Andrea Bajani – Bisognerà prima o poi tornare al “coltivare”, quando si nomina la scuola. Bisognerà ricordarsi del contadino metaforico che coltiva di nascosto dentro l’etimologia della parola Cultura, e che dentro la scuola dovrebbe trovare terra fertile.

Andrea Bajani 001
La scuola non serve a niente

La scuola non serve a niente

 

Da molti anni lavoro nelle scuole e con le scuole. Da molti anni incontro insegnanti che interpretano il loro ruolo a seconda della propria storia e della propria indole. Negli ultimi anni lo sconforto è aumentato, complici le picconate sistematiche di governi che intervengono sull’istruzione con avvilenti tagli di budget travestiti da riforme epocali. Ho incontrato molti insegnanti sfiniti e amareggiati che hanno rinunciato a cavare i loro ragni dai buchi di edifici scolastici in sfacelo. Tra i loro argomenti incontrovertibili c’è lo stipendio, una paga che rispecchia l’attribuzione di un ruolo vicario, superfluo, nella costruzione del paese. E ne ho incontrati molti contenti comunque di fare quel mestiere, con la passione per la loro materia e la consapevolezza della natura vivificante di una relazione quotidiana con i ragazzi. Ho incontrato professori che leggevano moltissimo. Ne ho incontrati troppi che non leggevano affatto perché «non c’è tempo», perché tanto con i programmi ministeri ali eccetera eccetera. Ho condiviso gite di classe con professori magnetici, trascinatori, carismatici. Altre con professori al traino che – a vederli camminare insieme ai ragazzi dentro i musei, con le loro biografie troppo pesanti – ti si stringeva il cuore e ti montava la rabbia: li vedevo evaporare a ogni passo che facevano annoiati accanto ai quadri.
Certo è che ho incontrato molti Professori della Testimonianza, e mi pare che non si possa che ripartire da loro. Insegnanti che in classe erano fuochi che divampavano sopra la cattedra. Ne ho incontrati alcuni che compravano libri a proprie spese per regalarli ai ragazzi, che organizzavano concorsi letterari, che invitavano a scuola autori di romanzi perché raccontassero ai ragazzi il mistero di una cosa che nasce e diventa una storia. Ho partecipato a lezioni che mettevano i brividi per eccentricità, coraggio e profondità. Professori che testimoniavano il proprio essere insegnanti, e per questo non avevano paura di passare il testimone del loro sapere ai ragazzi. Ne ho visti molti che entravano in classe e facevano il proprio mestiere nell’unico modo possibile: accendendo gli occhi nell’esercizio, come si suol dire, della propria funzione, inducendo i ragazzi a desiderare per se stessi i medesimi occhi, sapendo che l’unica strada era quella che passava per Foscolo, gli aminoacidi o Ramsete III. Soprattutto, ho visto che cosa succede a un ragazzo quando un professore fa davvero testimonianza del proprio essere Prof: alza la testa quasi contro la propria volontà, contro la propria stessa accidia, spalanca gli occhi, ammira, adora, alza la mano e poi parla. E il professore lo ascolta. E poi li ho visti uscire da scuola insieme, ragazzi e Professori della Testimonianza: li ho visti camminare vicini […].

Nell’epoca dell’evaporazione del professore, non resta dunque che provare a essere professore per quel che si può. Per amore del proprio paese, del proprio lavoro, e dei ragazzi seduti dietro i banchi. Fare dono di sé […]. Con le poche energie che si hanno e con quel poco o tanto che si riesce a fare in un’aula, stinti e delegittimati da tutto. Però non basta. […]

Bisognerà prima o poi tornare al coltivare, quando si nomina la scuola. Non tanto per sostituirla con la manualità del lavoro nei campi sotto cieli aperti, quanto piuttosto per ragioni contrapposte. Ovvero. Bisognerà ricordarsi del contadino metaforico che coltiva di nascosto dentro l’etimologia della parola Cultura, e che dentro la scuola dovrebbe trovare terra fertile. E dunque da quel contadino metaforico bisognerebbe imparare prima di tutto il Tempo: l’attesa, la difesa, la dilatazione, l’interruzione, l’accelerazione. Poi, a seguire, lo Spazio: l’inclinazione, l’esposizione, la tensione, la torsione, lo slancio. E infine ricordarsi che c’è anche il cielo, da qualche parte, sopra la testa dei ragazzi.

Andrea Bajani, La scuola non serve a niente, Laterza, 2014, pp. 41-43, 45.


 I libri di Andrea Bajani

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Qui non ci sono perdenti

Qui non ci sono perdenti

Pequod, 2003

Eddie, bambino prodigioso, va a scuola, è pure bravo, ma soprattutto corre, corre sempre, si allena sempre, si supera sempre, si migliora. E vuole diventare nero. Anzi, negro. Come il suo idolo. Per sorpassare il suo idolo: l’uomo più veloce del mondo. Sua madre è una mamma. Anzi, una mammona. Col cronometro in una mano, perfida e inflessible a comandare gli allenamenti di Eddie, e col bazooka nell’altra, follemente esplosiva nel respingere gli attacchi dei giornalisti. Di Enzo Braghi, soprattutto. Che vuol portare Eddie, caso umano per eccellenza, dentro al bouquet dei suoi programmi televisivi.

 

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Mi spezzo ma non m'impiego

Mi spezzo ma non m’impiego

Einaudi, 2006

Li chiamano lavoratori precari e invece sono turisti instancabili, viaggiatori sempre pronti a partire per una nuova eccitante vacanza dalla disoccupazione. Sono i lavoratori “atipici”, diventati ormai cosi tanti da potersi considerare i più tipi tra i lavoratori in circolazione. Sono gli ex co.co.co., i neo co.pro., le Partite Iva, gli interinali, i tempi determinati. Sono trentenni che vivono come adolescenti tra altri adolescenti, ragazze che nascondono la gravidanza per non perdere il lavoro, uomini e donne non più giovani che finiscono in un call center a dire “Buongiorno sono Marco”.

 

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Cordiali saluti

Cordiali saluti

Einaudi, 2008

La sua vita in azienda è fatta di giornate passate a scrivere lettere di licenziamento, guardando i colleghi “in esubero” che ripongono gli oggetti personali dentro piccole scatole e si avviano lentamente verso casa. La sua vita fuori dall’ufficio, invece, è l’invenzione di una paternità: un ciclone messo in movimento da Martina e Federico, che sono troppo piccoli per diventare grandi e aspettano il ritorno del padre dall’ospedale. Dopo tante parole sprecate per congedare la gente, bisognerà trovarne di intatte per spiegare a loro due che non tutte le cose finiscono, e non tutti i saluti sono degli addii. Un romanzo feroce e malinconico, un ironico abbecedario della vita aziendale, e della vita in generale.

 

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Domani niente scuola

Domani niente scuola

Einaudi, 2008

In un momento come questo in cui l’universo degli adolescenti viene studiato soltanto col cipiglio perplesso degli entomologi, con l’atteggiamento diagnostico degli psicologi o con la verve scandalistica dei cronisti, Andrea Bajani ha deciso di calarsi tra i ragazzi delle nuove generazioni. È ritornato prima tra i banchi di scuola (a Torino, Firenze e Palermo) e poi in gita di classe a distanza di 15 anni dal suo esame di maturità. Il risultato è un reportage ironico sull’Italia dei teenagers, raccontato da un infiltrato, poi diventato in qualche modo ostaggio dei ragazzi, tra chiacchiere sul pullman, foto di classe e improbabili discoteche turistiche.

 

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La mosca e il funerale

La mosca e il funerale

Nottetempo, 2012

Nessun famigliare piange al funerale del nonno, né gli uomini vestiti da guardia del corpo, né le donne travestile da girasoli. Solo un vecchietto si dispera, nelle ultime file, ma nessuno sa chi sia. Il nipote bambino si annoia, ragiona su quello che vede, e s’inventa spiegazioni stralunate per capire la vita e la morte. Questo racconto di Bajani si avvolge e svolge inarrestabile: una scrittura continua che procede per associazioni e salti, senza permettere mai allo scrittore di alzare le mani dalla tastiera, e al lettore di alzare gli occhi dal foglio.

