezza dell’anima, e il loro segreto, imitare Dio. La matematica era per loro un’arte, per esplicitare l’affinità fra la mente umana e l’universo”. Cfr. Simone Weil e André Weil, Correspondance familiale, a c. di Robert Chenavier e André Devaux, Éditions Gallimard, Paris 2012. Ed. italiana: “L’arte della matematica”, a c. di Maria Concetta Sala, Adelphi Edizioni, Milano, 2018.
[20] Cfr. Erich Przywara, Analogia entis, La struttura originaria e il ritmo cosmico, op. cit., Introduzione, xxxiii
[21] Cfr. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse, Dritte Ausgabe, Heidelberg 1830, Verwaltung des Oswaldschen Verlags, trad. it. Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, a c. di Vincenzo Cicero, Introduzione, traduzione, note e apparati di Vincenzo Cicero, Bompiani, Milano 2017., Sottotitolo del par. 23.
[22] Cfr. Ibidem, p. 407: “Altre scienze se la cavano facilmente quando giungono al limite del loro procedimento intellettivo. Esse infrangono la coerenza di quel procedimento e prendono dall’esterno tutto quanto serve loro. Lo prendono dalla rappresentazione, dall’opinione, dalla percezione o altri ambiti ancora”.
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