Marguerite Yourcenar (1903-1987) – Aver ragione troppo presto equivale ad aver torto. Il vero luogo natio è quello dove per la prima volta si è posato uno sguardo consapevole su se stessi: la mia prima patria sono stati i libri.

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Chi ama il bello finisce per trovarne ovunque, come un filone d’oro che scorre anche nella ganga più ignobile, e quando ha tra le mani questi mirabili frammenti, anche se insudiciati e imperfetti, prova il piacere raro dell’intenditore che è il solo a collezionare ceramiche ritenute comuni.

Come chiunque altro, io non dispongo che di tre mezzi per valutare l’esistenza umana: lo studio di se stessi è il metodo più difficile, il più insidioso, ma anche il più fecondo; l’osservazione degli uomini, i quali nella maggior parte dei casi s’adoperano per nasconderci i loro segreti o per farci credere di averne; e i libri, con i caratteristici errori di prospettiva che sorgono tra le righe. […] Mi troverei molto male in un mondo senza libri, ma non è lì che si trova la realtà, dato che non vi è per intero.

Il vero luogo natio è quello dove per la prima volta si è posato uno sguardo consapevole su se stessi: la mia prima patria sono stati i libri.

Le mie inquietudini perduravano, ma le dissimulavo come delitti: aver ragione troppo presto equivale ad aver torto.

Quando si saranno alleviate sempre più le schiavitù inutili, si saranno scongiurate le sventure non necessarie, resterà sempre, per tenere in esercizio le virtù eroiche dell’uomo, la lunga serie dei mali veri e propri: la morte, la vecchiaia, le malattie inguaribili, l’amore non corrisposto, l’amicizia respinta o tradita, la mediocrità d’una vita meno vasta dei nostri progetti e più opaca dei nostri sogni: tutte le sciagure provocate dalla natura divina delle cose.
Bisogna che lo confessi: credo poco alle leggi. Se troppo dure, si trasgrediscono, e con ragione. Se troppo complicate, l’ingegnosità umana riesce facilmente a insinuarsi entro le maglie di questa massa fragile, che striscia sul fondo. Il rispetto delle leggi antiche corrisponde a quel che la pietà umana ha di più profondo; e serve come guanciale per l’inerzia dei giudici. Le leggi più antiche non sono esenti da quella selvatichezza che miravano a correggere, le più venerabili rimangono ancora un prodotto della forza. La maggior parte delle nostre leggi penali – e forse è un bene – non raggiungono che un’esigua parte dei colpevoli; quelle civili non saranno mai tanto duttili da adattarsi all’immensa e fluida varietà dei fatti. Esse mutano meno rapidamente dei costumi; pericolose quando sono in ritardo, ancor più quando presumono di anticiparli. E tuttavia, da questo cumulo di innovazioni pericolose e di consuetudini antiquate emerge qua e là, come in medicina, qualche formula utile.

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Margherite Yourcenar, Memorie di Adriano, Einaudi, 1981.

 



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