 

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Presente

Presente

Einaudi, 2012

Autori: Andrea Bajani, Michela Murgia, Paolo Nori e Giorgio Vasta

 

Quattro scrittori alle prese con un gioco serissimo: passandosi il testimone della nostra tragicomica esistenza nazionale – e intrecciandola al loro privato – danno vita a un impasto unico, un diario a staffetta che racconta gli aspetti più impensati di quello che chiamiamo “presente”. Così, domandandosi se sia vero che i bambini amano leccare i pavimenti, scopriamo che nella lingua italiana i tempi verbali sono molti più di quelli che possiamo immaginare. E se qualcuno prova a elencare le infinite sfumature che può avere la mancanza, qualcun altro si interroga sul momento esatto in cui ha smesso di cercare di far bella figura. Intanto, fuori dalla finestra, scorrono le istantanee di un Paese che cerca la propria direzione all’interno di un mondo che cambia. Andrea Bajani, Michela Murgia, Paolo Nori e Giorgio Vasta raccontano il 2011, un anno della loro e della nostra vita. Ciascuno indaga con curiosità ogni fenomeno che vede (o sente) accadere, e ne distilla materiale narrativo incandescente. Attraverso una cronaca quotidiana, appassionata, ironica e sentimentale, un mese dopo l’altro si compone il disegno collettivo di un tempo intimo e civile. Presente diventa cosi un diario pubblico che parla a e per tutti noi.

 

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La gentile clientela

La gentile clientela

Feltrinelli, 2013

Sono le dieci di sera, dentro e fuori del Museo di Anne Frank, ad Amsterdam. Per tutto il giorno, come ogni giorno dell’anno, migliaia di persone si sono assiepate davanti alla casa nascondiglio di Anne Frank, per poterla visitare. Sono turisti da tutto il mondo arrivati fin lì con le guide in mano: bambini che reclamano i mulini a vento invece del solito museo, adolescenti annoiati, maestre di scuola con in borsa il diario più popolare del mondo, famiglie, single, cani sciolti. Sono le dieci di sera, e si avvicina l’ora della chiusura. Uno dopo l’altro, i visitatori si avviano verso l’uscita, mentre una voce, in tutte le lingue, avvisa la gentile clientela che è giunto il momento di recuperare giacche e borse e avviarsi verso la porta che si affaccia su Prinsengracht 263. Eppure, nonostante i richiami, ci sono tre persone che non raggiungono l’uscita. Sono un padre e una bambina che si sono persi, e un ragazzo arrabbiato con i genitori e col mondo. Le porte si chiudono, e loro restano lì, dentro quel posto in cui si è nascosta la Storia, e in cui ora sono loro a essere intrappolati. Soltanto loro tre, tra i fantasmi di ieri e le loro presenze in carne e ossa di oggi. E la notte sembra non finire mai. Con l’adattamento di Sergio Ferrentino.

 

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Mi riconosci

Mi riconosci

Feltrinelli, 2013

“Mi riconosci” è la storia di un’amicizia. Uno scrittore maturo e uno scrittore giovane hanno camminato in equilibrio sul filo di un’intesa trasognata e terrena. L’hanno fatto senza rete, tenendosi d’occhio. Insieme sono riusciti a guardare dentro il mistero delle parole. Per un tempo più o meno lungo sono stati amici, come possono esserlo uno scrittore maturo che ama l’impertinenza dei giovani e uno scrittore giovane più incline a proteggere che a essere protetto. Poi un giorno arriva la malattia, e la corda su cui camminavano comincia a tremare. È in quel momento, quando il filo lascia cadere il più vecchio, che il giovane comincia a raccontare. Perché solo raccontando dell’altro, del suo funambolismo, e della sua caduta, può sperare di non perdere l’equilibrio. “Mi riconosci” è un ballo intorno all’abisso delle parole, del nonsenso, del sogno. È la storia della nostalgia di essere vivi che i due scrittori hanno condiviso, e che ora è colmata di gesti, di oggetti che prendono vita, di case che fanno i dispetti, di bambini che sanno scombinare le carte, di sorrisi irriverenti, sardonici, pieni di luce. “Mi riconosci” è l’omaggio, commovente e stupefatto, di Andrea Bajani alla memoria di Antonio Tabucchi.

 

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È bellissimo il vostro pianeta

È bellissimo il vostro pianeta

EDT, 2014

Mi preme prima di tutto rassicurare chiunque abbia smarrito qualcosa o qualcuno. La vostra pena è finita: è tutto qui, sul Pianeta dal quale stendo questa mia Relazione. Se negli ultimi anni vi siete chiesti che fine abbiano fatto i vostri dirimpettai, la vostra ingenuità, la dolcezza dei vostri coniugi; se vi siete domandati che ne è della ragazza che lavorava all’edicola, o del cameriere che serviva nella trattoria dove andate con i suoceri ogni domenica. E se tutte queste perdite vi sembrano intollerabili, se vi aggirate per la città come madri alla ricerca di figli i cui telefonini suonano a vuoto, se tutto questo avviene: state tranquilli, sono tutti su questo Pianeta comunemente chiamato Berlino.

 

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La scuola non serve a niente

La scuola non serve a niente

Laterza, 2014

Un ragazzo di quindici anni che non vuole andare più a scuola è un fallimento per tutti. Dietro ci sono degli insegnanti, una famiglia e un paese che lo lasciano andare. La scuola di oggi racconta di un paese scollato, che non riesce a tenere insieme insegnanti in crisi di legittimazione e ragazzi asserragliati nelle ultime file. È il ritratto di un’Italia di solitudini raccolte dentro la stessa penisola. La scuola, invece, è nata perché quelle solitudini venissero ricucite con un alfabeto uguale per tutti. Perché la scuola non serve a qualcosa, ma è necessaria per essere in grado di immaginare un paese migliore.

 

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La pantera sotto il letto

La pantera sotto il letto

Orecchio Acerbo, 2015

Autori: Andrea Bajani, Mara Cerra

Un papà e la sua bambina di fronte alla notte. In quella casa di montagna, circondati dal silenzio, la bambina sa bene che nel buio tutto sparisce e così ha stretto un patto con il padre: per non essere inghiottita dalla notte, potrà tenere una vecchia padella sotto il letto per eventuali pipì notturne. Il sonno non arriva e al suo posto invece, puntuale, il bisogno impellente. Sotto il letto, tuttavia, la bambina non trova solo la padella: una pantera, nera e misteriosa come la notte, la sta aspettando. Guardarla negli occhi è un po’ come guardare la notte: entrambe fanno paura, ma entrambe si possono esplorare. I grandi credono che basti una lampadina per riavere indietro il mondo che l’oscurità ha rapito, ma anche il papà, durante quella notte magica, dovrà darle ragione: oltre la porta di casa davvero non c’è più nulla. Ma la bambina ha guardato negli occhi la pantera e ora conosce il mistero del buio. E allora sarà facile e bello cavalcare la notte con la sua padella, come farebbe con una tavola da surf sopra il mare. Età di lettura: da 7 anni.

 

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La vita non è in ordine alfabetico

La vita non è in ordine alfabetico

Einaudi, 2015

Il giorno in cui il maestro insegna ai bambini l’alfabeto è la fine e l’inizio di un mondo. La fine di un mondo in cui le cose succedevano e basta, e l’inizio di uno in cui possono essere messe in fila indiana in forma di parole. La vita intera passa attraverso le molteplici combinazioni di quelle ventuno lettere: sorprese, delusioni, imprevisti, nascita e crescita, persino la morte. Trentotto storie brevi, trascinanti e poetiche, piene di profonda leggerezza. Ciascuna di loro, una parola. Ciascuna di loro, il mondo. Sono epifanie scovate quasi per caso negli interstizi del quotidiano: lo smarrimento di una donna di fronte alla rottura di un braccialetto dei desideri, l’impossibilità di resistere dal prendere a calci un pallone che rotola per strada, il sollievo con cui si consegna a uno sconosciuto la propria storia sapendo che non lo si vedrà mai più, il piacere perverso di rimettere in circolazione una banconota falsa ricevuta chissà dove. Andrea Bajani compone una commedia umana in miniatura, in cui ogni piccolo gesto può diventare una chiave per capirsi, e rendersi conto che la felicità, alla fine, sta dentro la piega che di colpo prendono le cose.

