Massimo Angelini – Cultura significa innanzitutto coltivare, avere cura, trattare con attenzione, far crescere, onorare, e non va confusa con erudizione, che ha il proprio fine in sé stessa, nell’accumulazione dei dati, nella loro ostentazione sociale o accademica, guscio di un sapere ridotto alla sua apparenza.

Angelini Massimo 01

 

«Cominciamo con l’osservare che cultura rinvia alla forma di un participio futuro, come natura, creatura, ventura […] Il participio futuro non è legato a un’attesa indefinita, ma alla prossimità della realizzazione: dunque un tempo di ragionevole certezza, benché ancora non sia evidente; è il tempo del futuro già tra noi, anche se non è apertamente manifestato. Il participio futuro è il tempo del già e non ancora. Potremmo dire che il seme germogliato è il participio futuro della pianta prossima a emergere e dell’albero che sarà, che il viaggio iniziato è il participio futuro della meta verso la quale è rivolto […]. La matrice che genera la parola cultura è un verbo latino, còlere, che significa innanzitutto coltivare, anche nel senso figurato di avere cura, trattare con attenzione o con riguardo, quindi onorare […]. E cosa è incastonato dentro còlere? Una radice remota, kwel, che significa girare, muovere in cerchio, voltare […]. Attraverso kwel, riconosciamo in còlere il significato di coltivare nel senso originario di girare l’aratro in fondo al campo per aprire un nuovo solco, ma anche per smuovere e voltare la terra. Coltivare, in buona sostanza, è lavorare la terra. Poi […] questo primo significato è maturato in avere cura, fare crescere […]. Ma dal muoversi in cerchio di kwel prendono vita anche i significati di onorare e venerare che possono rinviare a un modo intenso di avere cura […].

Se dal participio futuro di còlere (culturus) arriva la parola cultura, dal participio passato (cultus) arriva la parola culto, che si riferisce al coltivato e, per proiezione, al raccolto, a ciò che è stato fatto crescere, a ciò che è stato elevato […]. La cultura e il culto hanno un valore simbolico quando uniscono diversi piani dell’esistenza, li mettono in comunicazione, collegano ciò che è materiale con ciò che è spirituale, ciò che è visibile con ciò che è oltre il visibile. Ogni atto e ogni conoscenza che lega – anzi rilega (come è proprio della religio) – l’uomo al mondo che lo circonda dà concretezza a questa unione […]. Come ogni participio futuro, la cultura è la pre-visione di un futuro prossimo ad avverarsi perché è già nel cuore delle cose.

Animata dall’intima tensione a fare crescere, a elevare […], la cultura non andrebbe confusa con l’erudizione, che ha il proprio fine in sé stessa, nell’accumulazione dei dati, nella loro ostentazione sociale o accademica, ed è espressione di collezionismo delle informazioni, guscio di un sapere ridotto alla sua apparenza, gioco di riconoscimento tra i sodali di una conventicola. La cultura […] porta a crescere, porta a elevare; come il culto, con il quale condivide la stessa radice, si esprime quale atto simbolico e perciò tende ponti fra le persone e tra i mondi; non si occupa di cose inutili, di inezie senza anima, non gioca allo specchio, perché trova il suo compimento in cosa o in chi ne è destinatario. Chi parla per non farsi capire, chi inutilmente complica ciò che è semplice (ma anche chi banalizza ciò che è complesso), chi astrae ciò che è concreto, chi consapevolmente usa le proprie conoscenze e le parole per segnare le distanze, per distinguersi, per sottomettere, invece che per condividere e comunicare, non coltiva nulla ma genera deserto, non fa crescere ma inaridisce, non rende onore che al proprio io, come un narciso infelice, e non produce cultura ma, distaccandosi dall’umanità, genera il proprio isolamento. […]

Nella civiltà dello spettacolo, osserviamo che la parola cultura è usata particolarmente a sproposito quando è associata a intrattenimento, spettacolo e occupazione del tempo libero. […]

Dunque […], per tornare ancora all’immagine del lavoro della terra, per la buona coltura non basta còlere il campo, ma altrettanto importante è l’esperienza di chi lo fa, la sapienza dei suoi gesti, e poi serve una semente buona e che la semente buona sia posata in terra fertile, e che al momento giusto arrivi l’acqua. Se il gesto è malcompiuto, se la terra è sassosa o arida, se il seme è sterile, se non viene l’acqua al momento giusto, non ci sono le condizioni perché emerga e fiorisca la coltura e, in senso immaginifico, la cultura: come per i campi, così anche per le persone e le comunità.

 

Massimo Angelini, Ecologia della parola. Il sale, gli occhi, le stelle, l’aratro, il dono … conversazioni per un altro modo di guardare la realtà, pentàgora, Savona 2017, pp. 36-43.


Massimo Angelini – Ripristinare un’economia morale fondata sul dono potrebbe essere contagioso, certamente incomprensibile, come espressione di follia per chi confida solo sul denaro e al denaro affida l’ultima parola nelle proprie scelte e sull’altare del denaro brucia, idolatra, la propria vita, ma sarebbe rivoluzionario.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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