 

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Ogni promessa

Ogni promessa

Einaudi, 2016

«Un libro speciale che nello spazio di un romanzo produce una sorta di commedia umana concentrata».Antonio Tabucchi

Ogni sera Pietro si china sulla pancia di Sara per sapere se dentro c’è qualcosa che nasce, e ogni sera lei aspetta di poter dare un nome al loro futuro insieme. Ma la speranza rimane un’attesa, e l’attesa spacca tutto come una crepa nel muro. Fino a quando ogni cosa si sfalda e sul tavolo della cucina resta soltanto un foglio, o meglio una bomba che si prepara a esplodere. “Telefonato tua madre, è morto Mario”. E poco sotto una domanda scritta di fretta: “Mario?” Mario è il nonno di Pietro, ma più che un parente è lo scheletro nell’armadio di una famiglia. Tornato folle dalla campagna di Russia, vissuto dentro una clinica eppure morto per tutti, per lui la guerra non è mai finita. Ora fa la sua comparsa morendo per davvero. L’estate si apre quel giorno con un duplice addio, spalancata come una casa vuota e piena di strade possibili. La prima è un viaggio a ritroso, con in tasca il peso di un segreto che Pietro e Sara si sono nascosti tanto a lungo da non poterlo dimenticare. La seconda è un viaggio sul Don, carico di tutte le storie che Mario non ha mai raccontato. Con una scrittura tesa e tersa fino alla poesia, Andrea Bajani ci racconta la responsabilità e la difficoltà di ricordare. La memoria è una trama forata, i fili si slacciano e si disperdono nell’ordito di una realtà vissuta al presente. Ma è proprio li, tra le omissioni e le mancanze, che forse si annida un senso. Lungo quelle strade deviate, dove si affacciano risposte impreviste a domande mal poste.

 

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Se consideri le colpe

Se consideri le colpe

Einaudi, 2016

Lui è uno dei tanti italiani che atterrano a Bucarest, ma spinto fin laggiù da un motivo diverso da tutti gli altri. Gli uomini che scendono dall’aereo prima di lui hanno scarpe dalla punta quadrata e cravatte con il nodo troppo largo: sono in cerca di fortuna, hanno trasferito lì le aziende, tirato su capannoni e comprato fuoristrada per mettere le mani su donne e denaro. Lui deve seppellire una madre che non è mai stata sua per davvero, se non in un’infanzia – magica nel ricordo – di pazza allegria: una donna carica di sogni, che un giorno di molti anni prima si è lasciata alle spalle lui e tutto il resto per seguire un progetto improbabile e una passione mal riposta. Una storia d’amore totale all’orizzonte di un mondo che scambia per oro tutto quello che luccica.

 

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Un bene al mondo

Un bene al mondo

Einaudi, 2016

Finalista del Premio Letterario Corrado Alvaro e Libero Bigiaretti 2017

 

«C’è l’amore, e c’è la meraviglia. Insomma, tutto ciò per cui vale la pena raccontare la vita».Michael Cunningham
«Facciamo esperienza diretta, in queste pagine, di quello stato di grazia della lingua invocato da Cristina Campo come supremo criterio di giudizio».Emanuele Trevi, La Lettura
«È semplicemente letteratura, come capita raramente di leggere. La meraviglia nelle parole, oltre le parole stesse. Toccante, doloroso, fiabesco».Marco Belpoliti, L’Espresso

 

Un bene al mondo racconta di un paese sotto una montagna, a pochi chilometri da un confine misterioso. Un paese come gli altri: ha poche strade, un passaggio a livello che lo divide, e una ferrovia per pensare di partire. Nel paese c’è una casa. Dentro c’è un bambino che ha un dolore per amico. Lo accompagna a scuola, corre nei boschi insieme a lui, lo scorta fin dove l’infanzia resta indietro. E ci sono una madre e un padre che, come tutti i genitori, sperano che la vita dei figli sia migliore della loro, divisi tra l’istinto a proteggerli e quello opposto, di pretendere da loro una specie di risarcimento.
Ma nel paese, soprattutto, c’è una bambina sottile. Vive dall’altra parte della ferrovia, ed è lei che si prende cura del bambino, lei che ne custodisce le parole. È lei che gli fa battere il cuore, che per prima accarezza il suo dolore. Un bene al mondo è una storia d’amore e di crescita di un’intensità e di una poesia travolgenti. È una storia universale, perché racconta quanto può essere preziosa la fragilità se non la rifiutiamo. Basta cercarsi su una mappa, disseminare parole per trovarsi, provare altre strade e magari perdersi di nuovo.
Viviamo tutti, sempre, nel momento in cui l’infanzia finisce. E non c’è punto piú intenso da cui possa nascere un romanzo. Dentro questa storia ci sono un bambino come tanti, un dolore che l’accompagna come il piú fedele degli amici e una bambina sottile che si prende cura di loro. Ci sono le ferite degli adulti, stretti tra richieste di risarcimento e protezione. C’è soprattutto la scoperta che la fragilità è una ricchezza.

 

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Promemoria

Promemoria

Einaudi, 2017

Come il titolo dichiara, questo libro si propone come un promemoria di cose da fare, una serie di indicazioni scritte alla lavagna: «Sale grosso multa carta da regalo | posta bollettino tacchi da pagare. | Dopo l’esame delle feci guarnizione | andare Verano per la cremazione». Fin dalla prima poesia, nel coacervo delle cose pratiche si insinua un filo di inquietudine, l’amore e la morte fanno capolino a scombinare tutti i giochi. È la vita, sempre capovolta, che si presenta inaspettata. Così a poco a poco dalle cose pratiche si passa a questioni esistenziali sempre piú cogenti: impasse e rincorse sentimentali, angosce del vivere e del morire, e queste indicazioni operative con i verbi all’infinito diventano paradossali, comiche e tragiche nello stesso tempo. Qualcosa di infantile, il culto della sapienza infantile, e del suo stupore, c’è sempre nei libri di Bajani, e anche in questo: il sottilissimo bilico tra il riso e il pianto, la levità venata di tristezza, la semplicità gonfia di sentimenti complessi. La scrittura dei romanzi di Bajani è sempre stata caratterizzata da una particolare elaborazione ritmica e da un’intensa concentrazione emotiva. Il passaggio alla poesia avviene dunque in modi quasi naturali, per intensificazione di caratteristiche già presenti nella prosa dello scrittore. In piú, ogni pagina di questo libro offre una sorpresa, uno scatto, un salto mentale, un cortocircuito tra immaginazione, riflessione ed emozione, e qui Bajani entra di diritto nella migliore tradizione poetica moderna.

 



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Konstantinos Petrou Kavafis (1863-1933) – Onore a quanti nella propria vita mai allontanandosi dal dovere, giusti e retti in tutte le azioni, pronti all’aiuto per quanto possono, sempre con parole di verità, ma senza odio per chi mente.

Kavafis Konstantinos Petrou 002

Kavafis

 

Termopili

Onore a quanti nella propria vita
si proposero la difesa di Termopili.
Mai allontanandosi dal dovere;
giusti e retti in tutte le azioni,
con dolore perfino e compassione;
generosi se ricchi e, se poveri,
anche nel poco generosi,
pronti all’aiuto per quanto possono;
sempre con parole di verità
ma senza odio per chi mente.

E ancora maggiore onore è loro dovuto
se prevedono (e molti lo prevedono)
che alla fine apparirà un Efialte
e i Medi infine passeranno.

 

***

Itaca

Quando ti metti in viaggio per Itaca,
devi augurarti che sia lunga la strada,
ricca di avventure e conoscenze.
I Lestrigoni e i Ciclopi,
l’ira di Poseidone non temere,
mai li incontrerai sul tuo cammino
se il pensiero è alto, se nobile
il sentimento che ispira il corpo e lo spirito.
I Lestrigoni e i Ciclopi,
il feroce Poseidone non li incontrerai,
se non li porti dentro l’anima,
se l’anima non te li alza contro.

Devi augurarti che sia lunga la strada
e molti i mattini d’estate
quando – con gioia e piacere –
approderai in porti mai visti
e ti fermerai negli empori fenici
a comprare fine mercanzia:
madreperle e coralli, ambra e ebano,
ogni genere di profumi sensuali,
quanti più puoi, profumi sensuali.
Va’ in molte città dell’Egitto
a imparare e imparare dai sapienti.

Non dimenticarti mai di Itaca.
Raggiungerla è la tua meta.
Ma non affrettare il viaggio.
Meglio che duri molti anni
e, vecchio ormai, tu approdi nell’isola,
ricco di quanto ti ha dato il viaggio,
senza pensare che Itaca ti dia ricchezze.

Itaca ti ha dato il bel viaggio.
Senza di lei non ti avventuravi.
Non ha altro da darti.

E se la trovi povera, Itaca non ti ha ingannato.
Ormai saggio, ricco di esperienze,
avrai capito quel che significa un’Itaca.

***

Kostantinos Kavafis, Poesie d’amore e della memoria, a cura di Paola Maria Minucci, Newton Compton Editori 2006


Konstantinos Petrou Kavafis (1863-1933) – Non facciamo della vita una stucchevole estranea



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Boris Pasternak (1890-1960) – Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, che non hanno inciampato. La loro è una virtù spenta, di poco valore. A loro non si è svelata la bellezza della vita.

Boris Pasternak
Il dottor Zivago

Il dottor Zivago

«Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, che non hanno inciampato. La loro è una virtù spenta, di poco valore. A loro non si è svelata la bellezza della vita».

Boris Pasternak, Il dottor Zivago, Feltrinelli, Milano, 2007

 

Pasternak in un dipinto del 1910 del padre Leonid

B. Pasternak in un dipinto del 1910 del padre Leonid.

 

Leonid_Pasternak, The Passion of creation

Leonid Pasternak, The Passion of creation.

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Leonid Pasternak (1862-1945), padre dello scrittore Boris Pasternak, era un artista russo di primo piano con una reputazione come un ritrattista.

Leonid_Pasternak, Tolstoy

Leonid Pasternak, L. Tolstoj.

 

 



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Wisława Szymborska (1923-2012) – La poesia non tollera né il superfluo, né il vano.

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La poesia non tollera né il superfluo, né il vano

 

Ogni caso

Ogni caso

 

Tutto ciò che non è un quartetto
 come quintetto sarà scartato.
Tutto ciò che non è un quintetto
in quanto sesto sarà soffiato via.
Tutto ciò che non è un coro di quaranta angeli
tacerà come un guaito di cane e singulto di gendarme.
***
Wisława Szymborska, Il classico, da Ogni caso, 1972

 



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Rainer Maria Rilke (1875-1926) – E queste cose, che passano ma ci credono capaci di salvarle, noi che passiamo più di tutto, vogliono essere trasmutate, entro il nostro invisibile cuore in – oh Infinito – in noi! Quale che sia quel che siamo alla fine.

Rainer Maria Rilke01
Elegie duinesi

Elegie duinesi

Nona elegia

Ma perché, se è possibile trascorrere questo po’
d’esistenza
come alloro, il verde un po’ più cupo
di tutto l’altro verde, le piccole onde ad ogni
margine di foglia (sorriso di brezza) – perché
costringersi all’umano e, evitando il Destino,
struggersi per il Destino?…
Oh, non perché ci sia felicità,
quest’affrettato godere di cosa che presto perderai.
Non per curiosità o per esercizio del cuore,
questo, anche nel lauro sarebbe…

Ma perché essere qui è molto, e perché sembra
che tutte le cose di qui abbian bisogno di noi, queste
effimere
che stranamente ci sollecitano. Di noi, i più effimeri.
Ogni cosa
una volta, una volta soltanto. Una volta e non più.
E anche noi
una volta. Mai più. Ma quest’essere
stati una volta, anche una volta sola,
quest’essere stati terreni pare irrevocabile.

E così ci affanniamo, e lo vogliamo compiere,
vogliamo contenerlo nelle nostre semplici mani,
nello sguardo che ne trabocca e nel cuore che non ha
parola.

Lo vogliamo diventare. A chi darlo? Meglio
tener tutto, per sempre… Ah, nell’altro rapporto, di là,
ahimè, che cosa portiamo? Non il guardare che qui
lentamente imparammo, e nessun avvenimento di qui.
Nessuno.
Allora le pene. Allora soprattutto quel senso di peso,
allora la lunga esperienza d’amore, – allora
soltanto quel ch’è indicibile. Ma poi
fra le stelle, che farne? son tanto meglio indicibili loro,
le stelle.
Anche il viandante dal pendio della cresta del monte,
non porta a valle una manciata di terra,
terra a tutti indicibile, ma porta una parola conquistata,
pura, la genziana
gialla e blu. Forse noi siamo qui per dire: casa
ponte, fontana, porta, brocca, albero da frutti, finestra,
al più: colonna, torre. Ma per dire, comprendilo bene
oh, per dirle le cose così, che a quel modo, esse stesse,
nell’intimo,
mai intendevano d’essere. Non è forse l’astuzia segreta
di questa terra che sa tacere, quand’essa sollecita gli
amanti cosi
che ogni cosa, ogni cosa s’esalta nel loro sentire?
Soglia: oh, pensa che è, per due che si amano
logorare un po’ la propria soglia di casa già alquanto
consunta,
anche loro, dopo dei tanti di prima, e prima di quelli di dopo…
leggermente.

Qui è il tempo del dicibile, qui la sua patria.
Parla e confessa. Sempre più
vengon meno le cose, quelle da viversi, perché
ciò che le butta per sostituirle è un fare alla cieca.
Un fare sotto croste che docilmente saltano appena che
l’interno lavorio dà fuori e si pone altri limiti.
Tra i magli resiste
il nostro cuore, come resiste
la lingua tra i denti
che resta tuttavia, tutto malgrado, per lodare.

Loda all’Angelo il mondo, non quello indicibile, con lui
non puoi sfoggiare splendore di sentimento; nell’Universo
dove egli sente più sensibilmente, tu sei novizio. E allora
mostragli
quello che è semplice, quel che, plasmato di padre in
figlio
vive, cosa nostra, alla mano e sotto gli occhi nostri.
Digli le cose. Resterà più stupito; stupito come
rimanesti tu
dinanzi al cordaio a Roma o al vasaio sulle rive del Nilo.
Mostragli quanto una cosa può essere felice, quanto
innocente e nostra,
e come financo il dolore che piange, puro, s’induce a
forma
serve da cosa o muore in farsi cosa. – E beato,
al di là sfugge al violino. E queste cose che vivon di
morire,
lo sanno che tu le celebri; passano
ma ci credono capaci di salvarle, noi che passiamo più
di tutto.
Vogliono essere trasmutate, entro il nostro invisibile
cuore
in – oh Infinito – in noi! Qualsia quel che siamo alla
fine.

Terra, non è questo quel che tu vuoi, invisibile
risorgere in noi? – Non è questo il tuo sogno,
d’essere una volta invisibile? – Terra! invisibile!
Che è mai, se non trasmutamento quello che sì
pressante ci commetti?
Terra, tu cara, accetto. Oh, credi, non ci sarebbe più
bisogno
delle tue primavere per guadagnarmi a te, una,
ah, una sola è fin troppo per il sangue.
Da lungi e senza nome io mi dichiaro a te.
Tu eri sempre nel giusto, e la tua santa pensata
è la confidenza con la morte.

Vedi, io vivo. Di che? Né infanzia né futuro
vengon meno… Innumerabile esistere
mi scaturisce in cuore.

Rainer Maria Rilke,  Elegie Duinesi, trad. di Enrico e Igea De Portu, Torino, Einaudi, 1978.


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Arianna Fermani – L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano. Riflessioni sulla Paideia in Aristotele

Arianna Fermani 01

Arianna Fermani

L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano

Riflessioni sulla Paideia in Aristotele

in Educação e filosofia, 31, n. 61 (2017)

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 «Non è una differenza da poco il fatto che subito fin dalla nascita veniamo abituati in un modo piuttosto che in un altro ma, al contrario, è importantissimo o, meglio, è tutto» (Etica Nicomachea, II, 1, 1103 b 23-25).

 

 

Questo contributo mira a mettere a fuoco il tema dell’educazione di Aristotele, mostrando come tale riflessione risulti essere originale ed attuale. L’indagine prende avvio dall’esame delle occorrenze di alcuni lemmi all’interno del corpus del filosofo particolarmente significativi rispetto al tema della educazione, come ad esempio

paideia

Si intende mostrare come la riflessione aristotelica sulla paideia, oltre ad un utilizzare una specifica metodologia di indagine, si muova all’interno di due fondamentali scenari educativi: nel primo (che a sua volta si articola in una serie di sotto-questioni, come ad esempio il tema dell’insegnabilità della virtù o quello dell’emotional training e dell’educazione delle passioni) l’educazione precede l’etica, mentre nel secondo l’educazione consiste nell’etica, secondo il fondamentale modello teorico dell’energeia.


Arianna Fermani è Professoressa Associata in Storia della Filosofia Antica all’Università di Macerata. Le sue ricerche vertono principalmente sull’etica antica e, più in particolare, aristotelica, e su alcuni snodi del pensiero politico e antropologico di Platone e di Aristotele. È Membro dell’Associazione Internazionale “Collegium Politicum” e dell’ “International Plato Society”. È membro del Consiglio Direttivo Nazionale della SISFA (Società Italiana di Storia della Filosofia Antica), e Direttrice della Scuola Invernale di Filosofia Roccella Scholé: Scuola di Alta Formazione in Filosofia “Mario Alcaro”. È Presidente della Sezione di Macerata della Società Filosofica Italiana. Ecco, cliccando qui, l’elenco delle sue pubblicazioni.


Tra le molte pubblicazioni di Arianna Fermani

 

Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele

Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele

Editore: eum, 2006

 

Il saggio si propone di riflettere sul modello classico del bios teleios, cioè della felicità della vita nella sua totalità, cercando di mostrare come il dialogo con gli antichi fornisca ancora “utili” schemi concettuali. Più in particolare si cerca di mostrare come il confronto con le riflessioni etiche di Platone e Aristotele permetta di dipanare i numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana (come i dolori, i piaceri, l’ampia gamma di beni e di risorse che la costituiscono), e di individuare alcuni rilevanti nodi concettuali (tra cui, ad esempio, quello di “misura”) che costituiscono la semantica della nozione di eudaimonia. Il modello antico di eudaimonia come eu prattein, inoltre, cioè come capacità strategica di “giocar bene”, sembra risultare particolarmente fecondo, invitando ad interrogarsi sulle modalità di attuazione della vita felice e sulla gestione di tutto ciò che ad ogni esistenza si offre per una “prassi di felicità”.

***

L'etica di Aristotele

L’etica di Aristotele: il mondo della vita umana

Editore:Morcelliana, 2012

 

Utilizzando tutte e tre le Etiche aristoteliche, Arianna Fermani, con questo volume, offre un’ulteriore prova dell’attualità e utilità dell’etica dello Stagirita e di un pensiero che, esplicitamente e costitutivamente, mostra che ogni realtà “si dice in molti modi”. Gli schemi che l’intelligenza umana elabora devono essere molteplici e vanno tenuti, per quanto possibile, “aperti”. Questo determina la presenza di “figure” concettuali estremamente mobili e intrinsecamente polimorfe, figure che il Filosofo attraversa lasciando che i loro profili, pur nella loro diversità e, talvolta, persino nella loro incompatibilità, convivano.
La verifica di questa metodologia passa attraverso l’approfondimento di alcune nozioni-chiave, dando vita ad un percorso che, con proposte innovative e valorizzazioni di elementi finora sottovalutati dagli studiosi, si snoda lungo tre linee direttrici fondamentali: quelle di vizio e virtù, quella di passione e, infine, quella di vita buona.

 

Sommario

Ringraziamenti
Premessa
I “Pensiero occidentale” vs “pensiero orientale”: alcune precisazioni
II “Essere” e “dirsi in molti modi”
Introduzione
I. Per un “approccio unitario” ad Aristotele
II. Autenticità delle tre Etiche
III. Obiettivi e struttura del lavoro

PRIMA PARTE Percorsi di attraversamento delle figure di vizio e virtù
Capitolo primo: Giustizia e giustizie
Capitolo secondo: La fierezza
Capitolo terzo: Sui molti modi di dire “amicizia
Capitolo quarto: Lungo i sentieri della continenza e dell’incontinenza
Capitolo quinto: La philautia: tra “egoismo” e “amor proprio”
Capitolo sesto: Modulazioni della nozione di vizio

SECONDA PARTE: Percorsi di attraversamento della nozione di passione
Capitolo primo: La passione come nozione “in molti modi polivoca”
Capitolo secondo: Le metamorfosi del piacere
Capitolo terzo: Articolazioni della nozione di pudore

TERZA PARTE: Percorsi di attraversamento della nozione di vita buona
Capitolo primo: Dio, il divino e l’essere umano: sui molti modi di essere virtuosi e felici
Capitolo secondo: La questione dell’autosufficienza
Capitolo terzo: Natura/nature, virtù, felicità
Capitolo quarto: Verso la felicitàlungo le molteplici rotte della phronesis
Capitolo quinto: La felicità si dice in molti modi
Conclusioni
Bibliografia
Indice dei nomi

***

 

Le tre etiche

Le tre etiche. Testo greco a fronte

Editore:Bompiani, 2008

 

In un unico volume e con testo greco a fronte le tre grandi opere morali di Aristotele: l'”Etica niconomachea”, l”Etica eudemia” e la “Grande etica”. Questi tre scritti rappresentano tutta la riflessione etica dell’Occidente, e il punto di partenza di ogni discorso filosofico sul fine della vita umana e sui mezzi per raggiungerlo, sul bene e sul male, sulla libertà e sulla scelta morale, sul significato di virtù e di vizio. La raccolta costituisce un unicum, poichè contiene la prima traduzione in italiano moderno del trattato “Sulle virtù e sui vizi”. Un ampio indice ragionato dei concetti permette di individuare le articolazioni fondamentali delle nozioni e degli snodi più significativi della riflessione etica artistotelica. Tramite la presentazione, contenuta nel seggio introduttivo, dei principali problemi storico-ermeneutici legati alla composizione e alla trasmissione delle quattro opere, e di un quadro sinottico dei contenuti delle opere stesse, è possibile visualizzare la struttura complessiva degli scritti e le loro reciproche connessioni.

***

Platone e Aristotele

Platone e Aristotele. Dialettica e logica

Curatori: M. Migliori, A. Fermani

Editore:Morcelliana, 2008

Il confronto tra Platone ed Aristotele è stato interpretato, per lo più, come una opposizione tra modelli conoscitivi: da un lato la dialettica, intesa come il culmine del sapere, dall’altro la logica, intesa come l’insieme delle tecniche per ben argomentare, al di là delle pretese platoniche di una supremazia della dialettica. Ma ha ancora un fondamento filologico e storico questa contrapposizione? Un interrogativo che – nei saggi qui raccolti di alcuni dei più autorevoli interpreti del pensiero antico – mette capo a una pluralità di scavi, storiografici e teoretici. Scavi che invitano a una lettura dei testi platonici ed aristotelici nella loro complessità: emergono inaspettati intrecci e molteplici significati dei termini stessi di dialettica e logica in entrambi i pensatori. Non solo la dialettica platonica ha un suo rigore, ma la stessa logica aristotelica ha affinità, pur nelle differenze, con le procedure argomentative della dialettica. Una prospettiva ermeneutica che interessa non solo lo storico della filosofia antica, ma chiunque abbia a cuore le radici greche delle nostra immagine di ragione.

***

 

Interiorità e animae

Interiorità e anima: la psychè in Platone

Maurizio Migliori, Linda M. Napolitano Valditara, Arianna Fermani

Vita e Pensiero, 2007

Il concetto di anima, una delle più grandi “invenzioni” del mondo greco, figura teorica che ha attraversato e segnato la storia dell’intero Occidente, trova in Platone il primo fondamentale inquadramento filosofico. Non si tratta solo di una tematica dal significato metafisico e religioso: nell’approfondire i molteplici temi che questo concetto attiva emergono naturalmente, già nel filosofo ateniese, tutte le questioni connesse alla spiritualità e allo psichismo umano, con le loro conseguenze etiche. In questo senso l'”anima” apre la strada a un infinito processo di approfondimento e di scoperta dell’interiorità del soggetto. Non a caso questo tema compare in molti testi platonici, in particolare nei dialoghi. Da questa prima elaborazione scaturirono luci e ombre, soluzioni di antichi problemi e nuove domande, di non meno difficile soluzione, anzi tanto complesse da essere ancora oggi messe a tema. Sui molteplici aspetti di queste tematiche filosofiche alcuni tra i maggiori studiosi di Platone si confrontano nel presente volume, avanzando proposte spesso assolutamente innovative, anche per quanto riguarda l’utilizzo di testi sottovalutati, o addirittura quasi ignorati dagli studi precedenti, con una dialettica che dà modo al lettore sia di verificare la capacità ermeneutica delle diverse impostazioni, sia di riscoprire la ricchezza del contributo platonico rispetto a problemi con cui lo stesso pensiero contemporaneo torna positivamente a misurarsi.

 

***

Humanitas

Humanitas (2016). Vol. 1: L’inquietante verità nel pensiero antico.

Curatore: A. Fermani, M. Migliori

Editore: Morcelliana, 2016

 

Editoriale: I. BertolettI, “Humanitas” 1946-2016. Identità e trasformazioni di un’idea l’inquietante verità. La riflessione anticaa cura di Arianna Fermani e Maurizio Migliori M. Migliori, Presentazione F. Eustacchi, Vero-falso in Protagora e Gorgia. Una posizione aporetica ma non relativista M. Migliori, Platone e la dimensione umana del verol. Palpacelli, Vero e falso si apprendono insieme. Il vero e il falso filosofo nell’Eutidemo di Platonea. Fermani, Aristotele e le verità dell’etica G.A. Lucchetta, Dire il falso per conoscere il vero. Aristotele, Fisica ii 1, 193a7) F. Mié, Truth, Facts, and Demonstration in Aristotle. Revisiting Dialectical Art and Methoda. longo, I paradossi nell’Ippia minore di Platone. La critica di Aristotele, Alessandro di Afrodisia e Asclepioe. Spinelli, Sesto Empirico contro alcuni strumenti dogmatici del vero. Note e rassegne F. De Giorgi, Il dialogo nel pontificato di Paolo VI G. Cittadini, Filippo Neri. Una spiritualità per il nostro tempo.

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Il Simposio di Platone

Il ‘simposio’ di Platone

J. Rowe, Arianna Fermani

Academia Verlag, 1998

 

Cinque lezioni sul dialogo con un ulteriore contributo sul ‘Fedone’ e una breve discussione con Maurizio Migliori e Arianna Fermani; 27-29 marzo 1996, Università di Macerata, Dipartimento di filosofia e scienze umane, in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli studi filosofici.

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Arianna Fermani, “Brividi di bellezza” e desiderio di verità

Arianna Fermani, “Brividi di bellezza” e desiderio di verità

“Brividi di bellezza” e desiderio di verità in Bellezza e Verità;
Brescia, Morcelliana, 2017; pp. 195 – 203

 

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rivista di

ARISTOTELE E I PROFILI DEL PUDORE

Arianna Fermani

Vita e Pensiero

Rivista di Filosofia Neo-Scolastica

Vol. 100, No. 2/3 (Aprile-Settembre 2008), pp. 183-202

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Studi su ellenismo e filosofia romana

Studi su ellenismo e filosofia romana

Curatori: F. Alesse, A. Fermani, S. Maso

Editore: Storia e Letteratura, 2017

In questo volume vengono raccolti cinque saggi sul pensiero filosofico greco nell’età romana. Le linee di ricerca qui proposte toccano nello specifico questioni attinenti alla filosofia stoica, a quella epicurea, a quella cinico-sofistica e all’aristotelismo di epoca imperiale.

***

Thaumazein cop

Arianna Fermani,
Essere “divorati dal pentimento”.
Sguardi sulla nozione di metameleia in Aristotele

in THAUMÀZEIN; n. 2 (2014); Verona, pp. 225-246

Arianna Fermani,
Essere “divorati dal pentimento”. Sguardi sulla nozione di metameleia in Aristotele


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Maurice Blanchot (1907-2003) – La lettura fa del libro quel che il mare e il vento fanno con le opere forgiate dagli uomini. La lettura conferisce al libro l’esistenza brusca che la statua “sembra” dovere solo allo scalpello. Il libro ha bisogno del lettore per farsi statua.

Maurice Blanchot01
Lo spazio letterario 02

Lo spazio letterario

«La lettura fa del libro quel che il mare e il vento fanno con le opere forgiate dagli uomini: una pietra più liscia, un frammento piovuto dal cielo, senza passato né futuro, sul quale non ci si interroga quando lo si vede. La lettura conferisce al libro l’esistenza brusca che la statua “sembra” dovere solo allo scalpello: quell’isolamento che la sottrae agli sguardi che la vedono, quella distanza altera, quella saggezza orfana, che congeda insieme lo scultore e lo sguardo che vorrebbe scolpirla ulteriormente. In un certo qual modo il libro ha bisogno del lettore per farsi statua, ha bisogno del lettore per affermarsi come cosa priva d’autore ma anche di lettore».

Maurice Blanchot, Lo spazio letterario, il Saggiatore, 2018.

Lo spazio letterario

Lo spazio letterario


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Salvatore Bravo – Il modello Marchionne trasforma gli uomini in soldati dell’efficienza, inibisce ogni discussione sul senso e sulla dignità del lavoro, il cui scopo non è la sopravvivenza biologica, ma l’espressione di sé, della propria identità, la conoscenza di se stessi, come afferma la Costituzione. Il lavoratore è persona, non un servo dell’azienda.

Sergio Marchionne

 

Il World Class Manufacturing

Il World Class Manufacturing

La globalizzazione ha i suoi imperativi, e la competizione – per essere all’altezza del mercato mondiale – deve trasformare gli uomini in soldati dell’efficienza.

 

Il modello Marchionne inibisce ogni discussione sul senso e sulla dignità del lavoro, il cui scopo non è la sopravvivenza biologica, ma l’espressione di sé, della propria identità, la conoscenza di se stessi, come afferma la Costituzione.

 

Il lavoratore è persona, non un servo dell’azienda, la sua essenza, come affermava Marx, è un’essenza generale, per cui l’essere umano è un mondo di possibilità che il lavoro non deve mortificare o comprimere, ma piuttosto valorizzare, lasciando ai lavoratori gli spazi fisici e temporali per la vita di relazione.

Obama-Marchionne

Trump-Marchionne

Il lavoro all’epoca di Marchionne

 

La morte di Marchionne svela e rileva l’assenza non solo di senso critico da parte del clero orante dei giornalisti uniti in un volgare ed ossessivo “Osanna” del manager, ma specialmente il vuoto dell’opposizione. Il rispetto verso chi non è più tra noi esige un’operazione di verità e delicatezza. Nel caso di un personaggio ad impatto pubblico è necessaria una valutazione che tenga presente tutti i dati e non solo una parte di essi in funzione osannante. L’informazione parziale che occulta e rimuove il prezzo del successo globale, non solo non informa, ma palesa quanto il servizio pubblico sia in realtà privato, schierato ideologicamente, mentre si afferma che le ideologie sono non solo morte, ma sono un impaccio alla produttività: ecco l’unica ideologia innominabile di cui bisogna essere servi, ma senza saperlo. La condizione reificata è una pratica, si concretizza anche nell’essere servi senza saperlo, nel dividere il mondo fatalmente in servi e padroni, come se la linea che separa i due mondi sia determinata fatalmente da forze celesti. La Fenomenologia dello Spirito con la figura “Servo- Padrone” ha descritto la condizione del servo che si sottrae alla lotta, e dunque fatalmente vive nell’alienazione fino alla presa di coscienza di sé. La nostra è un’epoca servile sul lavoro come nell’uso della lingua: l’angloitaliano.

World Class Manufacturing, una disciplina che vi mette in ordine

World Class Manufacturing.

Il World Class Manifacturing, «una disciplina che vi mette in ordine»

Il nome di Marchionne, ed i suoi indubitabili successi globali, è legato ad una modello di produzione: il World Class Manifacturing, modello produttivo di origine giapponese. Tale modello – che ha nel fare il punto cardine (si noti l’ing finale, che evidenzia la prassi empirica) – esige il massimo della produttività con i costi minori, e in particolare un’apparente democrazia aziendale che prescrive l’abolizione del “lei”, l’accorciamento della filiera gerarchica e burocratica, la valorizzazione del merito non certo per nascita, ma spostato sull’asse competenza-impegno. La sostanza di tali “comandamenti” è la competizione.

Marchionne sistem

Nei bilanci aziendali la vita non è sul conto

La globalizzazione ha i suoi imperativi, e la competizione – per essere all’altezza del mercato mondiale – deve trasformare gli uomini in soldati dell’efficienza. La retorica della famiglia-azienda serve per motivare all’impegno, operazione di sottrazione degli spazi di libertà sempre maggiori che sono riempiti dal lavoro senza soste (e non è un’iperbole).
L’era Marchionne ha dato agli operai nuovi ritmi di lavoro per produrre e battere il mercato mondiale. Ben ottocento milioni di euro sono stati investiti per spostare la produzione dalla Polonia a Pomigliano d’Arco. Tale operazione ha sicuramente richiesto sacrifici agli operai tutti, ciò ha salvato il posto di lavoro agli operai di Pomigliano, ma dobbiamo valutare anche i costi sulla carne viva dei lavoratori. Nei bilanci aziendali la vita non è sul conto. I provvedimenti per aumentare la produttività in queste ore vengono taciuti abilmente e miseramente: alla catena di montaggio la riduzione da quaranta a trenta minuti della pausa, lo spostamento della pausa mensa a fine turno, lo scatto salariale legato ai risultati ottenuti dallo stabilimento. Certo, i lavoratori di Pomigliano hanno accettato le nuove condizioni lavorative con un referendum che ha accolto, con il 63 per cento, le nuove realtà lavorative.

 

La competizione orizzontale indotta tra i lavoratori

Marx ci ha insegnato che la libertà formale ha un valore ideologico, operai e padroni in teoria sono egualmente liberi, ma in realtà la condizione operaia spinge ad accettare l’inaccettabile per sopravvivere. Piuttosto che lasciarsi stordire dal rito dei numeri, dal balletto delle celebrazioni, si pensi al clima relazionale che si vive nelle “manifatture della produzione”, tutti contro tutti. Dove ancora c’era un minimo di solidarietà di classe ora si spinge per la competizione orizzontale che, di fatto, sotto il ricatto della chiusura degli stabilimenti, rende la condizione lavorativa disumana, fonte di malessere. Il ricatto con cui gli operai hanno dovuto sottostare ai nuovi ritmi di lavoro e le nuove relazioni sindacali rilevano il volto celato del successo. Si ricordi che la FIOM è stata prima illecitamente esclusa e poi reintegrata: si pesi al caso del licenziamento degli operai Fiom di Melfi reintegrati con sentenza del tribunale di Potenza. Il culto del successo spesso nasconde la polvere degli aiuti di Stato sotto il tappeto, ma è un occultamento difficile, data l’entità dei numeri. La FIAT ha usufruito – secondo uno studio della CGIA di Mestre del 2012 – di ben 7,6 miliardi di euro e ne ha investiti 6,2. La Fiat divenuta Fca ha sede fiscale ad Amsterdam ed il domicilio fiscale a Londra, per cui sarebbe interessante sapere dove versa le tasse…
Certo, è un’operazione diffusa tra le eccellenze mondiali dell’industria, su cui non bisogna sospendere il giudizio etico e politico, malgrado la giurisprudenza consenta questo nel silenzio complice di troppi governi.
Insomma il ribaltamento generale a cui assistiamo è il rappresentare l’astratto: i risultati senza il concreto, le condizioni materiali dei lavoratori. Tale rovesciamento rammenta le critiche di Marx ad Hegel, il quale aveva posto l’idea come essere fondativo della storia e non le condizioni storico materiali. Il silenzio delle opposizioni, e non si tratta solo dei partiti e dei movimenti politici, non permette di teorizzare possibilità operative e produttive alternative alla “manifattura della produzione”.
Il modo in cui ci si stringe ad esaltare il modello Marchionne inibisce ogni discussione sul senso e sulla dignità del lavoro, il cui scopo non è la sopravvivenza biologica, ma l’espressione di sé, della propria identità, la conoscenza di se stessi, come afferma la Costituzione (articoli 1, 28, 35, 36, 37, 38).

 

L’essere umano è un mondo di possibilità
che il lavoro non deve mortificare o comprimere, ma piuttosto valorizzare

Il lavoratore è persona, non un servo dell’azienda, la sua essenza, come affermava Marx, è un’essenza generale, per cui l’essere umano è un mondo di possibilità che il lavoro non deve mortificare o comprimere, ma piuttosto valorizzare, lasciando ai lavoratori gli spazi fisici e temporali per la vita di relazione.
Il contesto di questi mutamenti sono da leggere anche all’interno di una cornice nazionale in cui si è eliminato l’articolo 18, e si è introdotto la precarietà e lo sfruttamento disciplinati dai nuovi contratti. Se si opera con una visione d’insieme, l’epoca Marchionne ci parla di noi, delle terribili condizioni globali verso le quali si è assunto lo stesso atteggiamento che si ha verso i fenomeni naturali: le leggi di natura si accettano senza discutere. È il caso invece di ricominciare a dialettizzare i dati, ad essere persone che fanno dell’economia l’oggetto della comunità, e non il soggetto draculesco che vuole sempre più pluslavoro per molti e plusvalore per pochi. Le contraddizioni necessitano di pensiero e parole, che in questo momento sembrano tragicamente silenti. Riportare il concreto nel regno ideologico dell’astratto è il primo passo per uscire dal buio della caverna.

Non ci resta che riflettere sulle tre possibilità enumerate da Costanzo Preve:

«Di fronte a questa situazione, io vedo tre soluzioni possibili, che mi permetto qui di segnalare brevemente. In primo luogo, si può continuare a sostenere la globalizzazione neoliberale, affermando che essa non è stata ancora radicalizzata abbastanza. È la tesi ad esempio di Niall Ferguson (cfr. “La Stampa”, 30-11-09). Secondo Ferguson (cito): “ci vorrebbe un approccio ancora più radicale rispetto agli anni della signora Thatcher e di Reagan”. Questo approccio deve portare (e Ferguson lo dice apertamente) alla integrale fine del Welfare State. Questo programma, che lascia alla sua destra solo Attila e Gengis Khan (scherzo, perché questi due signori erano a mio avviso complessivamente migliori di tutti i Ferguson del mondo), viene giustificato con la constatazione degli altissimi ritmi cinesi di sviluppo. In poche parole: o torniamo al capitalismo selvaggio totale, o la concorrenza asiatica ci distruggerà. Ed il paradosso sta nel fatto che il cannibale Ferguson ha perfettamente ragione, ma ce l’ha solo dando per scontato che la globalizzazione neoliberale sia una divinità da non mettere in discussione, l’unità di Dio e del Diavolo, di Prometeo e di Lucifero.
In secondo luogo, si può continuare a belare contro la globalizzazione evitando di proposito il diabolico richiamo al protezionismo (non importa se forte o leggero, eccetera). Si tratta del ridicolo ed impotente Movimento detto No Global (in acronimo MNG), che personalmente proporrei seriamente di ribattezzare Presa in Giro Planetaria (in acronimo PGP). Questi buffoni, vera e propria pittoresca opposizione mediatica di Sua Maestà (sua maestà è ovviamente la globalizzazione neoliberale), si mobilitano ogniqualvolta i Potenti si incontrano per mettere in scena una commedia dell’arte post-moderna (cassonetti rovesciati, vetrine infrante, pagliacci in trampoli, mangiatori di fuoco, prefiche belanti, eccetera). Qui l’etica e l’estetica di infima qualità si incontrano. L’estetica del cattivo gusto kitsch si unisce trionfalmente con l’etica della ostensione lamentosa ed impotente. Si avanzano con petizioni, e ricevono idranti. I nostri lontani discendenti li ricorderanno così. La sola cosa che questi giullari non chiedono mai è il solo rimedio contro la globalizzazione neoliberale, e cioè il sacrosanto protezionismo. Ci vedono in esso con la saggia proposta di Fichte e poi di List dello stato commerciale chiuso, ma tutti i fantasmi di “destra” che li assillano: lo stato nazionale, il bottegaio leghista, l’intervento comunitario nazionale sulla sovranità assoluta dell’individuo, eccetera. È la rivolta dell’individuo sovrano (senza denaro) contro il suo gemello individuo sovrano (con denaro). Su questo avrei voluto fare lunghe considerazioni filosofiche, ma per ora le risparmio al lettore, perché ho pietà di lui.
In terzo luogo, finalmente, c’è chi ha avuto finalmente il coraggio di prendere il toro per le corna e la padella per il manico, affermando la legittimità del protezionismo, almeno per aree geografiche (un “piccolo protezionismo” a livello di singolo stato nazionale è infatti del tutto impraticabile, anche ove fosse astrattamente auspicabile). La sola risposta alla globalizzazione neoliberale è infatti geopolitica (parola del tutto ignota alla PGP, presa in giro planetaria), e non può che comportare la formazione nel mondo di alcune grandi aree protezionistiche (con quali modalità concrete non tocca a me giudicare, in quanto non economista), in cui il libero commercio (che resta un valore, ma un valore secondario) è subordinato alla sovranità comunitaria nazionale e locale, al ripristino il più possibile del Posto Fisso, al mantenimento ed anzi all’allargamento del Welfare, all’indipendenza dall’Impero USA neoliberale, eccetera. Noto con piacere e soddisfazione che questa è anche l’esplicita proposta di Alain de Benoist e dei suoi collaboratori (cfr. la rivista in lingua francese Elements, numero 133, ottobre-dicembre 2009). Qui per la prima volta si suggerisce un’ipotesi a prima vista incredibile e paradossale (non però per me, che ho sempre saputo che la dialettica si basa sulla unità degli opposti e sulla loro dinamica di trasformazione reciproca), per cui pur di potersi perpetuare il capitalismo potrebbe anche reinventarsi il comunismo. A chi rimanesse a bocca aperta di fronte a questa (apparente) assurdità consiglio di riflettere sul successo universitario mondiale della trilogia di Tony Negri e di Michael Hardt, in cui si lega l’ipotesi comunista con la globalizzazione incontrollata, il libero scambio, la fine dello stato nazionale e l’esaurimento infinito dei desideri dell’individuo sovrano.

Come diceva un tempo il comico pugliese Arbore:
meditate, gente, meditate!».[1]

Salvatore Bravo

[1] Costanzo Preve, in un’intervista di Luigi Tedeschi il 13/1/2010.


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Antonio Prete – Solitudine vuol dire resistere all’opera di distrazione – distrazione da sé – messa in campo da tutto quello che è intorno: immagini, seduzioni, attrazioni. Solitario non è solo chi si rifugia nel deserto, ma anche chi, pratico del mondo, sa isolarsi nel cuore del tumulto.

Antonio Prete 02

La solitudine: una condizione interiore, anzitutto. Nella compagnia e nella folla poter stare con se stessi. Senza che questo ritiro attenui l’ascolto o l’attenzione o persino la curiosità. Solitudine vuol dire resistere all’opera di distrazione – distrazione da sé – messa in campo da tutto quello che è intorno: immagini, seduzioni, attrazioni. Solitario non è solo chi si rifugia nel deserto, ma anche chi, pratico del mondo, sa isolarsi nel cuore del tumulto.

[…] Alla solitudine Montaigne dedica un capitolo dei Saggi. La solitudine per lui non è il grado zero del sentire, un processo di cancellazione delle percezioni, ma l’edificazione di uno spazio e di un tempo per l’ascolto di sé, e delle voci che salgono dall’assenza e dalla lontananza. La solitudine è il teatro dell’io in azione: pensieri, ricordi, esperienza dell’attesa, domande. Essere con se stesso è assistere allo sventagliarsi di figure che salgono da un tempo che più non ci appartiene, è intrattenersi con quella parte di sé che talvolta è ignota a se stesso e non è stata resa sorda e opaca dall’uso del mondo. «Bisogna riservarsi – scrive ancora Montaigne – una retrobottega [une arriere boutique] tutta nostra, del tutto indipendente, nella quale stabilire la nostra vera libertà, il nostro principale ritiro e la nostra solitudine».

 

Antonio Prete, Il cielo nascosto. Grammatica dell’interiorità, Bollati Boringhieri, 2016, p. 66.

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 Immagine in evidenza: Antonio Fontanesi, Solitudine, 1875, Musei Civici, Reggio Emilia.

Risvolto di copertina
Dentro di noi custodiamo un cielo nascosto, uno spazio-tempo altrettanto abissale dell'universo che ci sovrasta. Come è accaduto alla volta stellata, gli interni d'anima hanno attratto cosmografi fin dall'antichità: filosofi, scrittori, teologi e poeti hanno scrutato, contemplato, decifrato, versato in parole «fantasticanti e conoscitive» ogni transito di pensieri, ogni orbita di passioni, ogni ellissi del desiderio. Si è via via affinata una lingua per dire la mobilità dell'io e il teatro degli affetti, e si è scoperto nelle profondità della mente il punto di maggiore consonanza con il ritmo vivente del mondo. Questa pienezza di raffigurazione e il suo stesso oggetto - la vita interiore, concentrata nelle proprie fantasmagorie, ma anche persa in lontananze e silenzi siderali - rischiano oggi di smarrirsi, vittime dello spossessamento di sé indotto dalla seduzione della vicinanza virtuale e dal frastuono della comunicazione. In controtendenza rispetto ai tempi, Antonio Prete compie qui un prezioso gesto di restituzione. Mette la sua maestria di comparatista al servizio di una materia sconfinata, prelevandovi con levità figure tematiche e passaggi salienti, da Agostino a Joyce, da Montaigne a Proust a Calvino, e cedendo spesso il passo agli amatissimi Leopardi e Baudelaire. Sono tutti loro, insieme con gli artisti che nell'autoritratto hanno sfidato l'irrappresentabile, a costruire idealmente una «grammatica dell'interiorità», dove troviamo declinate le eterne forme del sentire, amorose o meditative, gioiose o dolenti, stupefatte o rammemoranti. Senza attingere a quel lessico, non potremmo neppure riconoscere ciò che ci accade dentro

Antonio Prete – Leggere è far respirare, insieme, l’immaginazione e il pensiero, è custodia dell’interiorità, è un ascolto silenzioso, è fare esperienza del tempo, contro la dissipazione, la distrazione, la spettacolarizzazione.



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Quinto Orazio Flacco (65 a.C.-8 a.C.) – Pensa ogni giorno come l’ultimo che per te risplenda. Ti giunge grata l’ora che non t’aspettavi.

Quinto Orazio Flacco 001
Epistole

Epistole

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omnem crede diem tibi diluxisse supremum:
grata superveniet, quae non sperabitur hora.
pensa ogni giorno come l’ultimo che per te risplenda
Ti giunge grata l’ora che non t’aspettavi.

 

Orazio, Epistole, I, IV, 13-14.

 

 



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